18

Max avrebbe voluto che le cose fossero diverse. Ma non ha saputo trovare un’altra strada. Da molto tempo sta davanti alla porta della sua padrona, con la paura che la speranza nata la sera precedente sia già svanita. Sono le ultime ore prima della decapitazione di una regina. Le ore prima che la vita di Merche, fino a quel momento una morbida placenta di quotidianità, passi a essere una superficie solida e rugosa, piena di asprezze, bordi e spigoli, sulla quale, per quanti tentativi faccia, una persona non può dormire, parlare, nascondersi. A partire da domani tutto sarà diverso, pericoloso, estremamente ostile per lei. Sedersi a tavola con suo marito e i suoi figli, all’improvviso, sarà un’arma affilata. Lo saranno anche, e molto, il libretto dei risparmi, un mazzo di chiavi, i bambini alle cinque all’uscita da scuola. Ma, perché questo accada, la regina deve perdere la testa e non sospettare che la sta per perdere.

Di profilo, Merche, che fino a poco fa era inquieta, guarda fuori dal finestrino, cercando di scorgere qualche auto conosciuta prima che questa riconosca lei. Poi lasciano la città e il suo nervosismo comincia ad allentarsi. Si ripresenterà più tardi, durante il viaggio di ritorno. E se avessero avuto un incidente? E se Max avesse bevuto più del dovuto e li avessero fermati a un controllo per l’alcol test? E se...? E se, niente. Ormai il dado era tratto. Merche aveva approfittato di una rimpatriata tra ex compagni di scuola organizzata attraverso i social, per costruirsi l’alibi. Quando l’aveva scoperto, aveva deciso immediatamente che non ci sarebbe andata. Non ci sarebbe andata comunque, perché di quelle facce si ricordava appena.

Aveva mostrato l’invito a Gero affinché non cominciasse con le domande abituali e innocue che il tradimento rendeva imbarazzanti e rivelatrici. Era strano che le costasse tanta fatica. E non si trattava della difficoltà di mentirgli, neppure di una ferita o di rimorso. Era qualcosa di più vicino alla pigrizia di un rituale praticato ormai senza troppa fiducia. Senza avere un dio alle spalle, senza un vulcano che si vuol smettere di irritare.

Allo stesso modo, ma in senso contrario, la speranza e la voglia di trascorrere la serata con Max si oscuravano con il passare delle ore precedenti all’incontro. Entrambe le cose stavano mutando in qualcosa di completamente opposto al desiderio che le aveva fatte nascere. Un’ansia asfissiante la spingeva a restarsene a casa con qualunque scusa e a rinunciare all’avventura con Max di quella sera. Un’avventura alla quale aveva creduto come se fosse l’unico rimedio antico e infallibile per continuare a dare vita alla morte. Adesso, da un’ora, forse due, aveva solo voglia di correre via senza fermarsi. Scappare sia dalle catene sia dalla salvezza. Sensazioni che già conosceva. Poi, dopo qualche bicchiere, si era rilassata e si godeva l’appuntamento, ma prima e dopo la tentazione era quella di accontentarsi di una sola vita e un solo credo. Poi però Merche finisce sempre per fidarsi; perché rinunciare a qualcosa se puoi avere tutto? In fondo, se una donna non riesce a seguire una dieta per più di una settimana, come potrà rinunciare a essere di nuovo innamorata, di nuovo desiderata, di nuovo viva...?

«Stai bene?»

«Sì, sì, lo sai... Sono un po’ nervosetta, ma sto bene.»

