Bussano alla porta, due colpi così timidi che li sento a malapena.
Poso il libro sul tavolo di pino levigato, asciugandomi sui jeans le mani all’improvviso sudate. Benché la stessi aspettando, rivedere Eve mi rende tremendamente nervosa. È al corrente?
Va tutto bene, mi dico, andando alla porta. Non può sapere. Grazie a Lorna, nessuno lo saprà mai.
Pensavo di morire, quel giorno, schiacciata dal peso di Thomas. Per quanto fossi riuscita a girare la testa, mi era impossibile riempire i polmoni. Lorna, in stato di choc per il gesto che aveva appena compiuto, mi fissava inebetita. Era stato il mio rantolo a riportarla alla realtà. Aveva cercato di trascinare via Thomas, ma era troppo pesante per lei.
«Mi tiri fuori!»
Mi aveva afferrato da sotto le ascelle e strattonato, liberandomi quel tanto che bastava per allentare la pressione al petto. Il resto è una nebbia confusa: l’arrivo della polizia, le domande poste con delicatezza, le gambe che mi reggevano a stento fino all’ambulanza, le facce stravolte delle persone accorse fuori dalla villetta, richiamate dall’arrivo precipitoso nel Circle dell’ambulanza e dell’auto della polizia. Eve e Tamsin, che mi fissano incredule e mute mentre seguo Lorna all’esterno, perché è chiaro che non si tratta solo della morte di Edward, ma c’è dell’altro.
In quel momento mi ero resa conto che tutti – non solo la polizia ma anche Leo, Ginny, Debbie e quelli che vivevano al Circle – avrebbero saputo come mi ero lasciata irretire dallo sconosciuto che si era presentato a casa nostra sei settimane prima.
«Lo verranno a sapere tutti», avevo singhiozzato angosciata, mentre sedevo con Lorna nell’ambulanza in attesa che ci portasse via. «Mi daranno della stupida, e non lo sopporto.»
Lorna mi aveva cercato la mano sotto le coperte in cui eravamo state avvolte. «Tutto quello che devono sapere è che sei venuta a salutare Edward e me prima di partire, e sei stata catturata da un uomo che hai riconosciuto come quello imbucato al tuo aperitivo. Ecco cosa dirai alla polizia quando t’interrogheranno. Non occorre che sappiano altro, né loro, né i nostri vicini o i tuoi amici. Andrà tutto bene, vedrai.»
L’avevo fissata. Davvero sarebbe stato così semplice? Lei mi aveva stretto la mano per rassicurarmi.
Mi ero aggrappata a quest’ancora di salvezza che mi aveva gettato Lorna. Avevo trasformato la fine della mia storia nell’inizio, stando attenta a non nominare mai Thomas Grainger. Era esistito solo per me: nessuno doveva sapere quanto ero stata sciocca e ingenua. Per la polizia e i miei vicini di casa, era andata come aveva detto Lorna: ero passata da loro per salutarli, ma ci avevo trovato un uomo che avevo riconosciuto come l’imbucato al nostro aperitivo. Teneva Edward per la gola e, prima che potessi reagire, aveva aggredito anche me. Quando avevo ripreso conoscenza, ero legata a una sedia e, mentre mi tagliava i capelli, quest’uomo mi aveva detto di essere il figlio di Edward e Lorna, di aver ucciso Nina Maxwell e di prepararmi a fare la sua stessa fine. Avevo pensato di morire, finché Lorna non mi aveva salvato.
È solo una piccola parte della verità, ma il resto deve rimanere un segreto.
Eve sembra diversa. Ha tagliato le punte rosa dei capelli e il viso è più pieno. Sembra imbarazzata. «Grazie per aver accettato di vedermi.»
Ci fissiamo per un lungo momento, poi la commozione ha la meglio e vado ad abbracciarla. «È così bello averti qui.»
Mi si appoggia contro. «Davvero?»
«Sì, mi sei mancata.»
«Anche tu mi sei mancata. Come stai?» mi chiede, scostandosi per sondare la mia espressione.
«Bene. Ne sto uscendo, ecco.»
Annuisce, poi mi afferra la mano. Sembra angosciata. «Devo veramente chiederti scusa.»
La guardo senza capire. «Chiedermi scusa?»
«Sì. Mi sento malissimo per com’è andata. Ci sentiamo tutte malissimo. Non è che potrei sedermi? Sono incinta e il viaggio è stato lungo.» Mi fa un sorriso incerto.
