Capitolo 14
Tess
Ok, posso farlo. La sola cosa che non deve accadere è che mi tremi la mano, per il resto posso fare qualsiasi cosa.
Prendo la mira e sparo. Un colpo.
Oh cazzo! L’ho preso! Questo è il momento in cui non dovrei distrarmi, dovrei puntare e sparare anche all’altro, ma le cose non vanno proprio così. Dopo il primo colpo succede un pandemonio, sembra sia scoppiata una bomba. L’uomo a cui ho sparato si è accasciato, Kain si è avventato sull’altro, quello più vicino a lui. Gli ha fatto volare la pistola di mano e lo ha steso con un pugno in faccia che lo ha mandato dritto per terra. Io cerco di non farmi distrarre, prendo la mira e sparo ancora. Kain schizza in piedi e si volta verso di me con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Li ho presi tutti e due oh, cazzo! Non ci posso credere. Guardo i due uomini per terra e poi Kain.
«Stavolta mi hai mancato per un soffio!» Mi guarda anche lui, come se fossi uno spettro. Un po’ stupito, un po’ incazzato. Poi il suo sorriso si apre con un ghigno compiaciuto. «Però, ce ne hai messo di tempo ad arrivare!»
Lo guardo alzando un sopracciglio. «Hai sbagliato battuta, questo è il momento in cui mi dici grazie e mi baci i piedi.» Vorrei fare la dura ma proprio non ci riesco, sento che il braccio mi trema in maniera incontrollata. Ho uno spasmo muscolare involontario. Ho sparato a due uomini che si contorcono tra urla e dolore sul pavimento.
«Non montarti la testa» mi dice prendendomi la pistola dalle mani e massaggiandomi il braccio. Lo fa in maniera disinvolta, passa le sue dita sicure e forti sulla mia carne e, dove tocca, sento che rilassa il muscolo contratto. Le sue mani sono fredde, ha avuto paura anche lui.
«Il secondo non c’era bisogno che lo colpivi, lo avevo già steso» mi rimprovera impastando la mia carne concentrato. Mi viene quasi da miagolare per il sollievo, è la cosa più bella che abbia mai provato.
«Volevo esserne certa.» Ci manca solo che mi metta a pensare che avrei potuto evitare di colpire il secondo. Ho già abbastanza sensi di colpa che affiorano pericolosamente. Li ho solo feriti, ma se li avessi colpiti a morte?
«Hai fatto del male al vecchio?» mi chiede lasciandomi il braccio e prendendo la sua pistola dalle reni.
«Chi? Quello che voleva convincermi che il manico che ha tra le gambe è più duro della scopa che aveva in mano? No, l’ho solo tramortito con il calcio della pistola.» Quando aveva realizzato che non sarei stata il suo passatempo ma che doveva farmi passare, aveva minacciato di portarmi dal capo ed ero stata costretta a fargli fare un sonnellino.
«Hai visto che le armi ci avrebbero fatto comodo?» mi sbeffeggia.
«Ma sei serio? Ce la fai a dirmi grazie per averti salvato la vita?»
Kain mi ignora e va a controllare i due a terra. Gemono uno più forte dell’altro, sembrano due maiali sgozzati. Uno l’ho preso alla coscia e l’altro a un piede. Il sangue delle loro ferite ha insozzato il pavimento. Guadandoli così mi viene un po’ da vomitare.
«Che facciamo con loro?»
Kain li guarda. Nel suo viso non c’è il minimo accenno di pietà. Non gli importa proprio niente che si contorcano in preda al dolore, è completamente indifferente. «Dovremmo chiamare il nove uno uno e rendere la nostra testimonianza alla polizia. Siamo stati aggrediti… bla bla bla… ci siamo difesi…»
«E invece cosa faremo?»
Kain non risponde a me, ma direttamente a uno dei due. L’uomo è a terra con la fronte imperlata di sudore e lo sguardo terrorizzato.
