Signori, una proposta
per lo meno ascoltatela

Ogni anno, dopo Natale, ci si chiede: come mai ieri tutti così buoni e oggi di nuovo carogne come prima? Perché la bontà ha così breve vita? Possibile che non ci sia il mezzo di farla durare per un pezzo, una volta che si è formata dentro a noi? di prolungarla per giorni, settimane, mesi, non dico fino a raggiungere il Natale successivo che forse sarebbe una strada troppo lunga, ma almeno, che so io, fino alla primavera?

Ecco, se permettete, oggi, vigilia di Natale (un bellissimo Natale in verità, il più bello in un certo senso di tutti i Natali da voi sperimentati per il motivo che è a portata di mano, è una cosa certa, non vi potrà sfuggire, e su tutti gli altri Natali ha l’incommensurabile vantaggio di non essersi ancora consumato), oggi vi insegno un piccolo giochetto; che, se eseguito con un minimo d’impegno – non ci vuole né fatica né denaro – potrà addirittura trasformare la vostra vita, non esagero.

Dunque, voi avete preparato già i regali. Per i bambini, mettiamo, per la mamma, per la moglie, per i parenti, per gli amici, per i figli degli amici eccetera. Non siete ricchi, non avete potuto certo comperare i tesori di Golconda, ma avete saputo dividere lo sforzo, insomma avete pensato un poco a tutti. Ecco, sul tavolo, i pacchetti pronti. Magari dentro ci sono delle stupidaggini, cose da quattro soldi, pensieri più che altro, ma preparati con animo gentile, avvolti da carte colorate con stelline d’oro, e spaghi pure d’oro.

La spesa è fatta. La fatica è superata. Non resta che la formalità della consegna, la quale è buona norma avvenga proprio il mattino di Natale, nelle ore cioè che gli animi sono più disposti alla gioia, al volersi bene, all’abbandono.

Passa la santa notte, col sole o con la pioggia o con la neve (ma quest’ultima ipotesi è forse troppo ambiziosa), voi vi svegliate con un’animazione insolita, pregustando tante piccole soddisfazioni spirituali da riscuotere nel giro di poche ore.

Ebbene, eccoci al punto. Quando è venuta l’ora di mettervi in giro a consegnare i vostri doni, fate forza su voi stessi, resistete, non mettetevi in giro, fate conto che sia un giorno come tutti gli altri.

E i pacchetti preparati? Qui il busillis. Eccezion fatta per i giocattoli del Bambin Gesù, il quale è necessario agisca secondo le buone tradizioni, a parte insomma i regali che i bambini aspettano con troppa ansia perché li si possa defraudare, tutti gli altri regali restino là sul tavolo ad attendere o, meglio ancora, riponeteli in un armadio o nel comò. Fate finta di niente, mantenete un contegno passivo, come se del Natale voi non sapeste assolutamente nulla. Se qualcuno fa dei regali a voi, ringraziate con la effusione più affettuosa, se vi fanno auguri, ricambiateli. Ma voi, regali niente.

Lo scopo? Aspettate un momento, per favore. La fatidica giornata passa, scende la sera, le famiglie si raccolgono per il più bel pranzo dell’anno, poi verso le dieci, dieci e mezzo, l’atmosfera comincia ad afflosciarsi, la patetica tensione che da settimane era in continua crescita repentinamente cade. Stanchezza, sonnolenza, un po’ di pesantezza gastrica, per essere sinceri fino in fondo. Uomini e donne, in men che non si dica, ci ritroviamo ad essere non più quegli esseri amabili e leggeri di stamane, ma quelli di una settimana fa, di un mese fa. Dalla stratosfera precipitiamo alla piattezza grigia e opaca che è la regola.

Santo Stefano. Ahimè, dov’è finita tutta quella gente che l’altro ieri correva su e giù per la città con le facce gioconde e elettrizzate, con sorrisi luminosi, con pacchi, pacchetti, mazzi di fiori, rami di vischio, panettoni, dove è finita tutta quell’umanità felice? Al suo posto è subentrata una massa di persone dalla faccia affaticata e pallida, su cui gravano preoccupazioni di ogni genere.

È il momento di agire? Non ancora. Il peggio è fatto ormai, vi conviene tener duro. Lasciate che passi il Santo Stefano, poi il giorno successivo e quello dopo, lasciate che venga Capodanno, aspettate che sia trascorsa la Befana, che sia stata smaltita fino in fondo l’eccitazione delle feste, che il prossimo abbia ripreso in pieno il tran tran del lavoro quotidiano.

Consideriamo, orsù, la situazione. Ciascuno ha consumato le sue munizioni, di soldi e di bontà, fino all’ultima cartuccia, sul campo di battaglia il silenzio si è ristabilito, i combattenti giacciono esausti. Voi no.

Questo è il momento. Mentre più nessuno pensa a strenne e regali e le vetrine dei negozi, e i cuori umani hanno ammainato il gran pavese, voi in punta di piedi andate a aprire l’armadio e il comò. Dal mucchietto dei regali, ancora intatti, ne prendete a caso uno. E lo spedite.

È inutile, mi sembra, spiegare fino in fondo lo svolgimento dell’operazione. Di che si tratti lo avete già capito. A intervalli di giorni, o settimane, i vostri doni arriveranno a segno: assolutamente inaspettati, addirittura inverosimili. E là, dove giungeranno, per incanto si ridesterà lo spirito di benevolenza e di serenità che oggi, 24 dicembre, pervade il mondo.

Immaginate la scena, il 19 gennaio, per esempio, in casa X. Suonano alla porta. Si va ad aprire. Chi è? Hanno portato un pacchetto. Che bella carta. Lo si apre. Un regalo! Ma è il compleanno di qualcuno? No. L’onomastico? No. Qualche festa particolare? No. E allora? Allora niente. Un regalo così e basta. Capite l’effetto che farebbe?

Si capisce: se il sistema dei regali differiti lo praticate solo voi, tutto si riduce a una stranezza, a uno scherzo, a un gioco. Ma pensate a come diventerebbe bello il mondo se tutti, veramente tutti, facessero lo stesso di voi, se il capitale morale natalizio che oggi si sciala in poche ore, venisse distribuito nel tempo accortamente, così da concimare sei-sette mesi almeno (anche i mesi rimanenti, poi, quelli scoperti, ne rimarrebbero indirettamente influenzati) se per tutto questo tempo si continuasse, sia pure con lunghi intervalli, a fare e a ricevere regali.

Un artificio, voi direte, un espediente, un trucco. Ma non potrebbe essere un sistema per tenere accesa a lungo la bontà, per ricordare agli uomini ciò che gli uomini così presto dimenticano, per non lasciare mai spegnere la voce della campana di cui sopra, che è così utile alla vita?

Quante storie. Figurarsi se voi resistete a non consegnare i pacchetti, e, ammesso che voi teniate duro, figurarsi poi se gli altri, gli uomini (e le donne) sarebbero così saggi da imitarvi. È inutile. Natale anche stavolta si svolgerà secondo le modalità tradizionali, tutto andrà come sempre: oggi ci sentiamo così buoni, domani sera, dopodomani al massimo, torneremo le solite carogne.

«Corriere d’informazione», 24-25 dicembre 1955