26

«Da dove arriva?»

«Nizza.»

«Dove è diretta?»

«Parigi. Ci vivo.»

Romy sedeva a un tavolo di metallo. La sala interrogatori della gendarmeria era angusta e opprimente, satura dell’odore acre di uomini in uniforme. L’unica lampadina penzolava nuda dal soffitto. La sua luce era troppo violenta per recare conforto. E instabile. Romaine ne avvertiva il pulsare con la coda dell’occhio.

Spegnetela.

Non lo disse, continuando invece a rispondere alle domande che l’uomo seduto di fronte a lei seguitava a scagliarle addosso. Ispettore Chardin. Lui non era in divisa, tutt’altro. Indossava una giacca di lino grigio assai elegante, dall’aria decisamente troppo costosa per un poliziotto. I lineamenti erano atteggiati in un’espressione di una gentilezza disarmante, la voce dolce e cordiale. Solo gli occhi lo tradivano. Scaltri, osservatori.

«Cosa ci faceva a Nizza?»

«Cercavo lavoro su un panfilo. Non avendolo trovato, sto tornando a casa.»

«Quanto si è fermata?»

«Solo due giorni.»

«Era da sola?»

«Sì.»

«Dove ha alloggiato?»

«Da nessuna parte. Ho dormito sulla spiaggia. Ve l’ho già detto.»

«È stata in Spagna?»

«No.»

«Sulle montagne?»

«No.»

«Con un’altra persona?»

«No.»

«Secondo me sta mentendo. Sta mentendo, Mademoiselle?»

«No.»

Le domande giravano a vuoto. Sempre le stesse, ancora e ancora, mentre l’inspecteur aspettava che la sua concentrazione venisse meno per coglierla in fallo e strapparle la verità. L’uomo fece una pausa per accendersi una sigaretta, ma non ne offrì una anche a lei. Romy desiderava con tutta l’anima un bicchiere d’acqua – si sentiva la bocca secca come un deserto – ma si rifiutava di chiederlo, in caso l’altro decidesse di usare la sua sete come una specie di ricatto.

«Ispettore Chardin, perché mi trovo qui? Ho diritto di saperlo. Perché mi avete trascinata giù dal treno e portata in questo posto?»

«Perché ci era giunta voce che a bordo c’era una donna che intrattiene rapporti con le forze repubblicane spagnole.»

«Non è illegale aiutare i repubblicani» rimbeccò lei.

«È vero.» L’uomo le rivolse di nuovo quel suo sorriso tutta cortesia, come se volesse dirle che in effetti questa volta l’aveva colto in contropiede. «Ecco… però è illegale fornire loro armi e mezzi potenzialmente bellici. C’è una legge che lo vieta, la Francia ha sottoscritto l’embargo.»

Aveva disperatamente bisogno di quell’acqua. La bocca era secca come non mai.

«Ero a Nizza. Non in Spagna.» Romy si alzò, la sedia che grattava sull’ammattonato. «Non so niente della Spagna. Adesso posso andare?»

L’ispettore si dondolò sulle gambe di dietro della sedia, tranquillo e sicuro di sé. «Mi è stato riferito che viaggia con un uomo.»

«Le è stato riferito male, ispettore. Viaggio da sola.»

L’altro annuì. L’aveva convinto. Ora l’avrebbe lasciata andare, e sarebbe corsa a cercare Martel. Era preoccupatissima per lui. Avevano trascinato via a forza anche lui? Romy mosse un passo verso la porta ma subito un gendarme in uniforme uscì dall’angolo per bloccarla.

«Mademoiselle.» Il morbido ronzio della voce dell’inspecteur la raggiunse, d’un tratto venata di tristezza. «Lei sta mentendo. Lo sa lei, e lo so io. Ho bisogno di saperne di più dei piani di quei partigiani rintanati sulle montagne, appena di là dal confine. Ci sono persone che hanno bisogno di informazioni. Le conviene di più dire la verità a me piuttosto che venire interrogata dalle altre parti interessate, non so se mi spiego.»

Eccola, la paura. Una stilettata lancinante. Come una coltellata alla gola.

«Adesso vorrei andarmene. Non avete prove, perciò non potete trattenermi.»

«In realtà, abbiamo qui anche un’altra persona amica sua. Mi piacerebbe che meditasse con calma sulla ragione per cui non ho trattenuto solo lei, Mademoiselle.»

Léo Martel. Le si mozzò il fiato.

«Portatela via.»

Non era Martel.

Un’ondata di sollievo la sopraffece allorché, condotta in un’altra minuscola sala per gli interrogatori – una sala, non una cella –, vi trovò Joséphine Baker. Seduta al tavolo con indosso i suoi esotici pantaloni harem, fumava un sigaro enorme e aveva un’espressione a dir poco esasperata. Vedendo Romy, balzò in piedi e attraversò la stanza con la grazia di un ghepardo. Un ghepardo imbestialito.