Max aveva chiamato Cristian e gli aveva detto che quella sera lui e Merche sarebbero usciti. L’altro gli aveva chiesto dove sarebbero andati. Non gliel’aveva detto. Una cosa era che Gero lo sapesse, un’altra che li scoprisse. Non sapeva se il marito ingannato aveva elementi per sapere dove, quando e con chi si era incontrata la sua mogliettina e quindi se avrebbe potuto effettuare le verifiche del caso. Lui, al ricattatore, non aveva fornito altre indicazioni. Gli avrebbe dato quel numero di telefono e la metà della cifra pattuita. Max aveva proposto di vedersi al bar dal quale lo aveva chiamato la prima volta, ma quel tipo – «Io non ho un nome. Come vuoi chiamarmi? Chiamami Ramón, Pepe, come ti pare» – si era rifiutato. Alla fine si erano accordati per una panchina di un parco di plaza Castilla, vicino all’università. Cemento, una chiesa chiusa e piccioni. «Come ci riconosceremo?» «Mettiti la stessa maglia dell’altra volta.» «Quale altra volta?» «Quando ci hai seguiti. Quella verde. Con le lettere e i numeri.» Silenzio. «Alle sei. E non ti preoccupare. Oggi come oggi sono abbastanza riconoscibile.»

Entrambi erano stati puntuali. E, certamente, la faccia di Cristian non passava inosservata. Non indossava la maglia verde che Max avrebbe saputo identificare, ormai non gli portava più fortuna. Indossava una tuta bianca e una maglietta marrone con un vecchio logo di Disney World. Max, da parte sua, era passato da casa per togliersi l’abito con cui andava a lavorare e adottare un’immagine più dinamica e che non lo identificasse con uno stereotipo. Ma mentre lui si sentiva mascherato con i suoi jeans e la sua polo di marca, Cristian sembrava una lucertola contenta di sentirsi nella propria pelle sotto qualsiasi temperatura, fosse di giorno o di notte.

Max era arrivato con l’intenzione di dire il minimo indispensabile, di comportarsi con misura, soprattutto di non sembrare un coglione che chiedeva a gran voce di essere truffato. Non gli sfuggiva il fatto che sarebbe potuto lui stesso diventare oggetto del ricatto. Per questo era stato attentissimo nel fornire i dati su Merche o dove viveva con la sua famiglia. Si era limitato a dare il numero di cellulare di Gero. Nient’altro che questo. Un numero che Max aveva sottratto alla sua amante in uno degli ultimi incontri, approfittando di un’assenza di qualche minuto.

«E se mi chiede il nome di sua moglie? Me lo invento?»

«Noi ci vediamo giovedì prossimo di sera. Chiama allora. Se sai questo, abboccherà. Sicuro.»

«Dove andrete?»

«Niente da fare. Voglio evitare scene sgradevoli. E meglio ancora se voi non sapete chi sono io.»

«I soldi.»

«Ho portato la metà.»

«No, me li hai portati tutti.»

«Ma come faccio a sapere che...»

«Non lo devi sapere. Io chiamo, ti sistemo la vita, ed è tutto finito.»

«Sì, ma...»

«Niente ma... E se la cosa non funziona e vuoi che andiamo avanti, ne riparliamo. Quindi, fai uno sforzo di immaginazione. Non so, è la prima volta che trovo storie così... romantiche» l’aveva preso in giro Cristian, mostrando le gengive scure, una delle quali con un buco che, al più presto, avrebbe dovuto chiudere con un impianto. «Non so, qualche foto a letto, che ne so...»

Max non aveva pensato a tutto questo, ma aveva consegnato a Cristian il denaro che chiedeva. Il solo fatto che lo portasse addosso rifletteva il bassissimo grado di fiducia nella trattativa. E che non gli importasse molto. Era cosciente di dover rischiare. Se quel tipo non chiamava o non era convincente nella sua soffiata, cosa avrebbe avuto da perdere Max? Solo un po’ di soldi.

La verità è che non aveva neanche pensato a cose tipo fotografie o altre eventuali prove, e non era sicuro di volerlo fare né di essere in grado di portarlo a termine. Era sicuro che bastasse l’appuntamento di giovedì sera. Che bisogno c’era di pensare ad altro?

