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Il maggiore Böhm stava leggendo una lettera di sua moglie, quando Heller entrò nel nuovo ufficio di Montluçon.

Eva stava bene, la figlia giocava con il cucciolo nel giardino della loro comoda casa nuova alla periferia di Berlino. Era felice di essere lontana dalla Francia e fra la sua gente; poi aggiungeva parole di ammirazione per il lavoro del marito, e di desiderio di un suo prossimo ritorno a casa, una volta completata l’opera. Il maggiore provò un pizzico di invidia. Montluçon era una nuova impresa, ma il carattere dei locali somigliava di più a quello degli slavi che al temperamento vivace e mercuriale dei terroristi marsigliesi. Non era ancora riuscito a capire se fossero davvero tonti come fingevano di essere. Quando li interrogava sulle bande di maquisard, rispondevano guardandolo con espressione bovina. No, non ne avevano mai sentito parlare. I funzionari comunali e gli ufficiali della gendarmerie promettevano di aiutarlo in ogni modo, ma inspiegabilmente documenti e rapporti approdavano sulla sua scrivania con una lentezza esasperante.

Heller posò un coltello sulla scrivania e il maggiore lo osservò.

«Ho pensato che volesse vederlo, signore. È stato perso durante il raid al trasmettitore di Chaudes-Aigues.»

Böhm lasciò cadere la lettera. «Ci sono testimoni?»

Heller scosse la testa. «Due sopravvissuti, non hanno riconosciuto nessuno dei terroristi.»

«Hanno usato il TNT?»

«Sissignore.»

Böhm prese il coltello e lo soppesò su una mano. «Questo, Heller, è un Fairbairn-Sykes. Il coltello di ordinanza degli agenti inglesi paracadutati in Francia a fomentare i rivoltosi nascosti sui monti.»

Böhm eseguì con la lama un colpo di taglio e un affondo, e annuì con aria di approvazione. Veramente un bel coltello.

«Heller, penso sia arrivato il momento di dimostrare a quella gente che la nostra pazienza ha un limite.»