27. Il sesso e gli dei
L’attività umana più regolamentata dalla religione è la sessualità. Si tratta di codificare un atto fisiologico fatto di erezione, lubrificazione e movimenti del bacino per investirlo di un’importanza metafisica. È infatti da questo atto motorio che hanno origine il sociale e il sacro: il sesso mette al mondo un’anima che adorerà il Signore, e le leggi del matrimonio promuovono la convivenza sociale istituendo un’alleanza tra famiglie e una trasmissione di valori. Il sesso ha anche una dimensione politica, perché obbedendo al comandamento «crescete e moltiplicatevi» si dispone il gruppo a una lenta presa di potere demografico. Quasi tutte le religioni codificano la sessualità, che struttura il vivere insieme qui e ora, in modo da meritare l’aldilà. In questa concezione culturale la funzione affettiva del sesso diventa secondaria, e il godimento, quando arriva, è visto con sospetto: «Come osate perdere la testa per uno spasmo, quando tale atto deve mettere al mondo un’anima e assicurare il potere?» Il sesso è giusto, ma il godimento no!
Oggi i giovani cristiani sono più permissivi dei loro genitori. Non considerano una grave trasgressione i rapporti prematrimoniali, e vedono il matrimonio come un accordo stipulato fra un uomo e una donna anziché un’autorizzazione concessa dal prete o dalla famiglia. Il divorzio è diventato una triste liberazione e non più una colpa di cui vergognarsi. Dio e la società, non avendo detto niente sull’unione, non possono dire niente sulla separazione.
Nel mezzo di questa gaia cristianità, i giovani fondamentalisti si aggrappano agli antichi valori. Sono fieri di rispettare la morale divina. Gli uomini si sentivano elevati dal loro ruolo di capifamiglia, mentre le donne accettavano la gerarchia virtuosa1 che consisteva nell’eroicizzare i padri e ostacolare le madri nel nome del focolare domestico. Ho conosciuto operai che per guadagnarsi questo ruolo dominante lavoravano in condizioni al limite della tortura fisica. Con l’esplosione dei mestieri del terziario, a partire dagli anni sessanta, non esiste più una divisione del lavoro su base sessuale. Le donne possono esercitare ogni tipo di professione, a vantaggio della propria autostima e indipendenza sociale. L’autonomia, impensabile nel Medioevo che la considerava una forma di desocializzazione e di follia, nell’odierna Europa occidentale è diventata un valore.
Più si è religiosi, più si dà valore alla rinuncia. Le giovani coppie religiose non hanno probabilmente molti rapporti prematrimoniali, né avventure extraconiugali, e accettano una sessualità senza ardore e con molti bambini. Queste rinunce rendono gli individui felici e fieri di sé stessi. In una coppia stabile, quindi rassicurante, prevale un legame tranquillo che eleva lo spirito: «La restrizione sessuale… è percepita come spirituale e virtuosa».2 Quando si è fieri di inibire i propri desideri per piacere a Dio, quando non si è sottomessi a impulsi bestiali, ci si lascia governare per favorire i rapporti sociali. Le inibizioni morali concernono ovviamente il sesso, ma anche il cibo e l’abbigliamento: «Ditemi cosa devo mangiare e come devo vestirmi, per dimostrare la mia vicinanza a Dio». È molto rassicurante concedere a qualcuno il potere di decidere per noi. Uno studio transculturale condotto in Occidente conferma questa idea. «Signore e Signori, potere scegliere i gelati che più vi attirano. In una vaschetta troverete 50 gusti non selezionati, nell’altra solo 10 ma scelti da professionisti del settore. Quale vaschetta preferite?» Svizzeri, francesi, tedeschi, italiani e inglesi hanno scelto i gusti selezionati dai professionisti, presumibilmente più competenti. Solo gli statunitensi hanno preferito la vaschetta con 50 gusti, nella convinzione che «più è meglio».3
Quando si è credenti, lasciarsi governare apporta grandi benefici psicologici. Ci si sente nel giusto, padroni di sé, protagonisti della vita familiare e sociale. Ma non si può vietare tutto. Non si vieta il respiro, non si proibisce l’acqua da bere: il divieto riguarda unicamente certe bevande artificiali.4 I tabù alimentari riguardano solo alcuni alimenti, e solo per un periodo limitato: il digiuno, il ramadan, la carne il venerdì… è la sessualità a essere preferibilmente oggetto dei divieti. Non poter respirare o bere acqua sarebbe distruttivo, mentre il tabù sessuale struttura la società ed eleva a Dio. Si crea così una gerarchia morale basata sulla tendenza a rispettare il divieto. Chi passerà all’atto senza tenere conto delle autorizzazioni sociali sarà considerato uno psicopatico asociale, e come tale giudicato e condannato. Chi regolerà la propria vita sessuale consacrandola al concepimento sarà considerato trascendente e degno del Signore, così come chi rinuncerà del tutto alla sessualità.
