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Il radar sociale

Il cliente stava attraversando un periodo di crisi e il gruppo dei venditori della Johnson Wax era in preda alla frustrazione: come mai le vendite di un prodotto molto importante erano nettamente inferiori a quelle di altri rivenditori?

Il rappresentante della Johnson Wax responsabile di quel cliente pensava di conoscerne il motivo: l'addetto all'ufficio acquisti della catena di negozi avrebbe desiderato fare ordinazioni più sostanziose, ma non poteva – a causa di una battaglia fra i dirigenti di due reparti diversi, il prodotto era stato infatti esposto in quello sbagliato, e quindi si vendeva male.

Il dirigente del reparto che stava vendendo il prodotto si rifiutava di cederlo all'altro e il responsabile degli acquisti non aveva l'autorità per superare questo punto morto.

Per risolvere il problema, il team dei venditori della Johnson Wax indisse con il cliente quello che fu una sorta di incontro diplomatico bilaterale: una riunione a tre livelli, alla quale parteciparono tutti dirigenti al di sopra del rappresentante e del responsabile degli acquisti. In occasione di quell'incontro, il gruppo della Johnson Wax mise il cliente a conoscenza di dati che dimostravano come, se solo avesse gestito diversamente il prodotto, esso avrebbe potuto fruttargli, ogni anno, 5 milioni di dollari in più. Questo messaggio andò a segno.

«Quando capirono che, a causa delle battaglie fra i reparti, si stavano lasciando sfuggire l'opportunità di ricavare 5 milioni di dollari, decisero che dovevano abbattere quei muri», racconta O'Brien, vicepresidente delle vendite per il Nord America. «I dirigenti di tutti e tre i livelli seguirono il consiglio del responsabile degli acquisti. C'era voluto un anno per arrivare a quella discussione – ma una volta che ebbero compreso di avere la volontà di farlo, il cambiamento fu solo questione di giorni.»

Questa strategia di vendita può servire da esempio per mostrare uno dei segni distintivi dell'empatia: quello di saper vedere una situazione di vendita dal punto di vista del cliente per aiutarlo a riuscire nel suo intento. Questa sensibilità ridiede la capacità di interpretare le correnti politiche e le realtà di un'organizzazione diversa dalla propria.

«L'approccio migliore sta nel comprendere a fondo le esigenze e gli obiettivi del compratore, e lavorare a quel fine», commenta O'Brien. «La chiave sta nel sondare e nell'ascoltare, in modo da capire che cosa sia davvero importante per il successo dell'altro. Nell'ultimo secolo, questo è stato uno dei punti fondamentali per il successo nelle vendite.»

Quando parlai con O'Brien, era eccitato per due trionfi: il suo gruppo era appena stato nominato Venditore dell'Anno dai magazzini Wal-Mart e Target, due delle più grandi catene americane di vendita al dettaglio.

In quel settore, uno dei barometri del cambiamento è stato il cosiddetto «management di categoria», che consiste in questo: nelle drogherie, ad esempio, i dettaglianti tratteranno tutte le merendine o i prodotti per rinfrescare l'aria come una singola categoria, e decideranno quali marche tenere in magazzino su base collettiva e non individuale. Paradossalmente, questo approccio fondato sulle cifre ha reso le relazioni personali fra i venditori e i «manager di categoria» ancora più importanti.

«I nostri migliori venditori sanno stabilire un equilibrio fra la realtà dei fatti e il mondo interpersonale», osserva O'Brien. «La professione del venditore è passata dai tempi in cui si basava sul rapporto personale, al moderno far perno sulle cifre; il campo si è spostato dalle tradizionali capacità sociali del venditore a un modello di manager che lavora sui numeri e non sui contatti. Invece, occorre stabilire un equilibrio fra le due cose. L'aspetto interpersonale è necessario – perché queste sono ancora decisioni interpersonali.»

L'empatia può assumere diverse forme. Una è esemplificata dall'avveduta consapevolezza che i venditori della Johnson Wax avevano per le esigenze del loro cliente. D'altra parte, l'empatia può emergere anche in una società che abbia una percezione realistica e accurata dei propri dipendenti, dei clienti, dei committenti, dei concorrenti, del mercato e di eventuali altre parti interessate – dai sindacati agli azionisti. Riuscire a vedere la realtà dalla loro prospettiva, percepire il loro modo di reagire all'operato dell'azienda, offre interpretazioni utilissime ai fini di un management efficace.

Il direttore di una banca svizzera privata mi dice: «Il mio lavoro è un po' come quello del prete o del medico di famiglia. Non puoi lavorare in una banca privata senza ricorrere alla tua intelligenza emotiva, soprattutto all'empatia. Devi percepire quali sono le speranze e le paure del tuo cliente – anche se lui non è in grado di esprimerle a parole».

L'empatia parte da dentro

Come osservava Freud, «i mortali non sanno mantenere segreti. Se le loro labbra sono silenziose, spettegolano con la punta delle dita; il tradimento si fa strada attraverso ogni poro della pelle». Il nervoso e inquieto agitarsi di un negoziatore smentisce la sua espressione impassibile; lo studiato disinteresse di un cliente che mercanteggia sui prezzi da un concessionario di automobili è contraddetto dall'eccitazione con cui gravita intorno alla convertibile che desidera con tutto se stesso. Saper cogliere queste spie emotive è particolarmente importante in situazioni in cui le persone hanno ragione di nascondere le loro vere emozioni – una cosa comune nell'ambiente degli affari e del lavoro.

L'essenza dell'empatia sta pertanto nel cogliere quello che gli altri provano senza bisogno che lo esprimano verbalmente. In effetti, è raro che gli altri ci dicano esplicitamente che cosa provano; piuttosto, ce lo comunicano con il tono di voce, l'espressione del volto, o in altri modi non verbali. L'abilità di captare queste comunicazioni impercettibili si fonda su competenze più fondamentali, soprattutto sulla consapevolezza di sé e sull'autocontrollo. Come vedremo, se non siamo capaci di percepire i nostri sentimenti o di impedire che essi ci sommergano, non avremo alcuna speranza di entrare in contatto con gli stati d'animo degli altri.

L'empatia è il nostro radar sociale. Un'amica mi racconta di essersi accorta molto presto dell'infelicità di una collega. «Andai dal mio capo e dissi, "C'è qualcosa che non va con Kathleen – non è felice qui". Non mi guardava più negli occhi, aveva smesso di mandarmi i suoi soliti messaggi spiritosi via e-mail. Dopo un po' annunciò che se ne andava a lavorare da un'altra parte.»

Quando mancano di questa sensibilità, le persone sono «fuori». Essere sordi emotivamente si traduce nella goffaggine sociale, che può derivare da un'errata interpretazione dei sentimenti, da una ottusità meccanica e desintonizzata, o dall'indifferenza che può distruggere un rapporto. Una delle possibili forme assunte dalla mancanza di empatia è quella di interagire con gli altri considerandoli come stereotipi invece che come gli individui unici che essi sono.

Come minimo, l'empatia implica la capacità di leggere le emozioni altrui; a un livello superiore, essa comporta la percezione e la reazione alle preoccupazioni o ai sentimenti non verbalizzati dell'altro. Al massimo livello, l'empatia coincide con la comprensione dei problemi e delle preoccupazioni che stanno dietro ai sentimenti dell'interlocutore.

La chiave per conoscere il terreno emotivo altrui è un'intima familiarità con il nostro – come ha dimostrato Robert Levenson della California University di Berkeley7-1 Levenson convocava alcune coppie sposate nel suo laboratorio di fisiologia, affinché avessero due conversazioni: una neutrale del tipo «Com'è andata oggi?», e poi quindici minuti di discussione su qualcosa riguardo alla quale i due non erano d'accordo. Durante questo piccolo scontro, Levenson registrava le reazioni dei due partner con vari mezzi, ad esempio monitorandone la frequenza cardiaca, e videoregistrando le modificazioni delle loro espressioni facciali.

Dopo il microscontro, uno dei due partner usciva. Quello che restava, guardava la videoregistrazione della discussione e intanto raccontava il proprio dialogo interiore: che cosa avesse davvero sentito e pensato – senza averlo espresso verbalmente. Poi quel partner usciva e rientrava l'altro che raccontava il microscontro dalla prospettiva del primo. 

I partner più empatici fanno qualcosa di assolutamente straordinario sul piano fisiologico: mentre empatizzano, il loro corpo mima quello del partner. Se durante la videoregistrazione la frequenza cardiaca del partner sale, altrettanto fa quella del coniuge che sta empatizzando con il primo; se la frequenza cardiaca si abbassa, lo stesso accade a quella del coniuge empatico.7-2  

Questa imitazione comporta un fenomeno biologico denominato «trascinamento», una sorta di tango emotivo.7-3  

Una così alta sintonia esige che si mettano da parte per un momento le proprie emozioni in modo da poter ricevere chiaramente i segnali emessi dall'altro. Quando siamo coinvolti dalle nostre emozioni più forti, siamo dirottati su un vettore fisiologico diverso, impermeabile agli indizi più sottili che consentono il rapporto.7-4  

Charles Darwin ipotizzò che le due capacità affini, di inviare e leggere segnali, avessero avuto un ruolo enorme nell'evoluzione umana, sia nel creare che nel mantenere l'ordine sociale. Nell'evoluzione, le emozioni negative – la paura e la collera – ebbero senza dubbio un immenso valore ai fini della sopravvivenza, stimolando l'animale minacciato al combattimento o alla fuga.

In un certo senso, questo residuo dell'evoluzione ci accompagna ancora oggi; quando siamo in preda agli attacchi dell'amigdala, noi reagiamo con maggior forza a chi sia a sua volta di cattivo umore piuttosto che a qualcuno che si trovi in uno stato d'animo positivo. Questa potrebbe essere una buona ricetta per arrivare a un disastro emotivo creando un circuito a feedback caratterizzato da un crescendo di negatività o di rabbia.

Il prerequisito dell'empatia è l'autoconsapevolezza, ossia il riconoscimento delle reazioni viscerali che, nel proprio corpo, segnalano l'emozione – una capacità essenziale per qualsiasi lavoro nel quale conti l'empatia, dall'insegnamento, alle vendite, al management.7-5  

Una danza impercettibile

«Qui da noi avevamo una donna che riusciva a svuotare una stanza nel giro di qualche minuto», mi spiega il direttore del marketing di un'azienda californiana che tratta software didattico. «Prima di inserirsi in una conversazione non stava ad ascoltare: si lanciava immediatamente in un monologo – lamentele o attacchi che non avevano nulla a che fare con quello di cui stavano parlando gli altri. Partiva e andava avanti, completamente ignara degli sbadigli. Non sapeva quando fermarsi. Non sapeva cogliere gli indizi.»