Merche e Max sono andati a cenare in un chiringuito vicino al mare. Lume di candela e suono di chitarre. Vecchie canzoni: Neil Diamond, Beatles, Dylan, Leonard Cohen, tutti quei bravi ragazzi. Una coppia di hippy in fondo al locale pizzica chitarre acustiche. Hanno lo sguardo fisso su un punto lontano, forse sulle scogliere di Moher. Lei ha i capelli color barbabietola ed è carina, con le sue guanciotte e i suoi nei. Lui è un vecchio gattone. Ha cent’anni più della ragazza, un codino rigido, braccialetti di cuoio ai polsi e un barré al terzo tasto. Hanno voci calde. Merche si gira di tanto in tanto per poi tornare con un sorriso alla cena con Max. È in una di quelle bolle che è solita creare per lei il suo amante. Gli è grata perché, quando sta vivendo quei momenti, i suoi occhi guardano, brillano e vedono. Una visione limpida, nitida, che percepisce i contorni, gli oggetti, la realtà così com’era prima delle rinunce e degli obblighi. È dove vuole essere. Sta con chi vuole stare. Se arrivasse la fine del mondo, allungherebbe una di quelle braccia per qualche chilometro per raggiungere i suoi figli, li prenderebbe immediatamente in un abbraccio e, insieme, cercherebbero un posto nel petto di Max. Allora le risulterebbe indifferente se il cielo crollasse, se si aprissero voragini sotto i suoi piedi. Le piacerebbe dire tutto questo a Max, ma il cameriere arriva, interrompe, se ne va. E lei rinvia quella confidenza al momento del dolce, a quando staranno scopando, a quando si saluteranno, alla prossima volta in cui si telefoneranno, a quando si rivedranno.

«Non ti piacciono? Cantano bene.»

Il vino ha cominciato a stordirli. Un’inquietudine simile a quella di Merche l’aveva anche Max prima del viaggio in auto, ma era riuscito a togliersela dalla testa. Perché avrebbe dovuto seguirlo quel figlio di puttana, se poteva guadagnarsi millecinquecento euro solo con una telefonata da cinquanta centesimi? Se voleva ricattarli, bastava non fare la telefonata e assicurare loro che l’aveva fatta, ma che quel tale era fatto di ghiaccio e aveva una fiducia incrollabile nella sua mogliettina. No. Questo non sarebbe successo, perché non poteva succedere.

Si avvicinano alla spiaggia nascosti dal buio della notte. Gli echi e le luci dei locali restano alle loro spalle, come amici e candele di una festa di compleanno, che scintillano e canticchiano dietro di loro. Merche si toglie le scarpe per sentire la sabbia e l’acqua increspata che le onde portano tra i suoi piedi. Cammina verso il mare mentre Max si stende sulla sabbia, fresca, accogliente, a una certa distanza dalla riva. La brezza è gradevole. La notte meravigliosa, con tutte quelle stelle e il roco parlare delle onde. Max decide di chiudere gli occhi, perché le stelle saranno ancora lì per mille anni, non come quell’orologio di ovatta, fradicio ed ebbro, che si è formato dentro la sua testa. I giorni successivi saranno duri, difficili, ma lui saprà essere all’altezza di ciò che gli viene richiesto, e oggi festeggia tutto questo: la sera prima del secondo avvento.

«Non ti lascerò cadere, Merche. Mai. Sarò sempre al tuo fianco. Una cosa che io non ho avuto e che tu non mi hai dato» dice a voce alta, sapendo che la donna non è lì con lui.

Passano i minuti e Merche non ritorna. Max fiuta immediatamente il pericolo, anche perché probabilmente si è addormentato cinque, dieci, chissà quanti minuti. Si alza e, mentre si scrolla la sabbia dai pantaloni, si guarda intorno ma non la vede. La luna, come un buco nero, sta lì a guardarlo, burlona e crudele. Prende le scarpe e la borsa della donna e si avvicina quasi correndo alla riva, dove le onde gli bagnano le scarpe, i calzini e i risvolti dei pantaloni. Laggiù, fin dove arriva il suo sguardo, Merche non c’è. E se fosse andata troppo in là e fosse annegata? No, non è possibile. Merche non sembrava ubriaca, e i suoi abiti non sono da nessuna parte. Non sarebbe entrata in acqua vestita, sapendo che poche ore dopo doveva tornare a casa dal maritino. Non è molto logico tornare da una festa con gli ex compagni di scuola con addosso l’odore del mare. Va bene. D’accordo. Tutti quei ragionamenti sono perfettamente logici... ma allora dove si è cacciata quella cretina?

