Tonsilliti

E infatti è successo, più o meno una decina di giorni dopo.

Non eri venuto a scuola. Tornato a casa, ti avevo telefonato e mi avevi detto che la mattina ti eri svegliato con le tonsille gonfie e la febbre oltre 39. Quella sera io ed Elena siamo passati a trovarti. Avevi gli occhi lucidi, le gote rosse e la fronte coperta da un velo di sudore. Elena ti ha lasciato un romanzo che aveva appena finito di leggere, Eutanasia di un amore, di Giorgio Saviane. Abbiamo chiacchierato un po’ del libro – Elena ne era entusiasta – ma tu facevi fatica a parlare e dopo una mezz’ora io e lei ce ne siamo andati.

Al Roma d’Essay davano Al di là del bene e del male, di Liliana Cavani. Il film raccontava il complicato rapporto a tre che c’era stato tra Nietzsche, Paul Rée e Lou von Salomé.

A metà proiezione Elena si è accostata al mio orecchio e mi ha sussurrato: “In questo triangolo, con chi ti identifichi?”

Ovviamente mi sarebbe piaciuto dirle Nietzsche, ma era scontato, così mi sono limitato a risponderle con una domanda. “Tu che dici?”

Elena ha sorriso con aria maliziosa.

Usciti dal cinema, invece di rintanarci come al solito in qualche locale, abbiamo comprato una bottiglia di rosso in un bar e siamo andati a bercela nel parcheggio di San Michele in Bosco. Elena aveva della marijuana speciale che le aveva portato un amico da Amsterdam. Ha rollato una canna, l’ha accesa. In effetti aveva un buon profumo speziato.

Ci passavamo la bottiglia e lo spinello, parlando del film, che si era concluso in maniera tragica. Von Salomé sposata a un uomo che non ama, Nietzsche impazzito e internato in manicomio, Rée che si fa violentare e ammazzare. Eppure entrambi, oltre alla cupezza di quel finale, avevamo percepito una corrente di folle vitalità in quella relazione intricata e torbida, tipica della Cavani. Anche suggestionati da quello, credo, ci siamo ritrovati a baciarci e a toglierci i vestiti di dosso.

Non ti ho mai chiesto dove l’avevate fatto voi due. Forse Elena, quella sera, invece di fare mezzo isolato per accompagnarti, ha guidato fino all’appartamento in via Rialto che divideva con altri quattro o cinque studenti e la vostra prima volta è stata nella sua camera di tre metri per due, con bottiglie vuote e pile traballanti di libri appoggiate ovunque. Io e lei l’abbiamo fatto nel parcheggio dell’Ospedale Maggiore, sul sedile posteriore della sua Due Cavalli, con i finestrini appannati e gli ammortizzatori che cigolavano.

Il giorno dopo, appena finite le lezioni, sono passato a trovarti. La febbre ti era scesa ma avevi ancora la gola infiammata. Come me, anche tu hai indovinato subito quel che era successo la sera prima con Elena. Hai insistito un po’ troppo che andava tutto bene, che era giusto così. Forse ci credevi sul serio, chissà. A me giravano ancora per la testa le immagini del film della Cavani, e mi domandavo se anche noi ci saremmo ritrovati a farci del male l’un l’altro pur volendoci bene. Ma ormai le cose avevano preso quella piega, ed era inutile cercare di fermarle.