2. Biologia dell’anima

L’estasi può essere scatenata da sostanze chimiche o da una rappresentazione mentale. Il cortisone provoca a volte una dolce euforia che acuisce tutte le percezioni. Il cielo è più blu, l’aria più profumata, lo stridere dei gabbiani diventa un gradevole canto e un dolce benessere fisico illumina il mondo. Nulla è cambiato nella storia o nel contesto della persona, ma il suo modo di percepire la realtà sotto l’effetto della sostanza tinge tutto di una gradevole colorazione affettiva.

Il potere della chimica di procurare godimenti inattesi viene sfruttato dai frequentatori di paradisi artificiali o dagli sciamani messicani. Il peyote, una pianta allucinogena, modifica le percezioni corporee e dà la sensazione di accedere a un altro mondo. I sacerdoti aztechi se ne servivano durante i sacrifici umani per avvicinarsi alla verità: «Il sacrificato, messo a morte, sale in cielo e vede il volto di Dio».1

Curiosamente, questa modificazione percettiva è spiegata con la scoperta di un altro mondo, un mondo metafisico. Sono molte le sostanze che provocano modificazioni della coscienza. Le anfetamine suscitano una sensazione di accelerazione del pensiero, una concentrazione psichica così intensa che, paradossalmente, il corpo si immobilizza. Perciò queste sostanze vengono a volte somministrate ai bambini agitati, che subito si calmano e migliorano i risultati scolastici. Vari scrittori, fra cui Jean-Paul Sartre e Marguerite Duras, assumevano corydrane – una miscela di anfetamine e aspirina venduta liberamente fino agli anni settanta – in dosi talmente forti da collezionare una lunga serie di episodi paranoici, durante i quali la più lieve percezione veniva ingigantita: «Perché mi guardi così?… Perché hai sospirato quando ho teso la mano verso la fruttiera?» Ricordo un paziente che attribuiva la massima importanza a ogni minima banalità: «Se le persone si zittiscono, è la prova che stavano parlando di me».

Una sostanza può quindi provocare la sensazione di scoprire un altro mondo, al di là delle percezioni. La forma verbale attribuita a questa sensazione dipende dal nostro sviluppo e dal nostro contesto culturale. L’idea di Dio innescata dalla chimica era adatta per gli aztechi e per molti esploratori dell’inconscio, che non hanno esitato ad assumere mescalina, LSD o funghi allucinogeni per poi razionalizzare le loro straordinarie esperienze. Gli stessi effetti sembrano raggiungibili anche senza le droghe. C’è chi sviluppa dipendenza dalle slot-machine, e alcuni adolescenti arrivano a non spegnere mai il computer. La passione tiene avvinti gli innamorati, impadronendosi della loro anima. È come dire che una rappresentazione impercepibile, astratta e immateriale, può modificare il metabolismo al punto da indurre a ritenere di aver scoperto un mondo metafisico: «Madeleine (…) prova una gioia intensa nelle rappresentazioni che si dà della sua unione con Dio»; «Il mio corpo è nel mondo, la mia anima è altrove»,2 proclama la donna in uno stato di completa estasi. Nell’esaltazione della fede ritroviamo il fenomeno dell’autoscopia, la senzazione di vedere il proprio corpo dall’alto. Si tratta di un evento emotivo prossimo all’esperienza di premorte, in cui l’anima esce dal corpo innalzandosi verso il cielo.

Queste testimonianze erano rare all’epoca in cui nessuno osava parlarne per paura di essere preso per matto. L’anestesiologia ha oggi compiuto progressi tali che i medici arrivano a recuperare dal coma pazienti a un passo dalla morte, e i sopravvissuti, nel riesaminare la propria esperienza, confermano di avere vissuto una specie di separazione dell’anima dal corpo.3

Grazie al lavoro congiunto dei neurologi e di alcuni psicanalisti si è potuto esplorare questo fenomeno, in cui il corpo, anestetizzato dai farmaci o paralizzato da un trauma psichico, non viene più percepito. La rappresentazione che ci si fa di sé stessi, liberi dalle percezioni sensoriali, è quella di un’anima che si svincola dal corpo e sale verso il soffitto (dicono i malati) o ascende al cielo (interpretano i credenti). I bambini maltrattati, le donne stuprate, i deportati nei campi di concentramento, le vittime di aggressioni traumatiche riferiscono come, staccati dal proprio organismo, riuscissero a vedersi dall’alto con soprendente indifferenza. «Seguivo il mio cadavere» scrive Viktor Frankl, sopravvissuto ad Auschwitz.4 «Parlo a questo proposito di un meccanismo di “sfaldatura”, un lavoro per la sopravvivenza».5 Si tratta di un adattamento psichico all’imminenza della morte, che dà al soggetto traumatizzato l’idea della propria anima separata dal corpo.

Non è una nozione delirante, è anzi radicata in un’esperienza estrema della vita, in un corpo morente nel quale l’anima è avvertita come possibilità eterna. Questi sopravvissuti testimoniano una scoperta mentale inaudita, non un’idea macabra.