Per molte religioni l’ideale supremo è la castità. I primi cristiani pensavano che l’astinenza assoluta fosse il mezzo più sicuro per conservare la salute. Ai romani era consentito avere vari rapporti sessuali, ma anaffettivi e di breve durata. I più deboli, che si innamoravano, venivano presi in giro perché si sottomettevano a una donna anziché all’esercito conquistatore della pace.5 Nel Medioevo si nutriva ammirazione per chi rinunciava al matrimonio consacrandosi ad attività maschili più nobili: l’abito clericale o la spada del soldato. Quanto ai più deboli, si sposavano e tanto peggio per loro.
Le religioni non nascono di punto in bianco. Occorrono secoli e secoli di guerre, di odio e di tentennamenti metafisici prima che si instauri un dogma… momentaneo. La religione ebraica, dal 1000 a.C. fino al 1492, data della cacciata degli ebrei dalla Spagna, era aperta a mille influenze: «Gli ebrei non avevano rigidità dottrinali… al contrario… per secoli si sono mescolati con cananei, egizi, babilonesi, persiani, greci, romani, arabi… e cristiani d’Europa».6 Shimon Peres spiegava che questo processo è in corso ancora oggi. «Stando alla demografia ebraica, all’epoca di Cristo dovevano essere presenti sulla terra fra i 300 e i 400 milioni di ebrei. Oggi ce ne sono meno di 15 milioni, dove sono finiti gli altri? Sono diventati arabi, musulmani, cristiani, talora antisemiti».7
Anche il cristianesimo ha preso forma lentamente. Era una setta ebraica fino alla conversione di Costantino, nel 312. Sedotto da questa religione d’amore, l’imperatore ne fece una religione di Stato al Concilio di Nicea (325 d.C.).8 La popolazione aderì senza costrizioni né massacri all’«illuminazione» dell’imperatore che, dopo l’avvicinamento al Signore, ottenne la vittoria. Condividere la religione del capo può essere un’efficace strategia di unificazione.
L’islam conosce i sussulti che precedono il dogma. Dalla morte del profeta, sciiti e sunniti sono entrati in una spirale di guerre fratricide, proprio come i cristiani fino all’Inquisizione, che mise poi fine ai combattimenti intestini (1231-1233) riunificando la cristianità.9
Il piacere sessuale è avversato da molte religioni. Nell’Antico Testamento è oggetto di condanna. Onan che «sparge il suo seme per terra» è blasfemo perché rifiuta di mettere al mondo un’anima che adorerà il Signore. La sodomia praticata regolarmente nell’intimità di coppia per evitare ripetute gravidanze provoca l’orrore dei preti perché, essendo un atto che impedisce il concepimento, è contronatura. Il godimento coniugale, osteggiato dalla Chiesa, fu chiamato «fornicazione» per indicare la dissolutezza presente in un incontro sessuale senza frutto. Questo termine religioso era applicato alle prostitute e alle coppie sposate che si univano senza l’intenzione di mettere al mondo un figlio, ma soltanto per il piacere di farlo! I modelli dell’amore cristiano sono asessuati: la Vergine, Giuseppe e Cristo sono troppo puri per fare sesso. L’unica sessualità consentita è quella volta alla riproduzione.
