Voglio bene a mia sorella.
Solo ora capisco fino in fondo quanto è vero.
È l’unico vantaggio dell’essere rinchiusa tutta sola ora dopo ora dopo ora. La mente ti si schiarisce. I fronzoli cadono a terra. Le spesse linee scure della verità salgono in primo piano.
Quelle linee sono l’impalcatura della vita. Sono fatte di amore. E odio.
Amore per qualcuno. Per una causa. Per la giustizia. Per se stessi.
Odio per qualcuno. Per una causa. Per la giustizia. Per se stessi.
Per anni sono stata convinta di odiare mia sorella. Mi sbagliavo. Era parte dei fronzoli. Una volta – Chloé era un fagottino di sorrisi dorati e la tenevo tra le braccia, la cullavo, le annusavo la pelle, le sfioravo l’orecchio con la punta della lingua, le mostravo un’ape che ronzava dall’altro lato della finestra – è arrivata Romaine. Ubriaca fradicia. Ha cercato di sottrarmi la bimba. Di rubarmi il mio amore. Ma Roland era lì. L’ha buttata fuori.
All’epoca l’ho odiata per questo episodio. Adesso però mi rendo conto che era disperata, immersa fino al collo nei suoi fronzoli personali, ci affogava, incapace di vedere le righe. Ha cercato di rubarmi il mio amore perché non ne aveva uno suo, nemmeno quello per se stessa. Soprattutto non quello per se stessa.
Ho gli occhi chiusi. Nel buio vedo il viso pallido di mia sorella al processo. Una ragazzina di diciassette anni la cui impalcatura crolla giorno dopo giorno finché diventa qualcuno che non conosco. Quel giorno, nello studio, insieme a mio padre ho perso mia sorella.
È a causa sua che mi trovo qui. Isolata. Sola. Con la paura che mi pesa sul cuore come un macigno.
Eppure voglio bene a mia sorella.