Capitolo 9. Un’informazione senza marchette

di Massimo Acanfora

LO STATO DELL’INFORMAZIONE

L’informazione è oggi un ambiente “inquinato”, almeno quanto lo è il nostro Pianeta. Questo sistema economico, diretta conseguenza del capitalismo industriale prima e di quello finanziario dopo, vede infatti molti dei suoi maggiorenti foraggiare attraverso la pubblicità i media di massa e spesso diventarne padroni o “azionisti”, riuscendo così a orientare allo stesso tempo sia i gusti dei lettori o dei fruitori sia i contenuti stessi dei media.

In un simile contesto, non è ovviamente possibile lottare ad armi pari e sullo stesso terreno. Non diversamente dal sistema economico generale, anche nel mondo dell’informazione i “piccoli” - diciamo quelli “senza capitale” - faticano ad avere una voce e a trovare ascolto.

A quali condizioni allora è possibile un’informazione indipendente e quindi utile a una “transizione trasformativa” del sentire pubblico, in parallelo a quella dell’economia e degli stili di vita?


La prima condizione è una (relativa) indipendenza dalle inserzioni. Attualmente - salvo poche eccezioni - non esistono media che non contino tra i propri introiti una consistente quota di pubblicità, palese od occulta che sia. Per la carta stampata Naomi Klein ha coniato l’efficace espressione magalogues, fusione dei termini magazine (rivista) e catalogue (catalogo), per intendere - ad esempio - le riviste patinate che vendono i prodotti (e ancor di più gli “stili di vita”) proposti dai propri inserzionisti ai “lettori”, con una quota impudica di pagine dedicate alla comunicazione commerciale. La televisione (pubblica e privata) nella raccolta pubblicitaria fa ancora la parte del leone nonostante Internet, il cui modello di business dipende peraltro - quasi per la totalità - proprio dagli inserzionisti. A questo proposito è palese, in generale, che il “pubblico” sia sempre più infatuato delle news on line: i media cartacei e tradizionali sono così sempre più dipendenti da sponsor che - tacitamente - chiedono in cambio visibilità o il silenzio su notizie poco commendevoli. L’altro effetto collaterale è la diffusione di fake news e di moltissimi gattini. Non fanno eccezione nemmeno alcuni media meritori e militanti come Popolare Network, che - nonostante il sostegno degli abbonati - non può fare a meno della pubblicità, a volte senza guardare troppo per il sottile in materia di marchi.

Una seconda condizione è l’indipendenza dalla “politica”, ove non si intende affatto la neutralità o l’equidistanza, bensì l’assenza di condizionamenti e di “padrini”. Oggi i “giornali di partito” di cui parlava Edoardo Bennato in “Sono solo canzonette” di fatto non esistono più, ma in molti quotidiani è ben riconoscibile l’impronta latente di questo o quell’interesse. La terza condizione - parallela - è essere zona franca dai condizionamenti di aziende e imprenditori, come quelli che oggi, direttamente o indirettamente, possiedono o controllano il Quarto potere in Italia o, in altre parole, comunque siedono nei Consigli di amministrazione dei grandi gruppi editoriali. Oggi il fenomeno della concentrazione delle testate vede meno di una decina di soggetti a dividersi il mercato.

L’ultima condizione è culturale, ovvero la capacità (intesa come estensione) e l’onestà intellettuale, oltre alla “schiena dritta” - tanto per sintetizzare il concetto - dei singoli giornalisti, in particolare dei direttori più o meno responsabili. Lo spirito con cui si “fa” informazione non è infatti indifferente. Nel 1999, mentre muovevo i primi passi come giornalista, ho avuto la ventura di incontrare al seminario Redattore Sociale, il grande reporter polacco Ryszard Kapuscinski, in un’occasione che diventerà il titolo di un piccolo libro “Il cinico non è adatto a questo mestiere”. Su questo punto alcune sue riflessioni di allora illuminano il quadro attuale, nonostante siano passati 20 anni e ci sia in mezzo un’intera rivoluzione tecnologica. Ad esempio, con una considerazione importante e quasi profetica: “ Nella seconda metà del secolo (il XX, ndr) , specialmente negli ultimi anni, dopo la fine della guerra fredda, con la rivoluzione dell’elettronica e della comunicazione, improvvisamente il grande mondo degli affari scopre che la verità non è importante, e che neanche la lotta politica è importante: che, nell’informazione, ciò che conta è l’attrazione. E, una volta che abbiamo creato l’informazione-attrazione, possiamo vendere questa informazione ovunque. Più l’informazione è attraente, più denaro possiamo guadagnare con essa. Così l’informazione si è totalmente separata dalla cultura (…)”. Ne sono esempio la commistione tra notizie e gossip nei portali d’informazione o i telegiornali che sono sempre di più dei puri contenitori di infotainment.


