Capitolo 6
Kain
«Allora?»
Bonnie si è appena portata via Tess Sanson e sono solo nel mio ufficio con Sloan.
«Abbiamo un affare da portare a termine a Richmond.» Mio fratello ha gli affari sempre in testa. I soldi per lui vengono prima di tutto ed è giusto così. Senza il suo chiodo fisso non saremmo dove siamo e gran parte del successo del banco dei pegni e di tutte le nostre attività spetta a lui. Nostro padre, emigrato dall’Irlanda in Nevada, ha gettato le basi, ma è morto troppo presto. Da quel momento Sloan è stato una via di mezzo tra un fratello maggiore e una figura paterna. Mi ha tirato le orecchie quando ero troppo giovane e facevo una cazzata dietro l’altra. In quel momento delicato della mia vita mi ha dato la responsabilità della gestione dell’attività di famiglia rendendomi indipendente e responsabile. Grazie a Sloan ho imparato presto la dedizione agli affari e il fiuto per le occasioni. Lui è stato il mio mentore, la mia guida.
«Che genere di affare?»
«Ricordi Leo Morris?»
«Quel boss cazzuto di Richmond?» Non potrei mai dimenticarmene. Ci siamo conosciuti per caso più di un anno fa e non nelle migliori circostanze. Io e Sloan eravamo a Harrisburg per affari, fermi al semaforo nella nostra macchina presa a noleggio e qualcosa era andato a sbattere violentemente contro il cofano. Eravamo scesi, imbufaliti, quando ci siamo accorti che al volante c’era una donna bruna bella da toglier il fiato. Era tramortita per via del colpo, in stato semi confusionale e con un rivolo di sangue che le colava da una ferita superficiale alla tempia. Avevamo chiamato il nove uno uno e le avevamo chiesto se potevamo avvertire qualcuno per aiutarla. Ma era confusa, così mi ero preso la libertà di tirare fuori il telefono dalla sua borsa e scorrere i numeri in rubrica. Avevo cliccato su “Amore mio” e raccontato a una voce maschile quello che era accaduto. Nel giro di pochi minuti, prima dell’ambulanza, era arrivata una berlina nera che sembrava quella di un ambasciatore. Ne era sceso un tipo che pareva uscito da un film di Al Capone e si era subito accostato alla donna. Mentre arrivavano i soccorsi l’uomo aveva voluto sapere di noi, ci aveva ringraziato senza tante cerimonie e una settimana dopo avevamo ricevuto alla sede del banco due casse di champagne e un assegno per risarcire il danno all’auto.
Da quel momento non lo avevamo più sentito e mi ero praticamente dimenticato di lui.
«Esatto, proprio lui. Mi ha chiamato oggi al telefono e sinceramente era l’ultima persona che mi aspettavo di sentire.»
«Cosa voleva?»
«Propormi un affare, dice che potremmo aprire una filiale laggiù. In società con lui. Di tutto quanto ovviamente. Banco dei pegni e altri giri. Ha bisogno di un socio esperto nel settore e ha pensato a noi.»
«Interessante.» Che nella mia testa si traduce in “grandioso”. Già vedo tutto il potenziale che un’attività in Virginia potrebbe rappresentare. E non solo io, so che anche Sloan ci sta pensando. Dopo aver ricevuto gli omaggi generosi avevamo fatto una piccola ricerca su Leo Morris e, con le domande giuste alle persone giuste, era venuto fuori il suo giro a Richmond. Gioco d’azzardo, club notturni, prostituzione di lusso. Potrebbe tornarci molto utile metterci in affari con lui, potremmo avere parecchie strade spianate.
«Esatto ed è per questo che non ci faremo sfuggire l’occasione.»
«Perché? Può sfuggirci?»
«Non lo so, ma è roba grossa. Ha detto che cerca un socio, non è detto che lo abbia proposto solo a noi.»
Sloan ha ragione, non lo conosciamo bene e non possiamo fidarci. In certe cose se arrivi secondo, ti ci pulisci il culo con quello che rimane. Noi dobbiamo arrivare primi e prenderci l’affare.
«Pensi che Morris stia trattando con qualcun altro?»
«Non lo so, non ho sentito niente del genere in giro, ma non voglio correre il rischio. Siamo in buoni rapporti ma gli affari sono affari. Voglio che tu vada a parlarci personalmente.»