La Torah ebraica accorda agli sposi il «diritto di recare piacere l’uno all’altro». Il godimento è accettabile all’interno di una coppia se perenne, mentre è assolutamente proibito all’esterno.
Oggi l’induismo e il buddhismo hanno il primato dell’astinenza, benché in origine il sesso fosse considerato un elemento naturale della condizione umana. L’atto era fonte di consapevolezza a condizione che il desiderio, sempre sospetto, non ostacolasse il progresso spirituale. Il sesso è celeste perché dona la vita, è espressione della danza divina, come si vede nel Kamasutra. L’omosessualità non è rifiutata, e neanche i partner multipli sono ritenuti immorali. L’atto senza seme, dovuto all’energia femminile, apre i centri psichici dei chakra. Questo tranquillo modo di vivere la sessualità è stato modificato nel XIX secolo dal puritanesimo dei coloni, che hanno introdotto una morale punitiva per chi non si sottometteva alle loro regole.10
La sessualità era considerata come una semplice attività umana anche nel buddhismo, derivato dall’induismo. L’unico obbligo morale era il rispetto di sé e dell’altro. Erano quindi consentite le avventure extraconiugali a condizione di non «ingannare» il congiunto. L’atto sessuale con altri non era un tradimento, a condizione di non nasconderlo e non mentire. Questa onestà affettiva era possibile solo se l’attaccamento, non esclusivo, reggeva una simile tolleranza. La persona che aveva bisogno di un attaccamento unico e assoluto era considerata posseduta, intrappolata dal legame. Il distacco, in tale ottica, diventava una forma di libertà!
Eppure anche le religioni più tolleranti non si fidano del desiderio: se non è controllato può essere un pericolo, perché ci abbandona alle nostre pulsioni animali di cui rischiamo di rimanere prigioneri. Il fuoco della passione non è necessariamente associato all’atto sessuale. Si può essere follemente innamorati di un cantante o di un’attrice, e avere teneri slanci sessuali con il partner. Questa discrepanza sembra più marcata fra le donne.11 Le ragazze che vanno regolarmente in chiesa hanno il primo rapporto molto più tardi delle non praticanti. Accettano più docilmente le pressioni socio-familiari nella scelta del partner, hanno poche avventure extraconiugali e mettono al mondo il primo figlio in ottemperanza alle norme culturali. La sessualità affettuosa delle coppie di lunga data è ancora oggi considerata un valore nei giovani di varie religioni, ma fra i musulmani resta più viva la sessualità cosiddetta «del Sud», sottomessa a norme severe.12 «Il sentimento amoroso, per natura esclusivo»,13 porta in sé il germe della prigione affettiva, ma l’evoluzione dei costumi rivalorizza l’attaccamento tranquillo, che conduce alla pace familiare e alla tolleranza sessuale.
Più si ama Dio, meno si hanno partner sessuali, il che non impedisce di provare un sentimento di fiducia, di appagante intimità fisica e di benessere con la persona con cui si hanno – pochi – incontri sessuali.14 I credenti si dicono d’altronde soddisfatti della propria tranquilla e armonica vita di coppia, in cui ciascuno è attento all’altro e ben integrato nella vita familiare e culturale. Pur preferendo un rapporto più affettuoso che erotico, non si nega qualche colpo di fulmine extraconiugale, intenso, passionale, meraviglioso e doloroso. Le coppie di credenti sono tanto più armoniose quanto più la loro religiosità è sincrona. Se uno va in chiesa e l’altro alla moschea, il legame di attaccamento è imperfetto perché non consente di condividere un’esperienza affettiva importante. Se uno cade in estasi e l’altro non crede, viene meno l’effetto unificante della fede.
Il matrimonio, quando è consacrato, unisce la coppia, i genitori e la cultura nell’adorazione di un essere sovrannaturale che li sorveglia, li punisce e li redime. I rituali religiosi sono un’occasione per incontrarsi, trascendersi, rinforzare l’attaccamento e ricevere la solidarietà del gruppo sottomettendosi alle sue pressioni. I bambini che crescono in questa nicchia sensoriale, affettiva e ricca di significato, apprendono i valori di coerenza e fraternità da cui traggono forza e sicurezza.
