Gli hanno dato l’indirizzo esatto di casa. E il fratello di Mireia gli ha confermato che Cristian ha passato la notte con lei in quell’appartamento. Almeno, questo gli aveva assicurato sua sorella la sera prima. Pertanto c’erano molte possibilità che Cristian fosse ancora lì. Bruno decide di affrontarlo immediatamente. Spera che Raquel non sia riuscita a parlargli. Se lo ha fatto, saprà già che quello della pistola scarica era un trucco per cercare di rintracciarlo e smascherare le loro menzogne. In che modo procedere? Se lo affronta direttamente non otterrà altro che la possibilità di spaccargli la faccia. E spaccare la faccia a qualcuno che ha una pistola carica non è mai una grande idea. Dunque, il piano non può essere quello. Se la fortuna lo assiste e Cristian è ancora in quell’appartamento, lo seguirà dovunque vada con la sua pistola, scoprirà che cazzo c’è dietro quella storia e, se sarà il caso, potrà anche tenerlo per le palle, con la minaccia di denunciarlo alla polizia. Bruno deve ammettere che quest’ultima ipotesi è molto complicata, ma ha bisogno di tenere la mente occupata con qualcosa. In effetti sono già le quattro passate, troppo presto per maneggiare pistole.
Anche Bruno vuole dimostrare chi è il furbo tra i due. E recuperare i suoi soldi, ovviamente. Vuole distruggere l’uomo che tiene Raquel ancora sufficientemente ipnotizzata da proteggerlo, come una madre protegge suo figlio dagli occhi del padre iracondo.
In questa partita sembra che la sorte sia dalla sua parte. Non c’è dubbio. Dal luogo in cui si trova può vedere senza essere visto. E adesso Mireia e Cristian escono. Lui si guarda intorno. Questo può significare che Raquel gli ha parlato. Però è tranquillo. È possibile che sia stato solo un gesto istintivo e che in realtà confidi ancora nel fatto che Bruno stia dormendo dopo i bagordi della scorsa notte. Vibra il cellulare di Bruno. È Raquel. Gli dice che Cristian non risponde. Perfetto.
«Non insistere. Gli ho già parlato e ci vediamo più tardi al locale. No, tranquilla, non succederà niente. Parleremo e basta.»
«Me lo prometti?»
«Te lo prometto.»
«Sono sicura che si tratta di un malinteso. E che lui non ha fatto niente di male.»
«Smettila di difenderlo. Mi metti di cattivo umore.»
Mireia e Cristian si dirigono verso il bar, ma si salutano sulla porta con un lungo bacio. Un bacio di addio. Di certo non un bacio di arrivederci, e nemmeno di qualcosa di simile. È un bacio di “addio per sempre, bellezza”. Poi Cristian riprende a camminare, mentre Mireia non si decide a entrare nel bar, come se volesse fissare quell’ultima immagine nei suoi occhi. Finalmente lo fa, entra e conclude la scena dell’addio. Cristian non si è mai guardato indietro, neppure per un attimo. Per Bruno è tutto chiarissimo. Se ne va. Non pensa di tornare.
Lo segue dall’altro marciapiede. A passo svelto. Si dirige alla fermata della metropolitana. Bruno salta il tornello: non ha intenzione di cominciare a pagare il biglietto proprio oggi. Nei vagoni, Cristian non lo scopre. Qualche fermata dopo, risalgono entrambi in superficie. Dieci minuti più tardi, Cristian tira fuori un foglietto dalla tasca. Sta controllando un indirizzo. È lì. Non si dirige alla porta principale, ma prende la rampa di discesa che conduce all’interno di un parcheggio. Apre la porta laterale ed entra. Bruno ha un attimo di esitazione. Se lo segue, è evidente che lui se ne accorgerà. Decide di aspettare. Non gli piace nessuna delle carte servite. Se capita quello che deve capitare lontano dai suoi occhi, non saprà cos’è, che diavolo gli stanno nascondendo, e perché Cristian voleva una pistola. Una Nissan Terrano scende lungo la rampa. L’uomo alla guida abbassa il finestrino, mette fuori il braccio e introduce una tessera. La porta si apre. Si alza la sbarra. Bruno entra nel parcheggio dietro all’auto. Al primo piano non c’è traccia di Cristian. Nemmeno al secondo. Al terzo, sì. Lo vede da lontano, si sta guardando intorno. Non sembra nervoso né contrariato per il ritardo della persona con cui ha appuntamento. Bruno arriva alla conclusione che ciò che deve accadere non accadrà adesso. Cristian sta ispezionando il posto. Poi si avvicina a una porta sulla quale un cartello indica l’accesso all’ascensore. Bruno si gira e sale di corsa le rampe di scale. Deve arrivare prima di Cristian e continuare a seguirlo.