«Ascolta bene, figlio di puttana. Adesso chiamerò i paramedici per evitare che tu e questo stronzo moriate dissanguati. Racconterai che è stato un incidente. Una discussione tra voi che è degenerata in lite e sono partiti due colpi con cui accidentalmente vi siete presi a vicenda. OK?»
L’uomo annuisce con veemenza. «Se provi a fottermi, mi fermerò qui al ritorno dal mio viaggio e vi ucciderò entrambi. Sai che lo farò, quindi non fare scherzi. È una seconda possibilità quella che ti sto dando, non farmene pentire.» L’uomo annuisce disperato.
Kain si rivolge a me. «Vai a prendere uno dei sacchi dell’immondizia che aveva il vecchio sul carrello.» Faccio come dice, torno nella stanza e lo aiuto a infilare il denaro sparso sul tavolo all’interno del sacco.
Si rivolge a uno dei due. «Questo è un anticipo, il resto lo manderai a Sloan appena ti avranno sistemato la gamba. Ci siamo capiti?»
«Andiamo via da qui prima che arrivi la polizia.» Lo tiro per una manica, improvvisamente ho paura, comincio a immaginarmi in tuta arancione dietro le sbarre per il resto della vita. Con tutta la calma del mondo Kain lascia la stanza e attraversa l’atrio del locale con me al seguito che non riesco neanche a battere le palpebre per l’agitazione. Si vede che è molto più addentro di me in queste cose!
«Perché non li hai uccisi?» gli domando mentre carica il sacco pieno di soldi nel portabagagli.
Mi guarda risentito chiudendo contemporaneamente il cofano. Il rumore, anche se attutito, mi fa sobbalzare. «Rilassati, Tess, ce ne stiamo andando.»
Mi tocca un gomito con il palmo della mano e improvvisamente sento una strana calma pervadermi. Ma lui non si fida delle mie condizioni e mi scorta fino al sedile del passeggero, lo apre e mi fa salire. Poi lo chiude e fa il giro della macchina mettendosi al suo posto.
«Non sono un assassino, ho ucciso poca gente nella mia vita e solo quando è stato davvero necessario.» Non so perché ma la sua risposta mi rassicura. Solo un attimo, però. Quello dopo sono di nuovo allarmata.
«Potrebbero raccontare di tutto alla polizia.»
Kain mette in moto e ci allontaniamo. «Non lo faranno. Brody mi conosce e sa che ritornerei da lui per ucciderlo, stavolta.» E i suoi occhi sono talmente freddi mentre pronuncia queste parole che io veramente ci credo.
***
Ho ancora nelle orecchie le sirene dell’ambulanza che abbiamo incrociato mentre ci allontanavano dal banco dei pegni e da Houston. L’ha chiamata Kain, io non sarei riuscita a mantenere la voce calma con l’operatore, mi sarei fatta scoprire subito, magari confessando durante la telefonata quello che avevo fatto.
«Tutto ok?» Sta ancora guidando. Tutto ok? Me lo domando anch’io. Forse sì, visto che le mani hanno smesso finalmente di tremare. So che dobbiamo arrivare a Bloomington e che spezzeremo il viaggio fermandoci in Arkansas. Adesso, però, l’idea di stare in macchina mi fa uno strano effetto, come se il mio stomaco si ribellasse.
«Mi viene un po’ da vomitare» ammetto. Non ho motivo di fare l’eroe e neanche la voglia. L’adrenalina sta scemando e mi sento sfinita. Questa non è la mia vita, non vado in giro a sparare alle gambe alla gente portando dietro borse piene di soldi e non posso farci niente se mi fa stare male.
«È lo choc, hai bisogno di qualcosa di caldo e di riposare.»
Le sue parole stonano con tutto quanto. Non riesco ad associare questo viaggio a un singolo momento di conforto. La verità è che non riesco ad associare Kain a niente che sia tale. Lui per me è solo sconvolgimento di vita, programmi saltati, costringimento a partire per posti sconosciuti, minaccia di venire abusata che pende sulla mia testa costantemente.
Chiudo gli occhi. Sono stanca, troppo stanca.