Personalmente vuol dire fare un viaggetto fino in Virginia. Non era in conto in questo momento, ma per il tipo che sono, non faccio programmi neanche per una giornata. Non è un problema per me lasciare tutto e partire. Non ho niente, d’altronde, se non gli affari e quelli mio fratello può curarli benissimo al posto mio.
«Ok.» Sono in gamba a condurre le trattative e Sloan lo sa.
«Partirai stasera.» Mio fratello sprofonda nella poltrona di fronte alla mia e mi guarda aspettando che risponda. Sa benissimo che non può ordinarmi cosa fare, anche se ogni tanto ci prova. È consapevole del fatto che, anche se più vecchio di me, io e lui siamo alla pari negli affari. La sua parola conta quanto la mia.
Faccio due rapidi calcoli. Non mi dispiace mai partire per qualche missione. Sono sempre io il prescelto, per il solo motivo che sono molto più diplomatico di Sloan. Mio fratello è una specie di orso di montagna appena uscito dal letargo, è permaloso e irascibile e rischierebbe di mandare a monte qualsiasi buon affare. Io ci so fare con le persone, uomini e donne. E lui lo sa.
Ma stavolta non fremo all’idea di andare. Vorrei non sapere il perché e invece lo so benissimo. Ha qualcosa a che vedere con quella pollastrella che ho sotto mano e non voglio lasciarmela sfuggire. Tess. Il suo nome mi ronza in testa come una melodia accattivante, qualcosa che mi fa fremere dentro. Non voglio di certo lasciarla qui da sola.
Incustodita.
Il pensiero mi fa prudere la nuca. Mi agito sulla poltrona improvvisamente inquieto.
«Stasera, hai detto?»
«A-ha…» Sloan, stravaccato sulla poltrona, si sta preparando una sigaretta rollandola a mano.
«Andrai in macchina, approfitta per fare il solito giro» aggiunge leccando la cartina.
Il solito giro è una visita alle nostre sedi di Houston e Bloomington. Abbiamo anche lì due banchi. Potrei prendere l’aereo e fare varie tappe, ci impiegherei meno tempo, ma Sloan sa che in genere preferisco sempre muovermi con la mia macchina. Mi faccio ogni volta un cazzo di viaggio ma a me piace così. Guidare mi rilassa, con lo stereo come unica compagnia, stare da solo e prendermi i miei tempi e i miei spazi.
«Va bene.»
Annuisce, sa che non faccio mai storie per i viaggi di lavoro. Tanto lui è restio a lasciare Carson City, tanto io sono propenso a farlo.
«Porterò qualcuno con me.»
Non mi va di dirglielo, in realtà, ma non voglio che scopra che gliel’ho nascosto. D’altronde, non ho niente di cui giustificarmi. Al momento Tess Sanson è una garanzia per le condizioni di Big Bear, è come se fosse di mia proprietà. Se il mio amico dovesse morire, lei ne pagherebbe le conseguenze. Non so perché ma questa prospettiva mi agita qualcosa dentro, come se un demone addormentato si risvegliasse all’improvviso e conficcasse i suoi artigli nel mio petto. Non succederà, perché lui non morirà, cazzo. Punto e basta. E se dovesse morire, sarà stata colpa sua, di Tess, e allora io dovrò fare quello che va fatto.
«Hai bisogno di trascinarti dietro Bonnie? Troverai quanta fica vuoi per strada.»
«Non mi riferivo a Bonnie.»
Mi porge la sigaretta e inizia a farsene una per sé. «E a chi, allora?»
La prendo e me l’accendo. Per uno strano motivo non mi va di parlarne. So che si scopa Bonnie ogni tanto e la cosa non mi dà alcun fastidio. Con lei ci scopo anche io, non posso dire di averci una relazione e neanche Sloan. È solo una donna con la quale vado a letto, non le ho mai fatto promesse e lei non ne ha mai fatto a me. Non sono geloso di Bonnie e lei sa che non può accampare nessun diritto. È un rapporto strano, che non tutti comprenderebbero ma a noi va bene così. Non mi va di approfondire altri discorsi con mio fratello, ma ormai gli devo una risposta e dalla sua faccia direi che la sta aspettando.
«La ragazza che ha quasi accoppato Big Bear. Quella che ho mandato via poco fa con Bonnie.»