Non è necessario credere in Dio per ottenere gli stessi benefici. Se la coppia è tematizzata da un orientamento politico, artistico, scientifico o commerciale avrà gli stessi vantaggi. Molti figli di musicisti sono diventati musicisti perché la strada dei genitori era scandita da quella passione, dalle prove con l’orchestra e dai meravigliosi e angoscianti eventi delle serate e dei concerti. Molti figli di politici hanno appreso in famiglia il piacere di difendere le proprie idee e combattere quelle altrui. Molti figli di scienziati, sportivi e imprenditori hanno spesso beneficiato di una nicchia affettiva ricca di avvenimenti organizzati e valorizzati da un ambiente che, proseguendo l’operato familiare, si è posto come tutore di sviluppo fino all’indipendenza dei giovani adulti. Le scuole religiose e laiche, le università, le attività artistiche, i circoli sportivi, le ONG e mille altre attività perifamiliari assistono la crescita dei giovani fuori della famiglia. Questa evoluzione felice corrisponde al 70 per cento della popolazione adolescente occidentale.15
Ma il tutoraggio non è lineare, la nicchia affettiva non sempre rassicurante. I testi sacri di molte religioni sono modelli di crudeltà: eserciti annegati, neonati sgozzati, bambini sacrificati… L’ira degli dei è devastante, il rigore educativo della religione relativizza l’impatto delle punizioni:16 «Anch’io mi sono preso qualche schiaffo, eppure sono cresciuto benissimo», dicono spesso i genitori punitivi. «Se mio padre non mi avesse dato due sberle, certe sciocchezze mi sarebbero costate molto più care». In questi ambienti religiosi i rituali di socializzazione sono così importanti che la minima disobbedienza infantile è percepita come un rifiuto del Signore. Una piccola punizione corporale, come uno schiaffo, uno sculaccione o un castigo assume quasi un significato morale, perché realizza la volontà del Signore proteggendo i bambini da sé stessi.
In alcuni ambienti musulmani il riferimento all’islam giustifica punizioni fisiche, psicologiche e sessuali.17 Alcuni versetti del Corano o certi hadith concedono al marito il diritto di «correggere» la moglie. Si tratta di un’interpretazione errata dei testi sacri, sostiene Farida Zomorod, docente di studi islamici all’Istituto di Dar Al Hadith Al Hassania di Rabat. Il profeta, al contrario, invita alla tolleranza: «La correzione è tollerata in alcuni casi particolari… al fine di evitare incidenti più gravi… quando, in caso di adulterio, la sposa può arrivare fino all’omicidio… è dunque un male minore». Lo stesso vale per il divieto, per l’uomo, di avvicinarsi alla moglie nel periodo del ciclo, che permette di proteggere le donne contro le violenze sessuali perché «uno sposo privato delle relazioni sessuali potrebbe giungere a uno stupro coniugale». Il principio coranico della quiwama, che concede all’uomo la supremazia sulla famiglia, vale solo per gli uomini sposati, e ha lo scopo di «proteggere i diritti delle mogli imponendo ai mariti il loro sostentamento economico». È così che una donna spiega la «tolleranza» del profeta!
I mullā iraniani offrono la stessa interpretazione quando sostengono che una condanna a cento colpi di frusta è meglio della condanna al carcere. Sotto la frusta, sanzione «morale» inflitta a chiunque venga sorpreso dalla polizia religiosa a chiacchierare in strada con una donna che non è sua moglie, si può morire. I colpi di frusta, inferti sulla piazza del paese, umiliano terribilmente una donna colpevole di avere mostrato i capelli, parlato a voce alta o cantato in pubblico.18 Oggi una parte sempre più ampia della gioventù iraniana mostra i capelli e canta in pubblico, in segno di ribellione.
In tutte le religioni il linguaggio dei testi sacri è talmente metaforico che la loro comprensione dipende dal talento dell’inteprete e dalle sue determinanti inconsce. Il sentimento di appartenenza apporta benefici tali che i credenti tendono a chiudersi nel gruppo per restare fra loro, fra buoni credenti. Un gruppo così autocentrato genera una morale perversa: si onora un’etica dei buoni costumi fra chi condivide lo stesso credo, ma si disprezzano perversamente i miscredenti che adorano un altro dio. La loro morte non imbarazza: è giusto che i miscredenti vengano puniti.