«Ragazza! In che razza di pasticcio mi hai cacciata? Cosa diavolo sta succedendo?»

Romy le si avvicinò e per un istante la abbracciò forte, quindi lasciò andare quella figuretta inferocita. «Hai una sigaretta?»

«Non ti darò un bel niente finché non mi avrai detto perché tutti questi flics ti stanno addosso.»

«Mi dispiace che abbiano coinvolto anche te. A quanto pare mi hanno scambiata per qualcun altro, una tizia cui stanno dando la caccia.»

«Sicura che sia tutto qui?»

«Certo, fidati. Ti hanno interrogata?»

«Puoi giurarci! Un cosino tutto pelle e ossa, aveva ancora il latte alla bocca.»

«Cosa gli hai detto?» Romaine si sforzò di chiederlo come se non fosse importante. Come se la vita di Léo Martel non dipendesse da quello.

Joséphine tirò fuori un pacchetto di Gitanes, gliene offrì una e gliela accese con un Dupont d’oro. «Che ci siamo incontrate sul treno, e che hai esercitato su di me una pessima influenza.» A quelle parole, si fece una risatina. «Che abbiamo giocato a carte e bevuto bourbon per metà della notte. Tutto qui.»

«Hai detto del poliziotto salito sul treno?»

«Oh, sì, anche quello.»

Romy andò a sedersi. Le tremavano le gambe. La cantante prese posto di fronte a lei e si scambiarono un’occhiata circospetta. Romaine gettò uno sguardo alla porta per assicurarsi che fosse chiusa.

«Hai parlato di qualcun altro presente su quel treno?»

L’altra gettò il mozzicone di sigaro sul pavimento e lo schiacciò con un tacco, quindi volse su di lei gli occhi neri. «Qualcuno in particolare?»

«No.»

«Bene. Perché non ho parlato di nessun altro.»

«Merci.» Romaine le rispose in un sussurro, esalando il fumo insieme al sollievo. «Hai chiamato un avvocato per farti tirare fuori?»

«Puoi scommetterci le tue belle chiappette. E se al momento non si sta già scapicollando qui nella sua Voisin Aérosport, giuro che appena arriva in questo puzzolente commissariat lo ammazzo con le mie stesse mani. Allora sì che l’inspecteur avrà un caso vero su cui indagare.»

Romy sentì montare dentro una risata, un raggio di sole nel buio gelido che aveva dentro. Le piaceva quella donna, le piaceva il modo in cui afferrava la vita a piene mani.

«Romaine, mi dici in che casino ti sei ficcata?» La cantante inclinò la testa, supplichevole. «Devi ben sapere cosa sta succedendo.»

«No, ti giuro di no. Stando a ciò che ho capito, cercano qualcuno che è stato in Spagna.»

«Intendi una spia

Allacciarono gli sguardi, a lungo. Alla fine Romy fece spallucce. «Può essere. Tengono tutto segreto. Ci hanno tirate giù dal treno tra una stazione e l’altra per non farlo sapere in giro, ma ti assicuro che è tutto un equivoco. Devi farti tirare fuori, Joséphine. In fretta. Fatti riportare a casa da quel tuo avvocato, torna a Le Vésinet. Non farti coinvolgere.»

«Troppo tardi, tesoro.» La cantante si fece correre una mano sui lucenti capelli neri, corti come il vello di un agnellino e imbrillantinati. Luccicavano come fossero stati verniciati di fresco. «Diavolo, ho bisogno di una doccia. Devo tirarmi via di dosso la puzza di questo postaccio.»

La porta si spalancò. L’ennesimo gendarme in uniforme.

«Romaine Duchamps. Mi segua.»

Romy depose un bacio sulla guancia dell’amica. Era la fine?

A volte capita di guardare nella direzione sbagliata. A volte percorri una strada badando a dove metti i piedi, ed ecco che un camion sbuca da un incrocio e ti centra in pieno. Ecco cosa accadde a Romy quando rientrò nella prima sala interrogatori. Capì che stava guardando nella direzione sbagliata.

«Bonjour, Mademoiselle Duchamps. Ci si rivede.»

«Herr Müller!»

Herr Müller? In quel commissariato di provincia? Quell’uomo era un alto papavero, un rappresentante di Hitler che le si era seduto accanto da Monico e si era informato sui suoi voli. Mi dica, Fräulein, va mai in Spagna? Era ciò che le aveva chiesto allora, e adesso era lì per interrogarla di nuovo.