«Oh, Eve, ma è stupendo! Congratulazioni!» Spronata all’azione dalla splendida notizia, la precedo in cucina e le offro una sedia. «Vieni qui, riposati, io intanto preparo un tè.»
Si guarda intorno rapita. «Che casa meravigliosa, Alice. Bellissima la rastrelliera per i piatti e anche la cucina Aga. E quello cos’è, un forno per il pane?»
Il suo entusiasmo mi strappa una risata mentre mi giro a riempire il bollitore. «Sì.»
«Il tuo cottage è un sogno, non mi sorprende che sia stato così difficile lasciarlo. Quando sei tornata ad abitarci?»
«Due mesi fa. Fino a quel momento sono stata da Debbie.»
«Chissà come sei felice di essere di nuovo a casa tua.»
«Sì. Mi sento al sicuro, qui.»
Lei mi osserva con la testa inclinata. «I capelli. Ti stanno bene.»
Porto una mano alla testa. «Grazie. Mi sono sempre chiesta come sarei stata coi capelli corti, e adesso lo so.» Non le dico che li detesto, che quando mi guardo allo specchio vedo ancora Thomas Grainger dietro di me, la sua espressione malvagia. Ma sto imparando a scacciare via la sua immagine: non gli permetterò di continuare a condizionare la mia esistenza. Guardo la pancia appena ingrossata di Eve. «Quando deve nascere?»
«I primi di agosto.»
«Accipicchia, mancano solo quattro mesi! Sono così felice per te, Eve. Chissà com’è contento Will.»
Lei ride. «Altroché. Sembra che sia il primo uomo al mondo a diventare padre.»
Prendo due tazze dal pensile e il latte dal frigorifero. «E dimmi, come stanno tutti?»
«Fanno del loro meglio, come tutti noi.»
Annuisco, perché lo so già da Leo.
«Maria e Tim hanno traslocato. Hanno messo in vendita la casa praticamente subito, per molto meno del suo valore, e sono riusciti a trovare un compratore in pochissimo tempo. I prossimi ad andarsene saranno Tamsin e Connor, poi Will e io. Ci stiamo scaglionando, in modo da non far precipitare troppo il prezzo delle case, ma finiremo anche noi per svendere.»
«Mi dispiace.»
Eve fa un sorrisetto. «La responsabilità non è tua.» Ma si sbaglia, lo è. Se fossi stata meno ingenua non saremmo arrivati a questo punto. Sentendomi arrossire per la vergogna, mi do da fare a preparare il tè sperando che lei non se ne accorga.
«Siamo noi a sentirci terribilmente in colpa, non solo per non aver creduto alla storia dell’imbucato al tuo aperitivo, ma per Oliver. Non abbiamo nemmeno provato a sostenere la sua innocenza. Avevamo troppo bisogno di credere che l’assassino fosse stato preso, perché così ci saremmo potuti mettere tranquilli. Abbiamo scelto la strada più comoda, ma adesso è difficile conviverci.»
Porto le tazze al tavolo e mi siedo di fronte a lei. Vorrei consolarla, ma non so come. «Mi ha detto Leo che ti sei vista con Lorna.»
«Sì, qualche mese fa.»
«Come sta?»
Sorrido. «Fa del suo meglio, come tutti noi. In attesa del processo sta da sua sorella nel Dorset.»
«Saranno clementi con lei, vero?»
«Lo spero tanto.»
Mentre Eve sorseggia il suo tè, ripenso a me e Lorna insieme in quell’ambulanza. Lei era stata così forte. Era presa da una sorta di euforia: era riuscita a liberarsi, a salvare me. Non si era ancora resa conto che Edward era perduto per sempre e lei aveva ucciso suo figlio. Un incubo era finito, ma ne stava iniziando un altro.
Quando l’avevo rivista due mesi dopo nel Dorset, era in tutt’altro stato. L’avevo trovata accoccolata in una poltrona, con la sorella che le stava accanto. Sembrava grande la metà, invecchiata di almeno dieci anni. È stata dura vederla ridotta in quel modo.
«Oliver si è ucciso perché io l’ho tradito», aveva detto, gli occhi appannati dalle lacrime. «Diceva sempre che ero la madre che non aveva mai avuto, e io l’ho tradito. Ho tradito anche te. È stato John a farmi scrivere quella lettera.»
Mi ci era voluto un po’ per ricordare la lettera, quella che avevo attribuito a Helen e che mi aveva riempito di una nuova determinazione proprio quando stavo per desistere dalla mia piccola indagine personale.