Quando si pensa che l’unica morale, sessuale o sociale, sia quella della propria religione, ogni diverso tipo di sessualità viene percepito con disgusto. Gli eterosessuali ritengono che le malattie veneree si trasmettano facilmente anche fra coloro che praticano una sessualità normale. Di conseguenza gli omosessuali, con i loro incontri frequenti e non mirati al concepimento ma solo al piacere, avranno una elevata probabilità di contrarre malattie sessuali e di trasmetterle. Da molto tempo si associa il sesso alla malattia. Se anche un atto sessuale «onesto» che implica un rischio di malattia viene immaginato come disgustoso, gli omosessuali risulteranno ancora più disgustosi, in quanto non conoscono l’atto morale della procreazione e provano solo il piacere immorale della fornicazione.
Per i credenti l’omosessualità è ancora più scioccante della sessualità dei preti, che dopo tutto sono uomini. Anche ai sacerdoti può capitare di desiderare una donna, è normale. Hanno fatto voto di celibato, ma non necessariamente di castità. E poi le donne sono talmente seduttive, no? Per una cristiana, il prete è un uomo prestigioso. Vive a stretto contatto con il Signore, gli presenta i neonati il giorno del battesimo, aiuta i morenti a conquistare il paradiso. Ogni domenica guida i canti e le preghiere, eleva le nostre anime al cielo in una chiesa dove si sente a casa. Un uomo simile attrae molte donne, che tendono a mescolare ammirazione, affetto e sessualità,19 tanto che, nel corso del suo sacerdozio, un prete su due ha amanti regolari.20 Ebrei e musulmani sono più propensi a vedere in un uomo celibe un pericoloso predatore, e a ritenere integri solo i preti sposati.
Quella degli omosessuali è una scelta precisa – pensano i credenti più devoti – perché è impossibile che un uomo desideri un altro uomo: Dio non l’ha voluto. Il loro orientamento sessuale è dunque una perversione, non una perdonabile tendenza naturale. Trasgrediscono volontariamente, per godere di un atto disgustoso e malsano, e sono quindi da condannare e rinchiudere in prigione.
In Thailandia una filosofia religiosa molto più aperta riconosce la possibile coesistenza di sessualità differenti. L’attrazione si instaura fra uomini e donne, ma esiste un terzo genere naturale: quello dei travestiti, dei transgender e di altre identità sessuali minoritarie, strane ma non condannabili. Tra i Navaho, gli indiani dell’Arizona, i transgender, contemporaneamente maschi e femmine, sono considerati lo stadio finale della condizione umana.21
Gli ebrei incoraggiano l’endogamia. Il levirato invita un uomo, se è libero, a domandare in sposa la vedova del fratello.22 Egizi, babilonesi, induisti e zulu prevedono il levirato per mantenere la stirpe del defunto. La vedova resta sposata con il marito morto, e il fratello di quest’ultimo ne prende il posto. I bambini che nascono da simili unioni sono figli del defunto. Il vincolo matrimoniale viene così mantenuto, e anche la protezione dei figli.
Ma non sempre i fratelli del defunto acconsentono. «Quando Giuda dice a Onan: “Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità per il fratello” Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata considerata come sua, ogni volta che si univa alla moglie del fratello disperdeva il seme per terra, per non dare una posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui».23 Il peccato di onanismo è sopravvissuto a lungo, e solo dalla fine del XX secolo non è più considerato punibile.24
La chiusura sessuale di un piccolo gruppo di individui incoraggia l’endogamia.25 Nell’ebraismo, religione fondata sul principio di discendenza, le donne trasmettono la fede e i valori religiosi secondo un legame che si estende fino al quarto o quinto grado di parentela. In questi ambienti così circoscritti ci si sente in famiglia. Le piccole comunità di emigranti sono felici di ripiegarsi su sé stesse: i russi «bianchi» a Nizza o i tedeschi antifascisti a Sanary si sono organizzati in piccoli gruppi di militanti gentili e istruiti.
