Hanno suonato ancora alla porta, era di nuovo la portinaia, mi ha portato un altro pacco. Io stavo là impalata col solito batticuore, la portinaia mi guardava in un certo modo.
Era un pacco grosso, una grande scatola, no, doveva essere una cassetta, dal peso, si vedeva che la portinaia faceva un bello sforzo. E per un momento ho pensato che dovevano essere bottiglie, bottiglie di champagne o liquori. E lui non è il tipo da regalare bottiglie, un regalo così convenzionale, a me poi. Certo doveva essere un regalo, c’era un rametto di vischio attaccato, ma il pacco era fatto con una carta qualunque, bella nuova e pulita ma qualunque. E a lui invece piacciono le carte da Natale, a lui piacciono le carte speciali a disegni bellissimi e fili d’oro, se ne faceva venire ogni anno apposta un pacco da un amico di Nuova York perché laggiù ne fanno di molto più belle che da noi. Lui non avrebbe mai mandato un regalo di Natale avvolto in una carta qualunque. A me, poi.
La Lidia, Fausto, la Claudia, la Celestina, il dottor Scandurra, il notaio Molari, i compagni di lavoro, il ragionier Gervasoni, la Mizia, il droghiere, mia cugina di Parma e poi i due panettoni. Tutti sono stati così buoni con me. È proprio vero quel che dicono che a Natale c’è un’aria diversa dal solito e che ci si sente più buoni. Anch’io mi sento più buona. Non so ma non sarei capace di odiare nessuno, tutti mi sembrano così simpatici oggi. Anche la signora Elide, la portinaia, di solito così bisbetica è venuta su lei di persona a portarmi tutti gli undici regali, i panettoni a portarli è stato invece il postino, un giovanotto mica male, anche.
Mi sento buona, molto più buona del solito, quasi quasi stasera voglio bene anche a quella befana della Soffientini, che di solito le farei volentieri una faccia così a forza di sberle. Ma forse anche lei oggi si sente buona, per oggi ha rinunciato a sbattere giù le spazzature sul mio balcone e a far urlare la radio. Io andrò a messa, a mezzanotte qui a San Marco, mi metterò in ginocchio, pregherò Dio, sono rimasta un po’ in arretrato, lo pregherò di tante cose. È entrato anche lui una volta qui a San Marco, era quel giorno che avevo le vertigini, lui mi ha accompagnato dentro per farmi sedere un poco, è stato in piedi ad aspettarmi e diceva: «Che buon odore di incenso». È bello però sentirsi così buoni, è una sensazione bellissima. È come una festa, come una musica che nessuno può restarne fuori, e ci si sente portare via. Anche lui, garantito, lui per il primo. Anzi, mi ricordo che al cinema si commoveva per un niente, bastava il cane Pluto a farlo commuovere.
Sarebbe ora che mi preparassi se non voglio perdere la messa di mezzanotte, sono già le undici e quaranta, del resto posso uscire tranquilla, ormai fino a domani né regali né posta possono arrivare più, il cancello è chiuso dalle dieci. Ma il telefono sì, telefonarmi lui potrebbe benissimo, anzi è proprio il tipo lui, di telefonarmi a mezzanotte in punto, una specie di Bambino Gesù. Oh se mi telefonasse. In fin dei conti che cosa gli costerebbe fare il mio numero? Questa notte non c’è più questione di dignità. Telefonare è così semplice. Dio, senti, ti prego, fammi questo piccolo regalo, fa’ che lui a mezzanotte mi telefoni.
Già quasi mezzogiorno e ancora niente. A quest’ora i regali dovrebbero essere stati tutti consegnati, la gente sta per sedersi a tavola, i fattorini hanno finito il turno, anche quelli del telegrafo probabilmente, oggi è Natale, i fattorini del telegrafo stanno anche loro per sedersi a tavola. No, Maria, non agitarti, c’è sempre un fattorino un po’ in ritardo che ha perso tempo in giro e poi ci sono ditte che fanno consegne fino a tarda sera, le pasticcerie e i fioristi per esempio. Si vede proprio che, piuttosto che telefonarmi, lui ha preferito mandarmi un piccolo regalo. Magari soltanto un cartoncino me l’ha mandato di sicuro, un cartoncino con l’alberello e le campane, è impossibile che non me l’abbia spedito. Certo una telefonata sarebbe stata meglio, sentire la sua voce, potergli dire tante cose. Ma anche un cartoncino ha i suoi vantaggi, potrò guardarlo e riguardarlo per tutta la giornata, portarmelo con me nella borsetta e stasera metterlo sotto il guanciale, ogni tanto con la mano sentire che è lì, tutto per me. Sì, forse è meglio il cartoncino.
O che mi abbia mandato dei fiori? Sono già le tre del pomeriggio, io non ho neanche mangiato, mangerò stasera dalla zia. I fiori si mandano anche nel pomeriggio, certi preferiscono, anzi. E poi lui magari ha fatto apposta, lo conosco, si diverte lui a tenere in sospeso fino all’ultimo momento, l’ha fatto tante volte, lui non capisce quello che si può soffrire. Dio, ti supplico, fa’ che mi mandi almeno due tre fiori, anche un garofano soltanto, la Celestina me ne ha mandati sette, me ne basta uno, da lui, non mi sembra di chiedere molto.
Già buio! Le quattro e mezzo? Maria, sta’ calma, fatti una ragione. Può darsi che lui sia in viaggio. Può darsi che sia all’estero per lavoro. Può darsi che di là telefonare sia difficile. Può darsi che non si ricordi più il mio numero dopo due mesi. Può darsi che mi abbia spedito un cartoncino ma la posta in questi giorni è ingorgata dal troppo lavoro. Sta’ calma Maria, fatti coraggio.
Quasi le otto. Lui non ha telefonato, lui non ha mandato niente. Guardatelo, quello schifoso di telefono, è lì che non si muove, che non fiata, sembra morto. E i regali, eccoli lì, non li ho neanche aperti, chissà che idiozie, soldi sbattuti via nel modo più cretino, non li aprirò neanche, ecco. Natale! bella roba. Spendere e spandere per cosa poi? E le campane? Che cos’hanno da suonare vorrei sapere. Mi hanno fatto la testa così, ce le ho qui dentro nel cervello, fra poco me lo faranno scoppiare. Ma un cartoncino, un biglietto da visita con su due parole d’augurio che cosa gli costava mandarmelo? Anche lui è una carogna, un porco, come gli altri. Dio, Dio, perché tutto questo? Tu Claudia, tu Fausto, tu Lidia, tu ragionier Gervasoni si può sapere cosa me li avete mandati a fare, ’sti regali? Cosa volete che m’importino? O per caso volevate sfottermi? Vi odio. Quella povera Maria, vero, rimasta sola, consoliamola un poco, adesso che il suo uomo l’ha piantata, vero? Quella disgraziata di Maria.
Quasi le nove. Ormai dalla zia non mi aspetteranno più. Saranno già a tavola. Tutti allegri, tutti pieni di appetito. Maledetto Natale. Almeno venissi a sapere che lui è morto.
«Corriere della Sera», 25 dicembre 1960, poi in In quel preciso momento, Mondadori, Milano 1963