Capitolo 4
Kain
La ragazza che mi sta di fronte ha davvero coraggio da vendere. Per prima cosa ha avuto il potere di lasciarmi, anche solo per un attimo, senza parole. E non è roba da poco. Ho a che fare ogni giorno con gente della peggiore specie. Chi frequenta un banco dei pegni è praticamente chi non sa più dove andare a sbattere. Si tratta del gradino immediatamente precedente al furto, la sottile linea di confine tra il lecito e l’illecito. Dopo che non hai più niente da impegnare, non ti rimane che rubare.
All’inizio la gente porta i pezzi migliori che ha, quelli conservati gelosamente, ricevuti in eredità, comprati ai tempi in cui le vacche erano grasse. Poi, pian piano, vedi sempre le stesse facce arrivare con oggetti che non vorrebbe neanche un rigattiere e con un’espressione che rasenta il disperato. Oppure merce rubata.
Non è un mestiere per il quale si può avere pietà. Se cominci a impietosirti, è la fine. I disperati se ne accorgono e rischi di far fallire l’attività. Ma né io, né Sloan corriamo questo periodo. Dietro le nostre postazioni abbiamo entrambi il cuore duro come pietra e, per quel che mi riguarda, anche al di là del lavoro. Non so cosa sia il coinvolgimento emotivo. Non sono empatico, direbbe qualcuno. No, non lo sono.
Siamo irlandesi trapiantati nel Nevada, ma non dimentichiamo mai le nostre radici. L’attività l’aprì mio padre lasciando la sua terra per venire fin qui in cerca di fortuna e ha sputato sangue per portarla avanti facendo ingoiare tanta di quella merda a me e mio fratello, che non sapremmo essere gentili neanche se fossimo costretti. Io e lui siamo a capo del nostro clan, viviamo all’interno del nostro giro, i nostri uomini sono parenti, cugini o amici dei parenti e dei cugini. Ma tutti rigorosamente irlandesi, non ci fidiamo di altri. Non che gli irlandesi non possano provare a fottermi, ma almeno sanno cosa li aspetta nel caso fallissero. E finora nessuno ci è riuscito. Ogni tanto qualcuno ci prova, ma io e Sloan gli facciamo passare immediatamente la voglia.
Adesso, ad esempio, che mi trovo nella stanza con questa tipa, nonostante il suo bel faccino e l’aria sfrontata, non perdo di vista che sono parecchio incazzato con lei. Big Bear è uno dei miei uomini migliori e anche un buon amico. Non sono solo incazzato, a dire il vero, ma anche preoccupato. Se dovesse morire, ci starei male come un cane e non mi vergogno di ammetterlo. Non ho affetti particolari in giro, ma lui è un amico. Lo rispetto e ci tengo.
Quell’uomo ha un solo, grande, difetto. Gli piacciono un po’ troppo le bionde e stavolta questa debolezza gli è stata quasi fatale. Si dice che è schiavo della fica. Davanti a una bella donna gli va in pappa il cervello e pensa soltanto a come farsela. Non riesce a restare lucido e prendere le distanze. È il suo grosso limite. Come sono convinto di questo, allo stesso modo sono altrettanto sicuro che questa ragazza non lo avrebbe steso, se non si fosse comportato come un animale con sua madre. Non stento a credere che le abbia messo le mani addosso e che si sia infoiato talmente tanto da non volersi fermare. La madre è proprio il suo tipo, volgare e puttana al punto giusto. Ma comportarsi come un gentiluomo è chiedere davvero troppo a uno come Big Bear. Lui è un figlio della strada.
Continuo a ripetermi che la sola cosa che mi stuzzica di lei è che sia vergine. Vergine. Me lo ha sventolato davanti come un drappo rosso. Come si può essere vergine alla sua età?
«Quanti anni hai?» le domando osservandola bene.
«Venticinque» mi risponde guardandomi negli occhi con aria di sfida. Lo vedo che ha paura, riconosco l’espressione, gli atteggiamenti di chi se la sta facendo sotto e lei almeno lo fa in una maniera dignitosa. Non è molto alta, anzi, direi che è una tappetta, ha i capelli lunghi del colore delle castagne. Sembra proprio una castagna che si trova ancora nel riccio, con quei capelli arruffati e incolti come un cespuglio. È vestita un po’ da stracciona, è minuta ma si capisce che quel poco di curve che ha sono al posto giusto.
«Come mai a venticinque anni nessuno ti ha mai scopata?» Sono curioso e so che la mia domanda la farà incazzare.
Non sembra colpita dal mio modo diretto. Incassa bene la ragazza. D’altronde, si vede lontano un miglio che è una figlia della strada. «Perché ho incontrato solo uomini che parlano più o meno come te» ribatte pronta. Ha paura, questa ragazza, ma la sua lingua biforcuta non sbaglia un colpo. Sa tenermi testa e questo mi piace. Il cazzo inizia a indurirsi nei pantaloni e sono sorpreso. In genere non avviene mai mentre parlo con una donna, devo essere impegnato in qualcosa di più spinto che battibeccare.
«Ti stai conservando per il grande amore» la sfotto. E vedo che mi piace come le guance le diventano rosse per la rabbia.
«Non mi sto conservando per nessuno, sono solo una che non la dà al primo che passa.» Incrocia le braccia sotto il seno minuscolo e assume un’aria spavalda. In genere mi piacciono le donne procaci, adoro stringere i seni abbondanti e seppellirci la faccia. Ma le sue tette piccole mi intrigano. Hanno un’aria ribelle, come lei. E quel culetto impertinente potrebbe finire sotto le mie mani, riscaldato a dovere da un paio di sonori sculaccioni. Mi indurisco ancora di più.
«Mi pare di capire che non è passato proprio nessuno da te.»
