31

Romy riguadagnò la strada per la casa sicura solo a mezzanotte. Arrivò sulla riva della Senna con una bottiglia di whisky in mano. Era semivuota, eppure Romaine si sentiva perfettamente – e disgustosamente – sobria. Nel buio, le luci della città baluginavano sul nero abisso del fiume, e per una frazione di secondo fu tentata. Un passetto. Rapido. Sarebbe bastato quello. Un addio facile.

Si massaggiò forte il petto con un pugno. Un blocco di ghiaccio le si era addensato appena dietro lo sterno. Almeno, quella era la sensazione, a dispetto del sangue che le correva nelle vene come fuoco e che, insieme al whisky, avrebbe dovuto scioglierlo da un pezzo.

A terrorizzarla era il fatto di non conoscersi. Di non avere previsto che lei, Romaine Duchamps, sarebbe stata capace di uccidere ancora. Si sarebbe potuta fermare. Dopo avere percosso lo stupratore con la prima bottiglia, nell’istante in cui aveva visto il cranio aprirsi e il sangue inzuppargli i capelli come vernice rossa, si sarebbe potuta fermare. Ma non l’aveva fatto. L’aveva colpito ancora. Giusto per essere sicura.

Essere sicura.

Sicura di cosa? Che fosse morto? C’era una parte di lei a cui piaceva uccidere?

«No.» Lo disse alla brezza notturna che increspava le foglie cadute nella canaletta di scolo. «È stato per salvare Florence.»

Ucciderei chiunque, per lei.

«Cosa diavolo è successo?»

Martel la strinse tra le braccia nel momento stesso in cui le aprì la porta. Aveva il viso teso da ore di preoccupazione, ore di rabbia divorante, ma gli bastò guardarla per vedere svanire tutta l’ira.

«Cos’hai fatto?»

L’uomo odorava di sapone. Romaine gli abbandonò la testa sulla spalla e sentì la sua mano forte in mezzo alla schiena, la sosteneva puntellandola contro di sé, come temesse di vederla crollare. Ma lei non aveva alcuna intenzione di crollare.

«Martel.» Pronunciò il suo nome a voce alta. In fretta, il tono brusco. Bastò quello. Per comunicargli che non sarebbe crollata. «Ho fatto una cosa orribile.»

«E sarebbe? Puoi dirmelo, Romaine. Non mi metterò a urlare terrorizzato né scapperò, se è questo che temi.»

«Ho ucciso un uomo.»

Prendendola per le braccia, la scostò abbastanza da studiarle il viso nel bagliore giallastro dell’unica lampadina che penzolava dal soffitto. Qualunque cosa vide, non lo fece urlare. Non lo fece scappare. Non sembrava neppure scioccato, quasi sapesse da sempre che dentro di lei era annidata quella possibilità. Al contrario, fece un cenno d’assenso e le regalò un sorriso.

«Se hai ammazzato un uomo, Romaine, sono sicuro che il bastardo se lo meritava.»

Martel la nutrì. Formaggio puzzolente e baguette crostosa. Dolci e scivolose fettine di pesca e melone cantalupo. Le versò un bicchiere di vino rosso e la guardò bere, e quando ebbe finito le levò quel sacco lurido che era diventato il suo vestito e la portò a letto.

Romy si era aspettata le cicatrici. Ovvio che sì. Sapeva dell’incidente di volo in cui per poco non aveva perso la vita, ma non era preparata a vederne così tante. Pallide come argentee bave di lumaca, gli serpeggiavano sul fianco e strisciavano tra i peli scuri sui muscoli del torace possente, sottolineando le costole a una a una. Quelle sulla coscia, però, avevano il colore delle susine troppo mature, violento e brutale. Vederle fece crollare anche l’ultimo baluardo di Romy, quello che aveva creduto inespugnabile.

Chinando il capo, seguì con la lingua la serica scia di ogni cicatrice. Centimetro per centimetro, leccò via il suo dolore. Léo sapeva di buono. Di sale e forza e caparbietà. Lo sentì gemere. Un tremito lo scosse e le mani di Martel si protesero a cercarla, il desiderio che gli rendeva gli occhi scuri come il peccato. La bocca scese decisa sulla sua facendola sussultare per il piacere, spingendola a inarcarsi contro di lui, a esigere tutto.