Negli ambienti ebraici le attività culturali servono a unire il gruppo, e ogni famiglia è circondata da associazioni di vario tipo. L’arte, la musica, lo sport e l’educazione religiosa sostengono queste famiglie e le aiutano nel loro ruolo educativo, favorendo l’autonomia dei bambini. Con tante possibilità di incontri e di istruzione, lo sviluppo prosegue fuori del nucleo familiare. Ma si tratta di una libertà sorvegliata, perché la religione organizza ogni singolo atto della vita quotidiana. Il matrimonio con un non ebreo è spesso visto come una perdita: «Ci lascia… non potremo mai condividere con lui i nostri riti familiari». Dopo la Shoah, molti sopravvissuti non capivano perché dovevano morire per un Dio in cui non credevano; il loro giudaismo si era diluito. Da qualche tempo le sinagoghe accettano le coppie miste, così come le chiese cattoliche, a conferma della progressiva laicizzazione occidentale di queste religioni. Ma il nocciolo duro rimane un mondo chiuso, che aumenta l’intensità dei rituali per rinfocolare la presenza di Dio durante le attività culturali, e rinforza l’istruzione religiosa.
Si assiste anche alla nascita di piccole reti di ipercredenti, molto attivi e felici di difendere la religione quando viene aggredita o quando loro ritengono sia aggredita.26 Le credenze che legittimano una difesa sono molto presenti fra i giovani. Per le ragazze diventa come una rivendicazione di parità. Pur non apprezzando gli atti violenti, si lasciano contagiare dalle epidemie emotive.27 Nei gruppi aggrediti si rafforza la solidarietà per affrontare meglio il freddo, la fame, l’invasione o il presunto attacco di un gruppo vicino. Ma quando la pace ritorna, i membri si dividono nuovamente, perché il contesto più tranquillo consente loro di elaborare visioni del mondo differenti. Alcuni allora si fanno aggredire apposta, o si dichiarono attaccati, per riattivare l’effetto solidarizzante della lotta contro la violenza dei vicini.
La tendenza a costituire un gruppo chiuso, in cui si parla la stessa lingua, ci si veste nello stesso modo, si segue lo stesso codice emotivo e si incarnano gli stessi valori, è sempre esistita. Socializzare in questo modo è semplice e piacevole. Questo processo necessario sfocia quasi sempre in una clonazione linguistica, dell’abbigliamento, dei riti, del cibo, e anche mentale: ciascuno crede in ciò in cui crede il vicino. Si leggono gli stessi giornali, ci si ritrova alla stessa tavola, si ascolta lo stesso capo e si hanno le stesse aspirazioni sociali e metafisiche.
Non c’è progresso senza effetti collaterali. Per stare bene insieme bisogna sviluppare un sentimento di empatia. I divieti necessari a strutturare le nostre relazioni e a canalizzare le nostre pulsioni subiscono spesso una deriva. Bisogna mangiare, certo, ma «secondo Giovanni Cassiano l’eccesso di cibo accende il desiderio».28 È un fatto che i piccoli doni alimentari si propongono di suscitare nell’altro un piccolo piacere di cui noi siamo la fonte, e che può diventare il primo innesco di un piacere carnale. Molti incontri sessuali si preparano a tavola, dove non solo gustiamo i piatti, ma apprezziamo anche la gestualità e la conversazione del potenziale partner. Ma dire che «l’eccesso di cibo accende il desiderio» significa riconoscere agli alimenti una capacità di contaminazione emotiva. Il desiderio sessuale diventa una cosa sporca, le contrazioni del viso e gli spasmi del corpo sono le ignominiose stigmate del godimento. Bisogna purgarsi l’anima come ci si purga il ventre, espellere il desiderio per purificare la coscienza.
