“BURNELL COLLEGE MONGOOSE”

NONOSTANTE I DIFETTI, MARIANNE LASCIA IL SEGNO

R. Benjamin Martin, laureato nel 2005

Il festival del cinema indipendente di questo fine settimana al Bolcher Auditorium ha presentato parecchi film notevoli ed edificanti. Bogdan in particolare, la storia del trionfo di un ragazzino sull’astigmatismo, sarà senza dubbio candidato agli Oscar. Ma non è di Bogdan e nemmeno di Woolly Bear, il maestoso racconto della migrazione annuale dei bruchi, che desidero parlare. Voglio parlare di Marianne.

Marianne non è un film perfetto. L’illuminazione non è bella, e nemmeno il montaggio, bisogna dirlo, è di altissima qualità. Il suono ha più o meno la chiarezza di una persona in punto di morte che grida aiuto dal fondo di un pozzo profondissimo. Gli attori non protagonisti sono a tratti fonte di imbarazzo.

Eppure Marianne è di gran lunga il film più interessante che questo critico abbia avuto il piacere di vedere al festival, e forse il più interessante che i suoi redattori gli abbiano mai assegnato da recensire (anche se Death Slash 8, per essere giusti, aveva i suoi momenti). Molti film cercano di comunicare l’esperienza di essere in trappola nella città in cui si è nati. Sto ancora aspettando il film che riveli a tutti come ci si sente quando la propria madre torna a casa tutte le sere con un’altra parte del corpo rovinata dal lavoro che fa – prima la schiena, poi gli occhi, poi le mani che ti hanno sculacciato e confortato da bambino – e tuo padre, già rovinato da tempo, ogni sera ti fa delle ramanzine dal divano sull’importanza dell’istruzione che lui non ha mai ricevuto e che non ha idea di come pagarti, e tutti i tuoi amici marinano la scuola per farsi le canne e parlare di sogni tragicamente in contrasto con qualsiasi cosa il mondo permetterà mai loro di fare. Marianne non tocca tutti questi punti (gli spettatori ansiosi dovranno aspettare che venga scelto il copione di questo critico, evento sicuramente prossimo), ma il modo in cui la cinepresa assedia Marianne nella minuscola casa della sua famiglia rende la disperata sensazione di soffocamento sottostante meglio di qualsiasi film abbia mai visto.

I miei redattori al venerabile “Daily Mongoose” hanno richiesto di recente che i miei scritti siano meno “personali”. Non credo si tratti di un’obiezione alla scrittura autobiografica di per sé, visto che il racconto di una collega sulla propria battaglia contro l’acne (certamente tragica e in ultima analisi persa) è stato accolto da entusiastiche lodi. Credo si tratti di un’obiezione alla sostanza dei miei aneddoti personali, e di conseguenza alla mia vita. Perciò eviterò di disquisire su come Marianne catturi un altro aspetto della disperazione nelle piccole cittadine: l’impossibilità della fuga. Essere inseguiti da un assassino del tuo passato non è esattamente la stessa cosa che avere l’innegabile fortuna di vincere una borsa di studio per il college, per poi arrivare al college e scoprire che tutti hanno vissuto le stesse quattro esperienze, nessuna delle quali assomiglia alle tue, e che quando cerchi di parlare di una qualsiasi delle tue esperienze la reazione altrui è fatta di sospetto o orrore, e tutti ti esortano a “rilassarti”. Questi argomenti sono forse oltre lo scopo di Marianne, ma i futuri lettori della mia opera omnia (che verrà senz’altro pubblicata nel giro dei prossimi dieci o vent’anni, a seconda della velocità con cui farò carriera) potrebbero trovarli rivelatori come illustrazioni della mia prospettiva. Comunque, lasciando da parte queste faccende che sono chiaramente fuori posto in una pubblicazione del livello del “Mongoose”, dirò semplicemente che Marianne riesce nella difficile impresa di evocare emozioni profonde con mezzi in genere non considerati emotivi: un’inquadratura, per esempio, o i movimenti degli attori in una scena. I temi del film emanano organicamente dalle immagini, invece di essere imposti agli spettatori con dialoghi melodrammatici o interpretazioni strappalacrime, come accade in molti film che potrei menzionare ma non lo farò, poiché già so di non essere d’accordo con molti dei miei lettori (per tacere dei miei redattori) sull’opinione che ho di questi film.

Per tentare di rendere più convenzionali le mie recensioni, mi è stato chiesto di assegnare “stelle” ai film. Mi è stato assicurato che il numero di stelle che assegno verrà stampato sul giornale, senza richieste di spiegazioni. A Marianne assegno 3.468.994,2 stelle. Nota alla redazione: Per favore stampare il numero esatto di stelle o sarò costretto a concludere che lo staff editoriale del “Mongoose” non è solo privo di rispetto per l’accuratezza, ma potrebbe anche non essere in grado di contare oltre il dieci.

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