Mi guarda torva. Ma non ho ancora finito, questo gioco mi diverte da morire.
«Invece, da tua madre sono passati eccome.»
La mia battutaccia le fa cambiare espressione, impallidisce dalla rabbia. Se ne avesse la stazza, sono sicuro che mi aggredirebbe. Ma si limita a stringere i denti e ringhiare come la versione dolce di un mastino. «Sei un…»
Finisco la frase per lei. «… un bastardo figlio di puttana, sì puoi dirlo. È quello che sono. E anche un pervertito. Penso frequentemente al sesso e lo faccio altrettanto spesso. Sesso spinto, cose che una come te non può neanche immaginare.» E se sapesse in questo momento cosa sto pensando, non farebbe tanto la coraggiosa da proporre lo scambio con sua madre. Devo ammettere che la mammina sa il fatto suo, ha un corpo che implora di essere scopato, ma questa qui mi intriga parecchio di più.
Non è propriamente il mio tipo, è bassina e piuttosto esile. Sono abituato a donne alte e ben messe fisicamente. Lei sembra proprio una che fa la badante, con i jeans e la maglia sbiadita con due pupazzi stampati sopra che a occhio e croce sembrano due orsetti.
«Mi ha avuta presto, fai anche tu la battuta che sembra mia sorella, così siamo a posto.»
Questa cosa deve farla incazzare parecchio perché ha cambiato espressione, si è fatta pallida e il suo viso è diventato rigido come una maschera. Ma io non ho tempo per usarle cortesie.
«Senti, lascia perdere.» Ok, un po’ lo penso veramente e un po’ voglio sfotterla. Mi diverte provocarla, mi dà un senso di potere. Mi piace vederla farsi livida mentre combatte tra la voglia di sputarmi in faccia e quella di tirarmi un calcio nei coglioni. Se solo potesse permetterselo. Me lo fa diventare duro. Ancora più duro.
Apre di più gli occhi e le diventano le guance rosse. «In che senso? No, davvero posso farcela.»
Mi stuzzica questa ragazza, ma voglio renderle le cose difficili. Sono certo che sua madre scivolerebbe sul mio uccello come una locomotiva in corsa, ma lei no, se è vero quello che ha detto. E scommetto l’attività che è vero. Questa qui non ha mai preso un cazzo in tutta la sua vita e forse a malapena ne ha visto uno.
«Sei sicura?» insisto. E mi verrebbe quasi da ridere, ma devo mantenermi serio se voglio sconvolgerla veramente.
«Certo» dice con voce tremante. E diventa rossa, ancora più rossa, nel collo e nel petto. Fatico a trattenere le risate.
«Non credo che tu riesca a prendere questo…»
Mi alzo in piedi lentamente in modo che tutta la sua attenzione sia calamitata dai miei gesti. Poi deliberatamente mi tocco il pacco stringendolo in una mano a palmo aperto. Non so perché, ma mentre lo faccio la sua innocente meraviglia mi eccita. Più di quanto già non lo sia. Ha le guance arrossate per il mio gesto osceno e per le dimensioni del mio uccello che, nonostante la totale mancanza di esperienza, ha capito essere notevoli. È sconvolta ed eccitata e, cosa più importante, non vorrebbe assolutamente esserlo. Questa ragazza è un libro aperto per me, posso leggere le sue emozioni come se con i suoi occhi desse loro voce. E ora gridano in una maniera quasi assordante.
«Vedi, come sono grosso, tesoro? Ecco, sono grosso dappertutto.»
Deglutisce, è smarrita, non sa che dire, mentre il mio orgoglio di maschio esulta per averla imbarazzata. E per qualcosa di più. Non so cosa.
Guarda in basso come a raccogliere idee e pensieri, poi trova qualcosa da dire.
«Dovrò pur cominciare da qualche parte» ribatte. Non ci posso credere che abbia recuperato così velocemente il sangue freddo. O ha mentito sulla verginità oppure tiene veramente a quella sgualdrina di sua madre.
Ha la faccia di una che vorrebbe aggiungere qualche altra cosa, ma proprio non ce la fa. Mi rimetto seduto e scopro che non riesco a trovare una posizione comoda tanto facilmente.
«Avevo capito che mi avresti data…»
«Prima io, quelle come te sono diventate merce rara. Poi ti useremo come garanzia.»
Non sto mentendo, non sono mai stato con una ragazza vergine, sarà un bel passatempo. Mio fratello mi ha introdotto ben presto al sesso con le puttane, avevo appena tredici anni e lei era una del nostro giro. Non ho mai avuto un appuntamento normale con una ragazza della mia età. Non sono mai stato sposato, né fidanzato. Noi Byrne non abbiamo tempo per queste cose. Le donne, la famiglia, gli affetti stabili in generale sono dei punti deboli e, se fai parte della malavita, almeno al nostro livello, non te li puoi permettere. I nemici lo scoprono subito, hanno un fiuto per queste cose. E, una volta scoperto, ti schiacciano come uno scarafaggio. Scopo chi mi pare, quando mi pare, senza problemi.
«Sei sempre dell’avviso? O vuoi che mi prenda tua madre?»
Sono curioso di sapere cosa risponderà. Stringe le labbra, deve avere una fifa blu.
«Manda mia madre a casa» dice. Risoluta, decisa, come se avesse dato un ordine a un esercito. Sono sempre più intrigato.
«Come ti chiami?»
«Tess Sanson.»
«Affare fatto, Tess Sanson.»
Sorrido e so che quello che ne esce fuori è un ghigno. Piccola coraggiosa, forse immagina che mi impietosirò, ma non sa che noi irlandesi siamo tenaci e che sono noto per non perdere mai un colpo. Con me non avrà vita facile.