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Florence

Questo non sarebbe dovuto accadere.

Siamo una l’immagine speculare dell’altra. Le bocche si spalancano. Gli occhi si annebbiano per il trauma. Tento di chiudere la porta in faccia a mia sorella, ma è troppo veloce per me. Lascia il suo uomo di fuori, spalanca ed entra. Romaine mi ha trovata.

Recupero il kimono di seta dal letto e lo infilo, mi ci avviluppo. È la mia armatura. Lei indossa un mio vestito, uno dei miei preferiti, e le sta così bene che per la prima volta mi domando se Roland la desideri quando la vede così. Più di quanto desideri me. Romy mi si piazza di fronte, e non saprei dire se è rabbia o perplessità quella che le impedisce di parlare.

«Mi dispiace, Romaine. Non mi hai lasciato scelta.»

Mi afferra per le spalle e comincia a scrollarmi, con tanta forza che mi battono i denti.

«Cosa ci fai qui? Perché sei…?»

Ha esordito gridando, ma le parole le muoiono in bocca. Mi abbraccia e mi attira a sé, stringendo così tanto che non riesco a respirare. Seppellisce il volto nei miei capelli, la sento tremare. Sta piangendo.

«Pensavo fossi morta» singhiozza.

Quanto cordoglio, quanto. Mi lacera l’anima. Le accarezzo i capelli.

«Morta? Certo che no. Non era nei piani che tu pensassi…»

Tira indietro la testa di scatto, pur continuando ad abbracciarmi. Mi scruta il viso, il suo è rigato di lacrime, deformato dal dolore. «Non era nei piani che pensassi cosa?»

«Che ero morta.»

«E allora, cosa avrei dovuto pensare?»

«Che mi avevano rapita.»

«Chi?»

«Nemici di Roland.»

«Intendi attivisti di sinistra che non hanno intenzione di stare a guardare mentre la Francia viene consegnata alla Germania nazista?»

«Qualcosa del genere.»

Proprio niente del genere. Ma non è questo il momento di mettersi a discutere.

Gli occhi le si sgranano in due smisurate lune piene. «Intendi dire che ti sei nascosta di tua spontanea volontà? Per spaventarmi?»

«Sì.»

Non mi aspettavo il ceffone. Non da mia sorella. È abbastanza forte da farmi ruotare indietro la testa. Mi lascia andare, indietreggia come se puzzassi.

«Siediti, Romaine. Ti prego.»

Con mia grande sorpresa, ubbidisce. Va ad accomodarsi in poltrona, il viso di pietra. Mi accosto al secchiello del ghiaccio, preparo una flûte di Dom Pérignon per me, un tumbler di whisky per lei. Un Glenlivet, il preferito di Roland. Glielo porgo, ma ne sorbisce appena un sorso prima di metterlo sul tavolino. È cambiata. Vorrei prenderla tra le braccia come faccio con Chloé quando è sconvolta, ma invece vado a sedermi su una sedia con il mio champagne e cerco un sorriso da regalarle, ma non ne trovo.

Esplode. «Come diavolo hai potuto farmi una cosa del genere? Perché, Florence?»

Certo non posso biasimarla se è arrabbiata. «Per proteggerti, Romaine. E per proteggere Roland. Eri troppo sospettosa, stavi diventando una spina nel fianco. La gente intorno a te veniva ammazzata. Non volevo vederti fare la loro fine. Avrei fatto qualunque cosa per tenerti al sicuro, anche se portavi gli aerei in Spagna.»

Mi fissa sbigottita. «Lo sapevi?»

«Ovvio. Sono sposata con Roland. Scomparsa io, saresti dovuta rimanere nell’appartamento con mio marito e mia figlia. La mia sparizione doveva servire a separarti dai tuoi compagni, e Roland poteva tenerti d’occhio per me. È ancora innamorato cotto di me adesso come lo era in quel giardino otto anni fa, e anche se nel frattempo è diventato sempre più potente, continua a fare quello che gli chiedo io.»

«Ma se a casa non c’era praticamente mai!»

«Sì, riconosco che quella parte non ha funzionato come previsto. Continuava a venire qui da me. Non riuscivo a tenerlo lontano.» A questo punto sì che trovo un sorriso. «Ma dovevo farlo, Romaine. Dovevo farti capire che era fondamentale tenere i tuoi amici comunisti alla larga da Roland. Gli stavano troppo addosso.»

«Non sono comunisti.»

La ignoro. «Dovevo farti capire che, pur di bloccare mio marito, non avrebbero esitato a mettere di mezzo me. Avevo bisogno che smettessi di fidarti di loro. Per il tuo bene, e per quello di Roland.»

«Perciò te ne sei stata al Ritz, a ciondolare imbozzolata nella seta, bere champagne e aspettare che tuo marito venisse a scoparti, mentre io andavo fuori di testa per la preoccupazione?»

