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Pioggia. Pioggia. Pioggia. A volte dal punto di vista climatico l’Alvernia assomigliava più all’Inghilterra che alla Francia, eppure quello era nulla rispetto a quanto stava per succedere. Mentre la luce del giorno si spegneva lentamente, videro le nubi temporalesche addensarsi sopra i vulcani – un ricordo delle nubi di cenere che sputavano quand’erano ancora attivi – e i primi lampi attraversare il tramonto. Gli scrosci d’acqua scendevano sulla pineta penetrando nella terra, e quando incontravano boschetti di querce e betulle facevano un gran rumore.

Avevano studiato la carta del sito e la pianta del trasmettitore, e conoscevano il piano a memoria. Nessuno sapeva niente di esplosivi, a parte Nancy, che aveva imparato a maneggiarli in Scozia. Distribuì il TNT e i detonatori e spiegò come funzionavano. Quella sera erano tutti molto attenti, persino Fournier – che nel suo ruolo di tiratore scelto non avrebbe dovuto maneggiarli – e anche gli altri si avvicinarono ad ascoltarla mentre spiegava come si azionava il detonatore, e dove era più utile piazzare le cariche.

Quando furono lontani dalla loro base qualcosa cambiò nell’aria, qualcosa che all’inizio Nancy non riusciva a definire. Ripensò all’ultima sera a Piccadilly, quando ben vestita e truccata era uscita per incontrare gli amici, sapendo che era l’ultima occasione per bere champagne e divertirsi. Sì, era emozionata e agitata. E come lei i cinque uomini che stava portando con sé in quell’impresa.

Il cielo era quasi buio quando lasciarono il sentiero principale per imboccare silenziosamente un tratto di bosco molto fitto. Il terreno dove avevano installato il trasmettitore si trovava al limitare del villaggio, e man mano che si avvicinavano rischiavano sempre più di incontrare qualcuno. Per fortuna con quel brutto tempo la gente sarebbe rimasta a casa.

La pioggia che le aveva già infradiciato i capelli le scivolava lungo il collo fin nella schiena; il terreno era scivoloso e il rumore costante delle gocce sulle foglie copriva il suono dei loro passi. Il mondo profumava di fresco e di vegetazione nuova. Quando fra gli alberi intravide le luci dell’impianto del trasmettitore, Nancy alzò una mano. Era passata di lì due volte dopo l’incontro con la signora Hubert, sempre travestita da contadinotta, con la borsa di corda appesa al manubrio, e non mancando mai di sorridere alle sentinelle.

La sua informatrice aveva senz’altro una buona vista. Come le aveva detto, infatti, le sentinelle erano sei: due al cancello, due che pattugliavano il perimetro e due che si aggiravano all’interno. La torre, un intrico di acciaio puntato verso il cielo, era ancorata in tre punti con cavi trattenuti in blocchi di cemento armato. L’edificio principale, a un piano, sembrava diviso approssimativamente in tre zone: la sala con il generatore, quella collegata al trasmettitore e, sul retro, un paio di uffici e il garage.

Si fermarono a osservarlo dall’alto.

«Pronti?» chiese Nancy.

«Sì» risposero in coro, senza sarcasmo e senza alzare gli occhi al cielo.

Come segugi che tiravano il guinzaglio.

Il piano era semplice: Fournier avrebbe occupato la posizione individuata da Nancy lungo la strada a un centinaio di metri, per coprire loro le spalle durante l’attacco e trattenere eventuali rinforzi in arrivo dalla caserma in paese. Se fosse andato tutto liscio non doveva far altro che starsene seduto sul ramo di una grossa quercia a infradiciarsi di pioggia, mentre loro facevano saltare il trasmettitore. Sarebbero quindi scomparsi di nuovo nei boschi prima che i tedeschi si rendessero conto dell’accaduto. Una bella idea, ma improbabile. Gli istruttori, in Scozia, lo avevano ripetuto fino alla nausea: nessuna missione andava mai così liscia.

Mateo, Rodrigo e Juan avevano il compito di neutralizzare gli uomini che pattugliavano il perimetro e sistemare le cariche sui tre blocchi di cemento che ancoravano la torre. Nancy e Tardivat avrebbero fatto fuori le sentinelle al cancello nel massimo silenzio, poi sarebbero entrati nell’edificio a piazzare le cariche di esplosivo, oppure avrebbero rotto le finestre delle sale con trasmettitore e generatore, e lanciato all’interno le granate, per distruggere ogni attrezzatura. Cosa poteva andare storto?