Come invertire la rotta? Ovvero quali sono l’oggetto e il fine di una buona informazione? Ci ancora in aiuto Kapuscinski: “La fonte principale della nostra conoscenza giornalistica sono “gli altri”. (…) Non c’è giornalismo possibile fuori dalla relazione con gli altri esseri umani”.

La dimensione relazionale quindi ritorna anche per informare “il mestiere”. Non c’è modo di dire una verità, per quanto soggettiva, se non si arriva al confronto diretto con le fonti, se non si è artigiani della parola e non si accetta un po’ di lentezza, una bella dose di realtà depurata dalle scorie del web, se non si dubita e se non si vedono gli altri anche come soggetto della notizia oltre che oggetti di comunicazione. “Credo che per fare del giornalismo si debba essere innanzi tutto degli uomini buoni, o delle donne buone: dei buoni esseri umani. Le persone cattive non possono essere dei bravi giornalisti”.

Certo, la pura empatia non è sufficiente. Un aspetto in comune tra i progetti dell’economia trasformativa e il loro “resoconto” giornalistico è l’intenzionalità. Ci ha detto Kapuscinski: “Il vero giornalismo è quello intenzionale, vale a dire quello che si dà uno scopo e che mira a produrre una qualche forma di cambiamento. Non c’è altro giornalismo possibile”. Un altro chiodo fisso di chi fa informazione deve essere la disponibilità a non fermarsi alla notizia ma a indagare le sue cause. “Il buono e il cattivo giornalismo si distinguono facilmente: nel buon giornalismo, oltre alla descrizione di un evento avete anche la spiegazione del perché è accaduto”.

L’eziologia degli eventi è un esercizio scomodo e faticoso e oggi piuttosto raro ma deve fondare i media che aspirano a essere parte della rivoluzione “trasformativa”.

Perché per arrivare al “miglioramento della situazione d’ogni uomo, affinché possa vivere con la dignità che merita e nel reciproco rispetto della diversità” non basta vivere altrimenti, o lavorare e consumare diversamente, bisogna comunicare e raccontare diversamente.


LA COMUNICAZIONE DI UN’ALTRA ECONOMIA

Fatte queste premesse chi comunica la “trasformazione”? C’è una certezza. Non c’è media - o quasi - che oggi non si sia dato una verniciata di verde. Le tematiche che solo pochi anni fa erano pressoché esclusiva delle testate di nicchia e militanti, sono diventate mainstream, anche se a ben vedere l’atteggiamento del maggior parte dei media non è tanto quello di informare, denunciare e approfondire, ma piuttosto di cavalcare l’onda del cosiddetto green new deal, alternando notizie catastrofiste, progetti “sostenibili” di aziende che fino al giorno prima erano paladine degli idrocarburi e veline entusiaste sull’economia circolare e altre formule magiche. Fatto sta che, proprio sul più bello, la “narrazione” del cambiamento, o se vogliamo il racconto della transizione è stata sottratto, con la violenza dell’ audience, a chi aveva detto per primo “C’era una volta...” e finora era stato un’inascoltata vox clamantis in deserto.

Il caso della “sussunzione” dei concetti dei movimenti alterglobalisti in cambio pubblicitario è clamoroso: un rapido excursus ci fa ricordare che - se le parole sono importanti - alcune di queste (naturale, biologico, sostenibile, green...) sono una refurtiva preziosa ora nelle mani della GDO, delle multinazionali e di chi ha contribuito fino a ieri a inquinare l’ambiente, spolpare le risorse dei Paesi meno sviluppati, ha usato fiumi di olio di palma e invocato la necessità della “crescita” a propria discolpa. Il 2019 è stato l’anno di esplosione di spot “sostenibili”: uno studio condotto da BeIntelligent - piattaforma online di EG Media - in collaborazione con The Easy Way, ha censito 429 creatività “ambientaliste”, utilizzate nei messaggi pubblicitari solo da maggio a settembre 2019. Non è un caso, ma una precisa strategia commerciale: secondo uno studio realizzato da McKinsey intitolato “Sustainability matters, but does it sell?”, infatti, circa il 70% dei consumatori preferisce scegliere un prodotto a ridotto impatto ambientale rispetto a uno non ecosostenibile, pur vedendo il prezzo salire del 5-10% rispetto alla media dello stesso prodotto non etichettato come “eco-friendly”.