La fluidità di ogni interazione sociale dipende in larga misura dal «trascinamento» spontaneo. Quando due persone cominciamo a parlarsi, entrano immediatamente in una danza impercettibile di armonie ritmiche, nella quale sincronizzano movimenti e posizioni, il tono di voce, la velocità con cui parlano e anche la lunghezza delle pause fra la fine del discorso di uno e l'inizio della risposta dell'altro.7-6  

Questo reciproco mimetismo prosegue al di fuori della consapevolezza cosciente, e sembra controllato dalle parti più primitive del cervello. Tali meccanismi entrano in gioco con la rapidità del respiro, nell'arco di un cinquantesimo di secondo. Se questo coordinamento automatico viene a mancare, ci sentiamo leggermente a disagio.

Uno dei principali adeguamenti reciproci ha luogo a livello delle espressioni facciali, un fondamentale canale di comunicazione emotiva. Quando vediamo un volto felice (o adirato), esso evoca in noi, per quanto impercettibilmente, l'emozione corrispondente.7-7 Nella misura in cui assumiamo il ritmo, la posizione e l'espressione facciale dell'altro, cominciamo ad abitare il suo spazio emotivo: quando il nostro corpo mima quello dell'altro, cominciamo a sperimentare una sintonia emotiva.7-8  

Il nostro sistema nervoso è automaticamente predisposto a impegnarsi in quest'empatia emotiva (anche qui, l'amigdala gioca il ruolo-chiave).7-9 Ma la nostra abilità di usare questa capacità è in larga misura appresa, e dipende anche dalla motivazione. Gli animali – e gli esseri umani – allevati in uno stato di estremo isolamento sociale non sanno leggere gli indizi emotivi negli altri non perché manchino dei circuiti fondamentali dell'empatia, ma perché, non avendo avuto figure guida nel campo dell'emozione, non hanno mai imparato a prestare attenzione a quei messaggi e quindi non hanno mai esercitato quella capacità.

Le lezioni cominciano durante la prima infanzia, quando nostra madre e nostro padre ci tengono in braccio. Questi primi legami emotivi stabiliscono la base per imparare a cooperare e a farsi accettare in un gioco o in un gruppo. La misura in cui ci impadroniamo di questo curriculum emotivo determina il nostro livello di competenza sociale. Prendiamo, ad esempio, i bambini che nel gioco non sanno cogliere gli indizi essenziali per un'interazione fluida; quando vogliono unirsi a un gruppo, spesso si limitano a intromettersi creando lo scompiglio.

I bambini socialmente più abili, invece, aspettano e stanno un po' a guardare. Prima di tutto si sintonizzano sul gioco, e poi vi si immettono nel momento in cui si presenta un'apertura naturale, senza provocare soluzioni di continuità. Cogliere il ritmo e i tempi sociali delle persone con cui abbiamo a che fare è essenziale.

Poiché individui diversi apprendono in diversa misura le capacità fondamentali della competenza sociale, fra noi esistono differenze corrispondenti anche nelle competenze basate sull'empatia, tanto utili sul lavoro. L'empatia rappresenta la capacità fondamentale alla base di tutte le competenze sociali importanti per il lavoro. Esse includono:

• Comprendere gli altri: percepire i sentimenti e le prospettive degli altri e nutrire un attivo interesse per le loro preoccupazioni.

• Assistenza: saper anticipare, riconoscere e soddisfare le esigenze del cliente.

• Valorizzazione degli altri: percepire le esigenze di crescita degli altri e dar rilievo alle loro abilità.

• Far leva sulla diversità: coltivare le opportunità attraverso la diversità delle persone.

• Consapevolezza politica: leggere le correnti politiche e sociali all'interno di un'organizzazione.

Ti capisco?

COMPRENDERE GLI ALTRI
Percepire sentimenti e prospettive degli altri e nutrire un attivo interesse per le loro preoccupazioni 

Le persone con questa competenza:

• Sono attente agli indizi emozionali e sanno ascoltare gli altri

• Mostrano sensibilità e comprendono le prospettive altrui

• Aiutano gli altri basandosi sulla comprensione delle loro esigenze e dei loro sentimenti

Un assistente presso un grande studio di progettazione, descrive così i sentimenti velenosi emanati da un socio dal carattere instabile: «Gli basta un'occhiata per diventare una porta chiusa; mette su quest'aria da "non seccatemi", e così io so che devo girargli alla larga. Ma se in alcuni di questi frangenti devo trattare con lui, cerco di farla breve: niente scherzi o cose simili – una volta lo feci e lui andò fuori dai gangheri. Così divento monotono, come fossi un deficiente».7-10  

La frase chiave qui è «Gli basta un'occhiata per diventare una porta chiusa»; quello era l'indizio che l'assistente raccoglieva e che lo istruiva sul comportamento da tenere con il suo socio scontroso. Sul lavoro raccogliamo costantemente questi indizi emotivi e adeguiamo il nostro comportamento di conseguenza. In assenza di questo radar corriamo il rischio di naufragare sugli scogli delle emozioni negative di chi lavora con noi. L'empatia è essenziale come sistema-guida emotivo che ci pilota facendoci andare avanti nella nostra vita lavorativa.

Al di là della mera sopravvivenza, l'empatia è fondamentale ai fini di prestazioni superiori ovunque il lavoro si concentri sulle persone. Ogni qualvolta è importante un'abile lettura dei sentimenti di una persona – in campi che vanno dalle vendite e dalla consulenza aziendale alla psicoterapia, alla medicina e alla leadership di ogni genere – l'empatia è essenziale per eccellere.

La medicina è un campo che ha appena aperto gli occhi sui benefici dell'empatia – e questo in parte per alcune ragioni economiche convincenti. Intanto, in un'epoca di grande competizione per guadagnarsi la fedeltà dei clienti, i medici più abili nel riconoscere le emozioni dei pazienti riescono a curarli con maggior successo dei loro colleghi meno sensibili.7-11 Per poter aiutare meglio i propri pazienti, naturalmente, i medici devono saper percepire le loro ansie e il loro disagio; tuttavia, uno studio ha rivelato quanto raramente essi stiano ad ascoltarli. I pazienti hanno, in media, quattro domande da porre loro, ma durante la visita riescono a farne solo una o due. Una volta che il paziente ha cominciato a parlare, la prima interruzione da parte del medico ha luogo, in media, entro 18 secondi.7-12  

I medici che ascoltano poco sono quelli verso i quali viene intentato il maggior numero di cause legali – almeno negli Stati Uniti. Rispetto ai colleghi soggetti a denunce, i medici generici mai citati per imperizia si dimostrano comunicatori di gran lunga superiori. Essi si prendono il tempo per dire ai propri pazienti che cosa debbano aspettarsi da una cura, e poi anche quello per ridere e scherzare, per chiedere la loro opinione, controllare che abbiano capito e incoraggiarli a parlare.7-13 Quanto tempo occorre al medico per essere così empatico? Solo tre minuti.

Progettazione empatica

L'empatia è approdata nei dipartimenti di ricerca e sviluppo. I ricercatori osservano l'uso che i clienti fanno – nella propria vita, a casa o sul lavoro – dei prodotti di un'azienda, proprio come un antropologo potrebbe osservare un'altra cultura.7-14 Questo scrutare nella realtà del cliente offre una percezione più completa di quella ottenibile con i classici gruppi di studio e le indagini di mercato.

Questa intima esplorazione della vita del cliente, associata a un'apertura al cambiamento da parte dell'azienda, si rivela un cocktail potente ai fini dell'innovazione. Gli osservatori mandati dalla Kimberly-Clark a guardare genitori e bambini usare i pannolini, si resero conto che questi ultimi avevano bisogno di un primo passo verso l'abbigliamento «da grande». Quell'intuizione portò alla creazione del modello Huggies Pull-Ups, che i bambini possono infilarsi da soli – e produsse vendite per 400 milioni di dollari annuali prima che la concorrenza riuscisse a colmare le distanze.

Nei migliori team manager impegnati nello sviluppo di prodotti, la capacità di comprendere a fondo le esigenze dei clienti è spontanea. Saper leggere che cosa voglia il mercato significa empatizzare con i clienti e sviluppare un prodotto che soddisfi le loro esigenze.7-15  

Alla Ford Motor Company, la progettazione empatica venne introdotta in occasione dell'ammodernamento della Lincoln Continental. Gli ingegneri, per la prima volta, ebbero intensi contatti con i proprietari dell'automobile che stavano cercando di reinventare.

Il loro compito? Farsi un'idea di che cosa essi amassero di quell'automobile.

«I clienti sentono – percepiscono – le qualità distintive che apprezzano in un prodotto», mi disse Nick Zeniuk, uno dei project manager. «Perciò dovemmo entrare in sintonia con loro. Per far questo dovemmo essere empatici. Dissi ai manager – dimenticatevi di tutti i dati che vi hanno mostrato quelli delle ricerche di mercato. Andate là fuori e parlate con la gente per la quale fabbrichiamo quest'auto. Ascoltate, sentite, percepite. Guardateli negli occhi e fatevi una sensazione viscerale di quello che vogliono.»

Nel momento in cui gli ingegneri dovettero creare le specifiche, quest'esperienza sul campo diede loro una forte percezione del cliente. Zeniuk ricorda: «Tornarono con la videoregistrazione della conversazione con un cliente e dissero: "Qui non si vede, ma in questo momento era molto convinto di quello che stava dicendo". Dapprima dovemmo trovare come percepire tutto questo, e poi il modo di esprimerlo in termini ingegneristici – dovemmo trovare le esatte specifiche tecniche che avrebbero reso l'auto comoda o più sensibile alle esigenze del cliente».

L'arte di ascoltare

«Quando si ha un disperato bisogno di chiudere una vendita non si ascolta più molto bene», mi spiegò il direttore delle vendite di uno studio di intermediazione di Wall Street. «Nelle vendite non c'è nulla di meglio di quando qualcuno fa un'obiezione e tu puoi dire: "Lei ha perfettamente ragione – dovremmo prendere in considerazione il suo suggerimento". Te la cavi molto meglio se riesci ad ascoltare e a comprendere il loro punto di vista.»