Le si avvicinò, un falso sorriso di benvenuto sulle labbra sottili, la mano tesa. Gliela strinse come fosse un amico, anziché una persona che era certamente arrivata lì per farle del male. L’uomo trattenne la mano di Romy un po’ troppo a lungo.

Finalmente la lasciò andare. «Prego, si sieda.»

Romaine rimase in piedi, nella stanza mancava l’aria. «Herr Müller, perché mi trattengono? Non ho fatto niente di male, eppure mi trattano come una criminale. Insisto per essere rilasciata immediatamente.»

«Non come una criminale, glielo garantisco, Mademoiselle. È qui solo perché vorremmo farle qualche domanda.» Le indicò la sedia. «Vediamo di comportarci in modo civile. La prego, si accomodi.»

Civile?

D’accordo, vada per il civile. Romaine si sedette. Doveva capire quanto sapeva Herr Müller, in particolare riguardo a Martel. Oh, Martel, stanno interrogando anche te in questo momento? Sono civili, con te?

Herr Müller prese l’altra sedia. Il vestito chiaro era in tinta con i capelli grigi, un alone di autorità lo circondava come fumo di sigaretta. L’uomo le scoccò un’occhiata diffidente, la tensione nell’aria era palpabile.

«Horst Baumeister mi ha riferito che è informatissima sulla legione Condor.»

«Leggo i giornali, tutto qui. Non è illegale. Non in Francia.»

«Mademoiselle Duchamps, a Parigi ci sono alcune persone che stanno cercando di ostacolare i nostri tentativi di…»

«Intende i tentativi della Germania

«Sì, esatto. Stanno cercando di ostacolare i tentativi tedeschi di aiutare la Spagna a liberarsi dalle forze comuniste che hanno preso il potere. È mia convinzione che lei sia una di queste persone. È legata a un gruppo di radicali che sottrae segreti militari tedeschi per passarli ai nostri nemici in Spagna.»

Romy scoppiò a ridere. Come se fosse un’idea talmente assurda da essere ridicola.

Il tedesco però non rise. Sporgendosi sul tavolo, la schiaffeggiò forte su una guancia, un colpo improvviso, lancinante, che le fece volare indietro la testa e le mozzò il fiato. Fu uno shock, e cambiò tutto.

Le normali consuetudini non valevano. Non lì dentro. Non più. Non con Herr Müller. Romy lo capì in quell’istante.

Lo schiaffo la spaventò anche più della pistola che l’altro teneva in una fondina sotto la giacca, e che lei aveva scorto quando si era piegato in avanti. Qualunque cosa stesse succedendo c’era lui al comando, e voleva che le fosse ben chiaro. Gli occhi grigi avevano cessato di fingersi amichevoli, e quel che ne trapelava ora la raggelò fino al midollo. Ma quell’uomo non la conosceva, non si rendeva conto che non era certo tipo da perdersi d’animo quando soffiava vento di tempesta.

«Due giorni fa, è partita dal campo d’aviazione DeFosse a bordo di un velivolo privato.»

«No, si sbaglia.»

Non avevano registrato il volo. Non poteva saperlo. Stava tirando a indovinare. Di sicuro stava tirando a indovinare. Romaine balzò in piedi, corse alla porta e la spalancò. Di fuori, un poliziotto le sbarrò la strada.

«Chiuda la porta, Mademoiselle» intimò Müller.

Romy ubbidì.

«Ora, parliamo della persona che ha portato con sé su quell’aereo. Come si chiama?»

«Ho viaggiato in treno, ed ero sola.»

«Non voglio sentirla mentire.»

«Herr Müller, questa è la Francia, non la Germania. Lei qui non ha alcuna autorità.»

L’altro si srotolò dalla sedia come un serpente e le fu vicino in un lampo. Romy si preparò a un altro schiaffo, ma non arrivò.

«Non lo creda neppure per un istante, Mademoiselle. Se mi va, posso farla mettere su un aereo diretto a Berlino questa sera stessa. Lo tenga bene a mente. Ora si sieda e vediamo di parlare del suo compagno di viaggio. Nel frattempo, chiederò all’inspecteur Chardin di portarci un caffè.»

Romaine tornò al suo posto, i pensieri che sfrecciavano convulsi lungo sentieri burrascosi. Le avrebbe fatto avere del caffè, ma era evidente che non aveva alcuna intenzione di farla rilasciare. Era altrettanto evidente che non sapeva chi fosse il suo compagno di viaggio. Era l’unico barlume di luce in quella nera galleria, purché Joséphine Baker non dicesse nulla. In ogni caso, anche con lei Romy era stata bene attenta a non fare mai il nome di Martel.

«Ho deciso di fare un patto con lei» gli annunciò.

«Io non faccio patti.» Però le sorrise, un sorriso glaciale e spento. «Cos’ha in mente?»