Ci riesce. Uscito dal parcheggio, Cristian fa una telefonata. Poi un’altra, e un’altra ancora. Quindi entra in un bar e decide di mangiare qualcosa. Un panino. Un caffè corretto. Due. Sono già le cinque del pomeriggio e Cristian cammina a passo spedito. Bruno è già stanco. La notte precedente comincia a farsi sentire. Ha fame, sete e lo stomaco, che non ha deciso da dove evacuare, alla fine opta per lo sfintere. Ma Bruno non può chiedere a Cristian di fermarsi qualche minuto perché lui deve cagare. E non lo fa. Lo vede infilarsi in una stazione del metrò e lo segue. Vuole di nuovo entrare senza pagare, ma un uomo della sicurezza, con un semplice sguardo, lo dissuade dal farlo. Sente il treno che arriva. Cristian sale. Lo ha perso. Tutto inutile. Allora Bruno si avvicina alla guardia della sicurezza: «Me la sto facendo addosso. Ho bisogno di un bagno».
Quello gli indica la strada e Bruno si chiude in un gabinetto. Comincia lo tsunami, difficile, perché erano passate molte ore. Forse è meglio così, perché prima o poi l’altro avrebbe finito per accorgersi che lo stava seguendo. Se avesse fatto ciò che aveva programmato una volta arrivato nel parcheggio... Ma non è andata così. E adesso lo ha perso.
Dopo dieci minuti, Bruno, pallido e sudato, ripercorre la strada in senso contrario. Gli resta ancora una possibilità. Una sola. C’è un asso e un ultimo giro di carte da distribuire. Ha un’intuizione, e per un giocatore le intuizioni sono sacre. Qualunque cosa debba accadere, accadrà nel parcheggio. E accadrà nelle ore che vanno da adesso alla partenza del treno, del pullman o dell’aereo che prenderà Cristian. Così Bruno decide di tornare nei pressi di quell’edificio e aspettare.
Un paio d’ore dopo li vede arrivare. Bruno non hai mai visto Max prima di allora. Non gli sembra uno del loro ambiente. Neanche uno del quartiere. Quasi non si rivolgono la parola. Arrivati al portone, Max preme diversi pulsanti del citofono. Non risponde nessuno. Ripete il tentativo. Dice di dover lasciare dei volantini pubblicitari. Nel frattempo, come Bruno un paio d’ore prima, Cristian scende la rampa ed entra nel parcheggio. Aprono il portone a Max. È evidente che stanno scendendo entrambi al parcheggio, uno con l’ascensore e l’altro per le scale. Bruno arriva davanti al portone. È chiuso. Bussa sul vetro in modo che l’accompagnatore di Cristian si volti e venga ad aprirgli. Lo fa. Tenta di non mostrare del tutto il suo viso. Stanno per sequestrare qualcuno. Stanno per ammazzare qualcuno in quel parcheggio. Conserverà la memoria di quel volto.
Max si dirige all’ascensore. Entrambi aspettano. Bruno se la gode come un gatto sornione davanti al pranzo che si è assicurato. Si lecca i baffi. Entrano in ascensore.
«A che piano va?» chiede Max.
«Al parcheggio. Secondo piano.»
Max preme il pulsante del secondo e terzo piano interrato. Bruno scende un piano prima di quello degli altri due. Cerca sulle scale un punto che gli offra una buona visuale. E aspetta. Passano i minuti. Mezz’ora. Ogni tanto entra un’auto. Ogni tanto un’altra esce. Al terzo piano non ce ne sono molte parcheggiate. Una mezza dozzina al massimo. Lo stomaco continua a dargli problemi. All’altro lato del piano scorge un bagno. Proverà a resistere un po’, ma non crede che ce la farà ancora per molto. I peti lo stanno avvisando già da un pezzo che il suo intestino è messo male. Passa qualche minuto e uno di loro si trasforma in un’acquetta che macchia le sue Calvin Klein, maledizione. Allora va dritto verso la porta del bagno e si chiude dentro, per placare gli spasmi e asciugarsi le mutande, prima che la sensazione diventi ancora più sgradevole.
Al terzo piano, Cristian e Max stanno in piedi, uno di fianco all’altro, ognuno dietro una macchina. Secondo le previsioni di Max, Gero dovrebbe essere quasi arrivato, e invece sta tardando. È venerdì, un giorno propizio per gli imprevisti, pensa; quando era venuto le altre volte, martedì e giovedì, era stato puntuale come un orologio. Alla fine non ha chiamato Merche. Sarebbe stato troppo sospetto se lo avesse fatto proprio il giorno in cui ammazzano Gero.