Le avevo preso la mano. «Ormai non ha più importanza.»
Allora lei mi aveva raccontato com’era iniziato tutto quanto, come fin da piccolo John si lasciasse ossessionare da questa o quella femmina: la prima era stata la bambina della porta accanto, poi le compagne di scuola, al punto che madri e insegnanti avevano manifestato a Lorna la loro preoccupazione prima di creare il vuoto intorno a suo figlio. Da adolescente aveva sviluppato una pericolosa ossessione per una delle sue professoresse. Quando a quindici anni aveva ricevuto una lettera di diffida per stalking, al poliziotto che lo interrogava aveva spiegato di aver interpretato certe azioni innocenti della prof come un segno che il suo amore per lei era corrisposto. Tra gli esempi che aveva fornito c’era che lei a volte liberava i capelli dalla coda di cavallo per lasciarli un attimo sparsi sulle spalle prima di raccoglierli di nuovo, in quello che lui aveva scambiato per un messaggio intimo e segreto diretto a lui solo. Edward e Lorna avevano cercato un aiuto professionale, finché a John non era stato diagnosticato un disturbo ossessivo dell’amore. Lui, che era un ragazzo intelligente, era stato al gioco, facendo credere a tutti che la sua personalità maniacale fosse sotto controllo.
Durante gli anni di università John non si faceva vedere quasi mai a casa e dopo la laurea, nel 2003, era del tutto scomparso dalla loro vita. Era l’inizio della guerra del Golfo e, non ricevendo più sue notizie, Edward e Lorna si erano convinti che si fosse arruolato. Finché tredici anni dopo, una sera, non si era presentato a casa loro a Bournemouth, dicendo che si sarebbe fermato un paio di settimane. Quando gli avevano chiesto se era nell’esercito aveva risposto di sì, che aveva combattuto in Iraq. Coi vicini era stato delizioso, spiegando a tutti di essere a casa in licenza e di volerne approfittare per dare una sistemata al giardino. Aveva lavorato fino a sera inoltrata per tre settimane, per poi sparire all’improvviso com’era arrivato, lasciando lì la sua auto e prendendo la loro.
«Sapeva perché Thom...» Mi ero corretta subito. «Sapeva perché John ci tenesse tanto a sistemare il vostro giardino?» avevo chiesto a Lorna, perché dopo gli interrogatori della polizia erano stati fatti degli scavi e ritrovati dei resti umani, in seguito identificati come quelli di Justine Bartley.
Lorna aveva scosso con decisione la testa. «Avevamo capito che qualcosa non quadrava, ma non fino a quel punto. Non ci sentivamo al sicuro, con lui in casa. Era aggressivo, ci minacciava e avevamo paura di lui. Ci dicevamo che era così per via dei traumi vissuti in Iraq, ma nel profondo sapevamo che non era mai stato nell’esercito e il buio che aveva dentro aveva ben altre origini. Quando se n’è andato è stato un enorme sollievo, ma temevamo che tornasse e così ci siamo trasferiti a Londra nella speranza di fargli perdere le nostre tracce.» Quando si era toccata le perle, ero stata contenta di riconoscere il suo vecchio gesto: voleva dire che in lei c’era ancora qualcosa della Lorna di un tempo. «Abbiamo detto ai vicini che ci spostavamo nel Devon, invece siamo andati a Londra. E quando siamo arrivati abbiamo sparso la voce che nostro figlio era rimasto ucciso in Iraq. So che può sembrare terribile, disconoscere così la propria creatura, ma... E poi un bel mattino mi sono alzata e l’ho trovato che ci aspettava fuori dalla portafinestra della cucina.»
«È stato allora che ha iniziato a tenervi prigionieri?»