L’estasi (dal greco ex-stasis, stare fuori) è un’intensa sensazione fisica di fuoriuscita dal corpo, come se si venisse trasportati via. Lo stesso orgasmo sessuale viene d’altronde definito, con perfetta logica, «piccola morte»: uno smarrimento dello spirito, che deraglia abbandonando nel trasporto amoroso ogni ormeggio organico. Possiamo quindi affermare che questo appassionato rapimento è il più bell’istante patologico di un normale essere umano. Non a caso si dice: «Mi fa perdere la testa».

Espressioni simili, tratte dal quotidiano, traducono un’esperienza estrema di amore e di estasi al limite della morte. L’emozione si fa così intensa che lo spirito esce dalla carne per contemplare il mondo, e per vedere il proprio corpo staccato dall’anima. Sotto l’effetto di uno shock, amoroso o spaventoso, l’anima sale al cielo abbandonando le proprie spoglie mortali. Per descrivere questo fenomeno naturale ogni religione sceglie termini tratti dalla propria cultura: si va in paradiso, ci si avvicina ad Allah, si incontra il Grande Manitù. Gesù e Maometto sono ascesi al cielo, come ogni essere umano il cui spirito continua a vivere in un altro mondo. È una sensazione corporea in cui l’anima si disincarna e diventa sostanza metafisica. Ricordiamo inoltre che, in queste esperienze estreme, le parole d’amore si affiancano a quelle di morte.

Dopo l’esperienza inaudita della deportazione, alcuni sopravvissuti, barcollando fra i morti come scheletri viventi, hanno sentito che l’idea di Dio era stata stravolta. La gran parte ha continuato a cercare aiuto presso il proprio Dio, di cui aveva bisogno per sopportare l’inferno (il 70 per cento).6 Altri, vedendo le centinaia di migliaia di cadaveri accatastati prima della loro trasformazione in fumo, hanno trovato il modo di spiegare l’impensabile. Dio è morto ad Auschwitz, perché se fosse esistito non avrebbe mai consentito un simile abominio: «Quale Dio avrebbe mai potuto permettere tutto questo?»7 (16 per cento). Altri ancora, che prima della deportazione non si erano mai posti il problema di Dio, hanno avuto una folgorazione: «Ho improvvisamente capito che Dio esiste»8 (13 per cento). Sotto l’effetto di condizioni estreme, le credenze diventano malleabili. Che si tratti della scoperta di Dio o della sua scomparsa, questa rappresentazione è sentita come una certezza. Perché dovrei dimostrare che respiro, che vivo, che credo in Dio? Ci credo perché lo sento, ed è tutto. Le credenze sono chiare, autentiche e irrefutabili anche quando si trasformano. Il nonno di Joseph, un ebreo molto devoto, litigava con il figlio comunista che lottava contro il nazismo. Quando si ritrovarono ad Auschwitz il loro rapporto era ancora incrinato. Il figlio vide il padre completamente nudo entrare nella camera a gas e il padre, quando si accorse della presenza del figlio, cominciò a gridare: «Torna al Signore, torna al Signore…», ed è entrato. Il figlio, impietrito, ha sentito il proprio corpo disincarnarsi. E, in quell’istante, ha riacquistato il sentimento di Dio.9

Un’emozione estrema al cospetto della morte ha probabilmente lo stesso effetto di un’emozione estrema davanti a una passione amorosa. I mistici descrivono l’incontro con Dio come un piacere casto ma non meno sensuale, come Santa Teresa d’Avila: «Quale affetto! Che trasporto amoroso! […] Le gioie sono infinite, lo sposo e la sposa […] trasformano in vero piacere il riposo dell’uno accanto all’altra […] torrente di voluttà […] puro amore».10

Nell’esperienza religiosa la consolazione è associata a un sentimento di ammirazione e di attivazione dell’attaccamento. Nella vita quotidiana non è raro che un atto sessuale possa consolare da un dispiacere. Un uomo afflitto può suscitare tenerezza in una donna. Spesso una donna addolorata si rifugia fra le braccia di un uomo o di una divinità: «Non avevo mai sentito prima così chiaramente lo spirito di Dio in me e attorno a me […] L’intera stanza sembrava piena di Dio […] Non restava che un’ineffabile gioia ed esaltazione […] Come se la mia anima venisse sollevata in alto e quasi scoppiasse per l’emozione».11

L’estasi, scatenata da sostanze chimiche come il peyote e la cocaina oppure da una rappresentazione sovrumana, è un’emozione così intensa che si ripercuote sul cervello. Quando parliamo, attiviamo una rete di neuroni che ha sede nella regione temporale sinistra; quando osserviamo un’immagine mettiamo in moto la zona occipitale che elabora le informazioni visive; se l’emozione è più forte, entra in gioco il sistema limbico. Ma l’azione di una sostanza è immanente, la droga non ha bisogno di un senso per scatenare un’emozione: una rappresentazione, invece, provoca un sentimento con effetti più duraturi.