Ma per poco, li riapro subito appena avverto che la macchina sta facendo una deviazione. Ha imboccato l’uscita e ci ritroviamo in un piazzale di cemento. Il parcheggio è piuttosto buio ma vedo un locale. Kain sistema la macchina in un punto isolato rispetto ad altre due auto. «Vado a prenderti un tè caldo, resta qui.»
Scende e neanche mi chiude dentro. Deve aver capito anche lui che non avrei la forza di fare proprio niente. Soprattutto fuggire. Fisso il vuoto e penso che davvero la sola cosa che vorrei in questo momento è dormire. Mi sento stanca, gravata da un peso quasi impossibile da sopportare e mi viene anche da piangere.
Vorrei poter ricominciare tutto da capo e non essermi offerta come ostaggio al posto di mia madre. Cosa ci ho guadagnato? Perché faccio sempre la cosa sbagliata? Se mi fossi fatta gli affari miei, a quest’ora starei tornando a casa dal turno dalla signora Appleburne e la mia unica preoccupazione sarebbe cosa mangiare per cena.
Fisso il vuoto per qualche minuto ed è quello che ancora faccio nel momento in cui Kain torna con un grosso bicchiere di plastica.
Sale in macchina e si volta verso di me. «Bevi» mi ordina. E lo faccio, senza protestare. Ho un disperato bisogno che qualcuno mi dica cosa fare perché mi sento talmente sconfitta da non riuscirci. Appena assaggio la bevanda mi rendo conto che è stata addolcita e che c’è qualcosa di alcolico dentro.
«Ti scalderà e ti farà dormire» mi anticipa quando lo guardo. Per una volta non ha l’aria strafottente. Non discuto, non ne ho le forze. Stringo solo il bicchiere con entrambe le mani mentre Kain mi guarda. Rabbrividisco, un po’ per il freddo, un po’ perché sono sotto il suo sguardo. Lui sbuffa, come se avesse preso una decisione.
«Scendi» mi dice mentre apre lo sportello e lo fa lui stesso. Si sistema sul sedile dietro. «Vieni qui, dai.» Mi sta invitando a mettermi seduta vicino a lui.
«Non tirartela, se non vieni qui non smetterai di tremare nonostante quello che ho messo nel tè.» Tenendo il bicchiere tra le mani obbedisco, scendo dal sedile anteriore e con passo malfermo mi sistemo su quello dietro. Appena lo faccio mi cattura risoluto con le braccia afferrandomi per sotto le ascelle e portandomi vicino a sé. Chiude lo sportello al posto mio. Mi stringe contro il suo petto, un muro vivente di muscoli e calore. Fa tutto con disinvoltura, come se fosse assolutamente normale attirarmi a sé e tenermi stretta. Come se avessimo qualcosa da condividere che non sia un reato, una fuga e l’avversione l’uno per l’altra. Bevo un sorso di tè alcolico, anche solo per avere qualcosa da fare che non sia sentire la durezza del suo corpo dietro di me e spezzare la tensione che sento crescere. C’è qualcosa tra noi? Sta succedendo qualcosa? Vorrei poter dire di no, ma sarei una bugiarda a non ammetterlo, mentirei solo a me stessa dicendo che stare al sicuro tra le sue braccia non mi provoca nessuna sensazione.
«Rilassati» comanda con voce bassa. E io quasi ci riesco.
«Ho paura di versare il tè» mento. Prende il bicchiere dalle mie mani e lo poggia sul tappetino ai nostri piedi, poi mi stringe tra le braccia, mi fa posare la testa sul suo petto. E, in tutto questo, si lascia scappare un sospiro. Inspiro sentendo finalmente un po’ di calore penetrare nella cortina di gelo che avverto dentro. Ma non riesco a smettere di tremare. Kain, allora, mi fa accomodare meglio tra le sue braccia e ora il calore lo sento veramente, dappertutto. Mi vergogno a dirlo ma lo sento anche tra le gambe. Sarà l’alcool, lo choc o non so cosa, ma mi sembra di essere confortata, accudita, quasi amata.
