55.

Seguii le indicazioni sulla mia app dalla stazione al centro città, e più mi avvicinavo alla meta, più il mio nervosismo aumentava.

Provavo una sensazione strana. Fino a poco tempo prima ero stata convinta di sapere tutto sulla mia migliore amica. Ma anche quando si pensa di conoscere una persona alla perfezione, in realtà non si sa niente di lei.

Per me Zoe era sempre stata legata a Fahlenberg, così come era sempre stata la figlia di Rolf e Maria Wagner. Invece mi ritrovavo a caccia del suo passato. Di quella parte della sua vita della quale non sapevo niente e di cui neppure Zoe, a quanto pareva, sapeva qualcosa.

La dottoressa Anna Wegemann abitava in una villetta di mattoni rossi non lontana dal centro e dal castello che avevo incontrato durante il tragitto. La mano mi tremava per l’agitazione quando suonai il campanello.

Per un po’ non successe niente e io temetti già che non fosse in casa. Ma poi udii dei passi lenti e un po’ strascicati dall’interno, accompagnati da un cigolio metallico.

La donna che mi aprì era alta e segaligna. Aveva il viso rugoso e floscio, incorniciato da una chioma bianca raccolta in uno chignon. Con una mano reggeva il manico di una bombola di ossigeno portatile da cui partiva un sottile tubicino che le arrivava nel naso.

Doveva avere una settantina d’anni, calcolai, ma sembrava molto più vecchia. L’unica cosa giovane erano gli occhi. Di un azzurro scuro, mi scrutavano con curiosità e un pizzico di diffidenza.

«Sì?»

«Buongiorno, dottoressa Wegemann» dissi, poi mi schiarii la voce per scacciare il groppo che avevo in gola. «Mi chiamo Nikka Farlandt. Avrebbe un minuto da dedicarmi?»

L’anziana signora mi scrutò dalla testa ai piedi, poi fissò lo sguardo sulla mia borsa.

«Mi rincresce, ma non sono interessata ad abbonarmi a niente né a parlare di religione.» Fece un profondo respiro, come se queste poche parole le avessero tolto tutta l’aria nei polmoni. Poi aggiunse «e non faccio neppure beneficenza sulla porta di casa».

«Non si tratta di questo. Vorrei parlare con lei della mia amica. Si chiama Zoe Wagner.»

«Zoe Wagner...» Aggrottò la fronte pensierosa, e questo la fece sembrare ancora più vecchia. «È un nome che mi dice qualcosa. Non si tratta della ragazza scomparsa di cui hanno parlato i giornali?»

Annuii. «Esatto, proprio lei.»

«Al telegiornale ho sentito che è tornata a casa.»

«È proprio di questo che vorrei parlare con lei.»

Fece un altro respiro profondo dal naso. «E perché proprio con me, se posso chiederlo?»

«È stata lei a firmare i documenti per l’adozione di Zoe circa diciotto anni fa.»

Nel suo sguardo si accese un lampo che non seppi decifrare. «Davvero?»

«Sì, all’ospedale di Braunschweig, dove lei all’epoca lavorava.»

Tirai fuori dalla borsa le stampe delle foto del cellulare e le sfogliai fino a trovare il modulo. Poi glielo mostrai.

«Ecco, questa è la sua firma, vero?»

Anna Wegemann inforcò faticosamente gli occhiali che teneva appesi a una catenella al collo. Mi tolse di mano il foglio e lo esaminò a lungo con attenzione.

«Sì, è la mia firma» disse, restituendomi il documento. «Ma dopo diciotto anni non posso certo ricordarmi qualcosa. E comunque dove hai preso questi documenti?»

Mentiva. Ne ero assolutamente sicura. Aveva controllato qualcosa con troppa attenzione e aveva esitato troppo a darmi una risposta. Perciò tralasciai la sua domanda. «Zoe aveva una gemella, vero?»

Lei impietrì e nei suoi occhi vidi di nuovo quella scintilla. Stupore, contrarietà e forse un pizzico di paura.

«Non so di che cosa parli, ragazza.»

«Invece lo sa benissimo. Come mai non risulta niente nei documenti di adozione?»

«Ora dovresti andartene» disse con calma, ma percepivo la sua collera repressa.

Era stata proprio quella reazione il motivo che mi aveva spinto ad andare lì. Al telefono lei avrebbe riattaccato e probabilmente non avrebbe più risposto. Ma quando indietreggiò in corridoio, feci un passo avanti e piazzai un piede contro la porta.

«La prego, non voglio certo metterla in difficoltà. Mi basta sapere la verità. È molto importante.»

«Ma perché dopo tutto questo tempo?»

«Lei ha detto di conoscere la storia di Zoe dai giornali» dissi. «Io temo che dietro il rapimento ci sia la sua sorella gemella.»

Trascorse qualche secondo, poi Anna Wegemann scosse lentamente la testa. «No, ti sbagli.»

«Lei allora si ricorda di Zoe?»

Contorse il viso in una smorfia involontaria. «Non ho detto questo.»

La guardai implorante. «Mi sta nascondendo qualcosa. Perché non mi dice semplicemente ciò che sa?»

Evitò il mio sguardo e chinò il capo. Per un attimo sembrò essersi addormentata in piedi. Quando finalmente tornò a guardarmi, la sua espressione era triste.

«Presumo che tu stia facendo ricerche di tua iniziativa, giusto?»

Risposi con un cenno affermativo.

«Siete davvero così amiche, tu e Zoe?»

«Sì, fin da quando eravamo piccole.»

Frugai nella borsa e presi il portafoglio, poi tirai fuori la striscia con le quattro foto che Zoe e io ci eravamo scattate un paio di anni prima in una cabina per fototessere. Nelle inquadrature facevamo un sacco di smorfie, ma era meglio di niente. Tutte le altre foto di Zoe e me erano finite nel nirvana digitale insieme al mio cellulare.

Anna Wegemann osservò le foto e sospirò. «In questo caso non ti arrenderai, vero?»

Io scrollai il capo. «Solo quando avrò saputo la verità.»

Annuì, come se si fosse aspettata questa risposta. «Ne hai già parlato con qualcun altro?»

«Non ancora.»

«Dovrebbe essere una minaccia?»

«Non voglio assolutamente minacciarla, ma se non mi dirà quello che sa, dovrò chiedere a qualcun altro.»

«Hmm» rispose corrugando le labbra. «Commetterei un reato se ti facessi entrare e infrangessi il mio dovere di riservatezza. Ne sei consapevole?»

«Non dirò a nessuno dove ho ottenuto le informazioni» le assicurai. «Casomai qualcuno me lo chiedesse, dirò di esserci arrivata da sola. Promesso!»

Lei mi osservò, come se cercasse di leggere sul mio viso se fossi sincera. «Sei molto testarda, Nikka.»

«Non lo sarebbe anche lei se la sua migliore amica fosse in pericolo?»

«Ne sei proprio convinta?»

«Assolutamente sì.»

Fece un altro respiro del naso, che stavolta somigliò a un sospiro.

«Sai, sono piuttosto anziana» mormorò, «e le persone vecchie perdono la memoria. Per esempio a volte mi dimentico di chiudere la porta di casa. Ma per fortuna ci sono giovani attente che entrano e me lo fanno presente.»

Detto questo si voltò e si trascinò dentro casa, tirandosi dietro la bombola di ossigeno con le rotelle cigolanti.

Lasciò aperta la porta.