Al cuore dell'empatia c'è un orecchio ben sintonizzato. Ascoltare bene è un requisito essenziale per il successo sul posto di lavoro. Una stima del Department of Labor degli Stati Uniti, sul tempo che la gente passa impegnata a comunicare, colloca il tempo dedicato alla lettura e alla scrittura al 22 per cento, quello passato a parlare al 23 per cento e quello dedicato all'ascolto al 55 per cento.7-16  

Coloro che non sanno ascoltare, o che comunque non ascoltano, danno l'impressione di essere indifferenti o non interessati, il che a sua volta rende gli altri meno comunicativi. L'ascolto è un'arte. Il primo passo sta nel dare l'impressione di essere disponibili; i manager con un atteggiamento da «porta aperta» – quelli che appaiono avvicinabili, o che fanno di tutto per ascoltare ciò che la gente ha da dir loro – incarnano questa competenza. Le persone con le quali sembra più facile parlare riescono ad ascoltare di più.

Ascoltare bene e in profondità significa andare oltre quel che l'altro dice, facendo domande e riesprimendo con le proprie parole ciò che si è ascoltato per assicurarsi di averlo capito. Questa è una forma di ascolto «attivo». Un modo per dimostrare di aver davvero ascoltato l'altro è quello di reagire di conseguenza, soprattutto se questo significa apportare qualche cambiamento nel proprio modo di operare. Tuttavia, la misura in cui occorra adeguare le nostre azioni a ciò che dicono gli altri è di per se stessa questione di qualche controversia.

Fra coloro che si occupano di vendite, alcuni – assumendo una prospettiva limitata del significato di «empatia» – sostengono che, assumendo la prospettiva del cliente, il venditore farà colare a picco la vendita di tutti quei prodotti o servizi di cui l'altro non ha realmente bisogno e che non vuole davvero.7-17 Questo, naturalmente, sottintende una percezione in qualche modo cinica o ingenua del compito del venditore, come se esso implicasse semplicemente chiudere una vendita, e non la costruzione o il miglioramento della relazione con il cliente.

Secondo una visione più illuminata, però, il compito del venditore è quello di saper ascoltare e comprendere bene ciò di cui i clienti o i committenti hanno bisogno, per trovare il modo di soddisfare le loro esigenze. Il concetto secondo il quale l'empatia è essenziale per il successo nelle vendite fu confermato da uno studio effettuato in America su un campione randomizzato di addetti degli uffici acquisti presso dettaglianti di grandi e piccole dimensioni, che dovettero esprimersi sui venditori di confezioni.7-18  

Il vecchio stereotipo secondo il quale a chiudere la vendita sarà il venditore particolarmente affabile ed espansivo non reggeva più. Non era abbastanza essere un estroverso con la parlantina facile; il consenso degli acquirenti favoriva i venditori più empatici – quelli che avevano a cuore le loro esigenze e le loro preoccupazioni.7-19 Questo era vero soprattutto se l'empatia del venditore si accompagnava alla percezione, da parte del cliente, che egli fosse una persona di cui potersi fidare.

Quando l'empatia difetta di integrità

«Voglio assicurarvi fin dal principio che per noi i bambini sono la cosa più importante – loro vengono per primi. So bene che alcuni di voi sono preoccupati. Ma qualunque cosa dovesse mettere a rischio i bambini, noi la fermeremo.»

Così cominciò la cordiale, rassicurante relazione del presidente di una società specializzata nel recupero dei metalli dalle ceneri generate nei processi industriali. Era andato a parlare ai genitori e agli insegnanti di una scuola media nel piccolo centro dove la sua azienda si stava trasferendo; lo stabilimento avrebbe dovuto sorgere nei pressi della scuola, una volta ricevuta l'approvazione definitiva da parte delle autorità cittadine.

Mentre il presidente si addentrava nella spiegazione di quella che sarebbe stata l'attività dello stabilimento – dei posti di lavoro che esso avrebbe portato e dei benefici per l'economia locale – la sua sincerità e la sua preoccupazione per il benessere dei bambini e della loro comunità conquistarono il pubblico. Sembrava un tipo così comprensivo, così empatico.

Ma poi arrivò il momento del dibattito in sala. Uno dei genitori, che era un chimico, chiese: «Ma non lavorerete ceneri contenenti diossina? E la diossina non è altamente cancerogena? Come proteggerete i nostri bambini?»

A questa domanda, il presidente si innervosì, si mise sulla difensiva, divenne addirittura ostile – soprattutto quando alcuni genitori, ora non più tanto fiduciosi, lo provocarono chiedendogli perché non avesse fatto menzione prima di quell'aspetto così inquietante.

L'incontro terminò con la decisione dei genitori di consultare un esperto sulle tossine industriali, e di chiedere alle autorità cittadine di tenere pubbliche udienze sull'argomento prima di autorizzare lo stabilimento.

L'empatia può essere usata come strumento di manipolazione. Ciò si manifesta spesso come una pseudo-empatia, una posa sociale che si disintegra non appena viene smascherata. Un'amica si lamentò con me delle commesse di un negozio di abbigliamento di lusso nel quale le piaceva andare a curiosare. «Mi dicono sempre come sono contente di vedermi, e mi ronzano intorno cercando di chiacchierare. Io vorrei solo essere lasciata in pace finché non devo chieder loro qualcosa.» Poi, un giorno, in un momento di sincerità e di abbassamento della guardia, una delle commesse le confessò che il suo capo le aveva istruite affinché conversassero amichevolmente con le clienti che avevano già acquistato qualcosa in precedenza. Ma questa amicizia forzata non suonava affatto autentica – anzi, in realtà ebbe l'effetto di allontanare la mia amica.

Probabilmente esiste una difesa naturale contro quest'empatia artificiale – la capacità di percepire, come fece la mia amica, quando essa non è sincera. I ricercatori che hanno studiato le persone manipolative hanno scoperto che quelle più motivate da un bisogno machiavellico di manipolare le persone ai propri fini tendono a essere le meno dotate di empatia, mentre quelle che si fidano – quelle che pensano che le persone siano fondamentalmente buone – tendono a essere più sintonizzate sui sentimenti.7-20  

Fuga dall'empatia

Sam era sordo alle emozioni. Era capacissimo di rispondere al telefono sentendo all'altro capo del filo una voce soffocata dai singhiozzi che gli chiedeva di parlare con sua moglie Marcy, e di porgerle il ricevitore con un allegro «Marcy! È per te!»

Elaine Hatfield, la psicologa dell'Università delle Hawaii che conosce quest'uomo, osserva: «Sam ignora i messaggi emozionali perché non potrebbe importagliene meno».7-21  

Non basta avere la capacità potenziale di essere empatici; bisogna che ci interessi esserlo. In realtà, però, alcune persone che sembrano mancare di empatia possono assumere questo atteggiamento nel contesto di una strategia intenzionale; costoro probabilmente evitano l'empatia per mantenere una linea dura e resistere all'impulso di aiutare gli altri.7-22 Purché misurato, nell'ambiente di lavoro questo atteggiamento non è necessariamente negativo.

I manager che esagerano nel concentrarsi sulle relazioni o che vanno incontro alle necessità emozionali degli individui a spese delle esigenze dell'organizzazione danno scarse prestazioni.7-23 Nelle situazioni in cui il costo percepito dell'empatia è ritenuto troppo alto – ad esempio in una trattativa sui salari – può darsi che su entrambi i lati della barricata le persone debbano smorzare la propria capacità di essere comprensive. Gli avvocati sono famosi per la loro studiata indifferenza nei confronti degli interessi della controparte durante i processi (sebbene, come vedremo nel Capitolo Ottavo, un blocco così estremo dell'empatia non si riveli una strategia proficua ai fini del negoziato).

Soprattutto quando, in un'organizzazione, arriva il momento di distribuire risorse scarse, può darsi che ci sia una certa saggezza nell'equilibrare l'empatia con altre considerazioni. Se le persone si identificano troppo nelle esigenze di qualcuno è più facile che si spingano all'estremo per aiutarlo, anche nel caso in cui quella decisione metta a rischio il bene collettivo.7-24  

Per lo stesso motivo, la testa da sola, senza il cuore, può portare a decisioni disastrose – com'è accaduto nel caso di molte società che operarono selvagge riduzioni dell'organico ritrovandosi poi detestate o private della fiducia anche da parte dei dipendenti rimasti, ormai scoraggiati. Alcuni manager si desintonizzano dai sentimenti delle persone con cui lavorano semplicemente per evitare di doverli prendere in considerazione – una tattica che può farli sembrare imperiosi e distanti.

Una mancanza di empatia può rendere conto di ciò che accadde al chirurgo che si accingeva a operare per un trombo alla gamba una donna di mia conoscenza. Quando le spiegò che uno dei rischi dell'intervento consisteva nel fatto che avrebbe potuto perdere l'arto, la mia amica scoppiò in lacrime.

Ecco come rispose lui: «Se ha intenzione di mettersi a piangere, dovrà trovarsi un altro medico che la curi».

Fu esattamente quel che fece lei.

Angoscia da empatia

Aveva fatto l'infermiera in pediatria per sette anni, ma adesso chiedeva di essere trasferita in un altro reparto dell'ospedale. Perché?

«È solo che non posso sopportare di vedere un altro bambino che muore di cancro. È troppo duro per me.»

Il tormento dell'infermiera offre un tipico esempio di «angoscia da empatia», nella quale una persona viene «contagiata» dal turbamento di un'altra. Invece di aiutare i bambini a venir fuori dal loro dolore e dalla loro sofferenza, quest'infermiera finiva per unirsi a loro.

L'angoscia da empatia è comunissima quando siamo profondamente turbati di fronte al dolore o alla sofferenza di qualcuno che ci sta a cuore. La preoccupazione per un amico in difficoltà – per esempio un collega molto vicino che tema di essere licenziato – evoca in noi gli stessi suoi sentimenti. Questo fenomeno ha luogo ogni qualvolta un individuo altamente empatico è esposto agli stati d'animo negativi altrui e non è ben dotato delle capacità di autocontrollo che gli consentirebbero di sollevarsi dalla propria sofferenza.

