Il problema del Bambino Gesù

Al caffè si trovarono il maestro Giovanni Imperativo, il signor Giacinto Sala, geometra, e il dottor Nicola Maggio, dentista. Seduti al tavolino, chiacchieravano. Era la vigilia di Natale.

Il maestro Imperativo disse: «Sapete che cosa ho scoperto? A Gesù Bambino i ragazzi non ci credono più».

«Come sarebbe a dire “non ci credono”?» fece il Sala, che era un uomo ingenuo.

«Semplicemente non ci credono… A un certo punto, a sei sette otto anni, si direbbe che rimbecilliscano; proprio quando credono di essere diventati intelligenti… Il mio Carlo, per esempio, che ha sette anni e mezzo: l’ho sentito ieri che parlava con un compagno di scuola. Questo suo compagno gli chiedeva: “Ma tu ci hai scritto ancora al Bambino Gesù?”. E il mio Carlo: “Cosa vuoi? devo pur darci una soddisfazione ai miei. Loro hanno piacere che io ci creda. E io faccio finta, mi conviene. Altrimenti, magari, addio regali…”. E come ghignavano, quelle due piccole carogne!»

«Meglio così, da un certo lato» osservò il dentista Maggio. «Così credono che siamo noi a spendere, così sono riconoscenti a noi e invece noi non tiriamo fuori un soldo.»

«Bisogna però convenire» disse il maestro «che un po’ di colpa è anche sua…»

«Sua di chi?» chiese il geometra.

«Di Gesù Bambino, no? Sembra quasi che faccia di tutto per far credere che sia soltanto un trucco di noi grandi… Per esempio, quella di avvolgere i regali nella carta di negozi che tutti conoscono, con su il nome e l’indirizzo. O di legarli con lo spago che alla sera era sulla credenza e che i bambini riconoscono.»

«Bravo!» fece il dentista che ci teneva a fare la persona colta. «Lo fa apposta! Lo scopo è di far nascere il dubbio, così i bambini si mettono in sospetto. Se tutto fosse evidente, se tutto fosse matematicamente dimostrato, che merito ci sarebbe a credere?»

«Ma no, ma no» disse il Sala. «Vuole che il Bambino Gesù sia così stupido? Sarebbe darsi la zappa sui piedi… Queste sono pure fantasie… sono malignità… Cosa vuole che le dica? Per me sono bestemmie.»

«Bestemmie?» il dentista replicò. «Si vede proprio che lei è un candido, caro il mio Sala. Apra gli occhi, apra gli occhi… Questa sera stessa. Vedrà se non è come le dico io.»

«Qualche volta però esagera» disse il maestro. «L’anno scorso, per esempio, ha portato al mio bambino un orsacchiotto identico, ma identico le dico, a uno che era esposto nella vetrina del bazar qui all’angolo. E che naturalmente il mio Carletto aveva visto… Non solo… Alle volte deposita i regali qualche ora prima in un mobile di casa, cosicché se i bambini li scoprono, si convincono che li abbiamo comperati noi… Anche a me è capitata… E con questi sistemi, ammetterete, i ragazzi finiscono a diventare scettici per forza…»

«Be’» fece il dottor Maggio. «L’unica è lasciar agire il tempo. Verrà il giorno che, cresciuti, i nostri figli si accorgeranno della verità» (guardò l’orologio.) «Accidenti, sono quasi le otto e un quarto… Vi saluto. Arrivederci… E buon Natale!»

Si alzarono, ciascuno si avviò per la sua strada. Ma i discorsi degli amici erano rimasti impressi nel cervello del geometra che adesso ci rimuginava su, perplesso.

Il Sala aveva quattro figli, dai cinque ai dieci anni, che naturalmente per Natale si aspettavano un regalo. Vedendolo rincasare a mani vuote, quella sera rimasero delusi.

«Come, papà, non hai portato niente?»

«E che cosa avrei dovuto mai portare?»

«Ma papà… Questa notte, non deve arrivare il Bambino?»

«E io che c’entro col Bambino?»

«Oh, papà» disse Anna, la maggiore, strusciandoglisi contro come una gattina, e sorrideva maliziosa. «Tu c’entri, e come… Tu sei in buone relazioni col Bambino… Lui ti dice tutto. Non è forse così?»

