28

Romy entrò in stazione a tutta velocità. Era un tentativo un po’ azzardato. Parecchio azzardato. Ma non aveva altro. I pennacchi di vapore esalati dai treni mastodontici saturavano l’aria tingendola di grigio e lasciando sulla pelle granelli di fuliggine simili alle macchie che si vedono sul guscio delle uova degli uccelli. La banchina era gremita di viaggiatori e bagagli che seguitavano a sbattere sugli stinchi, facchini urlanti e donne alle prese con cappellini estivi che minacciavano la fuga. Tutti quanti sembravano avere uno scopo, esattamente come lei, ma Romaine nemmeno se ne rendeva conto.

I suoi occhi scandagliarono la folla esaminando ogni schiena ampia, ogni camicia scura, ogni testa che svettava tra le altre. Nessuna apparteneva all’unica persona che stava cercando. Un tentativo azzardato. Non sarebbe approdato a niente. Un treno eruttò una nuvola di fumo che parve depositarsi nella sua testa, confondendo i suoi pensieri.

Martel? Ti sei scordato di me?

Sei sceso dal Treno azzurro qui a Parigi e ti sei dileguato in un vicolo senza guardarti indietro?

O ti stanno trattenendo in una sala interrogatori da qualche parte? Herr Müller ti sta tempestando di domande? O peggio?

«Martel.»

Sussurrò il nome ad alta voce, quasi che in quel modo potesse farlo materializzare, ma non servì a liberarla dal dolore che aveva in cuore. Si affrettò verso il punto in cui era situato il ristorante Le Train Bleu, al piano di sopra, più in alto del trambusto della stazione. Era il massimo del lusso, un locale opulento per viaggiatori danarosi. Vi si accedeva tramite un’elegante scalinata dall’elaborato corrimano ricurvo in ferro battuto.

Non erano stati il ristorante o gli sfarzosi lampadari a catturare il suo sguardo, però. Era stata una figura nera. In un angolo buio, sotto la scalinata.

Romy cominciò a correre.

La vide arrivare. Gettò la sigaretta e spalancò le lunghe braccia, e lei ci volò. Non con grazia e decoro, ma a rotta di collo. Si lanciò sull’ampio petto di Martel con un urlo di gioia e l’impeto del suo salto per poco non li fece ruzzolare a terra.

Si ritrovò sollevata a mezz’aria e schiacciata contro le sue costole con una forza tale da farle temere per le proprie, di ossa. Sbuffando come un mantice, gli si avvinghiò al collo e lo strinse in una morsa ferrea.

«Eri sparito. Non riuscivo a trovarti. Non so dove vivi, perciò sono andata al campo d’aviazione. Prima ho controllato alla polizia. Non c’eri.» Appoggiò la guancia rovente alla sua. «Allora ho pensato di venire qui.»

Martel strofinò la faccia contro quella di Romy, la barba ispida, rassicurante. «Ho aspettato. E aspettato. Controllato ogni cavolo di treno in arrivo dal Sud. Aspettato, Romaine, e imprecato.»

«Pensavo fossi morto» gli esalò contro la pelle.

Erano sottoterra. Martel l’aveva portata in un altro rifugio sicuro. Questa volta nei pressi della Senna, un appartamento seminterrato che odorava del fiume, quasi che le sue acque grigie mulinassero direttamente sotto i loro piedi. Seduto in poltrona, l’uomo non le levava gli occhi di dosso mentre lei camminava su e giù come un animale in gabbia.

«Non voglio che ti avvicini neanche di striscio a Horst Baumeister.»

«Ma quell’uomo potrebbe tornarci utile» obiettò Romy. «Potremmo salvare delle vite.»

«Per favore, Romaine.» Martel non mollava. «Stagli lontana. Vuoi venire schiaffeggiata da un altro tedesco?»

«Horst non è come Müller.»

«È pur sempre pericoloso. Mi terrorizza l’idea che il vostro rapporto diventi troppo amichevole.»

Troppo amichevole. Sapevano entrambi cosa intendeva.

«Horst ha accesso a informazioni segrete che potremmo sfruttare.»

«Informazioni che potrebbero salvare la vita di qualcun altro, certo, ma a che mi serviranno se mi faranno perdere te?»

Martel tacque di colpo ma le sue parole già le erano scivolate dentro lasciandola arenata in mezzo alla stanza, incapace di muoversi mentre continuava a sentirle vibrare nelle orecchie.

«No, Martel. Non parlare così.»

«È quello che penso.»

«No. Tu non lo sai chi sono, non davvero.»