«Oddio, Romaine, mi dispiace. Davvero, te lo giuro. Ma non avevo scelta.» Mando giù un po’ di bollicine. «Müller ti stava addosso. Dovevo costringerlo a starti lontano. Per l’amor del cielo, Romy, pensi forse che sia una coincidenza che tutti quei tuoi compagni siano stati ammazzati e tu no?»

A queste parole vedo che è colta da un tremito. Gustav le fa paura. «Ho sottratto il tuo fascicolo dal suo ufficio, ma era come un cane con un osso, non mollava…»

«L’hai preso tu?»

«Sì. Una volta che lui era al telefono.»

«E anche il tuo?»

«Sì.» La scruto con attenzione. «Ma tu come fai a saperlo? A meno che…» La bocca mi si secca. «Tu. C’eri anche tu.»

Romaine annuisce. Con gli occhi della mente, vedo l’incendio che ha ridotto in cenere le informazioni raccolte da Müller con tanta diligenza. Sarà su tutte le furie, pronto a scatenare l’inferno contro…

«Florence.»

C’è qualcosa nel suo tono, qualcosa di nuovo, qualcosa che mi spaventa.

«Cosa c’è, Romaine?»

«Horst Baumeister e Gustav Müller erano nello studio di papà il giorno che l’ho ucciso.»

Quel l’ho ucciso le esce di bocca grondando sangue, freghi rossi colano sul tappeto, sbattiamo le palpebre in sincrono per cacciare l’immagine. Vorrei scrollarla. Ordinarle di fermarsi, subito, prima che sia troppo tardi. Ma è inarrestabile.

Si alza e viene a inginocchiarsi di fronte a me, la testa non più in alto di quella di Chloé. Le mani mi si aggrappano alle ginocchia, unendoci. Attraverso la seta del kimono mi arriva il calore dei suoi palmi. Non voglio sentire quel che sta per dire.

«Tu lo sapevi, Florence? Che erano lì. I due tedeschi. Non un frutto della mia fantasia o un sogno, come mi hai detto da Monico.» La presa sulle mie ginocchia si rafforza. «L’hai sempre saputo?»

Spalanco la bocca per mentire, ma fiuterebbe subito la menzogna. Perciò aggiro la domanda porgendogliene una a mia volta.

«Cosa ti fa credere che fossero lì?»

«Di Horst me l’ha detto Samir. L’ha visto.»

«Samir?» Ho un tuffo al cuore. «Cosa ha visto?»

«Non molto.»

«E Müller?»

«Ci ho parlato questa mattina. Gli ho detto che ricordavo di averlo visto là, e non ha negato.»

Intorno a me, il mondo va in frantumi. Balzo in piedi, tirandola su con me. «Hai fatto cosa?» Sto urlando, eppure poi le piazzo una mano sulla bocca per impedirle di darmi risposte che non voglio sentire. «Gli hai detto che ricordavi tutto?»

Annuisce. Gli occhi scuri di rabbia. So che è tutta per me.

La lascio andare e affondo il viso tra le mani con un gemito che risale dritto dagli inferi. «Romaine, hai appena firmato la nostra condanna a morte.»

Sediamo nella vasca da bagno del Ritz, insieme. So che è bizzarro. So che non è ciò che ci si aspetterebbe facessimo in questo momento, eppure è incredibilmente confortante. Il tremito cessa, il battito rallenta quanto basta perché riusciamo a parlare con calma, una di fronte all’altra, immerse nell’acqua calda così come abbiamo iniziato a vivere. Sul bordo della vasca languono due bicchieri, abbandonati, intonsi.

«Ricordavi bene» esordisco. «Stavi dormendo nella poltrona a orecchioni di papà. Müller e Horst erano venuti lì per incontrarlo in segreto, e papà mi aveva chiamata dal giardino perché mi unissi a loro. Sapeva che in politica la pensavo come loro, ma non era solo quello. Voleva farmi sposare Horst. Voleva un legame di sangue con la Germania, un’alleanza tangibile. Era sicuro che un giorno Adolf Hitler avrebbe governato anche la Francia così come la Germania.»

«E tu volevi sposare Horst?»

«Ero d’accordo, sì. Ma non più dopo la morte di papà.»

«È lui quello che Chloé chiama Herr Dummkopf

Sorrido. «Già. Ma tra noi non c’è mai stato niente.»

Romaine mi rivolge lo stesso sguardo pieno d’attesa di mia figlia, i capelli corti che con il vapore si increspano in ricci ribelli.

La faccio breve.

«Ti sei svegliata e li hai sentiti pianificare l’assassinio di Théodore Steeg.»

«Cosa? Merde! Il capo del Partito radicalsocialista?»

