47.

«La cosa risale a circa sette anni fa» cominciò. «Avevo dodici anni e stavo tornando a casa in bicicletta da una partita di pallone insieme a Ivo. Era il mio migliore amico. Aveva solo un giorno meno di me ed eravamo come fratelli. Quasi come te e Zoe. Non avevamo braccialetti dell’amicizia come voi, ma eravamo comunque legatissimi.

«Eravamo inseparabili, giocavamo nella stessa squadra, passavamo insieme ogni minuto libero. Ci piaceva la stessa musica, gli stessi film e gli stessi videogame. E come me, anche Ivo viveva con un solo genitore, sua madre. Scherzando ci eravamo spesso chiesti se non avremmo dovuto fare conoscere sua madre e mio padre, ma non ci siamo mai arrivati.»

Sascha fece un sorriso assorto, sorseggiando la cola. Avrei voluto chiedergli notizie di sua madre. Mi sarebbe tanto piaciuto sapere perché lo avesse lasciato e se ne sentisse la mancanza, ma era un altro argomento. Rimasi in silenzio aspettando che andassi avanti.

«Non dimenticherò mai quel giorno» riprese. «Era un sabato durante le vacanze estive. Faceva un gran caldo! Dovevano esserci almeno trentacinque gradi e un’afa pazzesca. Stavamo tornando da una partita contro la squadra di Kössing. Avevamo dovuto sudare parecchio, loro erano forti e ci avevano fatto penare, ma la partita era finita con un due a zero per noi, grazie soprattutto a Ivo. Ovviamente avevamo giocato tutti benissimo, ma Ivo era il nostro portiere e aveva respinto ogni attacco.

«Non era particolarmente alto, sai, ma era incredibilmente veloce. E riusciva a capire le persone in maniera pazzesca. Le leggeva come altri leggono i libri e indovinava sempre le intenzioni degli avversari. Se avrebbero tirato a destra o a sinistra e cose del genere. Credo che sarebbe diventato un ottimo psicologo o qualcosa del genere. Pur essendo uno tosto che non le mandava a dire, era anche molto sensibile. Capisci che cosa voglio dire?»

Annuii e avvertii la sofferenza di Sascha. Il fatto che parlasse dell’amico al passato mi faceva capire che la storia non avrebbe avuto un lieto fine.

«Fatto sta che stavamo tornando a casa in bicicletta» proseguì. «Io avevo una mountain-bike e lui una vecchia bici sportiva che aveva risistemato. Sua mamma non aveva molti soldi, ma la cosa non sembrava dargli fastidio. Quando Ivo voleva qualcosa, trovava il modo di ottenerla anche a costo di costruirsela da solo. Era davvero un tipo speciale, creativo e abile.»

Sascha bevve un altro sorso e rimase assorto per qualche istante. Quando riprese a raccontare, aveva le lacrime agli occhi, ma la sua voce rimase salda. Come se si sforzasse in tutti i modi di non fare la figura del debole con me.

«Quel giorno Ivo volle prendere un’altra strada» continuò, senza guardarmi. «Disse che era più all’ombra. Ma quando passammo accanto al cimitero, compresi il vero motivo. Mi precedeva, come sempre, poi all’improvviso si fermò. Quando lo raggiunsi era già in piedi accanto al muro del cimitero e allungava il collo per guardare dall’altra parte.

«’Laggiù c’è Karl’ mi spiegò quando lo raggiunsi. Karl era stato il vicino di casa di Ivo. Un tipo scontroso e burbero in generale, ma con noi era sempre stato gentile e Ivo gli aveva voluto bene. Dopo che il padre se n’era andato di casa, Karl si era preso cura di lui. Era un bravissimo artigiano e aveva insegnato a Ivo un sacco di cose. Lo aveva anche aiutato a rimettere in sesto quel ferrovecchio facendolo diventare una bici vera. Poi era morto all’improvviso. Doveva essere successo all’incirca due settimane prima di quel sabato.

