Parte seconda

L’animismo infantile

 

Premesse

Se il fanciullo non distingue il mondo psichico dal mondo fisico, se, anche all’inizio della sua evoluzione, non osserva limiti precisi fra il suo io e il mondo esterno, ci si deve aspettare che consideri come vivi e coscienti gran numero di corpi che per noi sono inerti. È questo fenomeno che cercheremo di studiare nel fanciullo e che indicheremo col termine corrente di «animismo».

Non ignoriamo le obiezioni che possono esserci mosse sull’uso di questo termine, ma crediamo di poter rispondere alle due principali.

La prima. Gli etnologi inglesi hanno usato il termine di «animismo» per indicare le credenze secondo le quali i primitivi riempirebbero la natura di «anime», di «spiriti», ecc. per assegnare delle cause ai fenomeni fisici. Il primitivo sarebbe dunque giunto alla nozione di anima per vie che si è cercato di immaginare, e appunto questa nozione sarebbe all’origine delle credenze animistiche. È oggi noto quanto superficiale sia questa descrizione della mentalità primitiva, e quanto sia relativa alla nostra mentalità contemporanea. La profonda critica di Lévy-Bruhl e i saggi di Baldwin hanno mostrato all’evidenza che il cammino seguito dai primitivi è stato proprio l’inverso di quello che si attribuisce loro. I primitivi non hanno distinto fra spirito e materia. Ed è proprio perché non hanno fatto questa distinzione, che tutte le cose appaiono loro come dotate a un tempo di proprietà materiali e di intenzioni. Grazie all’esistenza di questo continuo insieme morale e fisico, possono essere spiegate le partecipazioni occulte di cui è piena la loro magía, e che hanno creato l’illusione che i primitivi credessero allo «spirito» nel senso in cui vi crediamo noi. Anche Lévy-Bruhl proscrive il termine di animismo, che per lui resta legato alle interpretazioni erronee cui ha dato luogo.

Ma noi non metteremo in questo termine nulla piú di quanto esso comporti: esso indicherà per noi la tendenza a considerare i corpi come vivi e dotati di intenzioni. Questa tendenza è un fatto, e la sua designazione non pregiudica in nulla l’interpretazione che se ne può dare. Ohe nel fanciullo l’animismo sia dovuto all’esistenza della nozione di «spirito» o, al contrario, all’assenza di una tale nozione, resta pur sempre da esaminare, qualunque sia il vocabolo da noi scelto.

La seconda critica che si può formulare è certo piú grave. Il termine animismo indica una credenza propria dei popoli primitivi, e noi l’adottiamo per parlare del fanciullo. Sembra dunque che noi risolviamo a priori il problema se credenze analoghe siano identiche nel fanciullo e nel primitivo. Ma non è cosí. Noi prendiamo il termine «animismo» come termine generico, e il problema se le diverse specie di animismo abbiano la stessa origine psicologica o origini distinte resta per noi intero.

Detto ciò, occorre distinguere, nello studio dell’«animismo» infantile, tre problemi principali. C’è anzitutto il problema dell’intenzionalità: il fanciullo attribuisce una coscienza agli oggetti che lo circondano, e in che misura? Il secondo problema è il piú interessante per la causalità: qual è il senso del concetto di «vita» nel fanciullo? La vita abbraccia la coscienza, o no? Infine, ecco il terzo problema: qual è il genere di necessità che il fanciullo attribuisce alle leggi naturali, necessità morale, o determinismo fisico, ecc.?

Destineremo un capitolo apposito a ognuno di questi problemi, e cercheremo di risolvere, a proposito del problema della necessità, la questione della genesi dell’animismo infantile.