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Nancy bussò di nuovo.

«Aprite... aprite...»

Dalla porta che qualcuno aveva socchiuso una lama di luce cadde sull’acciottolato sconnesso della stradina.

«Mi chiamo Nancy Fiocca» disse lei. «Mi manda Marie Dissard; ha fatto un lavoro con Garrow. Io lavoravo con Antoine. Ho con me due uomini e abbiamo bisogno di andare oltre le montagne.»

Nancy non portava con sé altro che la speranza. La speranza che quella porta venisse aperta dall’uomo giusto, e che l’uomo giusto riconoscesse i nomi che lei gli aveva snocciolato, e volesse aiutarla.

C’erano voluti due giorni per arrivare fin lì. Non si erano arrischiati a viaggiare con la luce, passando le ore diurne nascosti in fienili abbandonati o accovacciati dietro una siepe. Avevano visto passare numerose pattuglie, in alcune occasioni vicinissime, ma erano sempre riusciti a non farsi intercettare. Un mattino erano spuntati in un campo poco prima dell’alba e si erano trovati di fronte un contadino che stava per mettersi al lavoro. Si erano guardati, poi il vecchio si era sfilato la gerla dalle spalle e aveva dato loro il suo pranzo: pane e formaggio, e un fiasco di vino annacquato. Non avevano più mangiato niente da quando avevano lasciato il rifugio di Tolosa.

Arrivati alla periferia di Perpignan avevano discusso il piano. Il rosso, che come si scoprì parlava il francese fluentemente, come il corvo dell’Arca di Noè andò per primo a vedere se c’era la possibilità di incontrare una faccia amica nel luogo dell’appuntamento. Tornò con aria corrucciata e notizie poco incoraggianti.

Nel bar dell’appuntamento aveva saputo che il loro contatto si era dato alla macchia. Tre prigionieri evasi erano stati catturati, portati via o uccisi, quando il treno si era fermato. Il loro contatto forse era partito per i monti con i due che si erano salvati. Erano astutamente riusciti a fare il giro del treno e, dopo la perquisizione dei tedeschi e la battuta di caccia nel vigneto, avevano ripreso il loro posto come se niente fosse. Avrebbero voluto aspettarli, riferì il rosso con il tono sarcastico di chi non ci credeva, ma il contatto aveva paura e non intendeva rischiare l’arrivo della Gestapo. Li aveva obbligati a scegliere: restare da soli o partire con lui, ed erano partiti.

Poi era toccato a Nancy uscire in cerca di un trespolo sicuro su cui appoggiarsi, come la colomba di Noè, contando sul vago ricordo di un indirizzo e sulla speranza che chiunque, guardandola, capisse che non stava mentendo.

Ed ecco che la porta fu spalancata. Nancy non conosceva l’uomo: era spaventato e al tempo stesso aveva un’aria amichevole.

«È meglio se entri.»

 

 

Nancy contava. Questa volta contava i suoi passi. La pista era impervia e puntava verso le cime più alte, affinché i cani del Reich non sentissero arrivare il loro odore più in basso. Il percorso era talmente sconnesso che camminare a un ritmo regolare risultava impossibile. Nancy aveva nostalgia del camion carico di carbone che da Perpignan li aveva accompagnati fino a quell’area speciale che dal confine spagnolo si estendeva per una ventina di chilometri dentro il territorio francese. Che cosa buffa. Lì per lì non aveva trovato divertente doversene stare rannicchiata sotto un sacco di carbone con i due inglesi, ballonzolando lungo strade secondarie, ma paragonato a questa arrampicata era stato paradisiaco.

Aveva bisogno di una vacanza, pensò oziosamente mentre contava i passi, e ridacchiò. Le sembrava di vedere la scena: Henri che aspettava in auto dietro la curva successiva per portarla alle terme. Immaginò di abbandonarglisi tra le braccia e di lamentarsi dei difficili momenti passati. Aveva lavato gli indumenti di sette prigionieri in una vasca da bagno, le avevano sparato addosso, era quasi morta di fame, aveva viaggiato come un sacco di carbone. Immaginò la sua compassione, la risata affettuosa, la promessa di farle dimenticare tutto.

