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Anna taglia delle verdure a pezzetti che poi getta in una pentola, lo sguardo sul televisore, di nuovo sintonizzato su Domenica in, con l’audio quasi azzerato. Quando si accorge che Sergio è sulla soglia, allunga rapidamente la mano verso il telecomando e spegne.

“Allora, com’è andata?”

Lui la guarda per un lungo istante, come se gli avesse parlato in una lingua sconosciuta, poi risponde: “Bene.”

“Sono contenta. Vitaliano aveva una gran voglia di rivederti, sai?”

Sergio annuisce, poi dice: “Posso usare il bagno?”

“Ma certo. Ti ricordi dov’è, vero?”

Fa un piccolo cenno di assenso con la testa e si allontana lungo il corridoio.

Entra nel gabinetto e chiude la serratura. Raggiunge il lavandino, dove invece del miscelatore ci sono ancora i due vecchi rubinetti, uno con la placchetta blu e l’altro con quella rossa, la cromatura erosa dal calcare e dal tempo. Apre l’acqua fredda e si sciacqua la faccia. Si asciuga. Poi resta lì, con l’asciugamano di spugna lisa tra la mani. Da decenni non si vedeva riflesso in quello specchio, con quelle piastrelle color prugna alle spalle. Prova una sensazione di estraniamento, simile a quella che si sperimenta quando si rientra dalle vacanze molto abbronzati e per la prima volta ci si osserva allo specchio del proprio bagno: il colore della pelle spicca sul consueto sfondo e per un attimo si fatica a riconoscersi. Ma Sergio non si vede abbronzato: si vede invecchiato, come se tutti gli anni che sono trascorsi dall’ultima volta che è stato lì, in quella stessa posizione, fossero passati in un istante.

Riappende l’asciugamano e si volta. Osserva la vasca scrostata, il tubo ossidato della doccetta, i sanitari installati all’inizio degli anni Settanta, con la porcellana ormai opacizzata. L’ambiente è pulito e ordinato, eppure emana un senso di squallore, forse proprio per il patetico tentativo di rendere decoroso quel gabinetto che già da tempo andrebbe ristrutturato. Ma perché mai dovrebbe essere patetico lo sforzo di conservare gli oggetti e mantenere il decoro degli ambienti anche quando sono usurati o passati di moda? Non è forse più patetico lui, con il suo bell’appartamento a Monti, lo studio con il terrazzino, le quotidiane battaglie con la presunzione degli sceneggiatori, l’avidità dei produttori, le esaltazioni seguite da pavidi cambi di opinione dei committenti, il narcisismo degli attori, il suo stesso, ambiguo opportunismo?

Raggiunge il water, alza la ciambella. Quante volte ha pisciato in quella tazza stando attento a non schizzare il bordo? Anche in quel gesto è costretto a prendere atto della differenza. Una volta il rischio stava nella potenza del getto, ora nella fiacchezza dello sgocciolio.

Nota una tela gommata che ricopre alcuni oggetti posati sul piano della lavatrice. Ne solleva un lembo e gli appaiono una scatola blu contenente dei sottili guanti di lattice, un rotolo asciugatutto, un pappagallo. Inorridito, lascia ricadere il telo. Immagina se stesso immobilizzato su un letto e qualcuno, al quale non riesce a dare il volto di Francesca, che gli infila sotto il culo la cerata e gli passa il pappagallo per consentirgli di svuotare la vescica. Quell’immagine viene sostituita da un’immensa tristezza nel pensare a quello che Vitaliano deve sopportare ogni giorno, proprio lui, per il quale è sempre stato così importante essere indipendente da tutto e da tutti. L’odore di farmaci, di detersivi e di deodorante che impregna l’aria lo soffoca. Va a spalancare la finestra e aspira avidamente, a bocca aperta, l’aria tiepida che arriva da fuori.

Esce dal bagno, percorre di nuovo il corridoio e rallenta avvicinandosi alla cucina. Vorrebbe tirare dritto, raggiungere la porta e uscire, ma è chiaro che non può cavarsela così.

Si affaccia sulla soglia. Il televisore ha di nuovo l’audio azzerato. Anna ha messo la pentola sul fuoco e sta regolando la fiamma. Gli sorride.

“Ti fermi a cena? Preparo un passato di verdure.”

“No, grazie.”

“Se non ti va posso cucinare qualcos’altro. In frigo ho del formaggio, delle uova. Posso fare una frittata.”

“Sei molto gentile ma a casa mi aspettano e ho prenotato un posto.” Si interrompe, rendendosi conto di non avere idea di che ore sono. Per fortuna sulla parete opposta c’è un orologio che segna le cinque e dieci. “Sul treno delle sei.”

“Ah be’, allora” dice. “So che sei molto impegnato, però sai che se torni a trovarci...”

“Ma certo” le risponde Sergio interrompendola. “Ci vediamo presto.”

Anna lo accompagna all’ingresso, apre la porta e lui le sfiora un braccio mentre già scivola fuori.

“Ciao.”

“Buon viaggio” risponde lei.

Non la ringrazia neppure. L’ascensore non è al piano ma l’attesa sarebbe intollerabile, quindi imbocca le scale sotto lo sguardo di Anna, che dopo un istante rientra nell’appartamento e richiude silenziosamente la porta.