Qualsiasi cosa. Ma... Nancy era stata addestrata, ed era quel che voleva fare. Le tornò in mente l’ebreo di cui non sapeva il nome, frustato su una strada di Vienna, il piccolo marsigliese, con il cervello schizzato sui ciottoli del quartiere vecchio. Lo faceva per loro.

«Fournier, in posizione» disse.

Lui si mise il fucile a tracolla e sparì nel buio. Dopo cinque lunghi minuti sentirono il fischio, basso ma chiaro: era arrivato. Nancy guardò con il binocolo i due di pattuglia che passavano davanti al cancello. Se ne decifrava l’umore da come camminavano, con il colletto alzato delle mantelle impermeabili, a testa bassa, invidiosi dei colleghi protetti dal diluvio nelle loro garitte. Procedevano a passo lento, annoiati e infelici, assordati dalla pioggia. Bene. Superarono le luci al cancello.

«Mateo, andate!»

I tre spagnoli scomparvero nell’oscurità.

Nancy attese. Gli aveva detto cinque minuti. Cinque minuti per far fuori le due guardie appena passate e tagliare le catene che chiudevano la recinzione. Dopo di che lei e Tardivat si sarebbero occupati dei due nelle garitte. Quando un fulmine sulla montagna alle sue spalle inondò di luce l’impianto, il cuore le batté forte.

«Tocca a noi, Tardi» disse.

Lui puntò a nord dell’impianto, lei a sud. Il temporale era un buon alleato. Dopo ogni lampo le tenebre sembravano più fitte. Nancy attraversò di corsa la strada durante un tuono, tenendosi bassa, senza mai perdere d’occhio i soldati. Un grido breve e subito soffocato le arrivò da ovest. Nemmeno un colpo di arma da fuoco. Però lo avevano sentito anche i due nelle garitte; uscirono con i fucili spianati. Ancora un passo e Nancy sarebbe stata illuminata dalle luci del cancello. Vedeva il volto del tedesco più vicino a lei, la pioggia che gli rigava le guance pallide, i capelli biondi che spuntavano da sotto l’elmetto.

«Cosa succede?» gridò nella notte.

Gli rispose soltanto il temporale. Scrutò intorno battendo le palpebre e Nancy, pugnale alla mano, lo raggiunse alle spalle.

Sul lato settentrionale del cancello Tardivat si lanciò fuori dal buio, mise un braccio intorno al collo dell’altra sentinella e gli tagliò la gola. Nancy aveva quasi raggiunto la sua vittima quando il soldato, mosso dall’istinto, si voltò.

Nancy esitò una frazione di secondo a fissare gli occhi azzurri, poi caricò. Il tedesco parò la coltellata con il calcio del fucile, colpendola al polso. Lei gli sferrò un pugno in faccia di sinistro, ma lui la trascinò a terra con sé. Nancy ne sentiva il peso addosso, la mano che cercava di piegare la sua per conficcarle la punta della lama nella gola. Stava per prendere il sopravvento, e lei cominciava a cedere. Un altro fulmine e lo guardò negli occhi ancora una volta. Vide che era persino più spaventato di lei, e scioccato alla scoperta che stava per uccidere una donna.

Scoppiò di nuovo il tuono e, prima ancora di sentire il colpo di fucile di Fournier, Nancy capì che il corpo del tedesco cedeva, e uno spruzzo di sangue la prese in pieno sul viso.

Scrollò via il cadavere e si rimise in piedi quando Tardivat la raggiunse. Puntarono verso l’edificio principale. Quando la porta fu di colpo spalancata si appiattirono contro il muro di ruvido cemento.

Un ufficiale tedesco si sforzava di scorgere qualcuno nella pioggia battente, una mano già sulla fondina della pistola. Poi un lampo squarciò il cielo Nancy e lo vide sobbalzare davanti alla scena dei due corpi delle sentinelle a terra. L’uomo si girò verso l’interno.

«Ci stanno attaccando! Chiama i rinforzi!»

Un altro colpo arrivò dal nido sulla quercia di Fournier, non coperto da un tuono, questa volta, e l’ufficiale cadde sulla schiena nel corridoio. Nancy si staccò dal muro, entrò scavalcando il cadavere e girò a sinistra verso la sala del generatore.