Mi guarda sospettoso. «Credevo volessi farla lavorare nel club fino a quando Big Bear non si fosse ripreso.»
Non mi va di dirgli che Tess è vergine e voglio godermi questo regalino per primo e poi darla in pasto alla clientela. Alzo le spalle con noncuranza.
«È il mio ostaggio, voglio averla a disposizione, qualsiasi cosa capiti a Bear. E poi voglio scoparla con tutta calma. E parecchio.» Da quando l’ho vista non faccio che pensarci.
Sloan non è troppo convinto, ma non gliene fotte più di tanto e sa che su certe cose, tipo le donne, non ci diamo reciprocamente consigli.
«Fa come ti pare. Io starò qui a controllare gli affari.»
Annuisco, lo so che bisogna sempre guardarsi le spalle. Appena abbassi la guardia c’è sempre qualche figlio di puttana pronto a prendere il nostro posto. E già lo avrebbero fatto un sacco di volte, se io e Sloan non fossimo stati sempre all’erta.
«Conti di farti la pollastrella stanotte?» Sogghigna divertito.
Perché cazzo continua a tornare su questo argomento? Vorrei dirgli che non ne voglio parlare, ma so che se perdo la calma potrebbe insospettirsi, farsi strane idee. Come, per esempio, che di lei possa importarmene qualcosa.
In fondo, non c’è niente di male in quello che mi ha chiesto.
«Non lo so» rispondo e spero che non capisca che comincio a innervosirmi. Sloan spegne la sigaretta a metà.
«Voglio godermela con calma» ripeto con un sorriso che mi si apre spontaneo pensando alla sua faccia sdegnata. La sua testardaggine mi intriga e spero che con questo mio fratello capisca che per il momento non voglio condividerla con lui. Non è detto che non lo faccia partecipe in futuro, ma per il momento stranamente non ne ho voglia. Abbiamo a disposizione un bordello pieno di ragazze, se vuole farsi passare le smanie.
Sloan mi guarda assorto, sta pensando qualcosa. «Forse non hai tutti i torti, la tua pensata potrebbe essere un vantaggio per noi.»
Non capisco cosa intenda. Ma poi è lui a spiegarmelo. Devo fare una telefonata, adesso, e dire esattamente quello che gli è venuto in mente. È una cosa semplice, ma dice che ci tornerà utile e che potrebbe fare la differenza. Non ne sono convinto e non mi va, ma lo sguardo implacabile di mio fratello incombe come una sfida, come se dovessi superare una fottuta prova.
«Adesso, Kain.»
Prendo il telefono e con un senso di bruciore intenso ai polmoni, faccio come ordina. Ma il telefono squilla a vuoto.
«Non risponde.»
«Manda un messaggio vocale.» Faccio come dice con la rabbia che rischia di prendere il sopravvento. Ma lo faccio, non voglio che pensi io sia un debole.
Sloan rimane ad ascoltare, poi soddisfatto si alza e se ne va verso la porta.
Quando la apre rimane fermo. Impietrito. Fischia e gli esce dalla bocca un apprezzamento volgare. Poi va via.
Che cazzo significa?
Lo capisco subito, appena fanno il loro ingresso Tess e Bonnie. E, cazzo, devo dire che la ragazza ha cambiato aspetto.
Radicalmente.
Ora sembra quello che non è, cioè una raffinata puttana di professione. È inguainata in un vestito dorato, luccicante e corto, e barcolla su un paio di tacchi che la slanciano in maniera interessante. Devo riconoscere che Bonnie ha stile e metodo e che, quando li combina insieme, esce qualcosa di molto ben fatto. Come in questo caso.
«Soddisfatto, capo?» Lo dice sottolineando la parola. Resto sempre il suo capo, anche se ogni tanto ce la spassiamo insieme, e lei lo sa. La cosa bella di Bonnie è che non esce mai fuori dal seminato, non inverte i ruoli, non si prende liberà che sa di non potersi permettere. Il rovescio della medaglia è che io e lei siamo sempre e comunque fottutamente soli. Tutti e due.
«Non potevi fare di meglio» le rispondo regalandole un’occhiata che è tutta approvazione. Lei si sforza di sorridere, ma lo vedo lontano un miglio che le rode. Non ho tempo adesso per occuparmi di gelosie nascoste. Qualsiasi malumore dovrà tenerselo per sé.