«Certo che lo so.» L’altro si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia, gli occhi grigi fissi in quelli di Romy. «So che sei una spina nel fianco, votata all’autodistruzione. Il miglior cazzo di pilota che conosca, con il coraggio di un’intera squadriglia. Con un cuore generoso e una gran determinazione ad annegarti in una bottiglia. Non so cosa diavolo ti sia successo in passato, Romaine, o cosa ti porti a respingere chiunque cerchi di avvicinarsi a te. Ma so che è ora che la lasci andare, qualunque cosa sia. E comunque, per farla breve» aggiunse raddrizzandosi e scoppiando in una risata profonda «Romaine, non sono disposto a barattarti con dei documenti ultrariservati, grazie tante.»

Fu la risata a farla sciogliere. Si abbatté dritta sulle sue difese. Romy le sentì crollare, sentì gli spigoli vivi delle macerie che la laceravano facendola sanguinare. Martel l’aveva portata lì e lei gli aveva raccontato dell’interrogatorio di Herr Müller, ma nessuno dei due aveva fatto menzione di quell’istante così puro alla stazione. L’istante in cui si erano fusi in quell’abbraccio. L’uno nell’altra.

Romy non ce la faceva a parlare di documenti e segreti tedeschi. Non in quel momento. Si avvicinò alla poltrona e sedette sul bracciolo. Prese tra le mani quel viso preoccupato e lo studiò fino a farlo suo, lo sguardo che indugiava sull’arco descritto dalle ciglia folte, sugli zigomi forti e prominenti, sul triangolo volitivo del mento. E sulla curva del naso, troppo elegante per quel volto, con la cicatrice su un lato che ricordava la spirale di una conchiglia. Era tutto tanto familiare, eppure non l’aveva mai sfiorato prima, non aveva mai permesso alle sue dita di accarezzargli la guancia come in quel momento. Ma fu la bocca a spazzare via ogni sua esitazione. Carnosa, sensuale, scolpita. Le si avvicinò piano e la baciò.

Le labbra di Martel sapevano di miele e vino estivo e forti sigarette turche. Il desiderio le scoccò dentro accendendola, la mano di Romy scivolò lungo i tendini tesi della gola, ma… Le labbra di lui non reagivano. Prive di vita, apatiche sotto le sue.

La testa di Romaine scattò indietro. Era confusa.

«Non lo vuoi?»

«No, Romaine. No.»

In un lampo, Romy balzò giù dal bracciolo.

«Chiedo scusa. Avevo frainteso.»

«Già. Proprio così.»

Le bruciavano perfino le orecchie. Romaine gli voltava le spalle, gli occhi sulla finestrella incastonata in alto nella parete del seminterrato. Tutto ciò che vedeva di fuori erano piedi che passavano veloci, perché il mondo esterno non si fermava, nonostante il suo, lì dentro, si fosse bloccato di colpo. Si sentiva ferita, e si vergognava.

Eppure. Alla stazione, Léo Martel l’aveva stretta a sé come se stesse cercando di saldarla al suo cuore. Romy ricordava la pressione di quelle labbra sui capelli. Conosceva gli uomini, ne aveva conosciuti più di quanti le andasse di rammentare, e sapeva al di là di ogni dubbio che, in quel momento privo di filtri alla Gare de Lyon, quest’uomo l’aveva desiderata con tutta l’anima.

Romy si voltò di scatto. Sorpresa, se lo ritrovò vicinissimo, alto e vigile alle sue spalle.

«Non ho frainteso, vero?»

Nella luce smorzata del pomeriggio gli occhi di lui avevano il colore del peltro antico ed erano socchiusi a studiarla attentamente, ma il sorriso si aprì pigro, lento.

«No, Romaine. Non hai frainteso. È raro che tu mi fraintenda.»

«Martel. Cosa c’è? Cosa non va?»

«Guardati, Romaine. Sei una donna giovane e meravigliosa, tanto coraggiosa e capace quanto bella. E adesso guarda me. Ho dieci anni più di te, una gamba talmente malmessa che mi ci vogliono dieci minuti per arrampicarmi nell’abitacolo di un aereo e, quando arriverà la guerra – perché non facciamoci illusioni, arriverà – è molto probabile che ci lasci le penne, perché anche se non mi riterranno adatto a prestare servizio in Aeronautica, io andrò comunque a combattere con la Resistenza quando i tedeschi ci invaderanno. Ecco, Romaine.» Martel allargò le manone in un gesto di resa. «Ecco cosa non va. Tutto, non va.»

Romy mosse un passo avanti, e questa volta non gli lasciò l’occasione di scappare. Gli agganciò un bottone della camicia con un dito e gli scoccò un’occhiata in grado di incenerirlo.

«Non sono le tue doti di camminatore a interessarmi, Martel.»

Lui scoppiò a ridere, e di nuovo fu la risata a sciogliere anche l’ultimo indugio di Romaine. Infilato il dito nell’apertura della camicia, gli sfiorò la pelle. Era calda. Se lo attirò più vicino.