Il panico si impossessa di Max a grande velocità. Si toglie scarpe e calzini, li lascia accanto agli oggetti di Merche ed entra in acqua. Forse, avvicinandosi, potrà avvistare quella testolina matta, quella testolina bacata che non ne fa mai una giusta. In quei momenti non gli importa che Merche sia annegata. Se fosse morta, sarebbero finiti tutti quei cazzo di problemi. Ad atterrirlo è l’ipotesi che sia morta mentre stava con lui, nel modo più bastardo in cui può morire una donna che tradisce suo marito. Quello è il sentimento. Un sentimento che gli sembra forte come quello che lo pervadeva pochi minuti prima. Amarla. Difenderla. Vivere con lei. Sì, forte come tutto questo.

Rinuncia a cercarla. Non c’è niente da fare, è sparita. «Il mare l’ha ingoiata, cazzo. Maledetto me!» dice ad alta voce. Ormai sono più di tre quarti d’ora. Max è sfinito a forza di andare qua e là come un pupazzo al quale stanno per scaricarsi le pile. Dopo un’ora, non solo teme che sia morta, ma gli fanno paura anche le conseguenze della situazione. La polizia indagherà per scoprire a chi appartiene il corpo gonfio e bluastro che i pesci non sono riusciti a mangiare del tutto. Scopriranno chi era. Scopriranno che il marito la cercava. Scopriranno che non era andata alla festa degli ex compagni di scuola. Scopriranno che un tipo aveva chiamato il marito per dirgli che sua moglie aveva un amante. Rintracceranno l’autore della telefonata e lui rivelerà chi lo aveva pagato per dire ciò che aveva detto, con chi stava la donna che era annegata, o che qualcuno aveva fatto annegare l’altra notte. È così facile. Il ragno mangiato dalla mosca. Fine della maledetta favola che nessuno ha scritto.

Dove andare adesso? In commissariato? A cercarsi un buon alibi? Li hanno visti insieme decine di persone. Al ristorante, al bar, prima di cena.

Decide di tornare alla macchina per pensare con più serenità, al riparo dal mare, dalla luna, dalle stelle, in un ambiente umano, meccanico e prevedibile. Quando si trova a una ventina di metri dall’auto, vede Merche appoggiata al cofano, che lo saluta lentamente con la mano. Max accelera il passo, con il viso e l’animo irritati. Si avvicina urlando, la insulta. Lei tenta di farsi capire. Voleva fare una passeggiata. Si era persa. Aveva sbagliato locale. Era tornata al parcheggio. Non aveva il cellulare. Non... La mano di Max parte alla velocità di un sorriso. La chioma vaporosa e brillante di Merche si apre come nella pubblicità di una marca di shampoo. Poi l’uomo si lancia verso la donna e le chiede scusa, le spiega i motivi per cui ha perso le staffe, anche se ha quasi ritirato la mano, lei si è spaventata, si è sentita minacciata, forse senza motivo. Credeva fosse morta. Credeva fosse annegata. Credeva... Lei piange. Lacrime figlie dell’alcol e dei sensi di colpa. Piange anche lui. Lecca le proprie lacrime goffe, impaurite. Le bacia le labbra e lei non gli nega quei baci. Si appoggia a lei e lei si appoggia all’auto. Vuole che senta il suo membro duro contro di lei, tra le sue gambe. Le solleva la gonna, si tira fuori l’uccello, scosta le mutandine da un lato e tenta di penetrarla. Fatica. Merche tenta di eccitarsi ancora un po’. Alla fine, il desiderio la ammorbidisce e lui la scopa lì, in piedi, con le scarpe piene di sale e sabbia. Una macchina entra nella stradina e li illumina con i fari. Max nasconde la sua faccia tra i capelli di Merche. I ragazzi della macchina fanno un po’ di casino. Quando il veicolo sparisce, lui riprende a scoparla fino a che il seme schizza contro la luna, che non sembra più né crudele né burlona, ma solo ruffiana, vecchia e un po’ vigliacca.

Tornando verso casa, quasi non si parlano.

Gero, ancora sveglio, aspetta.