Un negozio di giocattoli in via Manzoni tempo fa installò all’ingresso una piccola cassetta postale per le lettere che i bambini avrebbero spedito al Bambino Gesù in occasione del Natale. Una idea graziosa e abbastanza poetica. E i bambini naturalmente ci credettero e cominciarono a imbucare le loro letterine. (Ma era anche un intelligente spunto pubblicitario: la vetrina adiacente, piena di bellissimi giocattoli, era un richiamo più che persuasivo per i genitori inteneriti: alcuni dei quali, pur di procurarsi l’originale della lettera del figlio, entravano nel negozio, dignitosamente disposti a qualche compera.)
Caro Gesù bambino,
ti scrivo questa letterina per dirti che per Natale desidero queste cose:
Una giostra dei cavallini, un telefono, una scatola da falegname, una fisarmonica, un cavallo che va, un treno, un aeroplano, una camionetta che va, un monopattino, tanti libri e infine dolci, caramelle, torroni, cioccolatini, cicche americane, mandarini e molte altre cose. Però non mi dispiacerebbe anche un sacco di carbone. Ora caro Gesù Bambino sia a te la scelta. Bacioni Mario Fiocchi abitante in viale Montenero 66 oppure via Monte di Pietà 17. Ti avverto che abitiamo all’ultimo piano e se vedi bombardato non spaventarti perché lì abitiamo noi.
L’indirizzo era: Al Gesù Bambino – via del Paradiso – Cielo.
La lettera volò via, di là della nebbia che copriva Milano, attraversò gli spazi siderali, graziosa come una tortorella si adagiò sopra una nuvoletta proprio nel mezzo della via del Paradiso. Gesù Bambino, data velocemente una scorsa alla corrispondenza, in quel giorno numerosissima, disse a Babbo Natale: «Tieni d’occhio questa pratica. La lettera non è tutta genuina. Mario Fiocchi ha appena quattro anni e ancora non sa scrivere, probabilmente gli hanno tenuto la mano. Comunque c’è del buono. Quella faccenda della casa bombardata mi par simpatica. Dev’essere un bravo ragazzino. Insomma, vedi tu quello che c’è da fare».
E Babbo Natale, prese le informazioni preventive, come di uso, si mise l’altro ieri, lunedì, in cammino per le vie nere di Milano, sotto la pioggia. Come lieto fantasma, trascorreva di casa in casa verso viale Montenero e la sua candida barba mandava luce, qualche bambino affacciato per caso alla finestra si metteva a gridare: «Mamma! Mamma! Guarda! C’è Babbo Natale che arriva!». E lungo il suo itinerario i cuori all’improvviso si sentivano lieti, gli uomini perdonavano agli uomini, gli occhi inesplicabilmente si riempivano di tenero pianto, vecchi esosi usurai sentivano nel petto qualcosa di strano come non avevano mai provato. (Ma in realtà Babbo Natale si affrettava tra le pozzanghere sotto un ombrello. Non era dolce creatura di sogno ma un nostro compagno di lavoro, con un’immensa zazzera finta, bianca come neve, un barbone altrettanto candido che gli scendeva fino alla cintola; sulle spalle un pastrano borghese e in testa un feltro assolutamente floscio e madido d’acqua: e siccome di auto non ce n’erano e sul tram sarebbe stato troppo ridicolo, se n’andava maledicendo il maltempo ma con apprezzabile dignità, senza curarsi dei passanti che (via Senato, Monforte, viale Bianca Maria) lo adocchiavano sbalorditi, taluni addirittura costernati: perfino due militari inglesi, usi in patria a incontrare il 24 dicembre eserciti interi di rutilanti Babbi Natale, si voltarono indietro, non credendo quasi ai loro occhi.)
Lo stabile di viale Montenero 66 era tetro sotto alla pioggia e pareva abbandonato, una casa qualunque di un giorno qualunque e non della santissima sera del 24 dicembre. C’era da attraversare il cortile e poi una scala saliva fra sinistre penombre. Andò su, con la sua aureola di magica luce. Babbo Natale, leggero come se avesse vent’anni. Solo a un certo punto, dal ballatoio del quarto piano, diede un’inquieta occhiata a una specie di baratro tenebroso che sprofondava tra rotte macerie crollanti. La casa del piccolo Mario Fiocchi era là, di fianco al baratro. Più tacito del silenzio. Babbo Natale attraversò i chiusi battenti e raggiunse la camera dove il fanciullo dormiva. (Ma l’uomo di carne ed ossa con la barba finta ansimava un poco per quattro piani e dovette suonare il campanello e aspettare che la porta venisse aperta. Fecero il benvenuto una buona donna di casa e la sorella maggiore di Mario, Carla, di tredici anni, un poco emozionata. «Voglia scusare» disse la buona donna di casa «voglia scusare il disordine. Siamo qui un po’ accampati. I signori sono ancora fuori, al negozio» (i genitori Fiocchi possiedono infatti una salumeria in via Monte di Pietà). «Sa? Siamo sinistrati. Siamo in casa d’altri, arrangiati alla bell’e meglio.» Allora il Babbo Natale, fatto di carne, depose l’ombrello, si tolse il pastrano e il cappello, rimase nel suo manto scarlatto e si avviò per il corridoio verso la stanza del bambino, reggendo in mano una piccola fisarmonica.)
Nel sonno apparve a Mario improvvisamente una visione meravigliosa: un vecchio antichissimo e dall’espressione benigna gli sorrideva porgendogli una fisarmonica di bellezza indescrivibile; e tutto era stupendo e incantevole e una luce magica risplendette nella stanza come se si fossero accesi migliaia di fuochi. (Ma nella camera, alla fioca luce di una lampadina stanca, c’erano, oltre al lettino del piccolo Mario – bimbo davvero graziosissimo – altri due letti, di cui uno matrimoniale, e il nostro collega fotografo dovette un poco armeggiare prima di trovare il posto giusto per fare l’istantanea. Dagli angoli sorridevano maliziosamente alcune vecchie bambole di altri Natali defunti. E la visione di sogno non era altro che il nostro compagno di lavoro camuffato da San Nikolaus con in testa per di più un berretto recante la scritta Corriere Lombardo. Per prendere la fotografia si dovettero fare tre successivi lampi di magnesio e il bimbo, trasecolato, non riusciva a proferire sillaba: se ne stava immobile. Accucciato sotto le coperte, scrutando il bianco barbone e la fisarmonica che non sembrava poi niente di straordinario. Altrettanto intimidite, di fronte a quello strano mascherone, la buona donna di casa e la sorellina, pure rimaste senza parola.)
Poi Babbo Natale dileguò in un barbaglio di luce azzurra, trasvolando via per i tetti della triste città che attendeva da lui per quella notte un poco di gioia. (Ma, indossati di nuovo il paltò e il cappello a cencio ancora intriso d’acqua, il Babbo Natale scese con noi, un poco sparuto a dire il vero, le scale della vecchia casa sinistrata: e poi via, di pozzanghera in pozzanghera verso il suo domicilio terreno, tra gli sguardi trasecolati dei sempre più rari passanti.)
Questa la leggenda natalizia di viale Montenero n. 66. Di incantesimo o di pietosa realtà, che cos’è rimasto? Che a quest’ora la fisarmonica-giocattolo sia per caso già rotta? Nell’anima del piccolo Mario c’è qualche garbuglio, ma forse un giorno tra molti molti anni la barba finta la pioggia l’indiscreto fotografo saranno scomparsi, e gli resterà un poco di favola.
«Corriere Lombardo», 26 dicembre 1945