«Ecco qui. Lei mi dice come faceva a sapere che mi trovavo nel Sud della Francia e sul Treno azzurro, e in cambio io scoprirò per voi tutto il possibile su quelli che state cercando a Parigi.»

Romy pensò alla pistola nella fondina di Herr Müller e ai fori di proiettile sulle fronti di François e Grégory.

«Doppio gioco?»

«Esatto.»

«E perché lo farebbe, Mademoiselle?»

«In cambio di tanti bei soldoni. E perché non voglio finire in uno scantinato di Berlino con un altro come lei.»

Questa non gli piacque. Una sequela di invettive tedesche gli si riversò dalle labbra, parole aspre, arrabbiate, del tutto incomprensibili per Romaine. Eppure, una venne intercettata. Una frase. Si inerpicò tra gli strati del suo panico e si sedimentò in un macigno di dolore.

«Ich möchte mich nicht streiten

L’aveva già sentita. Ma dove? Il macigno si sciolse in un’ondata di tristezza travolgente, ma perché? Non capiva. Eppure l’eco rimase, tanto forte da ridurre al silenzio tutto il resto mentre le riverberava in testa. Solo quelle poche parole. Ich möchte mich nicht streiten. Le lasciarono le gambe di gelatina.

«Mademoiselle Duchamps?»

Romy sbatté le palpebre. Gli occhi inquisitori di Herr Müller la fissavano in attesa di una risposta. Si era persa qualcosa.

«Scusi?»

«Ho chiesto come faccio ad avere la certezza di potermi fidare di lei.»

«Non può. Deve accontentarsi della mia parola…»

La porta si spalancò e l’ispettore Chardin entrò con due tazzine di caffè. Con un cenno, Herr Müller indicò il tavolo. Era abbastanza chiaro chi fosse al comando, eppure Romy non riusciva a capacitarsene. Com’era possibile che un tedesco dettasse legge in una stazione di polizia francese? Si stava protendendo ad afferrare una tazzina, quando una voce femminile si librò insinuandosi nella stanzetta.

«Romaine, ma chérie, è ora di andare.»

Joséphine Baker veleggiò dentro con passo fluido in compagnia di un ometto magro dal viso preoccupato – il legale, presumibilmente – e si fermò con le mani sui fianchi snelli, osservando la scena. Lentamente un sorriso scarlatto le si allargò sul volto.

«Bene, bene, guarda chi abbiamo qui.»

Riconoscendo immediatamente la famosa cantante, Herr Müller balzò in piedi e si esibì in un cortese inchino alla tedesca. «Madame Baker, Gustav Müller al suo servizio. È un piacere immenso conoscerla, seppure in circostanze tanto sfortunate.»

Joséphine porse la mano con tutta la maestosità di una sovrana e lui vi si chinò sopra con un rapido battere di tacchi. «Spero che abbia intrattenuto piacevolmente la mia giovane amica, Romaine.» Senza attendere risposta, rivolse tutta la luminosità del suo sorriso all’inspecteur. «E Xavier, tesoro caro, non sapevo che lavorassi qui. L’ultima volta che ti ho visto non eri così elegante, ricordo bene? Quella festa, a Neuilly.» Sgranando gli occhioni neri, la donna esalò una risatina tutta malizia.

Oh, l’inspecteur ricordava. Eccome se ricordava. Romy lo vide sbiancare, le labbra che si facevano cineree. Sembrava lì lì per svenire.

Joséphine gli rivolse un sorriso smagliante. «Come sta tua moglie?»

«Benissimo, grazie.»

«Ottimo. E vogliamo che continui così, vero? Non vogliamo certo infastidirla con la cronaca di quel fatterello che ti è occorso, hai presente? Quando sei finito a nuotare in piscina con due quindicenni nude che ti hanno dipinto d’oro i testicoli?»

A Romy sfuggì un accenno di risata. Alzandosi, prese la cantante a braccetto. «Allora, possiamo andare?»

«No, Madame Baker.» La voce di Herr Müller era secca. «Mi permetto di insistere. Mademoiselle Duchamps deve restare qui, con me.»

Lo sguardo di Joséphine indugiò sulla guancia arrossata della ragazza. «Gustav, Gustav, cos’hai fatto alla mia amica? Voglio sperare che non abbiate avuto un diverbio.» Lo guardò con fare angelico. «Prenditela con Xavier Chardin, piuttosto, mentre dibattete se la signorina può andare o deve restare. Intanto direi che possiamo salutarci, che dici?» tagliò corto soffiandogli un bacio. «Au revoir

L’ispettore agitò una mano tremante di panico. «Andate. Entrambe. Fuori di qui. Allez-vous-en