I giovani medici si «induriscono» intenzionalmente per meglio gestire l'angoscia da empatia; il loro scherzare sui pazienti moribondi chiamandoli con appellativi irriverenti fa parte della costruzione di questo guscio a prova di emozioni – un modo per venire alle prese con la propria sensibilità. Il pericolo, naturalmente, è che essi finiscano per diventare come il chirurgo insensibile che spinse la mia amica a cercarsi un altro medico. Nelle facoltà di medicina, una nuova generazione di programmi ha oggi cominciato a insegnare agli studenti a gestire la propria angoscia in modo più efficace, senza doversi privare dell'empatia.

Anche chi ha regolarmente a che fare con persone di cattivo umore – ad esempio, nelle aziende, gli addetti al servizio di assistenza ai clienti – corre il rischio di incappare nell'angoscia da empatia. Essa può affliggere le persone impegnate in professioni assistenziali regolarmente in contatto con pazienti che versano in situazioni terribili. L'alternativa è quella di restare aperti ai sentimenti ma di essere abili nell'arte dell'autocontrollo emotivo, in modo da non venire sopraffatti dall'angoscia che ci viene trasmessa da coloro con cui abbiamo a che fare.

La politica dell'empatia

C'è una politica dell'empatia: di solito ci si aspetta che a percepire i sentimenti dell'altro sia chi ha poco potere, mentre chi lo detiene si sente meno obbligato a ricambiare la sensibilità. In altre parole, la studiata mancanza di empatia è un modo con il quale chi ha il potere può tacitamente affermare la propria autorità.

Ai tempi del movimento per i diritti civili, il reverendo Martin Luther King Jr espresse sorpresa di fronte alla scarsa capacità dei bianchi di intuire i sentimenti dei neri; questi ultimi, egli diceva, dovevano essere molto più sensibili agli stati d'animo dei bianchi, se non altro per poter sopravvivere in una società razzista. Un argomento parallelo sostiene che, nella misura in cui la società le opprime, le donne devono essere più empatiche degli uomini [per un'analisi dei dati sulle differenze di genere nell'empatia, vedi l'Appendice Tre].

Ricerche condotte negli anni Settanta e Ottanta indicano una correlazione negativa fra il ricoprire una posizione di potere e le capacità empatiche.7-25 Questo, però, oggi è probabilmente un poco meno vero, dal momento che le organizzazioni hanno fatto proprio uno spirito di gruppo più pronunciato e sono meno rigidamente gerarchiche di un tempo. I requisiti della moderna leadership comprendono la competenza dell'empatia. Lo stile autoritario del passato non funziona più bene come una volta.

Chi liquida l'empatia ritenendola ancora fuori luogo nel mondo del lavoro, oppure pensando che sia un approccio troppo soft, lo fa principalmente a causa di due comuni equivoci. Uno è quello di confondere l'essere empatici con l'assumere un atteggiamento da psicologi; l'altro è l'errata convinzione che empatizzare con qualcuno significhi essere d'accordo con lui.

Richard Boyatzis mi disse: «Per valutare l'empatia dei dirigenti di una grande azienda produttrice di computer, chiesi loro di parlarmi di una volta in cui avevano aiutato qualcuno alle prese con un problema. Alcuni raccontavano di aver esplorato in profondità lo stato psicologico dell'altro, spiegandoglielo nei termini delle sue radici nell'infanzia, o di certe teorie molto popolari come quella della co-dipendenza. Ma questa è analisi psicologica, non empatia – in realtà qui si liquida il problema parlando delle sue presunte cause».

Boyatzis scoprì che questo atteggiamento incline alla psicologia era correlato a una prestazione manageriale mediocre. Gli individui capaci di prestazioni eccellenti ascoltavano e capivano i sentimenti dell'altro, e offrivano consiglio, senza imporre la propria «diagnosi» delle cause alla base del problema. Questo teorizzare psicologico può essere interessante, e anche utile, se si sta bevendo una tazza di caffè fra amici, ma sul lavoro non è appropriato. E sebbene possa essere fatto passare per empatia, non è affatto la stessa cosa.

Analogamente, la comprensione del punto di vista o della prospettiva degli altri – sapere perché si sentano come si sentono – non significa automaticamente approvarli. Soprattutto nelle relazioni di affari, comprendere come si sentono gli interlocutori non porta a conceder loro ciò che vogliono, ma a un negoziato e a una gestione dell'interazione più abili. Di conseguenza, probabilmente è possibile prendere decisioni difficili generando meno risentimento e malanimo.

Ricordo di aver parlato con i leader dei management team della Lockheed Martin, una compagnia aerospaziale che aveva attraversato un periodo di grandi tagli del personale. Molti dei manager del gruppo avevano essi stessi licenziato centinaia di lavoratori – un processo che alcuni di essi descrivevano come la cosa più difficile che avessero mai dovuto fare. Accennai al fatto che alcuni manager temono che l'empatia possa renderli troppo sensibili per prendere le dure decisioni imposte dalle vicissitudini aziendali e chiesi loro se ritenessero che l'empatia fosse importante. «Assolutamente», fu una delle risposte. «Quando devi licenziare migliaia di persone, tutti quelli che rimangono stanno a guardare.» Nonostante il dolore, questi manager avevano dovuto procedere ai licenziamenti ma, mi dissero, se non avessero gestito la cosa con empatia, gli eventi avrebbero demoralizzato o reso ostile chiunque.

Consideriamo il trattamento che due diverse società riservarono ai propri dipendenti in occasione della chiusura dei loro stabilimenti. Alla General Electric i lavoratori seppero della chiusura con due anni di preavviso, e la società fece un grande sforzo per sistemare i dipendenti licenziati aiutandoli a trovare altri posti di lavoro. L'altra azienda annunciò invece la chiusura con una sola settimana di anticipo e non fece alcuno sforzo per aiutare i dipendenti a trovarsi un altro impiego.

I risultati? Quasi un anno dopo, la maggior parte dei lavoratori della General Electric dichiarava che era stato un buon posto dove lavorare, e il 93 per cento apprezzava i servizi che l'azienda aveva offerto loro nel periodo di transizione.7-26 Quanto ai dipendenti dell'altra società, solo il 3 per cento riteneva si fosse trattato di un buon posto di lavoro. La General Electric aveva mantenuto un clima di amicizia, mentre l'altra società aveva lasciato un'eredità di acredine.

L'arte della guida

VALORIZZAZIONE DEGLI ALTRI
Saper percepire le esigenze di crescila degli altri e dar rilievo alle loro abilità 

Le persone con questa competenza:

 • Riconoscono e premiano i punti di forza, i risultati e lo sviluppo degli altri.

• Offrono utili feedback e identificano ciò di cui le persone hanno bisogno per il proprio sviluppo

• Fanno da mentori, offrono una guida tempestiva e assegnano compiti che stimolano e accrescono le abilità di una persona

Sebbene fosse stata una piccola lezione, ebbe un impatto duraturo. Questa donna dalla rapida carriera, editor di alto profilo presso una rivista di portata nazionale, aveva un problema: «Ero incline a decidere velocemente, impegnandomi nei progetti in momenti di entusiasmo, per poi trovarmi a dover soffrire passando attraverso una serie straziante di riscritture con gli autori – riscritture che finivano per uccidere i loro articoli. Per me era emotivamente estenuante: creava troppa animosità e una vera e propria sofferenza.

«Ma poi», prosegui, «il mio capo mi insegnò una frase che mi è stata utilissima.»

Qual era la frase?

«"Ci penserò".»

Questo piccolo consiglio esemplifica la competenza della guida, alla base della capacità di valorizzare gli altri. Fra i manager capaci di prestazioni superiori, l'eccellenza in questo ambito è seconda solo alla leadership.7-27 Per i sales manager la capacità di valorizzare gli altri è addirittura più importante – la qualità più frequentemente riscontrata negli elementi migliori.7-28  

Questa è un'arte che si esprime nel rapporto diretto fra persone; al cuore della capacità di guidare e valorizzare gli altri c'è l'atto del consigliare, che a sua volta s'impernia sull'empatia e sulla capacità di concentrarci sui nostri sentimenti e di condividerli con gli altri.7-29  

In uno studio sui supervisori e i dirigenti di vario livello presso dodici grandi organizzazioni, la differenza comportata dal valorizzare gli altri era massima fra i supervisori, a indicazione del fatto che essa è essenziale nel trattare con coloro che lavorano sulla linea del fronte – venditori, operai delle catene di montaggio e simili.7-30 Quando la portata del controllo esercitato da un dirigente aumenta, le opportunità dirette di valorizzare gli altri probabilmente diminuiscono, mentre emergono più rilevanti altre competenze, ad esempio la leadership.

Anche così, «il capo di un'organizzazione è essenzialmente un maestro», mi dice Harry Levinson, un pioniere delle consulenze di psicologia aziendale. Egli aggiunge: «Di questi tempi chi lavora ha l'esigenza di sentire che col passare del tempo diventa sempre più competente, altrimenti se ne va».

La presenza di brave guide e formatori aiuta i dipendenti a dare prestazioni migliori, aumenta la lealtà e la soddisfazione sul lavoro, e porta a promozioni, aumenti salariali e a un più basso tasso di turnover.7-31  

Sul lavoro, una relazione aperta e di fiducia è fondamentale per esercitare con successo l'attività di guida. Questa fu la chiara conclusione a cui si giunse quando cinquantotto alti dirigenti – tutti come minimo vicepresidenti presso compagnie con un volume di vendite annuale di almeno cinque miliardi di dollari – furono interrogati sulle loro esperienze.7-32 Come disse uno di essi: «Con le persone da cui mi aspetto solo che facciano il loro lavoro io sono gentile; ma quelli di cui mi occupo davvero sono gli individui di talento – li spingo a trascendere se stessi».

Questi dirigenti passavano gran parte del tempo dedicato al training dei dipendenti impegnandosi nel tentativo di potenziare le loro prestazioni, soprattutto dando un feedback e offrendo suggerimenti per sviluppare le abilità necessarie. In linea di massima, i loro commenti erano positivi; passavano solo circa il 5 per cento del proprio tempo ad affrontare prestazioni scadenti.

La chiave per avere successo come guida? I migliori formatori mostrano un autentico interesse personale per coloro di cui si occupano, e mostrano empatia e comprensione per i loro dipendenti. La fiducia nel formatore era un fattore essenziale – quando era scarsa, il suo consiglio non era seguito. Questo accadeva anche quando egli era freddo e impersonale, o quando la relazione sembrava troppo a senso unico o troppo interessata solo da una parte. I formatori ritenuti degni di fiducia e che mostravano rispetto ed empatia erano, incontestabilmente, i migliori. Ma quando i dipendenti resistevano al cambiamento o assumevano posizioni difficili, i formatori trovavano talmente poco gratificante l'esperienza che tendevano ad abbandonare la partita.

