10. Quando il mondo cambia sapore

Non dimentichiamo che esistono diverse modalità d’incontro con Dio. Nel caso di una perdita dolorosa, l’attivazione dell’attaccamento è particolarmente intensa, perché il bambino abbandonato prova il forte bisogno di una presenza o di una rappresentazione rassicuranti. Allora va in chiesa per incontrare questo Essere invisibile, e si inginocchia oppure recita una preghiera. I bambini pensano a Dio quando la famiglia e la cultura fissano appuntamenti religiosi, ma anche quando si sentono abbandonati e Gli chiedono aiuto per sopportare il disperante deserto affettivo in cui si trovano.

Avendo acquisito un certo sapore del mondo, un modo di attaccarsi a persone, oggetti e luoghi, il bambino generalizza il proprio stile affettivo e inizia ad amare Dio come ha imparato ad amare i genitori: chi ha acquisito uno stile di attaccamento distante, amerà Dio in modo poco espressivo; chi è strutturato da un attaccamento ambivalente, alternerà manifestazioni di fervore ad altre di ostilità nei confronti del divino; il bambino sicuro, invece, amerà Dio in modo pacato.

I bambini, davanti al miracolo di essere in vita, possono provare un sentimento di spiritualità a partire dal momento in cui hanno accesso a una teoria della mente. Apprendono la religiosità sotto la spinta del modello genitoriale e dei codici sociali. Il cammino del pensiero legato all’affettività spiega perché il creazionismo sia la teoria più accessibile per un credente. Quando s’inizia un’avventura intellettuale attraverso la spiritualità, il mondo vivente appare il frutto di una creazione sovrannaturale. Per concepire l’evoluzione bisogna avere acquisito esperienza della vita, essersi scontrati con le incertezze del reale e l’infinita varietà delle molteplici esistenze.

Dio non cade dal cielo, ma ha le sue radici in una relazione affettiva strutturata dai racconti circostanti, familiari e culturali. Questa convergenza spiega perché il semplice fatto di pensare a Dio crei uno straordinario senso di intimità.1 Un questionario sull’attaccamento, proposto ad alcuni giovani finlandesi fra i sette e i vent’anni, ha confermato che il sentimento di prossimità con il Signore attivava, in caso di pericolo, malattia o perdita, il bisogno di attaccamento e lo slancio verso Dio.2 È chiaro quindi che, nel caso di un grande dolore, le suppliche sono intense e, scampato il disagio, il minimo che si possa fare per esprimere la propria gratitudine è appendere un ex-voto in chiesa o dare qualche soldo all’offertorio.

Quando la separazione è associata alla speranza del ritrovamento, la tensione affettiva suscita una riattivazione dell’attaccamento; ma quando la separazione provoca uno strappo, l’attaccamento non può più riattivarsi: si ha una perdita e niente più. L’adolescenza è il momento di separarsi dalle persone accanto alle quali ci siamo costruiti. La comparsa del desiderio sessuale e il bisogno di autonomia invitano i giovani a trasferire il proprio stile affettivo sui coetanei o su partner amorosi. Di solito va tutto bene, il rapporto con i genitori viene mantenuto e un nuovo legame viene a crearsi con il nuovo compagno. Il legame recente rimaneggia quello vecchio, aggiungendovi il sesso e l’avventura sociale.3. Quando il legame primario non si è instaurato correttamente, o quando la cultura impone l’unione senza tenere conto delle diverse personalità nella coppia, alcuni adolescenti si perdono.

Ecco perché l’adolescenza è l’età dei cambiamenti, a volte delle rotture: «Sono stata educata dai preti, ho conosciuto l’isolamento, i sacerdoti che allungavano le mani, le suore che mi colpivano con il righello i seni che spuntavano gridando: “È il Diavolo che cerca di uscire!”. Avevo tredici anni, non mi parlate di Dio». Una studentessa iraniana mi spiegava:4 «Fino a diciassette anni pensavo fosse indecente mostrare i capelli. Uscivo solo velata, fino al giorno in cui mi sono domandata dove stesse l’oscenità. Ho cominciato a rifiutare il velo. Mia madre mi ha trattata come una prostituta».