Non ci furono domande. Nessun come. Nessun perché. Nessun e dopo, tra loro. Avevano semplicemente bisogno l’uno dell’altra. I corpi tanto famelici da fare male. Le dita accarezzarono e strinsero, le labbra esplorarono recessi segreti, toccando e stuzzicando, finché i corpi si portarono a vicenda al limitare della petite mort. La mano di Martel le accarezzò il seno con una tenerezza immensa, eppure in lui c’era anche un furore che Romy non aveva mai sospettato. Un che di indomito, selvaggio. Le lacerò il cuore.

Quello era il pilota acrobatico. Non l’uomo d’affari. Era lo spericolato Léo Martel che si struggeva per il desiderio di tornare a sfrecciare in cielo come un pazzo, a far volare un aereo a testa in giù attraverso l’Arc de Triomphe all’alba. Allacciati, loro sì volarono in alto e veloci, pulsanti di un’energia e una completezza che Romaine non aveva conosciuto con nessun altro uomo. Quando alla fine crollarono insieme, attraversato un tunnel di fuoco, erano madidi di sudore, braccia e gambe intrecciate, tremanti.

Romaine gli appoggiò la guancia al torace per ascoltare il rombo del suo cuore. Quel suono e il calore di Léo divennero parte di lei.

Romy si svegliò. Si era addormentata? Com’era possibile? Dopo avere fatto sesso con qualunque uomo, il suo istinto era sempre la fuga. Via, il più lontano e il più in fretta possibile. Eppure eccola lì, rannicchiata nell’incavo del braccio di Martel, a respirare il suo respiro, nelle narici l’odore della sua pelle, la testa abbandonata sul granito della sua spalla, soddisfatta come un gatto al sole.

Non ce la faceva a privarsi di quell’istante di beatitudine, e allora decise di concedersi un tuffo nell’autoinganno consapevole. Non esisteva niente al di fuori di quelle quattro pareti. In tutta Parigi c’erano solo lei e Martel, nessun altro. Nessuna stanzetta nel sottotetto, nessuna bottiglia di whisky vuota sotto il letto, nessun che-sia-maledetto-per-l’eternità intruso dall’accento tedesco e dai capelli prima biondi e ora color bistecca cruda. Nessun cecchino appostato dietro gli alberi e pronto a ficcare loro un proiettile in testa se avessero deciso di fare una passeggiata sui lungosenna e nei vicoli acciottolati del quartiere, come una normale coppia di innamorati. L’avrebbe portato a vogare sul fiume, da bambina ci andava sempre, con Florence. E sarebbe scoppiata a ridere quando lui avesse perso il remo e fosse stato costretto a spogliarsi parzialmente per tuffarsi a recup…

«Romaine.»

Si strappò a fatica dal dormiveglia. Léo le stava sfiorando una guancia, lievi carezze gentili che la distrassero.

«Raccontami cosa è successo.»

E così gliene parlò. Gli descrisse ogni singolo, lurido istante di ciò che era accaduto in quella minuscola stanza soffocante. Non gli tacque nessun dettaglio. Non glissò sul numero di bottiglie vuote sotto il letto, o sul rumore dell’osso che si sfracellava quando il secondo colpo si era abbattuto sul cranio. Fu come incidere una pustola. Il veleno colò fuori. La suppurazione cessò.

«Dobbiamo rimuovere il cadavere. Subito.»

«Non dovresti dirmi che ho sbagliato? Che dovrei andare immediatamente alla polizia?»

«Oh, Romaine, avrei fatto esattamente la stessa cosa, senza pensarci un secondo, per salvare la persona che amo.»

Lo sguardo di Martel si fissò su di lei, era chiaro di chi stava parlando.

Romy scosse il capo. «Comunque non serve che andiamo a portare via il cadavere. Mia sorella ha detto che chiederà al marito di occuparsene. A quanto pare, il nostro governo ha “lavandai” professionisti impiegati apposta per ripulire i suoi casini.»

«In effetti ha senso. Andrò comunque a dare un’occhiata, per sicurezza.»

