Appendice
  Nota sui rapporti fra la credenza all’efficacia e la magía, a proposito del capitolo IV, § 2 e § 3.

Crediamo utile, per dissipare ogni equivoco, dire in poche parole perché ci siamo permessi di usare, in psicologia infantile, il termine di «magía», abitualmente riservato a uso strettamente sociologico.

Nel corso delle discussioni che a questo proposito abbiamo avuto con I. Meyerson (vedi p. 160 n.), c’è stata fra noi una divergenza. Meyerson ci ha fatto notare, fra l’altro, che la nozione di magía implica azioni e credenze di aspetto collettivo. V’è qui, anzitutto, una questione di fatto: in tutti gli esempi descritti, la magía è incastrata nel gruppo sociale. Ma questo non è un caso, un fatto di cirostanze. Per poco che vi si rifletta, è chiaro che contenuto e forma del fenomeno magico sono legati molto intimamente ad attività sociali, alla comunicazione; il suo carattere simbolico e stilizzato, la sua grammatica e la sua sintassi presuppongono un adattamento, piú spesso un lungo adattamento, all’insieme dei riti e delle condotte del gruppo: questo linguaggio ha una storia. La natura stessa dell’efficacia potrebbe risentire di questa socialità. Non è indifferente, per una credenza, che l’intera vita del gruppo sia sospesa ad essa. Dalla sua «riverberazione» essa non trae soltanto un supplemento di forza: è un’azione che riesce. Una credenza che riesce e salva è diversa da una credenza che sconcerta e fallisce.

Da una parte, dunque, il fatto dell’efficacia non indebolisce il fatto magico, anche dal punto di vista della psicologia pura; dall’altra, non è certo che la natura e soprattutto il grado della credenza nell’efficacia siano gli stessi nei fatti collettivi degli adulti e nei fatti individuali dei fanciulli.

Nei fatti infantili si potrebbero forse stabilire delle distinzioni:

1) In alcuni vi è ricorso a una forza esterna ben piú che azione vera e propria esercitata sul mondo. Per questi casi, ci si potrebbe chiedere se c’è davvero efficacia o se non si tratti piuttosto di oscurazioni della tensione psicologica e di sforzi per elevarla con l’ausilio di procedimenti che P. Janet ha cosí profondamente studiati.

2) In altri casi, c’è stata «esperienza» personale, successo, e applicazione a un secondo avvenimento che si presenti in condizioni analoghe. Si potrebbe vedervi una forma di concatenamento causale o di motivazione piú prossima all’efficacia della precedente, ma che, tuttavia, se ne distingue, per due caratteri. Da un lato, si tratta qui di concatenamento, di successione; ora, Meyerson crede che l’efficacia vera e propria, e soprattutto l’efficacia magica, presupponga una specie di simultaneità fra avvenimento e gesto o rito destinati a provocarlo; come altrove osserva, la «causa» è in questo caso un aspetto, una parte dell’avvenimento. D’altro lato, il credito che il fanciullo dà a queste specie di azioni è debole e poco continuo, contrariamente alla forza e continuità dell’efficacia magica.

3) Abbiamo poi dei fatti in cui, alla base della credenza del fanciullo, si trova una credenza «sociale» (praticamente: una credenza diffusa o che il fanciullo crede diffusa, generale). Questa credenza generale, sarà per il fanciullo necessaria, e avrà carattere «coattivo». Solo l’incontro di un desiderio infantile con una credenza di questo genere potrebbe, secondo Meyerson, darci dei fatti che sarebbe lecito avvicinare ai fatti di efficacia magica. E allora si dovrebbe distinguere fra le credenze che il fanciullo ha attinto nel mondo sociale degli adulti senza elaborarle e le credenze di origine propriamente infantile.

Quest’ultimo caso sarebbe, per Meyerson, il piú favorevole. Presupporrebbe una società di fanciulli con proprie credenze, riti o riti-giuochi, riti di iniziazione e di adesione, riti di progressione e creazione, riti di esclusione e penalità, linguaggio e simboli, il tutto rispondente ai desideri e ai timori dei fanciulli in quanto distinti da quelli degli adulti. I Boy-Scouts, coi loro giuochi, le loro canzoni e i loro simboli, sono, a suo parere, la prova che si potrebbero, in una società in cui vigesse una solidarietà piú forte che nella nostra, trovare gruppi di fanciulli cosí organizzati. Uno studio di questo genere sarebbe fecondo. Esso solo permetterebbe di stabilire e l’aspetto originale dell’efficacia magica del fanciullo e gli aspetti del fenomeno magico diversi dall’efficacia. Beninteso, dovrebbe comportare, come ogni studio di psicologia sociale, l’analisi del fenomeno nel suo periodo di stasi e in pieno giuoco sociale, lo studio dell’acquisizione delle credenze da parte dell’individuo fanciullo, lo studio delle loro variazioni ad opera dei fattori sociali e dell’esperienza individuale, lo studio della perdita delle credenze.