È anche l’età delle conversioni improvvise: «D’un tratto ho capito che Dio esiste, e ho provato una gioia immensa». Alcuni adolescenti scoprono altri dei, accelerando così il distacco da padre e madre e spezzando i legami con loro. Il desiderio di autonomia tipico di questa fase li induce a prendere le distanze dai genitori e a dipendere sempre più dal gruppo dei coetanei. È un transfert di attaccamento, una svolta esistenziale, un nuovo orientamento nella vita. È l’età delle astrazioni estreme («Il capitalismo porta alla schizofrenia») e delle generalizzazioni improprie («Sopprimiamo i divieti sessuali e le nevrosi scompariranno»). È anche il periodo delle folgorazioni spirituali e degli impegni religiosi che scardinano l’antico rapporto con Dio.5 Si tratta di una svolta esistenziale non sempre facile, che si svolge per lo più in modo lineare (il 70 per cento dei casi), ma crea un momento di vulnerabilità durante il quale il 15 per cento dei giovani rischia di perdersi.6 Smarriti, questi si uniscono a una setta o a un partito estremista, che approfitta della loro debolezza per promettere loro l’impossibile. Bisognosi di una cornice rassicurante, e desiderosi di vivere un’epopea, questi giovani sono spesso preda di forti passioni.

Una strategia simile per combattere il disagio rivela una carenza culturale. Anche se la famiglia ha svolto bene il suo compito, anche se il bambino ha provato il piacere affettivo di condividere la visione religiosa dei genitori, l’adolescente può imboccare la strada sbagliata, quando la società non dispone intorno a lui i circuiti socioculturali che dovrebbero aiutarlo a rendersi autonomo e indipendente. Quando lo scoutismo, le ONG, gli studi e il lavoro sono latitanti, ecco che le sette accorrono a sostituirli.

In questa popolazione di adolescenti vulnerabili spicca la frequenza delle rotture sentimentali, e una forte percentuale di attaccamenti insicuri.7 Se gli adolescenti sicuri mettono in risalto la fede dei genitori, gli insicuri tendono invece a contestarla. Seppur circondati da una forte presenza familiare e culturale, alcuni possono tendere a diventare passivi e rivendicativi.8 Mostrano difficoltà a raggiungere l’autonomia e si affidano un gruppo estremo, che ritengono in grado di aiutarli a emanciparsi dal bozzolo familiare: si lasciano perciò catturare da un sistema settario da cui faticheranno a svincolarsi.

Quando l’adolescente correttamente sviluppato è circondato da una cultura religiosa affermata e aperta ad altre religioni, è felice nella propria fede e si interessa ad altri modi di credere. Ma quando lo sviluppo lo rende vulnerabile, può lasciarsi coinvolgere da movimenti dogmatici, sottomettendosi ciecamente a un credo esclusivo che lo orienta al disprezzo delle altre religioni.

In Germania, prima della seconda guerra mondiale, ci fu un’epidemia di credenze estatiche. Gli adolescenti si infervorarono per la Gioventù hitleriana, ignorando spesso i dubbi dei genitori. I reclutamenti militari femminili del 1940 suscitarono l’orgoglio di 400 000 donne arruolate come infermiere, di cui 300 000 furono trasformate in combattenti alle prime disfatte dell’esercito tedesco. Era con grande eccitazione che studentesse e operaie partivano per il fronte: «La Germania è la mia anima – proclamavano, – ciò che mi occorre per essere felice».9 Qualche mese più tardi, dopo la sconfitta della Germania nazista, molte si rivolsero a gruppi di «disindottrinamento» (non si diceva ancora «deradicalizzazione» all’epoca), per uscire dallo stordimento che accompagna l’ingresso in una setta o la recitazione meccanica di un pensiero estremista.

L’attaccamento dura tutta la vita, ma assume forme diverse a seconda dello sviluppo e degli incontri che ci si presentano. L’oggetto cui ci attacchiamo rivela il nostro avido bisogno degli altri, e il legame che costruiamo risulta dall’armonia più o meno forte tra le forze affettive associate e quelle differenti, e resterà «sotteso a molti dei nostri attaccamenti, a una persona, a un luogo, a un sovrano, a una chiesa».10 A livello degli incontri e degli eventi che ci si presentano, si costruisce in noi uno stile affettivo. È una forza in movimento, uno slancio verso l’altro che ci orienta e influenza il nostro modo di amare e instaurare relazioni.11 Questa rappresentazione di noi stessi dà una forma visiva e verbale al nostro slancio religioso in termini di attaccamento.12