«Proprio lui. Era un traditore filocomunista, e mentre era governatore generale dell’Algeria aveva sottratto il potere all’élite tradizionale. Girava voce che sarebbe stato eletto presidente del Consiglio di Francia, non potevamo permetterlo. E quello designato a impedirlo era papà.»

Romy mi guarda come se avessi due teste, ma proseguo imperterrita. Voglio farla finita con questa storia.

«Hai rivelato la tua presenza cominciando a inveire contro papà. Giurando che saresti andata alla polizia. Se l’avessi fatto, papà, Müller e Horst sarebbero stati arrestati, processati e giustiziati, perciò…» Le schizzo addosso dell’acqua come se potessi spruzzare via le immagini che mi si affastellano nella mente. «Come potrai immaginare, non è che l’idea li entusiasmasse. Certo non puoi biasimarli.»

«E invece li biasimo eccome. E biasimo te.»

Lascio che le sue parole cadano nell’acqua.

«Comunque, Müller ti ha minacciata con una pistola, ma papà ha detto che si sarebbe assicurato lui che tenessi a freno la lingua. Müller però non si fidava di te. Ti ha puntato l’arma in fronte. Pronto a spararti.»

La gola mi si chiude. Rivedo lo studio come se fosse qui, ora. Gli occhi incolleriti della giovane Romaine, puntati su papà. Il suo urlo. «Papà!» Il colore che le defluisce dal viso.

Inghiotto una sorsata di acqua del bagno per sciacquarmi la bocca. «Hai preso il tagliacarte dalla scrivania per difenderti da Müller, ma papà si è messo in mezzo. Voleva proteggerti usando il fermacarte. C’è stata una colluttazione. Papà è crollato a terra. Müller ti ha colpita con il fermacarte.»

Mi vengono meno le parole.

Romaine si sporge in avanti, mi prende il viso bagnato tra le mani e mi bacia la fronte. Sa di perdono.

«Perché non me l’avevi mai raccontato?»

«Oh, sorellina, per tenerti al sicuro. Di me Müller si fidava, ma di te no. Se avesse anche solo immaginato che eri a conoscenza dei fatti e che eri pronta ad andare a costituirti e a rivelare tutto alla polizia, avrebbe premuto il grilletto di persona. Roland non c’era. Era in giardino. Ti ha sempre detestato perché l’ho costretto a mentire in tribunale per salvarti.»

Ci guardiamo negli occhi. Batto i palmi sulla superficie dell’acqua, dando il via a uno tsunami di dolore che si abbatte su entrambe. «È stato un incidente, Romaine. Non è stata colpa tua.»

Ecco. Le ho dato l’assoluzione. Ora può deporre il fardello del suo rimorso.

E poi glielo ripeto. «Romaine, hai firmato la nostra condanna a morte.»

Romy si rifiuta di tornare a casa mia. Ora che sa del pericolo immediato rappresentato da Müller, non si fida di Roland. Dice che la consegnerebbe al tedesco senza neppure lasciarle il tempo di sfilarsi le scarpe, e quando obietto che si sbaglia, fa una risatina e mi dà un buffetto sulla guancia, come fa con mia figlia. Mi viene da piangere.

Perciò la affido a quell’orso del suo compagno, mani grosse e braccio ad armacollo. Le cinge la vita con il braccio sano per farmi capire che appartiene a lui, non a me, e se la porta via in fretta da place Vendôme, nel buio, alla guida dell’auto un uomo sgradevole con occhi che mi trafiggono.

Rientro nell’appartamento di avenue Kléber e Roland è già lì, whisky in mano.

«Dov’è?» Dritto al punto, neanche un saluto per la mogliettina.

«Non lo so. Perché ci sono due uomini all’ingresso?»

«Vogliono parlare con tua sorella. Li ha mandati Müller.»

Soffoco il brivido che mi corre su per la spina dorsale. Lo raggiungo, gli poso un bacio sulla bocca, bevo un sorso del suo whisky. Dentro sono di ghiaccio.

Lo chiede di nuovo. «Dov’è? Pensavo che l’avresti portata qui.»

«Lo pensavo anch’io. Non è voluta venire.»

«Dove credi sia andata?»

Pensa forse che tradirò mia sorella una seconda volta?

«In qualche sudicio bar, immagino.»

Mi guarda da sopra il bordo del bicchiere, gli occhi scuri di sospetto. Mi legge dentro con troppa facilità.

«Mi sembra più probabile quel campo d’aviazione dove lavora. Com’è che si chiama?»

Mi sta mettendo alla prova. Sappiamo benissimo entrambi come si chiama.

«Il DeFosse.»

Svuota il tumbler, fa spallucce. «Spero per il suo bene che non ci sia andata.»

«Perché no?»

«Gli uomini di Müller stanno per farvi irruzione.»

«Mon Dieu!»

Mio marito sorride. È convinto di essersi sbarazzato della mia gemella una volta per tutte.