Max è continuamente tentato di dissuadere Cristian, ma non lo fa. Gli ha dato i soldi. Temeva che, consegnandoglieli tutti, l’altro se la sarebbe filata. Prima aveva paura di questo, ora lo avrebbe preferito. Perché quel tipo è ancora lì? Potrebbe prendere la pistola dalla borsa, puntargliela contro e sparire con i soldi. Non lo fa, ma a Max non dispiacerebbe se lo facesse. Perché adesso non vuole stare lì. Non vuole che succeda niente. E sente in un modo univoco e definitivo di non amare più Merche; in realtà ama solo i suoi figli e la vita tranquilla, tutto quello che sta per perdere per colpa di una follia.
Nel frattempo, dietro l’altra macchina, Cristian non ha ancora deciso cosa farà. Ha tirato fuori la pistola dalla borsa e l’ha coperta con una delle sue magliette. Max non riesce a distogliere lo sguardo dall’arma. Più grande, più bella, più opaca di quelle che si vedono al cinema. Le scommesse nella testa di Cristian sono quotate alla pari. Cinquanta per cento di possibilità che lo ammazzi, cinquanta per cento che non lo faccia. Ha il denaro. Per una volta, sarà lui a vincere la posta in gioco. Deve davvero farlo? E perché? No, non lo farà. Improvviserà. Di solito gli riesce bene. Sul momento, chissà. Quando arriva il tipo, magari spedisce Max al piano superiore, si mette d’accordo con la sua vittima e simulano l’omicidio. Compresi gli spari e tutto il resto. Sì, farà così. Sarà brillante. Si avvicinerà al finestrino dell’auto, gli mostrerà la pistola e dirà: “Mi hanno ordinato di ucciderti, ma non lo farò. Mi manda un imbecille che si chiama Gero e che si sta scopando tua moglie. Lei non sa niente. Per cui adesso sparo un paio di colpi in aria e me ne vado. Nel frattempo, annota questo numero di telefono. È della persona che mi ha pagato per eliminarti. Domani vai alla polizia, se vuoi. Fino a domani non fare niente, altrimenti mi arrabbio. E se mi arrabbio, torno quando meno te lo aspetti e ti faccio saltare quella testolina. Hai capito? Siamo d’accordo?”. Gli dirà tutte queste cose e se ne andrà con la grana e senza un omicidio sulle spalle. È perfino possibile che restituisca la pistola a Bruno. Sì, farà proprio così. Ma se il maritino fa cose strane, si torna al punto di partenza e bum! Morto.
«Stammi a sentire. Qui la scena sarà sgradevole. Se vuoi andartene, vai. Allontanati. Al piano superiore o, meglio ancora, all’entrata della metropolitana. Aspettami lì. Ma credo sia meglio che tu sparisca.»
Sentono scendere un veicolo. Entrambi sanno di chi si tratta.
«Merda.»
«Non farti notare, alzati in piedi e sali per le scale al piano di sopra. Resta lì oppure nel metrò. Ti raggiungo io. Veloce, sparisci.»
Max dice di sì, ma è paralizzato. Non si alza, ma ha deciso di muoversi, acquattato, da una macchina all’altra, e da lì rimettersi in piedi e sparire. Crede che così non lo vedrà. In realtà la sua mente gli dice che tante precauzioni sono assurde dal momento che Gero non può riconoscere chi non conosce, e poi Gero sta per morire, fine della storia. Punto. Malgrado tutto questo, il panico è più forte di lui e Max si allontana in quel modo, come un bandito da operetta.
Rannicchiato dietro l’ultima macchina, vede Cristian lasciare la borsa dietro di sé e avanzare verso il furgoncino di Gero. Ha la pistola avvolta nella maglietta. Gli indica di abbassare il finestrino. Gero obbedisce. Max non riesce a vederlo in faccia. Gli piacerebbe poterlo vedere, e non sa perché. Si raddrizza e comincia a salire la rampa che porta al secondo piano. Lì si dirige verso la zona degli ascensori.
Nel bagno, Bruno sente i passi di Max e sa che forse è arrivato tardi. Ha i minuti contati. Non può fermarsi adesso: è pieno di merda fino alle orecchie. Un attimo dopo sente gli spari. Uno, due, tre e, pochi secondi dopo, un quarto colpo. Si pulisce il culo alla meglio, come può, ed esce. Si lancia di corsa sulla rampa. Vuole sapere che cosa è successo nello spazio di una cagata.