«Ma neanche per idea» ribatté lui quasi seccato. «Quante volte te lo devo dire che io non c’entro proprio niente. E non c’entra neanche la mamma!»

«Papà» fece la bimba. «Sei un tesoro!» E tutti e quattro i fratellini scoppiarono in una risata irriverente.

Più tardi, verso le nove, quando si trattò di andare a letto, i bambini non fecero alcuna resistenza. Qualche anno prima, sì, escogitavano mille pretesti per rimanere alzati tardi, oppure fingevano di coricarsi, spegnevano la luce, ma restavano sul chi vive e a mezzanotte, al buio, uscivano piano piano dalla stanza per assistere all’arrivo di Gesù. E il Bambino allora, per eluderli, depositava i doni nei posti più impensati, dove i bambini meno si aspettavano.

Adesso invece, che non ci credevan più, i bambini recitavano docilmente la commedia. Tanto – pensavano – i regali si trovano già in casa, chiusi a chiave in qualche armadio. Più presto loro andavano a dormire – questo il ragionamento – tanto più presto i genitori si sarebbero sentiti liberi e avrebbero tirato fuori dal nascondiglio i doni per disporli in bella mostra ai piedi dell’alberello natalizio.

In quanto ai genitori, alla vigilia di Natale di solito se n’andavano anch’essi a dormire, appena i figli si erano quietati. E a risvegliarli era una esplosione di urla, quando i bambini, a furia di esplorare, scoprivano il mucchietto dei regali.

Questa volta invece il Sala rimase ancora alzato. I discorsi degli amici continuavano a turbinargli nella testa, tanto che ne parlò alla moglie.

La moglie sulle prime protestò, come se fossero ignobili fandonie. Ma a poco a poco, rivangando certi particolari del passato, anche lei cominciò ad avere dei dubbi.

«E se facessimo una prova?» propose lui. «Se andassimo a guardare dentro i mobili?»

La casa non era grande. Né molti erano i mobili dove potessero essere nascosti dei giocattoli. Cercarono, attenti a non far rumore, che i bambini di là non si svegliassero.

Aprirono l’armadio della biancheria. Niente. Quello dei vestiti. Niente. Il canterano della cucina. Niente. Ma nell’ultimo cassetto del comò, in camera da letto, ecco un pacco che prima non c’era.

«Vuoi vedere che quei due hanno ragione? Vuoi vedere che il Bambino Gesù ce l’ha fatta?» Portarono il pacco sul letto, tagliarono gli spaghi.

«Maria Vergine!» mormorò la signora Sala. Nel pacco c’era una cucina da bambola per Anna, una pistola western per Rodolfo, un trenino a molla per Enrico, una magnifica palla per Maurizio, il più piccolo, soprannominato Mao.

«Perdio se quei due hanno ragione!» imprecò il Sala sottovoce e poco mancò che bestemmiasse. «Ma che gusto c’è a fare questi scherzi?» Infatti su ciascun regalo spiccava l’etichetta con il prezzo. Di più: i cartellini con la dedica: “Per Anna”, “Per Rodolfo” eccetera, erano scritti in una calligrafia pressoché identica alla sua.

Con le unghie allora il Sala si affrettò a staccare le etichette con i prezzi, poi prese la penna stilografica proponendosi di alterare un po’ le scritte, che non sembrassero più di mano sua.

Ma in quel mentre si spalancò la porta. E sulla soglia, in pigiama o in camiciona, sbucarono tutti e quattro i figli che alla vista dei giocattoli lanciarono grida bestiali spiccando balzi e ridendo come matti.

«Vi abbiamo presi… Vi abbiamo presi!» urlarono, saltando come furie addosso ai genitori. «La baia! La baia! Siete voi il Bambino Gesù. Siete voi il Bambino!… Oh, come siete stati bravi!»

Felici, trascinarono il padre e la madre per la stanza, in una frenetica danza da selvaggi. Poi all’improvviso li lasciarono per gettarsi sui regali, con nuove esplosioni di esultanza.

E i genitori rimasero là come cretini.

«L’Illustrazione Italiana», n. 12, dicembre 1951, poi in In quel preciso momento, Neri Pozza Editore, Venezia 1955