«In retrospettiva, uno dei miei più grandi errori sul lavoro è stato quello di non cercare una figura-guida quando ho cominciato», mi confida il vicepresidente di una grande holding operante nel campo dei media. «Avevo talmente paura di sembrare inadeguato che non chiedevo consigli su come gestire le cose. Così chiusi molte relazioni potenzialmente formative. Invece, una mia giovane associata si presenta sempre sulla porta del mio ufficio per chiedermi consiglio su come parlare di un problema al nostro presidente, o su come affrontare qualche altra situazione. È davvero intelligente.»

L'immagine standard della figura-guida o del mentore è quella di una mano esperta che aiuta una persona più giovane con la quale ha un rapporto privilegiato. D'altra parte, chi ha la dote di saper aiutare gli altri può farlo con chiunque – anche con dei superiori. La guida diretta dal basso verso l'alto – aiutare un superiore a fare un lavoro migliore – fa parte di quest'arte. Un sottufficiale di prima classe della marina degli Stati Uniti, ad esempio, raccontava di aver dovuto «insegnare ai giovani ufficiali come comandarmi. Gli dico "voi state mandando avanti la nave e io tengo tutte queste attrezzature sotto controllo per voi; avete diritto di sapere come vanno le cose. Chiedetemi. E chiedetemi di aiutarvi quando posso farlo".»7-33  

L'arte della critica

Quando arriva il momento di dare un feedback, nessuno è meglio di Shirley Delibero, capo della New Jersey Transit Authority, che sotto la sua direzione è emersa come la più efficiente società di trasporti americana. Delibero dimostra ai suoi dipendenti che li apprezza e allo stesso tempo dà loro un flusso costante di feedback positivo e costruttivo sulle loro prestazioni. «Passo moltissimo tempo a lodare i dipendenti – quando fanno un buon lavoro mando loro delle note personali», mi disse Delibero. «Ma gli faccio sapere anche quando prendono dei granchi. Non fai loro un buon servizio se non valuti onestamente la loro prestazione. Devi fargli sapere in che cosa devono migliorare.»

Come DeLibero, la guida davvero efficace fornisce, insieme a un feedback utile per correggersi, informazioni specifiche, comunicando al tempo stesso un'aspettativa ottimista sulle capacità di migliorare dell'individuo. Invece, il modo peggiore per fornire un feedback è durante un sequestro emotivo dell'amigdala, quando il risultato sarà inevitabilmente uno scontro. Sebbene questo errore possa avere effetti pericolosi, altrettanto vale per un altro sbaglio comunemente commesso, quello di omettere del tutto il feedback.

Uno studio analizzò gli effetti prodotti sulla fiducia in se stessi dall'offerta di un feedback sulla prestazione; alcuni studenti di scienze aziendali, impegnati in una simulazione di risoluzione di problemi creativi, venivano lodati, criticati o non ricevevano alcun feedback. Gli studenti sapevano che i loro sforzi sarebbero stati confrontati con quelli di centinaia di altre persone alle quali era stato sottoposto lo stesso compito. I soggetti che non ricevettero alcun feedback subirono un colpo alla fiducia in se stessi analogo a quello patito dagli individui fatti oggetto di critiche.7-34 Il rapporto avverte che «quando le organizzazioni privano i propri dipendenti di informazioni specifiche legate al loro lavoro, possono inconsapevolmente inibire la loro prestazione».

La gente è affamata di feedback; tuttavia, fin troppi manager, supervisori e alti dirigenti sono incapaci di fornirlo o semplicemente non sono inclini a darlo. In alcune culture – soprattutto in Asia e in Scandinavia – esiste una tacita proibizione nei confronti di un'aperta espressione delle critiche – soprattutto di fronte ad altri. Un dirigente presso una società dell'Arabia Saudita mi racconta: «Nella nostra organizzazione lavorano persone di ventisette diverse nazionalità. La maggior parte di esse viene da paesi dove si insegna a non dire cose spiacevoli della gente con cui si lavora. Perciò è difficile ottenere un onesto feedback sulle prestazioni».

D'altro canto, un feedback brutale può essere una copertura per una semplice aggressione competitiva, un attacco mascherato da «desiderio di aiutare». Il dirigente di una banca dei Paesi Bassi mi spiega: «Qui c'è chi dà un feedback solo per segnare punti a proprio vantaggio in un gioco da macho per stare sempre avanti agli altri; questa gente non fa alcuna attenzione all'impatto che esso ha sulla persona che lo riceve: è decisamente troppo brusca. Ma questo non è un vero aiuto – fa solo parte di un gioco. Quello che ci vorrebbe è un po' più di empatia».

Il potere di Pigmalione

Erano la disperazione dei loro compagni d'imbarco: marinai continuamente nei pasticci, o che semplicemente non eseguivano i loro compiti. «Marinai problematici scarsamente motivati» era il termine che la marina degli Stati Uniti usava per definirli; l'immancabile acronimo militare era LP, per «low performer» – individuo dallo scarso rendimento.

Ai supervisori degli LP fu richiesto di adottare una serie di tattiche per modificare il comportamento di costoro. In particolare, fu loro consigliato di fare qualcosa di nuovo, ossia di aspettarsi da questi individui il meglio, nonostante il pessimo curriculum.

I supervisori cominciarono così a far sapere agli LP che credevano nella loro capacità di cambiare e riservarono loro un trattamento da vincenti. Dimostrare questa aspettativa positiva si rivelò una strategia efficacissima: gli LP cominciarono a far meglio sotto ogni aspetto: ricevettero meno punizioni, diedero prestazioni lavorative complessivamente più soddisfacenti e migliorarono pure nell'aspetto personale.7-35 Era l'effetto Pigmalione in azione: il solo fatto di aspettarsi il meglio da qualcuno aiuta l'avverarsi dell'aspettativa.

Gli allenatori sportivi e i buoni manager sanno da tempo che possono potenziare la prestazione di un individuo stimolandolo in modo adatto e facendogli sentire la propria fiducia.

Un modo per esprimere la propria aspettativa ottimista è quello di lasciare che i dipendenti siano responsabili nello stabilire i propri obiettivi – invece di dettare dall'alto i termini e i modi del loro sviluppo. Questo comunica la convinzione che essi abbiano la capacità di pilotare il proprio destino – un principio fondamentale sostenuto da chi ha iniziativa.

Un'altra tecnica che incoraggia gli individui a migliorare le proprie prestazioni è quella di indicare i problemi senza offrire una soluzione bell'e pronta; ciò implica che essi possano trovare la soluzione da soli. Figure tutoriali di grande spessore usano una strategia di questo tipo con i loro allievi. Innescano una sorta di dialogo socratico, guidando l'altro attraverso una serie di domande. In tal modo, chi impara arriva da sé alle risposte, il che aumenta la sua fiducia nel prendere le decisioni.7-36  

A un livello superiore di valorizzazione, la guida assegna all'altro un incarico dal quale attingere il training, l'esperienza o gli stimoli di cui ha bisogno. Lo può fare delegandogli alcune responsabilità, o nominandolo a capo di un progetto che richiederà nuove abilità da parte sua. Far questo richiede sensibilità, per capire se la persona che si sta cercando di valorizzare sia effettivamente pronta: se l'incarico è troppo semplice, imparerà poco; ma se è troppo difficile, potrebbe sperimentare un fallimento. L'abilità sta nel trovare esperienze che potenzino al tempo stesso le capacità e la fiducia dell'individuo.

Il supporto ultimo arriva con il promuovere i dipendenti in posizioni appropriate – un autentico riconoscimento del loro nuovo livello di competenza, e un nuovo banco di prova per un livello di abilità superiore.

Tuttavia, il grande desiderio di aiutare qualcuno a valorizzarsi può diventare eccessivo, ed entrare in conflitto con gli interessi del gruppo o dell'organizzazione. Mettere troppa enfasi nella formazione e nello sviluppo degli individui a scapito di altre esigenze è pericoloso. I supervisori e i dirigenti che dedicano moltissimo tempo ed energia al training e troppo poco al management finiscono, nel migliore dei casi, per fare un lavoro mediocre.7-37  

Come posso aiutarla?

ASSISTENZA AI CLIENTI
Anticipare, riconoscere e soddisfare le esigenze del cliente 

Le persone con questa competenza:

• Comprendono le esigenze del cliente trovando servizi e prodotti idonei a soddisfarle

• Cercano il modo di aumentare la soddisfazione e la fedeltà del cliente

• Offrono volentieri l'assistenza appropriata

• Capiscono la prospettiva del cliente, e agiscono come consiglieri di fiducia

Entrare da Stéphane & Bernard – una boutique di St Bart, l'isola dei Caraibi francesi – significa sperimentare l'assistenza al cliente elevata al rango di arte. I proprietari, che danno il nome al negozio, accolgono i visitatori servendo loro una combinazione di charme francese, spirito arguto e attenzione senza pari.

Per due ore, in un ozioso pomeriggio di gennaio, io e mia moglie ci crogiolammo in quell'attenzione. Mia moglie e Bernard parlarono della vita e dei vestiti di lei – conversazione peraltro regolarmente interrotta da lui che correva a cercarle qualcosa da provare che le stesse a pennello. E poi Bernard si prese anche venti minuti per annotarmi una mappa dell'isola, dandomi precise delucidazioni sui ristoranti, le spiagge e i posti migliori per le immersioni subacquee.

«Il mio lavoro consiste prima di tutto nel far sentir bene la gente che entra qui, nel mettere chiunque a proprio agio», spiega Bernard indicando il negozio, una boutique dove i vestiti di quindici grandi stilisti sono stipati in soli quaranta metri quadri. La loro minuscola boutique, rispetto alla media delle altre, guadagna cinque volte di più per metro quadro – entrate per la maggior parte concentrate nei quattro mesi invernali della stagione turistica.

La chiave di questo successo sta nella filosofia del servizio al cliente abbracciata da Stéphane e Bernard. «Per aiutarle, devo conoscere le mie clienti: devo sapere come amano vestire, che cosa piace loro fare, di quale parte del loro corpo sono insoddisfatte», mi spiega Stéphane.