«Ma chi era quell’uomo? Perché era nella mia stanza?» Il cuore le batteva all’impazzata. «È stata un’aggressione casuale o c’è qualche collegamento con…?»

«Romy, stai calma.» Era la prima volta che la chiamava così. Martel le fece correre gentilmente il pollice lungo la pallida curva della gola, e Romaine ricordò i segni della violenza sul collo della sorella. «Purtroppo, temo che fosse lì proprio per aggredire te» aggiunse Léo. «Ha solo trovato la sorella sbagliata.»

La scrutò con occhi seri, osservando la sua reazione. Le depose un bacio sulla tempia, vi lasciò indugiare le labbra, e Romaine sentì che il calore di quelle labbra placava il pulsare accelerato del suo cuore. «Ma lo sospettavi già, vero?»

«Ritieni possibile che fosse lui Cupido, quello che sta cercando di annientare tutte le nostre cellule? Avevi detto che gira voce che sia tedesco.»

Martel esalò un gemito frustrato. «È possibile. Al punto in cui siamo, tutto è possibile.»

No, non voglio questo. Il tedesco a letto con loro. In un unico movimento fluido, Romaine rotolò sopra Martel e si allungò su di lui, bacino contro bacino, il viso che gli sorrideva, le labbra a un soffio dalle sue.

«Parlami di te, Léo Martel. A che età hai iniziato a volare? Com’era fare il pilota acrobatico? Dove prendi i tuoi aerei?»

Le sorrise di rimando, con gli occhi. «Sei bellissima, Romy. Ogni millimetro di te, dentro e fuori. Persino la cicatrice che hai sotto il mento è una mezzaluna perfetta, lo sapevi?»

«Non cambiare argomento.»

«Non hai idea di quanto sei adorabile.»

Gli mordicchiò la punta del naso con i denti. «Smettila. Rispondimi. Qual è stato il tuo primo aereo?»

Le baciò l’incavo della clavicola. «Un biplano Caudron G.3.»

«Sul serio? Quel pezzo di anticaglia? Stavano insieme a suon di spago e preghiere.»

Lui scoppiò a ridere, e la vibrazione la rimescolò tutta. «Parlami della tua famiglia. Altri come te, a casa?»

«Preferirei parlare di te.»

«Martel!»

«Chiamami Léo.» Le parole uscirono lentamente, come fosse un invito che formulava di rado.

Gli baciò la bocca, sapeva di vino. «Léo, non nasconderti da me.»

Lo sguardo gli si addolcì, e finalmente cominciò a parlare. Alcune parti uscirono con facilità. Altre dovette strappargliele, un filo alla volta. Léo, una matassa da dipanare.

Era cresciuto a Tolosa. I genitori avevano una tipografia e lavoravano moltissimo, in pratica Léo e il fratello – Charles – erano cresciuti da soli.

«Eravamo scatenati» ricordò lui ridendo. «Ci cacciavamo di continuo nei guai, e a un certo punto ci appassionammo entrambi al volo. Adoravamo quei primi trabiccoli, e i coraggiosi che li portavano in cielo. Soprattutto quel pioniere che è stato Louis Blériot.»

A diciott’anni, Martel aveva venduto la vecchia Renault 40 CV del padre, che languiva inutilizzata nel garage, e aveva usato i proventi per pagare le lezioni di volo per sé e il fratello. A un certo punto era andato in California a fare il pilota acrobatico a Hollywood. Gli occhi gli si illuminarono mentre ricordava i parossismi di eccitazione sperimentati lavorando in Ali con Gary Cooper. Era un piacere vederlo così vivo. Come se dentro gli ardesse un fuoco. E poi si era dato alle gare, viaggiando per tutta l’America. Romy ebbe un brivido. Prendere parte a quelle competizioni era un modo pericolosissimo di guadagnarsi da vivere. Tanto valeva suicidarsi direttamente. Sotto di sé, sentiva il cuore di Léo rombargli in petto come un motore a elica.

«E poi è arrivato il 1933» continuò Martel, e la luce dentro lui si spense. «Ed è cambiato tutto. Il mondo è precipitato con l’ascesa di Hitler al potere. In qualità di cancelliere del Terzo Reich, ha cominciato subito ad allestire campi di concentramento per ebrei e altre “persone sgradite”. Per me, è stata la molla. Sono tornato a casa. Per aiutare a proteggere la Francia.»