Fantasticò di raccontargli quello che era successo dall’ultima volta che si erano visti, esagerando e calcando i toni per farlo ridere.

«Che cazzo hai da essere contenta?» le chiese il rosso.

Nancy non gli rispose nemmeno. Sentiva la mancanza di Bruto, che aveva lasciato Perpignan un giorno prima di loro. I suoi indumenti erano in condizioni migliori e le scarpe ancora decenti. Lei e il rosso erano stati costretti ad aspettare che gli ultimi superstiti della Resistenza di Perpignan procurassero loro degli indumenti caldi per il viaggio.

Il rosso scambiò il suo silenzio per un invito a conversare. Più che a conversare a lamentarsi. Camminavano troppo spediti, passare da quella parte era stato stupido, perché non gli avevano procurato un terzo paio di calze? Due non bastavano.

Nancy lo ignorò, e per non sentire la sua voce si concentrò sul conto dei passi. L’inglese non se ne accorse nemmeno.

«Adesso riposiamoci» annunciò all’improvviso Pilar.

Pilar e suo padre erano le loro guide. Non parlavano molto e si riposavano pochissimo. Dieci minuti ogni due ore, non uno di più. Il sentiero proseguiva serpeggiando tra le cime, e a volte, durante le brevi pause, Nancy si guardava intorno incantata. Prigionieri fra le vette innevate come i viaggiatori di una fiaba, come pellegrini, potevano soltanto ammirare quella natura imponente e altera, l’interminabile parata di cime candide che nell’aria azzurra di primavera si susseguivano fino a scomparire dalla loro vista. E sembrava che Pilar volesse fargliele conquistare tutte una dopo l’altra, quelle maledette cime.

Proseguirono lungo piste che soltanto Pilar sembrava in grado di riconoscere. Questo era scalare, non camminare. Per risparmiare il fiato Nancy non proferiva parola e restava concentrata sulla marcia. L’inglese invece blaterava senza sosta. Chiese perché non avevano portato più provviste, e come avrebbero fatto ad avanzare nella neve sempre più alta. La sua voce divenne stridula.

«Non posso più continuare» dichiarò a un certo punto. «Non voglio.» Si era fermato in mezzo alla pista.

Pilar ruppe il silenzio abituale, e rivolgendosi a Nancy le sussurrò: «Digli di stare zitto e camminare. Non si rende conto di come viaggiano i suoni, a questa altezza?»

«Cosa sta dicendo?» chiese lui in tono lamentoso. «Dimmelo.» Nancy riferì. L’inglese non si mosse.

«Oggi non sono più in grado di camminare e nessuno mi costringerà a riprendere.» Ecco, i bei sogni confortanti su Henri svanirono di colpo. Nancy aveva perso il conto dei passi e Pilar e suo padre la guardarono con un’espressione inequivocabile che significava: «Risolvi tu la situazione con questo stronzo». E Nancy non se lo fece ripetere.

Gli diede uno spintone e l’inglese ruzzolò dentro un piccolo corso d’acqua gelida bagnandosi i piedi e le gambe fino alle ginocchia.

«Cosa diavolo fai, brutta stronza?» strillò lui. «Sei diventata matta?!»

Però non tentò di colpirla. Probabilmente sapeva che il vecchio lo avrebbe conciato per le feste. Pilar sorrise.

«Adesso decidi tu» gli disse Nancy con calma glaciale. «Se stai fermo nel giro di mezz’ora sarai morto assiderato. Quindi cammina. E tieni la bocca chiusa.»

«Puttana» borbottò lui, però si rimise in moto, mentre Nancy ricominciò a contare i passi.

 

 

Al mattino arrivarono al confine. Pilar indicò un ripido sentiero che portava a Figueras, scambiò una stretta di mano con Nancy, e poi lei e suo padre si rigirarono per avviarsi verso casa. Un’ora più tardi una pattuglia militare spagnola raccolse Nancy e l’inglese: erano gli esseri umani più meravigliosi che lei avesse mai incontrato nella vita. Era finalmente fuori dalla Francia.