Romy aprì la porta. Léo Martel entrò subito, portandosi appresso l’odore delle strade sul giubbotto e una bottiglia di whisky nella mano. Gli occhi di lei gli studiarono il volto in cerca di ferite, la camicia in cerca di sangue, ma non ne vide e il sollievo la spinse al contatto fisico. Gli afferrò la mano libera, la tenne stretta tra le sue e per un minuto buono rimasero così, nel buio. Romaine sentì l’oscurità gocciolarle dentro, stratificarsi sopra la tristezza nella sua mente.
«Raccontami» lo invitò.
«Ho trovato Diane e Manu, loro sono avvisati. Gli ho detto di lasciare Parigi. Ma non ho trovato Jerome.»
«Magari ha capito, magari si è nascosto.»
Voleva che le dicesse di sì. Voleva che le dicesse: “Ma certo che è andato a nascondersi, quell’uomo è una vera volpe”. Voleva che le fronti di François e Grégory tornassero integre in quel soffocante magazzino sopra il caffè.
«Romaine. Ti va un bicchiere?»
La voce di Martel era gentile. Romy si rese conto che le parlava da un po’, e lei non aveva capito una parola. Orripilata, sentì le lacrime striarle le guance. Grazie a Dio era troppo buio perché lui le vedesse. Sentì pure che la mano tra le sue era gelida nonostante il caldo della stanza.
«Vieni a sederti.»
L’uomo ubbidì, abbandonandosi pesantemente sull’unica sedia. Le ombre le nascondevano l’espressione del volto.
«Martel, chi è stato?»
«I nemici dei repubblicani spagnoli.»
«Nazionalisti?»
«Probabile. Hanno spie ovunque.»
Lo sentì aprire la bottiglia, colse il luccichio di un bicchiere che si sfilò di tasca. Cielo, che voglia di bere! Avrebbe voluto strappargli la bottiglia.
«Questa sera alla riunione avevo intenzione di spiegare che mi sono ritrovata nella posizione di potere fare io un po’ di spionaggio. Potrei riuscire a scoprire qualche informazione utile.»
Si accorse che la sagoma scura si immobilizzava. Martel era in attesa.
«Ho conosciuto due tedeschi che fanno parte di una delegazione molto importante. Uno mi ha invitato a cena la settimana prossima. Voglio cercare di scoprire quali piani ha in serbo la legione Cond…»
«No!» Questa volta, la voce era aspra. «Limitati a volare, Romaine. È questo il tuo talento. Non imbarcarti in faccende che rischiano di andare oltre le tue capacità. Ti metteresti in pericolo. Devi declinare l’invito di questo tedesco, dico sul serio.»
Nel buio lo sentì versare il whisky. «Ecco, tieni.»
Le dita strette intorno al vetro, Romy ingollò il liquore in un unico sorso e subito protese il bicchiere per averne ancora. Martel glielo rabboccò, poi prese una sorsata direttamente dalla bottiglia.
«Come facciamo con Grégory e François? Dovremmo informare qualcuno del loro decesso.»
L’altro la rassicurò. «Ci ho già pensato io. Se ne stanno occupando proprio ora.»
«Cioè? Cosa intendi, di preciso?»
«Esattamente quel che ho detto. Se ne stanno occupando.»
L’uomo si alzò e si avvicinò alla finestra, la zoppia ora molto più accentuata. Si nascose dietro la persiana, celato a eventuali spie appostate in strada, ma finalmente visibile per Romy grazie a una macchia di luce del lampione che gli pioveva proprio sulla guancia. I muscoli erano tesi.
«Cos’hai predisposto, Martel?» Gli si accostò. «Che i loro poveri cadaveri vengano rimossi nottetempo? Sepolti in qualche buca in mezzo a un bosco dimenticato da Dio, senza alcuna lapide o segno a ricordarli, una fossa dove le uniche a trovarli saranno le volpi? Senza che le rispettive famiglie ne sappiano niente? È così? Fine della storia?»
Lui si girò di scatto. «Sì, Romaine. Fine della storia. Perché questo non è un gioco. Non si tratta del brivido di volare a sostegno dei combattenti per la libertà o di fare domande a una spia tedesca il cui unico interesse è portarti a letto. Bada bene, questo tuo tedesco ti getterà in qualche orribile scantinato prima ancora che tu abbia il tempo di dire danke schön, se penserà anche solo per un istante che tu sappia più di quel che dovresti.»
«Lo so bene. Non sono una stupida.»
Il viso pallido di lui bucava l’oscurità. «E questo lo sai? Siamo in guerra, Romaine! Una guerra violenta, malvagia, iniziata ancor prima che voli un solo colpo, ancor prima che le ostilità siano state aperte ufficialmente. Il nemico è organizzato. Hanno scantinati segreti qui a Parigi, dove conducono gli interrogatori. Sono pronti, preparati. Manganelli di gomma con cui percuoterti fino a spezzarti le reni, vasche dove tenerti immersa fino a quando ti scoppiano i polmoni, elettrodi per friggerti i punti più intimi, martelli per spezzarti le ossa e tenaglie per strapparti le unghie. Cacciaviti da ficcarti negli occhi, e…»
«Smettila!»
Martel la smise. Romy tremava. Le accarezzò i capelli.
«Romaine, voglio che tu lo sappia. Voglio che tu sia terrorizzata. È l’unico modo che ho per tenerti al sicuro.»
Romy fissò la figura nera che aveva davanti e si chiese quanti altri cadaveri avesse visto, quanti altri proiettili in piena fronte.
«È questo che faresti con me? Se morissi? Gettarmi di nascosto nella terra gelida perché i vermi banchettino con le mie spoglie?»
«Sì.»
«Senza neanche dirlo alla mia gemella?»
Sentì un rombo in quel torace erculeo. «Una gemella? Hai una gemella? Non lo sapevo.»
«Ci sono un sacco di cose che non sai di me, Martel.»
Le rispose in un mormorio. «So che una volta al mese ti rechi nel quartiere arabo.»
Una vena prese a pulsarle nell’orecchio. Si girò di scatto, fendette il buio e si riappropriò della bottiglia di whisky. Se la portò alle labbra.
«Non farlo, Romaine.»
Lo ignorò. Trangugiò una lunga sorsata, la sentì scendere nello stomaco come un pugno.
«Non ubriacarti.» Adesso era arrabbiato.
«Non è affare tuo, capo.» Gettò indietro la testa, il whisky che le imperlava le labbra.
«Lo è, se domani vuoi volare.»
Si tolse lentamente la bottiglia di bocca. «Volare?»
«Volare. Quei bastardi di funzionari che oggi hanno cercato di segare le gambe alla mia attività sono stati convinti a tornare sui loro passi.»
«In Spagna?»
«Sì.»
«Cosa porterò, questa volta?»
«Me. Porterai me.»