Romy gli baciò il mento, la barba che le pizzicava la lingua. «Dunque è per questo che Hitler e i suoi nazisti non hanno osato attaccare la Francia, all’epoca.»

Lui scoppiò a ridere, ma era una risata amara. «I miei genitori hanno sbaraccato, trasferendosi a Detroit. E mio fratello è andato in Inghilterra.»

D’un tratto Romaine percepì distintamente l’immensa solitudine dell’uomo che aveva davanti.

Martel le prese la mano e premette le labbra sul palmo. «E adesso eccomi qui. Ho tirato in piedi questo servizio di corriere aereo, e lo stesso ha fatto mio fratello all’aeroporto di Croydon, a sud di Londra.»

«Dunque è lui quello che ti manda gli aerei dall’Inghilterra. Immagino siano suoi i Tiger Moth.»

«Esatto. Nel giro di poco tempo mi sono legato ai gruppi clandestini di resistenza qui a Parigi. E poi ho assunto te, e dopo ancora ti ho fatto entrare nel movimento.» Fece una risatina mentre le accarezzava la curva delle natiche, su e giù. «Devo essere ammattito.»

«Hai saltato un pezzo.»

«Quale?»

«L’incidente.»

«Oh, quello.» Fece spallucce, per quanto gli era possibile con lei sopra. «Un imbecille ha deciso di parcheggiare il suo aereo proprio sopra di me. Comunque sono qui a raccontarla. Fine. Il resto lo sai.»

Romy rotolò giù e si accosciò sul letto, senza toccarlo, le mani sotto le ginocchia.

«Léo, hai mai ucciso qualcuno?»

Martel non rispondeva. Rimase immobile per un minuto buono, allungato sulla schiena, nudo, indifeso. Le cicatrici scintillavano come squame alla luce della lampadina.

La ragazza ripeté la domanda. «Hai mai ucciso qualcuno?»

Léo si tirò su e le si inginocchiò di fronte, una presenza imponente. «Sì, l’ho fatto.»

La colse di sorpresa. «Più di uno?»

«Sì.»

«Pensi a queste persone? Vedi le loro facce?»

«No.»

Era vero? O stava mentendo? Per mitigare il suo senso di colpa. Come si mente a un bambino.

Gli aprì il cuore. «Avevo già ucciso un uomo. Otto anni fa.» Le parole parvero soffocarla, smisurate nella sua bocca. «Era mio padre.»

Martel si protese ad afferrarle i polsi, attendendo in silenzio che dicesse quel che aveva da dire.

«Non so perché l’ho fatto. Era successo qualcosa…» Si impose di ricacciare indietro l’immagine che le si stava formando nella mente, un fermacarte piramidale in ottone. «E all’epoca avevo avuto una commozione cerebrale, per cui non riesco a rammentare l’accaduto. Il ricordo è svanito.»

Fece per liberare i polsi, ma lui la teneva stretta.

«Almeno, fino a ora. In compagnia dei tedeschi – Herr Müller e Horst Baumeister – ho avuto dei lampi improvvisi. Ho visto cose. Sentito cose. Cose accadute quel giorno.»

«Merde! Dunque è questo ciò da cui stai fuggendo.»

«Già.» Romaine non fece parola di Karim Abed, o della lama trapezoidale di metallo che pesa quaranta chili e raggiunge la meta in un settantesimo di secondo.

«Perciò capisci perché domani sera devo andare a cena con Horst Baumeister?»

«Certo, capisco.»

Eppure non aveva la faccia di uno che capisce. Aveva la faccia di uno che soffre.

«Non che pensi che sappiano qualcosa di quell’episodio, figuriamoci, ma proprio non riesco a levarmi il tarlo dalla testa. Ho bisogno di scoprire la verità.»

Martel le lasciò un polso e si premette le nocche contro la fronte, quasi a riordinare i pensieri con la forza, la bocca uno squarcio brutale sul viso.

«Se vai, ti darò una pistola.»

Romy si concesse un sorriso amaro. «No, Léo. Ritengo che due omicidi siano più che sufficienti per chiunque.»