«Così…» mi incoraggia, come se potesse avvertire quello che mi sta accadendo. Sollevo lo sguardo piena di un sentimento a cui non so dare un nome e trovo il suo. Mi sta fissando, i suoi occhi grigi ardono di qualcosa molto simile a un senso di tormento. Guardo le sue labbra. Sono bellissime, schiuse, pronte per me e mi fanno pensare al nostro bacio breve e intenso alla stazione dei pullman.
È un ricordo lontano ma vivido, qualcosa che sembra successa una vita fa, il cui pensiero mi riscalda ancora il sangue nelle vene.
E mentre la guardo, la sua bocca scende su di me. Prima è solo un contatto labbra su labbra, non timido, solo rispettoso, ma deciso e sicuro com’è lui. Poi sento la sua lingua che mi apre per un bacio che non vuole né controllarmi, né dominarmi. Un bacio e basta. Sono io che reagisco come non avrei creduto di poter fare. Mi raddrizzo tra le sue braccia e porto una mano dietro la sua nuca approfondendo il contatto tra le nostre lingue. Mi viene istintivo, come un bisogno al quale non posso resistere, come una sete antica e sconosciuta, risvegliata improvvisamente e insaziabile. La reazione di Kain è immediata. È come se avessi innescato una miccia. Le sue labbra diventano esigenti e la sua lingua mi cattura, non nel modo gentile di prima ma in una maniera del tutto diversa. Stavolta è dominante, assolutamente padrone di questo nostro momento. Mi bacia come mai nessuno mi aveva mai baciata prima nella vita, facendomi scordare ogni cosa attorno a me. E lo fa ancora, ancora e ancora. Sento tutto un formicolio addosso, mi sembra che se non avrò subito le sue mani su di me potrei anche morire.
E Kain sembra leggermi nel pensiero. Lo sento stringere un seno da sopra la maglia mentre io gemo perché voglio molto di più. È come se avesse risvegliato un bisogno che devo assolutamente appagare. Con una mossa repentina gli salgo sopra a cavalcioni e continuo a baciarlo, lascio che la sua lingua vaghi sul collo mentre sono completamente persa nell’eccitazione. Appena mi sono messa su di lui ho sentito la sua durezza e ora inizio a dondolarmi su di essa, presa da un bisogno naturale. Apro gli occhi e mi accorgo che la tortura non è solo per me, è per entrambi. Gli occhi di Kain bruciano di desiderio, a ogni mia spinta si dilatano e le sue labbra esalano sospiri al ritmo dei miei movimenti. Con un gesto deciso si alza e ribalta velocemente le nostre posizioni. L’abitacolo della macchina è stretto, ma questo non ostacola la manovra. Ora io mi trovo sdraiata sul sedile e Kain incombe sopra di me. «Voglio la tua fica» mi dice crudamente guardandomi negli occhi. Faccio uno scatto all’ingiù col mento, incapace di far uscire parola, anche se Kain non sta aspettando il mio permesso.
Era solo un avvertimento, ha già slacciato i miei jeans. Mi sollevo appena per rendergli più semplice il compito di sfilarli. Lo fa, con un gesto unico abbassa pantaloni e slip e io resto esposta davanti ai suoi occhi. Mi guarda attentamente. Cerco di essere sempre in ordine lì sotto, anche se non frequento uomini, ma in questo momento sono terrorizzata dall’idea che possa trovare in me qualcosa che non vada. Cerco di leggere nel suo sguardo un segno di approvazione o no… Kain si abbassa e mi annusa come farebbe un animale, portando il naso tra le mie pieghe. Inspira forte a occhi chiusi, come se il mio odore lo inebriasse e poi fa una lunga leccata, da sotto a sopra. Rabbrividisco di un piacere così intenso che non riesco a trattenere un gemito. E poi un altro e un altro ancora. I suoi occhi incatenano i miei mentre passa e ripassa con la lingua là dove più sento ogni sensazione. Sembra che non voglia perdersi nessuno dei miei versi e delle mie espressioni, mi guarda come se mi stesse divorando. Se continua così esploderò presto. Mentre lo penso avverto lo spessore di un dito entrarmi appena dentro. Dilato gli occhi e lo guardo. Si è fermato all’ingresso ma sembra immenso e il cuore accelera.