«’Ma perché doveva venire in infarto proprio a lui?’ mi chiese Ivo. ’Perché certe cose vengono sempre alle persone buone e non per esempio agli stronzi come mio papà? Non è giusto, no?’

«Non sapevo come rispondergli. Dopotutto avevamo sperimentato sulla nostra pelle che non sempre la vita è giusta. Eravamo stati abbandonati entrambi da qualcuno e avevamo dovuto imparare ad accettarlo.»

Sascha fece una scrollata di spalle che esprimeva tristezza e rassegnazione. Sembrava voler dire non è possibile cambiare le cose. È in effetti era così.

«Me lo vedo ancora davanti» proseguì. «Che si allunga oltre il muro e guarda verso la tomba. Poi mi sono chiesto spesso perché non fosse entrato. Ma credo che per lui sarebbe stato troppo.

«’Adesso mi piacerebbe un sacco raccontargli della partita’ disse. ’Sarebbe stato felicissimo. Diceva sempre che avevo la stoffa del professionista e un giorno sarei finito in nazionale. Perché si può ottenere tutto, basta volerlo e impegnarsi a fondo.’

«’Forse la partita l’ha vista lo stesso’ ribattei, più che altro per consolarlo, ma Ivo la prese sul serio. Non scorderò mai la sua occhiata. Assorta e quasi di sfida. Tipica di Ivo, appunto.

«’Pensi che ci sia qualcos’altro dopo la morte?’ mi chiese. ’Che si possa continuare a sapere quello che succede qui?’

«Io forse avevo scrollato il capo, oppure gli avevo risposto di no, in ogni caso non ci credevo. Tutte quelle stupidaggini che ci raccontavano da bambini, sul paradiso e l’inferno, mi erano sempre sembrate favole per i grandi.

«’Anch’io la penso come te’ rispose.’ Ma se si lascia perdere tutta quella roba che ci inculcano in chiesa, e si prende solo quello che siamo, potrebbe essere, no?’

«Gli domandai che cosa volesse dire e lui allora fece un gesto come per comprendere tutto ciò che aveva intorno.

«’Be’, i nostri pensieri e le nostre emozioni, e quello che abbiamo imparato’ disse. ’Insomma, tutto quello che siamo. Sarebbe un peccato se sparisse tutto.’

«’Un bello spreco’ commentai e Ivo annuì convinto.

«’Esatto. Che senso avrebbe che siamo intelligenti e abbiamo una nostra personalità, se tutto è destinato a sparire un giorno? Dopotutto si rimane morti molto più a lungo di quanto si è vivi.’

«Ricordo ancora perfettamente che mi venne da pensare al gatto che avevo visto qualche giorno prima su una strada di campagna. Doveva essere lì già da un bel po’. La carcassa puzzava ed era mezza putrefatta, c’erano insetti dappertutto. Davvero rivoltante. Pensai che anche Karl nella sua bara sarebbe diventato presto così e che un giorno anche il mio corpo si sarebbe disfatto. Cenere alla cenere eccetera.

«’Sì, sarebbe proprio un peccato se non rimanesse niente di noi’ dissi. E allora Ivo mi sorrise. Come conoscevo bene quella sua espressione! La assumeva tutte le volte che aveva un’idea. E l’idea che gli venne quel pomeriggio era per certi versi pazzesca. Ma avevamo solo dodici anni e a quell’età certe idee sono normali.

«’Facciamo un patto’ propose. ’Quello di noi che tira le cuoia per primo, manda un segno all’altro.’

«Io scoppiai a ridere, ma lui mi tese la mano e compresi che faceva sul serio. Serio come la morte. Allora gliela strinsi. Era un patto che avremmo rispettato entrambi, a qualunque costo.

«A quel punto l’orologio della cappella del cimitero suonò e noi ci rendemmo conto che era già tardi. La mamma di Ivo voleva che gli orari fossero rispettati. Lui allora corse a prendere la bici per non essere rimproverato. Io gli andai dietro e poi gli gridai: ’Che genere di segno?’

«’Uno qualunque’ mi rispose. ’Non importa. Basta che l’altro lo sappia.’