Il senso generale di tutti questi rilievi è che occorre un lungo periodo di conformismo per creare un’atmosfera di magía.

Per parte nostra, riconosciamo ben volentieri che, in una società adulta, la magía è una realtà eminentemente sociale e che la credenza nell’efficacia magica assume perciò un’intensità e una continuità che la rendono incompatibile con le credenze poco intense e molto discontinue dei nostri fanciulli. Siamo inoltre convinti, come Meyerson, che, nel funzionamento di ogni istituto sociale, è vano voler stabilire fin dove giunge l’individuo e fin dove la società: il processo sociale e la sua eco nelle coscienze individuali sono una cosa sola o, piú esattamente, costituiscono le due facce di una stessa realtà. Non è dunque né per identificare la credenza infantile individuale alle credenze sociali primitive, né per opporre alla ricerca sociologica una psicologia sociale al modo di G. Tarde, che abbiamo scelto il nostro vocabolario.

Ci siamo semplicemente limitati a fare un’ipotesi di lavoro. Fra i numerosi e complessi caratteri della magía descritta dal sociologi, ci è sembrato che la nozione di efficacia a distanza fosse l’aspetto piú difficile da spiegare psicologicamente ricorrendo alla vita sociale, in antitesi alla credenza in quanto tale. Abbiamo dunque ammesso, a titolo di pura ipotesi di ricerca, che esistesse continuità fra la nozione del tutto individuale dell’efficacia e la nozione implicita nelle credenze sociali di ordine magico. Ciò non significa che queste credenze sociali non abbiano, appunto perché sociali, un potere di coercizione e cristallizzazione infinitamente superiore: significa semplicemente che sono rese possibili grazie a una sottostruttura psicologica individuale.

Da questo punto di vista psicologico, definiamo dunque il genere «magía» con la nozione di efficacia a distanza, e distinguiamo nel genere due specie: 1) magía individuale infantile, in cui questa credenza è poco intensa e probabilmente discontinua; 2) magía propriamente detta o magía collettiva, caratterizzata da molti aspetti sui generis, fra cui una credenza molto piú intensa e sistematica.

Ora è appunto a causa di questa ricerca della continuità nello sviluppo della nozione di efficacia che al capitolo IV, § 2, abbiamo citato solo credenze infantili strettamente individuali, cioè sfuggenti all’influenza adulta e, nelle grandi linee, alla comunicazione tra fanciulli.

Ma è chiaro che varrebbe la pena di aggiungere al nostro studio della nozione di efficacia a distanza tutto uno studio sulla costituzione delle credenze magiche sociali nel fanciullo. E di qui, secondo Meyerson, che la analasi psicologica della magía propriamente detta dovrebbe cominciare. Per noi, invece, questo studio dovrebbe svolgersi in collegamento con uno studio dell’efficacia individuale.

In assenza di lavori di questo genere sui fanciulli dei primitivi o sulle società di fanciulli civili, possiamo supporre, grazie ai materiali raccolti per il § 2 del capitolo IV, che questa magía sociale nel fanciullo consista in una solidificazione della credenza nell’efficacia, tanto piú tenace in quanto il fanciullo giunga a ispirarsi a credenze o pratiche sociali adulte.

Un esempio. Il giovane che ci ha raccontato il suo procedimento individuale in rapporto ai birilli ricorda il seguente fatto collettivo: lui e i suoi amici erano soliti, benché protestanti, fare un segno di croce sulle palle che stavano per lanciare, in modo che colpissero il bersaglio. Se il ricordo è esatto, questo uso era nato da un semplice giuoco di imitazione, poi aveva finito col costituire un rito al quale ognuno si sottometteva con la convinzione che dovesse essere efficace. Lo stesso giovane ha l’impressione che queste pratiche fossero molto piú ricche e complesse, ma non ne ha ricordato che quel particolare.

Va da sé che un fatto particolare non permette deduzioni generali. Lasciamo dunque aperta la questione, insistendo sul fatto che il termine «magía» per designare le credenze individuali da noi descritte ha il solo scopo di permettere la ricerca di una continuità fra la nozione di efficacia implicita in queste credenze e la nozione implicita nei riti magici propriamente sociali. A parte questa questione di terminologia e l’ipotesi di lavoro ch’essa suppone, siamo perfettamente d’accordo con le osservazioni di Meyerson. In particolare, teniamo come lui a distinguere dalle credenze propriamente dette nell’efficacia (siano esse individuali, come quelle caratterizzanti i fatti del capitolo IV, § 2, siano invece sociali) i semplici mezzi di protezione destinati ad allentare la tensione psicologica e le forme puramente fenomeni stiche di causalità a base di concatenamento o successione.