Un piacere sconcio contamina lo sguardo di chi prova questo vergognoso desiderio: «Chiunque guardi una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore»,29 perché il semplice fatto di desiderarla è peccato. «Ero tranquillo, ero puro quando non c’erano donne. Basta che una di esse appaia all’orizzonte, perché la tentazione mi torturi. Esse sono colpevoli perché, quando non sono presenti, noi uomini siamo puri spiriti consacrati a Dio. Se non esistessero, noi non saremmo che beatitudine e spirito. Con che diritto ci degradano e ci attirano verso la sconcezza?» Questo fenomeno di proiezione è classico nella psicopatologia del quotidiano: un’«operazione per cui il soggetto espelle da sé stesso, proiettandoli sull’altro, sentimenti, desideri e qualità che rifiuta senza riconoscerli dentro di sé».30
Le donne non restano passive in questa operazione mentale. Alternano il desiderio di esibire ciò che, sul loro corpo, potrebbe innescare un rapporto sessuale (ampia scollatura, ciondoli che orientano lo sguardo sui seni, abiti attillati per far risaltare i fianchi, camminata ancheggiante, gonna stretta, sguardo vellutato…) al timore di commettere un peccato. Le più spaventate attribuiscono a ogni uomo un desiderio di profanazione («vuole disonorarmi»). L’odio «deriva dal ripudio primordiale del mondo esterno, con tutte le sue fonti di stimoli, da parte dell’Io narcisistico».31 «Non sopporto il mio desiderio che mi degrada – sembrano dire alcune – perciò vedo in ogni uomo uno stupratore che cerca di annientarmi». Queste donne, quando vivono in un mondo senza Dio, si avvolgono in vestiti che annullano ogni desiderio sessuale. E quando vivono in un mondo religioso dove aderiscono al credo del gruppo, sono fiere e felici di vestirsi pudicamente arrivando, a volte, a stringersi in un sudario nero anche se i loro testi sacri non lo richiedono.32
C’è tuttavia un’asimmetria di genere in questo meccanismo di proiezione. In un esperimento di psicologia sociale una ragazza carina viene incaricata di abbordare degli sconosciuti dicendo: «Questa sera mi sento sola, vuole passare la notte con me?» L’80 per cento degli interpellati accetta al volo. Chi rifiuta non è probabilmente attratto dalle donne, si sente intimidito da una domanda così insolita, o teme una trappola. Quando è invece un bel ragazzo a lanciare la proposta, riceve un 80 per cento di rifiuti.33 L’atto sessuale è asimmetrico perché il coinvolgimento femminile è più pesante (penetrazione, gravidanza). Può anche darsi che il sentimento delle donne, un misto di desiderio e paura, le spinga ad attribuire più importanza ai rituali di corteggiamento, che permettono loro di giudicare il candidato e familiarizzare con lui? Una donna con uno stile di attaccamento sicuro saprà governare una richiesta di intimità, scoraggiandola o incoraggiandola. Mentre una donna angosciata dal sesso saprà solo opporre un muro o esplodere. Nel complesso, molti uomini accetterebbero una rapida avventura di una notte, che invece non diverte le donne. Ma si potrebbe ipotizzare che, se la cultura le rendesse più sicure, le donne avrebbero una sessualità più simile a quella maschile e passerebbero più facilmente all’atto.34
Quando il desiderio è simmetrico, la carica affettiva della sessualità dipende dal significato che la cultura vi attribuisce. Abelardo scrive a Eloisa: «Sai bene a quali turpitudini consegnò i nostri corpi la mia smodata passione, tanto che nessun rispetto per l’onestà e per Dio mi teneva lontano dal fango di questo pantano».35 Per gli amanti che vivono in una cultura cristiana dove il peccato carnale è infamante, il semplice fatto di amarsi è una gioia colpevole, un pantano cui ci si abbandona. La follia amorosa ha gettato i due giovani nella disperazione. La loro felicità è stata dolorosa perché, disgraziatamente, amavano abbandonarsi ai piaceri sessuali che li hanno obbligati a rinunciare alla purezza dell’ascesa spirituale. Eloisa, rimasta incinta prima del matrimonio, ha preso i voti ad Argenteuil e Abelardo, castrato dagli scagnozzi dello zio dell’amata, ha dovuto spogliarsi dell’abito clericale.