Lei aveva annuito, ripetendomi quanto mi aveva già raccontato mentre ero legata a quella sedia. «Se ne stava tutto il giorno nelle stanze da letto affacciate sul retro, e la notte lo sentivamo muoversi per casa. Sembrava che non dormisse mai, ma spesso alle sei del mattino veniva a svegliarci e ci rinchiudeva nella stanza al pianterreno fino all’ora di pranzo, quindi forse era in quelle ore che si riposava.» Lorna si era interrotta per raccogliere le idee. «Io non potevo mettere il naso fuori. Edward sì, ma solo per occuparsi dei bidoni e tenere in ordine il giardino, in modo da non destare sospetti. Mi stringeva il collo fino a levarmi il respiro e diceva a Edward che, se avesse cercato di denunciarlo, mi avrebbe ucciso per davvero. Potevamo aprire la porta quando suonavano, ma lui si nascondeva lì vicino ad ascoltare tutto quello che dicevamo.» Si era messa a pizzicare la coperta patchwork rosa che aveva sulle ginocchia. «Il giorno che sei venuta a chiedere di Nina, ha sentito tutto. Ho cercato di metterti in guardia, dicendoti di non fidarti di nessuno, ma non ho potuto dirti di preciso di chi perché ero sicura che fuori non si facesse chiamare John. Sapevo che era venuto al vostro aperitivo, aveva visto l’invito sul nostro gruppo WhatsApp, e dopo quello che aveva fatto alla povera Nina ero terrorizzata per te.» Si era messa a piangere, tamponandosi gli occhi con un fazzoletto che teneva nella manica.
«Grazie per averci provato. Non ero sicura di aver capito bene.»
Lei si era asciugata gli occhi. «Si è accorto che ti avevo sussurrato qualcosa e si è arrabbiato da morire. Gli ho giurato di non averti sussurrato proprio niente, ma poi ha scoperto che invece l’avevo fatto e mi ha picchiato.»
«Sono stata io», le avevo rivelato, sconvolta di aver causato tanta violenza. «Gli ho detto che lei mi aveva consigliato di non fidarmi di nessuno. Ma c’è ancora una cosa che non capisco, Lorna. Quando le ho detto che al nostro aperitivo si era imbucato uno sconosciuto, perché mi ha raccontato di essere stata lei ad aprirgli il cancello del Circle? Non sarebbe stato meglio tacere?»
«Volevo, ma quando mi hai raccontato che Leo aveva intenzione di andare alla polizia mi è preso il panico. John ci stava ascoltando e, se avesse pensato che la polizia poteva piombarci addosso per interrogarci, avrebbe potuto ucciderci per evitare che lo denunciassimo.»
C’era un’altra cosa che non mi tornava, ma non ero sicura che Lorna avesse la risposta. «Non capisco perché fingesse di essere un investigatore privato che indagava sull’omicidio, visto che era stato lui a commetterlo. Non era rischioso?»
«Non gli è venuto in mente nessun altro modo per agganciarti. Ti ha detto che indagava su un errore giudiziario e ti ha chiesto di aiutarlo, ma non si aspettava certo che l’avresti smascherato. Per questo ha deciso di correre il rischio.»
«Ma se avessi raccontato in giro di lui?»
«In qualche modo sapeva che non l’avresti fatto», aveva detto Lorna, e io ero arrossita all’idea di quanto Thomas mi avesse inquadrato bene. «E, anche se avessi raccontato di lui alle tue amiche, avrebbe trovato un’altra soluzione. L’investigatore privato sarebbe sparito nel nulla e John avrebbe trovato un altro modo per arrivare a te.» Mi ero chiesta come avesse fatto ad arrivare a Nina, se magari non le avesse infilato nella cassetta della posta un biglietto da visita con cui offriva i suoi servigi di psicoterapia ai colleghi. «Era come un gioco per lui, si divertiva a manipolare le persone spacciandosi per quello che non era, come ha fatto coi nostri vicini di Bournemouth fingendosi un figlio perfetto e raccontando in giro che se non tornava a casa da anni era perché usava le sue licenze per aiutare gli orfani di guerra. Era così affabile che lo adoravano tutti. Persino Edward e io ci siamo cascati, in un primo momento. Forse voleva convincerci che ci fosse qualcosa di buono in lui, anche se ci spaventava. Ma non immaginavamo che fosse capace di fare del male a qualcuno finché non ha ucciso Nina. Mi odio per averlo coperto con le mie bugie, per aver detto alla polizia di aver sentito Nina e Oliver litigare e che lei mi aveva confidato di avere un altro uomo. Ma aveva minacciato di ammazzare suo padre se mi fossi rifiutata, e in fondo si trattava pur sempre di mio figlio.» Avevano iniziato a tremarle le mani. «Non riesco ancora a credere di averlo ucciso.»
Avevo stretto le sue mani nelle mie, fermando il tremito. «Mi ha salvato la vita, lo sa? Se sono qui adesso è solo grazie a lei. Le sarò grata per sempre», le avevo detto, sporgendomi a baciarla.