Entrambi rifuggono l'approccio alle vendite tipico di chi è pagato a provvigioni, «nel quale il venditore non si preoccupa che un capo stia bene o meno alla cliente. A quella gente interessa solo chiudere la vendita, e quindi ti diranno che qualsiasi cosa hai scelto è perfetta». Stéphane continua: «se non mi piace come un capo sta addosso a una cliente, lo dico e le spiego perché. Non voglio venderle qualcosa che non è adatto a lei. Per le mie clienti io sono un consulente».

E questo è esattamente il ruolo che Stéphane e Bernard hanno assunto per le loro circa trecento clienti abituali. Le conoscono così bene che – quando sono in viaggio per comprare nuovi capi – effettuano molti acquisti pensando a una di loro in particolare. «Noi costruiamo relazioni», dice Bernard. «Abbiamo un file completo su tutte le clienti, prendiamo nota di quello che comprano e di quello che stanno cercando, e nel corso degli anni le aiutiamo a farsi il loro guardaroba.»

Stéphane e Bernard esemplificano il servizio al cliente nella sua forma più alta: ciò implica la capacità di scoprire le sue esigenze reali, spesso non dichiarate, in modo da trovare infine i servizi o i prodotti più adatti a soddisfarle. Significa anche assumere una prospettiva a lungo termine, e quindi a volte comporta la rinuncia a guadagni immediati per proteggere e preservare la relazione.

L'ideale del servizio, nella forma in cui viene realizzato da migliori operatori, trascende completamente il modello consueto. Le vendite o il continuo andirivieni di gente nel negozio cessano di essere l'unico scopo della relazione, e diventano piuttosto una naturale conseguenza dell'aver soddisfatto le esigenze del cliente.

Un servizio superlativo comporta l'assunzione del ruolo di consigliere fidato, come hanno ben capito Stéphane e Bernard. Questo atteggiamento può comportare, a volte, di prendere posizioni contrarie agli interessi immediati della propria organizzazione, ma che sembrino le più corrette nell'interesse del cliente. Col tempo, questo tipo di relazione basata sulla fiducia può solo rafforzarsi.

Infine, quando il servizio è al massimo livello, si diventa avvocati del cliente. Questo atteggiamento può portare dei benefici a lungo termine: ad esempio, se si consiglia al cliente di non esagerare con gli acquisti, ciò può significare, nel breve termine, vendere di meno, ma aumenta la probabilità che il rapporto rimanga vitale. Questa linea di comportamento potrebbe addirittura spingere il venditore a suggerire un prodotto della concorrenza, perdendo così una vendita immediata, ma cementando una relazione a lungo termine col cliente.

Una visione più ampia

In una moderna organizzazione, chiunque ha dei «clienti». Ogni collega che dobbiamo assistere o le cui esigenze siano in qualche modo influenzate dal nostro lavoro è per noi una sorta di cliente – e gli individui capaci di prestazioni eccellenti si fanno in quattro per assistere i propri, soprattutto nei momenti critici. Li aiutano a far bella figura, così da creare per loro – clienti o colleghi che siano – un successo visibile.

Fra gli individui più brillanti impiegati presso la divisione risarcimenti e indennità della Sandoz Pharmaceuticals, ad esempio, una competenza superiore nel servizio di assistenza si manifestava nel lavorare più a lungo a stretto contatto con il capo delle vendite per aiutarlo a determinare gli incentivi; oppure nel dare il proprio numero telefonico di casa al capo di un dipartimento che stava attraversando un periodo di riorganizzazione e pianificazione critico, mettendosi a sua disposizione giorno e notte per dargli una mano.7-38 A volte questa forma di eccellenza significava anche lasciare che un'altra persona si prendesse il merito di un lavoro ben fatto.

Per brillare nell'assistenza occorre monitorare la soddisfazione dei propri clienti, senza aspettare di sentirli lamentare ma offrendo loro spontaneamente informazioni che potrebbero tornargli utili senza finalizzare quel gesto a un immediato tornaconto. Questo getta le basi per una relazione di fiducia, in cui il cliente o il collega si sentirà bene e comincerà a vedere l'altro come una fonte – utile e attendibile – di informazioni; in tal modo la relazione sarà elevata al di sopra del normale rapporto fra compratore e venditore.

Questo comportamento, naturalmente, richiede empatia. Consideriamo i risultati di uno studio sui venditori di un'azienda che produce forniture per gli uffici di industrie e agenzie governative. I venditori di maggior successo sapevano combinare la capacità di assumere la prospettiva del cliente con una sicurezza sufficiente a orientarlo verso una scelta che soddisfacesse le esigenze di entrambi.7-39  

Quando un venditore assume troppo il controllo può suscitare del risentimento. Gli operatori di successo, invece, sembrano enfatizzare fin dall'inizio dell'interazione percependo il punto di vista del compratore e – mentre l'interazione procede – si sintonizzano con grande precisione sui desideri dell'altro, ad esempio notando segni di disagio in reazione a un suggerimento ed esprimendo un'empatica preoccupazione prima di proseguire.

Lo spostamento del centro della relazione verso le esigenze del cliente procede mano nella mano con un tono emotivo amichevole. Probabilmente, questo è più importante che mai nel trattare con clienti scontenti. «Una cliente aveva delle difficoltà a ottenere un rimborso», ricorda il direttore di un grande negozio.7-40 «Venne da me sostenendo che il nostro manager fosse stato villano con lei. Io ero sicuro che si fosse trattato solo ci un equivoco, ma in ogni modo mi scusai, l'aiutai a ottenere il suo rimborso e la salutai. Ci volle solo qualche minuto a raddrizzare il problema, e la cliente se ne andò sentendosi meglio di quando era entrata.»

L'ultima riga merita di essere ripetuta: «se ne andò sentendosi meglio di quando era entrata» Il modo in cui i clienti si sentono nel momento in cui trattano con un'azienda determina il modo in cui si sentono verso di essa. Psicologicamente, l'«azienda», così com'è sperimentata dal cliente, non è altro che la somma di queste interazioni. In ogni interazione fra un'azienda e i suoi clienti, la fedeltà di questi ultimi può andare perduta o uscirne rafforzata. Per parafrasare Peter Drucker, un mago nel campo degli affari, lo scopo non è tanto quello di chiudere una vendita, ma piuttosto quello di farsi, e poi di conservarsi, un cliente.

Il taglio dei costi ha un prezzo

Nancy Cohen entrò in un negozio di Pier 1, intenzionata ad acquistare un set di sedie nuove per la cucina. Il negozio aveva le sedie, ma lei ne uscì furiosa e a mani vuote.

«Ero già orientata all'acquisto» spiegò a un mio collega.7-41 «Ma non trovai nessuno che mi aiutasse. Le commesse erano troppo impegnate a chiacchierare fra di loro. Alla fine dissi alla donna che venne a darmi retta: "Sono interessata alle sedie in vetrina. Ne avete in magazzino, e ci sono in altri colori?"»

La risposta fu un vago gesto in direzione di un angolo del negozio pieno di cristallerie e un anche più vago, quasi misterioso: «Penso che ci siano di quel colore».

Detto questo, la commessa si allontanò – dalla cliente e da una vendita di ottocento dollari.

Quella commessa era incompetente nell'abilità dell'assistenza, fondamentale per chiunque lavori a livello dell'interfaccia fra una compagnia e la sua clientela.7-42 Purtroppo, nei grandi magazzini e nei discount americani questa incompetenza sta aumentando; un'indagine del 1996 condotta dalla Yankelovich Partners ha classificato il servizio ai clienti di questi dettaglianti all'undicesimo posto su venti, dietro a quelli delle compagnie telefoniche, dei ristoranti e degli uffici postali degli Stati Uniti.7-43 Un solo commesso scorbutico ai piani di vendita sembra decisamente uno staff troppo ridotto. Un'altra manovra di taglio dei costi fu quella di ridurre la formazione del personale; il settore del commercio al dettaglio americano oggi investe nel training dei venditori meno di qualsiasi altro settore.

Le peggiori manifestazioni della risultante incompetenza includono un atteggiamento mentale del tipo «noi contro loro», nel quale il cliente viene visto come una sorta di nemico o come qualcuno da manipolare. Questo atteggiamento ostacola l'efficienza dei venditori, che non capiscono davvero il cliente. Questo può portare a trattative di vendita mal gestite, in cui il venditore si impone troppo, comportandosi in modo assai lontano da quelle che sarebbero le esigenze del suo interlocutore.

Trarre forza dalla diversità

FAR LEVA SULLA DIVERSITÀ
Coltivare le opportunità derivanti dalla diversità degli individui 

Le persone con questa competenza:

• Rispettano le persone di sfondo diverso e sanno mettersi positivamente in relazione con loro

• Comprendono diverse concezioni del mondo e sono sensibili alle differenze fra gruppi

• Vedono la differenza come un'opportunità, creando un ambiente in cui persone diverse possono prosperare

• Sfidano il pregiudizio e l'intolleranza

Racconto spesso la storia del mio incontro con un autista di autobus di New York, un tipo estroverso che, mentre percorreva le strade della città, cercava di avere un modo di fare allegro con i suoi passeggeri. Quando essi scendevano dall'autobus, l'esuberanza di quell'uomo aveva ormai fatto diradare il loro malumore. Una dimostrazione mozzafiato di abilità sociale.

Raccontando l'episodio, di solito descrivevo l'autista come un «uomo nero sulla sessantina». Ma al termine di una conferenza, una donna afroamericana mi si accostò rivolgendomi una domanda provocatoria: «Perché ha specificato che era nero? L'avrebbe detto se si fosse trattato di un ebreo o di un giapponese?»

Fui molto colpito dalla sua domanda. Ripensandoci, mi resi conto che, per me, accennare alla razza dell'autista faceva implicitamente parte della risposta che stavo cercando di dare al libro The Bell Curve, il cui autore sosteneva che il QI rappresentasse la chiave per il successo nella vita e che, quanto ad esso, gli afroamericani fossero svantaggiati rispetto ad altri gruppi.7-44 Nella mia analisi sostenevo che il libro fosse basato su dati non validi e che oltretutto il QI fosse solo un elemento in mezzo a moltissimi altri fattori che portano al successo nella vita – là dove l'intelligenza emotiva ha un ruolo più importante. Volevo sottolineare che quell'afroamericano era ben dotato in quel particolare dominio.

Ma la donna ribatté che io non avevo detto esplicitamente nulla di tutto questo, e a lei aveva dato la sensazione che stessi descrivendo un tizio in grado di cavarsela grazie al suo zelo eccessivo di compiacere i bianchi. In ogni caso, la razza dell'uomo era irrilevante, sosteneva lei.