«Così lasciai perdere. Se esisteva davvero un legame tra questo mondo e l’aldilà, sarebbe stato possibile trovare un modo, pensavo. Ammesso che esistesse un aldilà.»

Sascha svuotò la bottiglia e la aggiunse alle altre che erano già sul tavolo. Poi osservò il disordine che regnava intorno a noi, ma mi resi conto che non lo vedeva. Con la mente era da tutt’altra parte. Torse la bocca in una smorfia e strinse i pugni.

«Già, dopo tre settimane appena ottenni la risposta» dichiarò con espressione truce. «Eravamo di nuovo in giro in bicicletta. Faceva sempre un gran caldo e avevamo passato tutta la giornata al laghetto. Ci eravamo incontrati con alcuni compagni di classe tra i quali anche una ragazza che piaceva a Ivo. Avevano giocato nell’acqua e lui ne era rimasto turbato. Mentre tornavamo a casa continuava a girarsi verso di me e a parlare del suo bikini. E poi...»

Sascha si fermò e deglutì. Una lacrima gli scese lungo la guancia, ma se l’asciugò subito e distolse lo sguardo per non farsi vedere da me.

«Tutto a un tratto è arrivata quell’auto» disse con voce rotta. «È sbucata da una via laterale. Così veloce che non abbiamo avuto tempo di reagire. La vecchia signora al volante disse poi che il sole l’aveva accecata e che non ci aveva visto. E che quando aveva sentito l’urto sul cofano, si era spaventata e aveva accelerato ancora di più. Trascinò Ivo e la sua bicicletta per un bel pezzo sulla strada, prima di fermarsi. Quasi cinquanta metri.»

Sascha non riuscì più a trattenersi. Singhiozzò e si passò una mano sul viso. «Scusa, Nikka, non voglio mettermi a piangere davanti a te. È solo che... certe ferite non guariscono mai, continuano a bruciare.»

«Non ti devi scusare» lo tranquillizzai. «Ella dice sempre che chi non sa più piangere, non è più un essere umano.»

Lui annuì e si guardò le mani. Poi fece un profondo respiro come per prendere slancio per l’ultima parte della storia.

«Ho tenuto Ivo tra le braccia fino all’arrivo dell’ambulanza» mormorò. «È stato terribile. Non potevo fare niente per lui e sapevo che non ce l’avrebbe fatta. Sembrava una bambola di pezza tra le mie braccia. Rantolava ed era tutto pieno di sangue. Ho sentito il suo ultimo respiro e poi è finita. Se n’era andato.»

Sascha tirò su col naso e scosse la testa, quasi fosse ancora incredulo.

Non sopportavo di vederlo tormentarsi così. Avrei voluto abbracciarlo, consolarlo, ma dal suo atteggiamento compresi che non voleva che lo facessi. Se davvero ero la prima persona alla quale ne parlava, forse era un bene che potesse finalmente sfogarsi.

Perciò rimasi in silenzio e lo lasciai parlare.

«Una settimana dopo ci fu il funerale» disse infine. «Ricordo ancora la sensazione che provai davanti alla tomba di Ivo. In quel caldo micidiale. Il vestito mi pungeva, perché sudavo tantissimo, e intorno a me piangevano tutti. Io invece no. Ero troppo concentrato a cercare di cogliere un segno dal mio amico.

«Sono qui, Ivo, pensavo. Non mi vedi? Fatti sentire, maledizione, fatti sentire!»

Sascha si appoggiò all’indietro e mi guardò. Aveva gli occhi rossi e un sorriso amaro sulle labbra.

«Ho aspettato un segno da lui, Nikka. L’ho aspettato ogni maledetto secondo. Ma non è arrivato niente. Almeno fino a oggi. Ce l’eravamo giurato e so che Ivo non avrebbe mai infranto la promessa. Se esistesse un aldilà, si sarebbe fatto vivo con me. Ivo sarebbe riuscito a trovare il modo, come faceva con tutte le cose. Per questo non ci credo. Quando siamo morti, siamo morti. Fine della storia. Ecco.»