Una brutta massa verde scuro con tubi che sembravano muscoli enormi mugugnava a un ritmo scoppiettante. Tutto puzzava di gasolio. Durante l’addestramento le avevano spiegato dove collocare l’esplosivo su un bestione come quello. Usò tre cariche di TNT da mezzo chilo l’una, fissandole sotto, scelse un detonatore che le concedesse quattro minuti per allontanarsi e lo attivò.

In quel momento da fuori arrivò un botto che non poteva essere scambiato per un tuono. Il fragore era quello dei pezzi di cemento che volavano per aria e ricadevano sul muro posteriore dell’edificio, un assordante gemito metallico che fece scuotere tutto, provocato dalla torre del trasmettitore che si inclinava.

Da dietro la porta le arrivarono ordini gridati al telefono e spari. Alzò la testa per controllare l’entrata e infilò una sedia sotto la maniglia per bloccare l’accesso da quella parte, poi frantumò i vetri della finestra.

Le restavano tre minuti.

Dalla finestra rotta entrò un proiettile che rimbalzò sulla carcassa di metallo del generatore. Nancy si accovacciò, proteggendosi la testa con le braccia, e lo sentì entrare dentro un muro.

Spense l’interruttore, e nascondendo le mani dentro le maniche della giacca di lana pesante saltò fuori dalla finestra, mentre un’altra pallottola le sfiorava la testa.

Ci fu una seconda esplosione e di nuovo quel gemito di metallo. Quando balenò un lampo si voltò in tempo per vedere la torre piegata in avanti, trattenuta ormai da un ancoraggio solo. Gli altri due erano saltati. Era arrivato il momento di fuggire via. Si diresse a sud, verso l’apertura che Mateo avrebbe dovuto fare nella recinzione.

Due minuti.

I lampi si susseguivano. Scorse l’apertura nel filo spinato e vi si precipitò, ma qualcuno la agguantò da dietro e la fece cadere. Scalciò, si contorse. Un’altra guardia, più forte e muscolosa della giovane sentinella.

Quando impugnò il coltello il tedesco glielo fece volare via con un colpo al braccio.

Un minuto. Cazzo.

Bloccandola a terra lui le strinse le mani intorno alla gola, mentre lei cercava di cavargli gli occhi. La pressione crescente sulla gola le provocò delle macchie nere davanti agli occhi. Combatti, Nancy, si disse. Provò a colpirlo al ventre, ma il cappottone pesante lo proteggeva.

Il TNT nella sala del generatore esplose con una forza che fece tremare la terra anche sotto di loro.

La morsa intorno alla gola si allentò e lo spostamento d’aria provocato dall’esplosione spinse il tedesco a chinarsi su di lei. Questa volta Nancy non esitò.

Gli sferrò un colpo di karate sulla trachea. Lui non riuscì neppure a gridare, si limitò a un rantolo e a un’espressione sbalordita e sofferente. Nancy se ne liberò. Esplose un’altra carica: il TNT di Tardi nella sala del trasmettitore principale. Il fumo usciva dalle finestre in frantumi e le fiamme lambivano quel che restava del tetto.

Sentendo un motore alle sue spalle Nancy si girò e vide un vecchio autobus dell’esercito che puntava su di lei sbandando. Tirò fuori la pistola.

«Capitano! Salti su!» Un accento spagnolo.

Due braccia si protesero dalla parte del sedile del passeggero. Al volante c’era Tardivat. Nancy non se lo fece ripetere due volte, e afferrando un polso di Mateo appoggiò un piede sul paracarro, facendosi tirare dentro l’abitacolo.

Tardivat cambiò marcia e uscì dal cancello principale mentre i proiettili sforacchiavano una fiancata del bus. Accese gli abbaglianti per un attimo, poi spense completamente le luci e schiacciò l’acceleratore.

L’ultima carica produsse un enorme boato. Nancy corse al finestrino in fondo e vide la torre di trasmissione crollare, abbattendo quel che restava dell’edificio, e precipitando sulla strada dov’erano appena passati.

Tardi rallentò a passo d’uomo e riaccese le luci in tempo per vedere Fournier che correva con il fucile alto sopra la testa, urlando di felicità. Lo fecero salire, poi Tardivat accelerò di nuovo; in men che non si dica furono inghiottiti dalle nuvole.