E aveva ragione. Nel contesto in cui io raccontavo la storia, la razza dell'uomo era irrilevante. Richiamare l'attenzione sulla razza dell'autista significava evidenziare una differenza che non c'entrava nulla. Da allora in poi eliminai ogni accenno alla razza dell'uomo.

Attirare l'attenzione sull'affiliazione di qualcuno a un gruppo quando quell'identità è effettivamente irrilevante può evocare, nella mente di tutti gli interessati, uno stereotipo su quel particolare gruppo. E questi stereotipi possono avere un potere emotivo, con conseguenze negative ai fini della prestazione.

Il potere distruttivo degli stereotipi, soprattutto per coloro che fanno parte dell'avanguardia di un gruppo minoritario all'interno di un'organizzazione, è stato rivelato in un'elegante serie di studi da Claude Steele, psicologo presso l'Università di Stanford. In effetti, Steele dovrebbe saperlo bene: è uno dei pochissimi membri afroamericani del corpo docente – a grandissima maggioranza bianca – di quell'università.

Sebbene gli esperimenti di Steele riguardassero le prestazioni accademiche, avevano implicazioni dirette per l'ambiente di lavoro in genere: gli stereotipi negativi possono paralizzare la prestazione lavorativa. Per avere successo sul lavoro, la gente deve sentirsi accettata, apprezzata e parte integrante dell'organizzazione, ed essere convinta di avere le capacità e le risorse interiori necessarie non solo per riuscire ma anche per prosperare. Quando gli stereotipi negativi minano questi assunti, possono ostacolare la prestazione.

«Minaccia da stereotipo» è il termine coniato da Steele per riferirsi a quella che è una sorta di mina antiuomo – l'aspettativa di una prestazione deludente che, sebbene non verbalizzata, permea di sé un'organizzazione, creando un'atmosfera che influisce negativamente sulle capacità lavorative.7-45 Tali aspettative possono generare un livello d'ansia che compromette seriamente l'attività cognitiva. Come abbiamo visto nel Capitolo Quinto, una volta risvegliata, l'amigdala può ridurre lo spazio disponibile nella memoria di lavoro – e la minaccia da stereotipo è sicuramente in grado di attivare l'amigdala.

Una minaccia nell'aria

Il test messo a punto da Steele era abbastanza semplice e diretto: studenti di college di entrambi i sessi, molto bravi in matematica, ricevettero dei problemi da risolvere tratti dall'esame di ammissione all'università. I partecipanti furono suddivisi in due gruppi. Ai membri del primo fu detto che il test solitamente dimostrava delle differenze di abilità fra uomini e donne. Agli altri non fu detto nulla.

Il rendimento delle donne risultò apprezzabilmente inferiore a quello degli uomini, ma solo nel caso fosse stato detto loro che il test era sensibile alle differenze di genere. D'altro canto, le donne alle quali non erano state menzionate questioni di genere diedero prestazioni buone esattamente come quelle degli uomini!

Lo stesso effetto compromettente sulla prestazione si verificava quando i soggetti sottoposti al test erano di razza nera e ricevevano un analogo messaggio minaccioso. Questi risultati ottenuti da Steele dimostrano in modo drammatico quale effetto potente possa avere anche solo il suggerire uno stereotipo. Steele scoprì che l'ingrediente attivo che abbassava i punteggi delle donne era un'ansia debilitante. Sebbene esse avessero la capacità potenziale di dare una buona prestazione, l'ansia innescata dallo stereotipo minaccioso comprometteva il loro rendimento.

Secondo Steele quest'ansia è esacerbata dal contesto interpretativo creato dallo stereotipo. Le normali ansie associate a un compito stimolante sono viste come una conferma della propria incapacità di riuscire, il che le amplifica fino a portarle a un livello in cui, effettivamente, l'individuo dà prestazioni deludenti.

Le persone che più probabilmente risentono degli effetti della minaccia da stereotipo sono quelle che si trovano all'avanguardia di un gruppo – tanto per fare un esempio, le prime donne a pilotare dei jet, o il primo membro di un gruppo minoritario a entrare in studi legali o società di intermediazione finanziaria. Nonostante siano in possesso delle capacità e della fiducia in se stessi per entrare in questi nuovi territori, una volta che vi si trovano costoro possono sentire appieno l'effetto della minaccia da stereotipo, e quindi, per la prima volta, sperimentano improvvisamente delle cadute di prestazione causate dall'emozione.

Le donne ai vertici delle organizzazioni ci offrono un esempio in proposito. Da un'indagine emerse che i direttori generali attribuivano il mancato avanzamento delle donne nella leadership aziendale alla loro mancanza di esperienza in campo manageriale e al fatto che esse non fossero state abbastanza a lungo nelle aziende. Le donne dirigenti, però, nominarono come principali cause gli stereotipi e l'esclusione dalle reti informali dell'organizzazione.7-46  

Per le donne dirigenti la minaccia da stereotipo sembra entrare in gioco in circostanze specifiche. Una analisi di sessantuno studi sui pregiudizi contro le donne manager nei posti di lavoro rivelò che tali fattori entravano in gioco soprattutto quando esse lavoravano in posizioni tradizionalmente occupate da uomini, o quando venivano valutate da uomini invece che da altre donne.7-47  

Come minacciano gli stereotipi

Steele sostiene che la minaccia da stereotipo è probabilmente una delle ragioni per cui le donne sono meno rappresentate degli uomini in campi come la matematica, l'ingegneria e le scienze fisiche. Sebbene alle elementari e alle medie le giovani americane non presentino alcuna differenza nelle capacità matematiche rispetto ai loro coetanei maschi, una volta entrate alla scuola superiore i loro punteggi cominciano a rimanere indietro, e il divario cresce costantemente al college e all'università. Dal momento dell'iscrizione al college, le donne abbandonano la matematica, le scienze e l'ingegneria con una frequenza due volte e mezza superiore a quella degli uomini. In questi campi le donne americane conseguono solo il 22 per cento dei diplomi di college, il 13 per cento dei PhD e occupano il 10 per cento di posti di lavoro (dove, incidentalmente, guadagnano solo tre quarti del salario corrisposto agli uomini in posizioni simili).7-48  

Questo fallimento nella prestazione non ha nulla a che fare con l'abilità – mentre ha molto a che fare con stereotipi invalidanti. Steele sostiene che, nei neri e nelle donne, questi esempi di prestazioni deludenti a dispetto degli elevati punteggi conseguiti nei test dimostrano il ruolo potenziale della minaccia emotiva una volta che l'individuo sia entrato in un dominio nel quale esiste uno stereotipo minaccioso. A quel punto, egli sostiene, l'individuo diventa particolarmente propenso a mettere in dubbio talenti e abilità, e assestando pertanto un duro colpo alla percezione delle proprie capacità. La sua ansia diventa una sorta di riflettore, sia per se stesso, sia (almeno nella sua mente) per chi sorveglia quanto sia buona – o scadente – la sua prestazione.

Gli studenti neri, ad esempio, sono influenzati dalle «voci di inferiorità», come quelle messe in giro dal libro The Bell Curve. Lo stesso atteggiamento mentale sbagliato affligge le minoranze oppresse in tutto il mondo. Steele sostiene che in seguito a una lunga esposizione, questi stereotipi sociali negativi fanno presa, esercitando così un'azione intimidatoria sugli appartenenti a questi gruppi. Quell'intimidazione acquista potenza sul piano emotivo esercitando effetti distruttivi sul lavoro.

Il successo attraverso gli altri

Di questi tempi, uno dei motti della Harvard Business School è «Trova il successo grazie a chi è diverso da te». In altre parole, nella diversità c'è una forza e questo rende sempre più fondamentale la capacità di trarre vantaggio da essa.

La sempre maggior varietà di persone che lavorano in organizzazioni di ogni genere esige una maggior consapevolezza delle sottili distorsioni che stereotipi e pregiudizi immettono nelle relazioni di lavoro. Fra i dirigenti, ad esempio, gli individui capaci di prestazioni superiori si distinguono da quelli mediocri perché sono in grado di interpretare le persone con precisione, senza le distorsioni di stereotipi con una forte valenza emotiva.7-49  

In genere noi abbiamo delle difficoltà a interpretare gli impercettibili segnali non verbali dell'emozione in chi appartiene a gruppi molto diversi dal nostro, indipendentemente dal fatto che la differenza stia nel genere, nella razza, nella nazionalità o nell'etnia.7-50 Ogni gruppo ha le proprie norme per l'espressione delle emozioni, e l'empatia diventa tanto più difficile quanto meno abbiamo familiarità con quelle norme. Come abbiamo visto, una carenza di empatia può portare fuori tono qualsiasi interazione, mettendo a disagio entrambi gli interlocutori e creando una distanza emotiva che a sua volta porta a considerare l'altro attraverso le lenti di uno stereotipo di gruppo piuttosto che come un individuo.

L'ingrediente mancante in molti programmi è che essi non riescono a trarre vantaggio dalla diversità usandola per aiutare i partecipanti a imparare a svolgere meglio il proprio lavoro. Va benissimo fare in modo che persone provenienti da sfondi diversi si sentano a proprio agio e bene accolte sul lavoro, ma possiamo spingerci anche oltre, traendo vantaggio dalla loro diversità per potenziarne le prestazioni.

Oltre all'assoluto rifiuto dell'intolleranza, la capacità di trarre vantaggio dalla diversità ruota attorno a tre abilità: saper andare d'accordo con persone diverse da noi; apprezzare il modo di operare unico degli altri; cogliere ogni occasione di lavoro potenzialmente offerta da questi approcci unici.

Questi principi indicano la via per arrivare a quelli che – come sostengono David Thomas e Robin Ely in un articolo comparso sulla Harvard Business Review – possono essere i potenziali benefici derivanti dal saper trarre vantaggio dalla diversità: maggiori profitti, come pure un aumento dell'apprendimento, della flessibilità e del rapido adattamento dell'organizzazione ai mercati mutevoli.7-51  

Per compiere questo passo aggiuntivo occorre mettere in discussione un assunto molto diffuso, e cioè che l'obiettivo della diversificazione consista semplicemente nell'aumentare, in una forza lavoro, il numero dei diversi tipi di persone facendoli mescolare o incanalandoli in modo che si specializzino a trattare con clienti simili a loro. Questo approccio, secondo Thomas ed Ely, dà per scontato che il solo contributo speciale che le persone di un dato gruppo etnico o razziale possano dare a una compagnia sia quello di mettere a disposizione la propria sensibilità per aiutarla a raggiungere più efficacemente i membri del loro stesso gruppo.