Qualche esempio? Coop Italia, nella campagna curata da Havas, usa lo slogan “Una buona spesa può cambiare il mondo” con il carrello che ferma il disgelo e altre meraviglie. Conad replica con uno spot - per altri versi sessista - che recita “Persone oltre le cose”, rivendicando l’importanza di relazioni, comunità e territorio. Sempre nel semestre considerato è aumentato l’uso di parole-chiave come plastica (+ 69%), riciclo (+ 61%) e pianeta (+44%). Insomma, per chi è avvezzo a vedere un po’ di tv sembra di vivere in una eterna Pubblicità Progresso. Lavazza ha lanciato due linee che per aspetto e claim sono comparabili all’equo e solidale (Lavazza ¡Tierra! e Lavazza Voix de la Terre, certificate Rainforest Alliance), ma ovviamente non ha abbandonato le linee tradizionali. Anche Eni ci ha provato ma stata multata per pubblicità ingannevole nei confronti dei consumatori per 5 milioni di euro: la società del cane a 6 zampe nella campagna per il carburante Eni Diesel + ha vantato un impatto positivo sull’ambiente. La compagnia low cost Ryanair è stata costretta a ritirare uno spot pubblicitario in cui si vantava di essere la compagnia aerea con le tariffe e le emissioni più basse in Europa, usando dati obsoleti e “dimenticando” di confrontarli con diverse altre compagnie aeree.


LE BUONE LETTURE, SE VI FIDATE, SONO QUESTE

• Altreconomia è il mensile dell’economia solidale oltre che una casa editrice cooperativa indipendente. Nata nel 1999, pubblica una rivista e circa 15 libri l’anno: www.altreconomia.it.

• Terranuova è rivista mensile dal 1977, oltre che casa editrice: tratta di ecologia, stili di vita, economie alternative: www.terranuova.it.

• Valori, notizie di finanza etica ed economia sostenibile, è il sito che fa capo al mondo di Banca Etica, pubblica articoli e report: www.valori.it.

• Comune-info è uno spazio on line dedicato a trasformazioni e movimenti che mettono in discussione il profitto: https://comune-info.net e FB.

• L’Italia che cambia è un sito web e un’associazione fondate da Daniel Tarozzi: www.italiachecambia.org.

• Il Cambiamento è un portale on line, nato su iniziativa dell’associazione Paea: www.ilcambiamento.it.

• La Nuova Ecologia è la rivista dell’associazione ambientalista Legambiente: www.nuovaecologia.it.

Gaia è uno storico periodico di ecologia e pace: www.ecoistituto-italia.org

Ma non limitatevi a queste: l’informazione è fatta principalmente di confronto tra le fonti, di nicchia o mainstream che siano, testimonianze di prima mano e senza conflitti di interesse. Per questo ci vuole pazienza, fortuna e non vale prendere short cuts.


TRACCE

Altre letture e visioni vintage


Libri e letture

Ryszard Kapuscinski, Il cinico non è adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo, e/o

Ryszard Kapuscinski, L’altro, Feltrinelli

Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, Adelphi

Alessandro Leogrande, Uomini e caporali, Feltrinelli

Fabrizio Gatti, Bilal: viaggiare, lavorare, morire da clandestini, Bur

Enzo Biagi, Storia d’Italia a fumetti, Mondadori

Enrico Deaglio, Patria, 1967-1978, Feltrinelli

Enrico Deaglio, Patria 1978-2010, Feltrinelli

Jonathan Safran Foer, Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, Guanda

Daphne Caruana Galizia, Di’ la verità anche se la tua voce trema, Bompiani 2019


Web

http://www.giornalisti.redattoresociale.it/edizioni/capodarco/1999-di-razza-e-di-classe/programma/27-novembre-1999/il-cinico-non-%C3%A8-adatto-a-questo-mestiere.aspx


Film

Il caso spootlight, Tom McCarty, 2016

Tutti gli uomini del presidente, Alan J. Pakula, 1976

La meglio gioventù, Marco Tullio Giordana, 2003

Goodbye and good luck, George Clooney, 2005

The Post, Steven Spielberg, 2017

Lou Grant, telefilm anni 80