Non mi era sembrato abbastanza. Ma cosa si dice a una madre che ha ucciso suo figlio, tranciando con tanta violenza e in modo così definitivo il cordone ombelicale che li legava per salvare la vita di una mezza estranea?
Lei si era ripresa, la sua espressione era diventata più determinata. «Se ti ho salvato la vita, faresti qualcosa per me? E per Edward, perché lo avrebbe voluto anche lui?»
«Certo. Qualunque cosa.»
«Vivi.»
L’avevo guardata senza capire.
«Vivi la vita che ti rimane. Hai passato gli ultimi vent’anni ripiegata sul passato, ma adesso davanti a te c’è il futuro. Non lasciarti consumare dal senso di colpa. Commettiamo tutti degli sbagli.»
Alcuni più di altri. Posso trovare mille scuse per me stessa. Nonostante la terapia, non mi sono mai perdonata di aver ucciso la mia famiglia. Il rifiuto da parte del giudice di chiudermi in cella nonostante le mie suppliche mi ha privato della giusta punizione, e da allora provvedo a punirmi da sola. Lasciare Harlestone, dove tutti conoscevano la mia storia e avevano fatto muro per impedirmi di sprofondare nella disperazione, voleva dire rinunciare al mio gruppo di sostegno. Ma avevo Leo, l’unica altra persona in cui avevo riposto la mia fiducia, perché tra noi non ci sarebbero mai stati dei segreti. Sapeva tutto di me, gli avevo parlato anche della mia angoscia per non aver ricevuto la giusta condanna. Per questo, quando avevo scoperto che era stato in prigione, non erano stati i suoi precedenti penali a impedirmi di perdonarlo, ma la gelosia, perché a lui era stato concesso di fare ammenda e poi riprendere con la sua vita là dove si era interrotto, mentre io ero impantanata nelle sabbie mobili del passato. Ero già in difficoltà perché non mi aveva detto di Nina, e mi ero sentita ancora più disorientata, così mi ero rivolta all’unica persona della quale sentivo di potermi fidare, la sola che rappresentava la stabilità in un momento in cui la sfiducia e il sospetto, creati senza volere dal sussurro ammonitore di Lorna, avevano iniziato a colorare l’amicizia con le persone che avevo intorno. Ma l’unica colpa che posso dare a Thomas Grainger è di avermi instillato la paura con le sue incursioni notturne. Per il resto, sono stata io a fare sempre e volentieri il suo gioco.
Eve e io chiacchieriamo ancora un po’. È quasi come una volta, ma non del tutto. E va bene così, perché non potrà mai più essere come prima, visto che non le ho confessato tutta la verità. Lo stesso vale per Leo. Ci vediamo ancora, siamo rimasti amici e mi ha fatto capire chiaramente che ci terrebbe a tornare insieme, ma come posso rimettermi con lui, se gli nascondo delle cose quando non riesco a perdonarlo di averne tenute nascoste troppe a me?
Chissà se ha intuito che gli ho raccontato solo una versione parziale dei fatti. Ogni tanto ho l’impressione di sì. L’ultima volta che è stato qui, mi ha preso le mani e mi ha attirato a sé. «Non ti giudicherei mai, Alice. Come potrei, dopo tutto quello che ti ho tenuto nascosto?»
Eve mi saluta con un abbraccio, promettendo di farmi sapere quando sarà nato il bambino. «Anche Tamsin vorrebbe tanto vederti.»
Vorrei poterle confessare che ho un grosso debito nei confronti di Tamsin, perché se non mi avesse detto che Oliver non aveva sorelle adesso non sarei qui. Sono sicura che quel giorno Thomas aveva intenzione di uccidermi per impedirmi di lasciare The Circle. Dopo avermi attirato al piano di sopra con una scusa, mi avrebbe inflitto lo stesso destino toccato a Nina, Marion e Justine.
«Sarebbe un piacere anche per me.» Sono sincera, anche se non so se succederà mai. «Intanto portale i miei saluti.»
Torno lentamente in cucina. Non sempre è facile esaudire la richiesta di Lorna, ma sono contenta di aver acconsentito a vedere Eve. Mi siedo al tavolo, felice di poter tornare al mio libro, però non inizio subito a leggere. Più tardi mi chiamerà Leo per sapere com’è andata. Oggi ho già fatto un grande passo, ma forse è arrivato il momento di farne un altro e raccontargli la verità sull’uomo che si è imbucato al nostro aperitivo.
La verità, tutta la verità, nient’altro che quella.