Vedo i suoi occhi stravolti dal desiderio. Il dito avanza ancora un po’ e per un momento temo che voglia deflorarmi in questo modo. Mi legge nel pensiero, si stacca appena per parlarmi con voce roca. «Tranquilla» sussurra, e basta questa parola a farmi rilassare. Massaggia l’ingresso con movimenti circolari e a volte penetranti. Mi lecca e succhia in una maniera che mi accende qualcosa nel cervello e scuote il mio corpo con la potenza di un elettroshock. Sgrano gli occhi, sono arrivata al limite ed esplodo senza ritegno sulla sua bocca. Kain ingoia il mio orgasmo mantenendo il ritmo e facendomi toccare un piacere che ha qualcosa di sovrannaturale. Aspetta che mi sia calmata per raddrizzarsi rapidamente sulle ginocchia. Ha slacciato la cintura e i bottoni dei jeans. Il suo cazzo è fuori e mi sembra enorme, grosso e dritto, leggermente lucido sulla punta. Anche i testicoli sono fuori dai pantaloni e pendono grossi e pesanti. Kain se lo afferra con la mano e guardandomi lo strattona bruscamente in giù e su per tre, quattro volte di seguito, prima di eruttare il copioso liquido bianco che ricade sulle mie cosce. Sono stupefatta ed eccitata dalla visione brutale di lui che ha raggiunto da solo il suo orgasmo. È qualcosa di primitivo e feroce. Mi scopro smaniosa ed eccitata nonostante sia appena venuta.
Ho la bocca come impastata dal desiderio e sono confusa. Dico le prime parole che mi vengono in mente. «Credevo che tu mi avresti…»
Kain si chiude i pantaloni e mi guarda con occhi che sembrano ardere, lucidi di desiderio come la bocca. Le sue parole sono ancora più destabilizzanti di quanto è appena accaduto.
«È così che vuoi la tua prima volta? Scopata nel sedile posteriore di una macchina?» Ha il fiatone.
Cosa? Cosa sta dicendo?
La domanda mi coglie di sorpresa, il cervello fa fatica a comprendere cosa intenda. Mi raddrizzo improvvisamente imbarazzata. L’atmosfera di intimità e confidenza che si era creata sembra essere svanita di colpo. La domanda di Kain mi spiazza completamente. Cosa importa a lui della maniera in cui perderò la verginità? Non voleva fottermi e basta? Non voleva che fossi il suo riscatto per Big Bear? Cos’è cambiato?
«Non lo so» ammetto. Sono confusa e imbarazzata.
«Allora, fidati di me. Non lo vuoi. Andiamocene da qui, prima che ci ripensi.»
Rialzo i pantaloni cercando di non incontrare i suoi occhi, non so se lo sopporterei. Mi sento confusa, come se per la prima volta nella vita non sapessi davvero cos’è giusto e cos’è sbagliato. Ero pronta ad andare fino in fondo, ma è stato Kain a fermarsi e non riesco a trovare una spiegazione che non mi faccia sentire come sull’orlo di un precipizio, in bilico pronta a cadere.
Sono pronta a scendere, ma non faccio in tempo ad aprire lo sportello che a sorpresa Kain mi prende, con dolcezza risoluta, e mi tira di nuovo a sé. Ma non dovevo scendere? Non riesco a vederlo in viso, ma dal sospiro che gli esce dal petto sento che è combattuto, sfinito, come me. Il mio corpo è premuto contro il suo e mi arrendo, mi accoccolo contro di lui. È una sensazione strana. Non vuole fare l’amore con me, ma mi vuole vicino. Mi ha sfottuto e deriso fino a ora e adesso, invece, sembra che abbia voglia di tutto tranne che di ridere. E io altrettanto.
Kain è un uomo complicato e, mentre lo penso, poggio la guancia sul suo petto e chiudo gli occhi sfinita.