«Lasciaci soli.»
Bonnie inspira e gira i tacchi. So che si incazza parecchio quando la tratto così e non capita spesso che preferisca altre donne a lei. Bonnie sa quello che mi piace, ha un corpo fantastico, non mi rompe le palle con stronzate romantiche. Ma ora, sento tutta un’altra musica.
Tess è una combinazione che stimola i miei sensi. Si è infilata in un vestito glitterato dorato che le copre appena il culo. Qualcosa mi dice che Bonnie lo usava come una maglia. Ha il seno piccolo e la pancia piatta, per cui il tessuto la inguaina fasciandole tutte le forme. Farebbe resuscitare l’uccello di un morto, immaginarsi l’effetto che ha sul mio, che sono più che vivo. Ma c’è qualcosa che non va. Forse è il contrasto tra quello che so di lei e quello che Bonnie ha voluto farla apparire. Non lo so, ma c’è una nota stonata, qualcosa che mi farebbe preferire toglierle il vestito dorato e farle indossare di nuovo i pantaloni e la maglietta che aveva prima.
Ma non lo confesserei neanche morto.
«Devo ammettere che conciata in questo modo, fai molto puttana» le dico, invece.
Ed è la verità. Ma l’altra parte di verità è che mi piaceva anche prima.
«E tu sei un vero gentiluomo.» Fa una smorfia disgustata. Il pensiero che mi trovi volgare e sboccato mi eccita.
Incasso, il minimo che possa fare è arrabbiarsi, glielo concedo.
«Allora, quando dobbiamo fare questa cosa?»
Per un momento mi ero quasi dimenticato di quello che devo pretendere da lei, ma ci metto solo un attimo a ricordarmene. E subito mi torna il buonumore. L’idea di giocare un po’ mi eccita.
«Potremmo farlo qui adesso…» strascico deliberatamente le parole per gustarmi la sua faccia mentre impallidisce. Deglutisce a vuoto. Il cazzo inizia a tirarmi nei pantaloni. Quanto mi diverte questa storia…
«Ma c’è stato un piccolo cambiamento di programma» concludo. A questo punto sembra che Tess abbia riacquistato improvvisamente colore. Un po’, almeno. Ha paura, lo sento, ma sotto sotto c’è anche altro. Gli occhi le brillano di qualcosa che, mi ci gioco le palle, è eccitazione. Non sa neanche a che livelli sta salendo la mia.
«In che senso?» domanda incuriosita. La curiosità nel mio mondo non è mai una cosa buona.
«Nel senso che dobbiamo partire.»
«Dobbiamo? Partire per dove?» Ora è confusa e per me adorabile. Ha le guance rosse e gli occhi impauriti. Guarda a destra e sinistra come se cercasse un modo per scappare da qui. Ancora non ha capito che non può farlo. Scappare da me è impossibile.
«Richmond. Ho degli affari urgenti da sbrigare. E tu verrai con me.»
Incassa bene il colpo. Lo scampato pericolo, almeno per il momento, sembra averla resa impavida. Incrocia le braccia sotto il seno ed è pronta a combattere. «Non ci penso proprio. Io ho un lavoro qui.»
Mi viene quasi da ridere. «Un lavoro?»
«Certo, bado alla signora Appleburne» dice alzando il mento in segno di sfida. Adesso sono proprio colpito dal suo scatto di dignità.
«Allora, chiama la tua mammina e dirle di alzare il culo e andarci lei, dalla signora Appleburne.» Indietreggia quasi offesa, mentre io avanzo di un passo.
«O devo ricordarti il motivo per cui sei qui?» Affondo con un tono che dice tutto. Mi godo il rossore che si diffonde sulle sue guance e gli occhi pieni di smarrimento. Che cazzo mi succede? Basta questo a farmi perdere lucidità?
Tess tace e approfitto per sferrare il colpo finale.
«Fino a quando Big Bear sarà con un piede nella fossa, tu farai tutto quello che ti dirò io. E ora, andiamo.»
«Adesso?» urla quasi.
«Dobbiamo fare parecchie cose. Non si sta fuori per un paio di settimane senza essere preparati.»
Giuro che a questa mia ultima frase ho l’impressione che stia per svenire.