Questo può andar bene, ma non consente di ricavare tutti i vantaggi che la diversità può offrire. Come propongono Thomas ed Ely, persone diverse «portano conoscenze e prospettive differenti, importanti e competitivamente rilevanti sul modo in cui effettivamente svolgere il lavoro – come progettare processi, raggiungere obiettivi, inquadrare compiti, creare gruppi efficaci, comunicare idee ed esercitare la leadership».7-52 E questa conoscenza può migliorare radicalmente un'organizzazione.

Consideriamo, ad esempio, il caso di uno studio legale degli Stati Uniti nordorientali, che si occupava di cause di pubblico interesse. Negli anni Ottanta, lo staff dello studio, composto interamente di avvocati bianchi, si preoccupò del fatto che i suoi principali clienti – donne coinvolte in cause legali sul posto di lavoro – fossero anch'esse tutte bianche. Gli avvocati sentirono l'obbligo di diversificare la base dei propri clienti.

Così lo studio assunse una donna avvocato ispanica, sperando che avrebbe portato con sé la propria clientela ispanica. Ma accadde qualcosa di più: la donna portò con sé anche un modo nuovo di pensare all'attività fondamentale dello studio. Una delle conseguenze fu che esso espanse la propria attività al di là delle cause delle donne, estendendola, per esempio, a controversie che stabilivano dei precedenti mettendo in discussione la politica di assumere solo personale di lingua inglese.

Quando lo studio cominciò a ingaggiare altri avvocati non bianchi, afferma uno dei soci maggioritari, «la cosa influenzò il nostro lavoro, ampliando la nostra concezione dei casi rilevanti e inquadrandoli in modi creativi che non sarebbero mai stati possibili con uno staff composto interamente di bianchi. Cambiò davvero la sostanza del nostro lavoro, e in questo senso ne migliorò anche la qualità».7-53  

Quando i leader delle organizzazioni apprezzano le intuizioni offerte da persone provenienti da sfondi diversi, ciò può portare a un apprendimento collettivo che aumenta la competitività. Prendiamo, ad esempio, una società di servizi finanziari il cui modello di vendita si esplicava in un rapido fuoco di fila di telefonate finalizzate a prendere nuovi contatti; a un certo punto emerse che i venditori di maggior successo erano alcune donne che usavano un approccio alle vendite più in armonia con il loro stile di genere, avvalendosi cioè di una lenta e sicura costruzione di relazioni.

Oggi quella compagnia adotta un approccio alle vendite più flessibile, incoraggiando e gratificando stili differenti che meglio si adattano a venditori di diverso background. Essa è riuscita ad avvalersi dell'intuizione offerta dal successo delle sue venditrici per mettere in discussione i propri stessi assunti, per apprendere e per cambiare, migliorando così la propria capacità di trarre vantaggio dalla diversità.

Conoscere il territorio

CONSAPEVOLEZZA POLITICA
Leggere le correnti sociali e politiche 

Le persone con questa competenza:

• Sanno interpretare accuratamente i fondamentali rapporti di potere

• Individuano reti sociali essenziali

• Comprendono le forze che danno forma ai punti di vista e alle azioni di committenti, clienti o concorrenti

• Sanno interpretare accuratamente le situazioni e le realtà interne ed esterne all'organizzazione

Un abile diplomatico racconta di essere stato assegnato a una nazione africana ricca di petrolio, e di aver ben presto capito che a dirigere la sua politica petrolifera era «il nipote dell'amante dell'assistente del primo ministro». Perciò fece immediatamente in modo di essere invitato a un ricevimento dove incontrarlo, stringere amicizia con lui e alla fine influenzarlo politicamente.7-54  

La capacità di leggere le realtà politiche è vitale per costruire dietro le quinte reti e coalizioni, così da esercitare un'influenza indipendentemente dal proprio ruolo professionale. Gli individui mediocri mancano di questo acume sociale, e pertanto tradiscono un livello penosamente basso di abilità politica.

La direttrice della formazione e sviluppo del personale presso una delle cinquecento aziende americane con il massimo fatturato annuo mi avvicinò perché la aiutassi a redigere un programma di training per i dirigenti, affermando candidamente che «molti dei nostri manager potrebbero essere descritti come praticamente inconsapevoli, ignari di ciò che accade loro intorno».

Ogni organizzazione ha il proprio sistema nervoso di connessioni e influenze. Alcune persone sono ignare di questo mondo, che resta fuori dalla portata del loro radar, mentre altri lo controllano perfettamente. L'abilità di leggere le correnti che influenzano chi davvero prende le decisioni dipende dalla capacità di empatizzare non solo a livello interpersonale, ma anche di organizzazione.

In un'organizzazione, le persone che mantengono ricche reti personali in genere sanno bene che cosa succede intorno a loro, e questa intelligenza sociale si estende alla comprensione delle realtà più ampie che influenzano l'azienda. Ad esempio, saper leggere le correnti interne all'organizzazione del cliente è una caratteristica dei migliori venditori. Un individuo di successo, abile politicamente, mi fece questo esempio: «Emerse molto rapidamente che un vicepresidente esecutivo, uno relativamente nuovo nel consiglio, era in realtà un astro nascente e il "prediletto" del presidente di una società nostra cliente. Era lui quello che davvero prendeva le decisioni: il presidente gli dava carta bianca. Scoprimmo che coltivare una relazione con lui era nel nostro interesse, fondamentale per raggiungere gli obiettivi di vendita».7-55  

Nella maggior parte delle organizzazioni, gli individui che eccellono condividono questa abilità. In genere, fra i dirigenti, questa competenza emotiva distingue gli individui capaci di prestazioni superiori; l'abilità nel leggere obiettivamente le situazioni, senza le lenti deformanti di pregiudizi o assunti personali, consente loro di reagire efficacemente – e quanto più si sale nella scala gerarchica dell'organizzazione, tanto più questa abilità si rivela importante.7-56  

Gli alti dirigenti si trovano continuamente nella difficile situazione di dover bilanciare prospettive o interessi apparentemente conflittuali, indipendentemente dal fatto che provengano dalla realtà interna o esterna all'azienda.

Chi è abile in quest'impresa è in grado di prendere un poco le distanze e di mettere da parte il proprio coinvolgimento emotivo rispetto agli eventi, così da considerarli con maggiore obiettività. Ad esempio, di fronte a un conflitto all'interno della loro organizzazione, costoro sanno considerare il problema da molteplici prospettive e descrivere con una certa accuratezza la posizione di ogni persona che vi sia coinvolta. Questo è vero nonostante ciascuno di noi si imbatta in ben pochi eventi – soprattutto nel caso di quelli con una valenza emotiva – sui quali non abbia opinioni o sentimenti. Questa competenza emotiva, allora, si basa al tempo stesso sull'autocontrollo emotivo e sull'empatia, consentendo all'individuo una visione chiara della situazione ed evitando che egli soggiaccia alla propria posizione personale.

Senso politico

Durante il governo di Deng Xiaoping, il vicepresidente di una grande compagnia petrolifera americana si recò in Cina. Mentre era là, tenne una conferenza a un piccolo gruppo di ufficiali cinesi, nel corso della quale fece qualche commento critico sul presidente Clinton.7-57  

Il suo pubblico stava ad ascoltare in un silenzio di ghiaccio e quando egli finì di parlare, nessuno aprì bocca. Il giorno dopo, qualcuno si recò negli uffici della compagnia petrolifera a scusarsi, dicendo, con una certa delicatezza, «ci dispiace di non aver potuto sostenere una conversazione in modo più interattivo, ieri. Ma lei capisce che molti degli argomenti toccati dal vostro vicepresidente ci sono estranei.»

Il capo dell'ufficio, che ricevette il messaggio, disse in seguito: «Trovai che fossero stati molto gentili. Quello che non mi dissero in faccia fu "Il vostro vicepresidente può criticare Clinton e pensare che sia tutto a posto. Ma se uno di noi facesse altrettanto con il nostro capo di stato, probabilmente il giorno dopo si ritroverebbe dietro le sbarre"».

Il vicepresidente della compagnia petrolifera si era dimostrato scarsamente sensibile alle regole fondamentali della cultura con cui stava interagendo. Come nel caso delle culture nazionali, ogni organizzazione ha le sue regole implicite che stabiliscono che cosa sia accettabile, e che cosa non lo sia. A questo livello, empatizzare significa entrare in sintonia con il clima e la cultura di un'organizzazione.

L'inevitabile politica all'interno delle organizzazioni crea coalizioni in reciproca competizione e accende lotte di potere. L'essere sensibili a queste linee di frattura politica – a queste alleanze e rivalità – mette l'individuo nelle migliori condizioni per comprendere i problemi di fondo e affrontare ciò che davvero conta per prendere decisioni fondamentali. A un livello di competenza ancora superiore, questa consapevolezza si estende a forze di più ampia portata presenti nella realtà – ad esempio pressioni competitive o governative, opportunità tecnologiche, forze politiche e simili – che determinano le opportunità e i vincoli complessivi a cui è soggetta l'organizzazione.

Un avvertimento: sebbene gli «animali politici» – quelli che vivono in funzione dei giochi politici all'interno dell'organizzazione, alla ricerca del proprio interesse e del proprio avanzamento – studino con entusiasmo l'invisibile rete del potere, la loro debolezza sta nel fatto che sono motivati esclusivamente dal proprio tornaconto. Essi ignorano ogni informazione che non abbia a che fare con i loro programmi personali – e questo può creare dei punti ciechi. Ciò significa anche che costoro si desintonizzano dai sentimenti di chi li circonda, con la sola eccezione di quelli che abbiano qualche pertinenza con le loro ambizioni; tutto ciò fa apparire i cosiddetti animali politici come persone che non si curano degli altri, insensibili ed egocentriche.

Il disprezzo (o il disinteresse) per la politica dell'organizzazione è un altro lato negativo. Quale che ne sia la ragione, chi manca di perspicacia politica molto spesso compie degli errori nel tentativo di mobilitare gli altri alla propria causa, se non altro perché i suoi tentativi di esercitare un'influenza sono male orientati o inefficaci. Non basta più un'accurata comprensione della struttura formale dell'organizzazione; qui ci vuole anche un'acuta percezione della sua struttura informale, e dei suoi centri di potere non ufficiali.