La zia di Gera dice che ci sono dei modi…
Che stupido, stupido spreco! Per un istante desiderai quasi scuoterla per farglielo capire; ma poi vidi il braccio esangue, ora bianco e pulito, che penzolava sul pavimento malgrado la stretta della zia, e provai una fitta al cuore.
Il ferro da calza mi cadde di mano; non avrei potuto far più male agli zii nemmeno se gliel’avessi ficcato nel cuore. La zia stringeva sempre più forte il corpo di Anneke a ogni immagine che l’assaliva; lo zio singhiozzava sul maglione della figlia, gettato sul comò tra le sue cose. Era stata lei a farsi questo.
Era sola, non mi aveva voluta con sé. Ma c’era qualcosa che non tornava: io avevo visto come si accarezzava la pancia.
Intuii per prima la risposta e mi portai di scatto le mani alla bocca, quasi temessi di farmela sfuggire. Avrei dato qualsiasi cosa al mondo per proteggere la zia e lo zio dalla verità. Poi fu lo zio a capire, e boccheggiò e crollò sul cassettone sotto il peso della colpa: Anneke non si era infilzata il ventre per liberarsi del bambino, ma per evitare di andare in quel posto. Se l’era preso lei, il bambino, piuttosto che darlo via.
La zia si alzò dal letto e cominciò a percuotere la schiena dello zio, i piccoli pugni che si abbattevano su di lui come se potessero esaurire in quel modo il dolore che sentiva. Balzai in piedi, rovesciando il secchio con la saponata, e la trascinai via. Cercai di trattenerla, ma la furia la rendeva forte e continuava a divincolarsi per tornare da lui. Poi fu scossa da un tremito, e ricacciò indietro i singhiozzi per tirare fuori la voce.
«Tu e le tue regole!»
«Mies…» Con un filo di voce, lui alzò le sue mani colpevoli verso di lei. Gli si era rotta una lente degli occhiali.
«Sei contento, adesso? Ti basta, tutto questo onore?»
«Tante Mies, ti prego» la supplicai. Erano già successe troppe cose brutte in quella stanza.
Ma lei non aveva finito. «È stata lei a disonorarci? Lei? Vattene di qui». La voce era così bassa e fredda che non la riconobbi. «Vattene da questa casa».
Lo zio colse l’accusa nei suoi occhi e la assorbì. Parve quasi sollevato di aver toccato il fondo: qualunque cosa era meglio che continuare a cadere. E forse era sollevato di assumersi la colpa, di vedersi somministrare una punizione: la misericordia sarebbe stata insopportabile. Si precipitò fuori dalla stanza, il maglione di Anneke ancora stretto fra le mani insieme a una vita marchiata dal senso di colpa. Sul pavimento, il sangue di Anneke scorreva a rivoli lenti nell’acqua saponata, tingendo le bolle di rosa.