Non si può descrivere questa sessualità tragica e meravigliosa con veri e propri ragionamenti. Non c’è una logica che permetta di giudicare e decidere in base a dei calcoli. Si tratta semmai di una razionalizzazione, dove si dà una patina di ragionevolezza a una condotta emotiva di cui non si conosce la causa. Gli studi sulla funzione narrativa dell’attaccamento ci aiutano a comprendere che, quando c’è concordanza fra il racconto intimo di un soggetto (noi ci amiamo) e il racconto collettivo (come sono belli con la loro febbre sessuale), la cultura non impedisce agli amanti di godere del proprio amore. Ma quando c’è discordanza fra la narrazione di sé (noi ci amiamo al di fuori della cornice sociale) e le prescrizioni culturali (si amano senza tenere conto della legge divina), l’autenticità del loro amore provoca una lacerazione sentimentale.
Il desiderio sessuale è lo strumento di una relazione fra due individui, cui la personalità dei partner può attribuire una funzione specifica. Le donne possono servirsene per dominare l’altro – «Finché mi desidera, resterà con me e farà ciò che voglio» – e, in questo caso, acquistano abiti che stimolano il desiderio maschile, prendono lezioni di seduzione che chiamano «danze proibite». Altre affermano: «Ho paura degli uomini, ma se qualcuno mi corteggia abbandono ogni remora», e per loro la seduzione è tranquillizzante. A loro volta, alcuni uomini sono spaventati dalla propria stessa passione: «Se finirò per desiderarla, mi lascerò dominare». Masoch adorava questo fantasma e lo metteva in scena. Si faceva legare ai piedi del letto mentre lei camminava, mezza nuda, con indosso solo una divisa da ussaro ricamata di pelliccia. L’attesa esasperava in lui il desiderio fino al momento in cui la donna, con un cenno, lo autorizzava a infilarsi nel proprio letto.36
L’Occidente cristiano medioevale non era sempre terribile, c’era anche qualche momento di allegria. Durante i bagni pubblici il curato e lo scabino organizzavano delle orge cittadine. «Nei celebri bagni di Baden-Baden, nei pressi di Zurigo, giovani e vecchi, uomini e donne, in forma o malandati, scendono insieme nella piscina pubblica […] o in una pozza d’acqua in piena campagna»37 L’amministrazione comunale allestiva grandi tinozze di acqua tiepida su cui veniva appoggiata una tavola carica di vettovaglie. I giovani vi banchettavano nudi, e se c’era feeling facevano anche qualcosa di più.
Nel XVII secolo veniva chiamato «libertino» colui che oggi sarebbe definito «perverso»: «Senz’alma e fede un libertin d’altronde fa il suo piacer suprema legge».38 Lacan fornisce la stessa definizione in termini più attuali: «Per il perverso conta solo il proprio godimento». Nel Don Giovanni di Molière (1665) Sganarello proclama: «Don Giovanni, mio maestro […], che non crede né al Cielo né all’Inferno, né al lupo mannaro […], che trascorre questa vita da vera bestia, un porco di Epicuro […], che ritiene frottole tutto quello in cui crediamo». Il perverso Don Giovanni si burla della fede, e i credenti virtuosi, per tutta risposta, lo trattano come «un porco di Epicuro», loro che, per elevarsi a Dio, rifiutano di rotolarsi nel fango sessuale.
Dopo il regno della regina Vittoria le donne avevano imparato a sedere con le ginocchia pudicamente serrate. Poi l’occidente è diventato progressivamente irreligioso, e il termine «lussuria» è scomparso lasciando posto all’espressione «diritto al godimento». Nella nuova cultura è d’obbligo celebrare la bellezza del brutto. Gli artisti scolpiscono la spazzatura, fotografano vasi da notte, espongono il letto dove si sono suicidati e pettinano vulve consenzienti. Viene girato Gola profonda, si acclamano le performances di un comico reso celebre da inossidabili erezioni, e I santissimi (Les valseuses), il film-scandalo di Bertrand Blier, riscuote un enorme successo commerciale dopo che l’erotismo è sceso dai cieli per infilarsi nei centri commerciali.