«E per quanto concerne la guerra imminente, ti garantisco che sarò al tuo fianco, a lanciare granate. Perciò moriremo insieme.»

«Non ti lascio morire.»

«Tu guarda le mie spalle, io guarderò le tue.»

«Affare fatto.»

Romy gli slacciò il bottone. «Anche se, al momento, preferirei guardare altre parti di te.»

«Ricordo la prima volta che sei venuta nel mio ufficio in cerca di lavoro» disse lui, sorprendendola. «Quattro anni fa. Uno scricciolo, in una tuta troppo grande per te. Tutta aculei biondi e strafottenza. Pronta a prendertela con chiunque avesse la sfacciataggine di negarti qualcosa solo perché eri una ragazza con un grande sogno. In compenso, godevi un sacco a provocare il prossimo. Tutti, tranne i piloti. Hai sempre mostrato rispetto per gli altri piloti, e hai sempre accettato di imparare da loro, lo volevi proprio.» Sorrise. «Adesso sono loro a imparare da te.»

«Davvero te lo ricordi?»

«Già.»

«Tu mi facevi paura» gli confessò.

«Ottimo. Avrei voluto spellarti viva per quello che facevi nei primi tempi. Cocciuta come un mulo e decisa a fare le cose a modo tuo.» Scoppiò di nuovo a ridere, ma questa volta era una risata tenera, indulgente. «Mi sono innamorato di te quel primo giorno.»

Il cuore le si fermò. Ricordava il colloquio. Un giorno di pioggia e Martel, l’unico disposto a correre il rischio con lei, una donna pilota alle prime armi. Ma quella parola. Amore? La spaventò più di una nube temporalesca che le precipitava incontro mentre volava.

«Chi ti ama si aspetta delle cose da te» mormorò.

Martel la prese tra le braccia. «Tutto ciò che mi aspetto è che tu sia te stessa.»

Le labbra dell’uomo scesero sulle sue. Non assomigliava per niente a un primo bacio. Non era esitante. Non era bramoso. Non era come se volesse solo godere di lei, soddisfare il suo personale desiderio. Romy aveva ricevuto migliaia di baci in passato, molti da uomini che conosceva appena, ma nessuno come questo. Questo era colmo del tipo di calore e passione che si sarebbe aspettata da un uomo come Martel, ma era anche di più. Molto di più. Era un bacio così pieno d’amore che la cambiò.

La lacerò. E la incendiò. È questo ciò che fa l’amore? Ti fa a pezzi per poi rimetterti insieme in una forma che tu per primo non riconosci? E ti lascia senza scampo, e senza difese. Romy si ritrovò in preda alle vertigini, esposta. L’amore le fece desiderare di aprire la sua anima a quell’uomo, e comprenderlo la terrorizzò.

Aveva lavorato con Léo Martel per quattro anni e, malgrado l’indole scontrosa e il rigore assoluto quando si trattava di fornire un servizio di prima qualità ai clienti che gli si rivolgevano, era la persona più gentile che conoscesse. E la sua dedizione alla causa della libertà era incondizionata. Più e più volte Romaine l’aveva visto dare prova di coraggio e lealtà. E poi c’era stato quel momento sulla polverosa strada spagnola, quell’istante rubato in cui aveva imbrogliato la Morte rischiando la vita per lei. Le sue braccia non riuscivano a stargli lontane, gli si avvinghiarono al collo, le mani si tuffarono tra i folti capelli scuri, vi si seppellirono come se avessero deciso di non uscirne più. Romaine sentì il proprio corpo liquefarsi contro quello di lui. Ne percepì il battito, forte e regolare.

«Perché adesso? Dopo quattro anni, perché adesso?» Glielo sussurrò.

Martel tirò indietro la testa per guardarla, le fece correre le labbra sulla fronte. «Perché su quel treno ho creduto di averti persa per sempre. Che le nostre ore insieme fossero…» La voce gli venne meno, il suo respiro le arroventò la pelle. «È cambiato tutto» concluse lui.

Le baciò la gola, e poi la lingua scese ad aprire solchi nelle curve della clavicola, strappandole un gemito. «Ma prima che tu ti levi di dosso quel vestito orrendo, devo andare a una riunione.»

«Cosa?»

«È un pezzo che non dormi. Adesso vai a letto e riposati. Tornerò in un battibale…»

Sciogliendosi dall’abbraccio Romaine lo guardò accigliata. «Che riunione?»

«Con quel che rimane della nostra cellula. Jerome, Diane, Manu. Più un paio di persone nuove che ho reclutato per sostituire i poveri François e Grégory.»

«Vengo anch’io.»

Martel esalò un sospiro. «No.»

Sapevano entrambi che l’avrebbe avuta vinta lei.