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Colta alla sprovvista, alzai lo sguardo. Un errore che Vikter mi aveva insegnato a non fare mai. Avrei dovuto afferrare il pugnale, e invece rimasi lì mentre il braccio intorno alla mia vita si stringeva e la mano si posava sul mio fianco.

«Che gradita sorpresa» continuò l’uomo, allentando la stretta.

Mi ripresi dallo stupore e mi voltai per guardarlo in faccia, il cappuccio del mantello ancora al suo posto, mentre con la mano cercavo di raggiungere la lama. Alzai lo sguardo… e poi dovetti alzarlo ancora di più.

Oh, dei.

Ero come paralizzata, e quando vidi quel volto illuminato dal tenue bagliore delle candele rimasi sbalordita e incapace di ragionare.

Lo conoscevo, anche se non gli avevo mai parlato.

Hawke Flynn.

Tutti al Castello di Teerman sapevano che la Guardia dell’Alzata era giunta da Carsodonia, la capitale, pochi mesi prima, e io non facevo eccezione.

Avrei voluto mentire a me stessa, dirmi che ero stupita per via della sua eccezionale altezza, grazie alla quale mi superava di quasi trenta centimetri. O per il modo in cui si muoveva, con la stessa grazia, la stessa fluidità innata e predatoria tipica dei grandi felini grigi delle caverne, animali che normalmente si aggiravano per le Terre Desolate, ma che io una volta, da piccola, avevo visto al palazzo della regina. La temibile bestia era stata messa in gabbia e il modo in cui si muoveva avanti e indietro in quello spazio ridotto mi aveva a un tempo affascinata e terrorizzata. Avevo visto Hawke camminare alla stessa maniera in più di un’occasione, come se anche lui si sentisse in trappola. Ma forse a impressionarmi era l’autorità che emanava da ogni poro, sebbene non potesse essere molto più grande di me. Doveva avere l’età di mio fratello o, al massimo, uno o due anni in più. O poteva anche essere la sua abilità con la spada. Un mattino, mentre mi trovavo con la duchessa su uno dei molti balconi del Castello di Teerman che affacciava sul cortile di addestramento, la nobildonna mi aveva confidato che Hawke era giunto dalla capitale con le migliori raccomandazioni ed era sulla buona strada per diventare una delle guardie reali più giovani. La duchessa aveva tenuto lo sguardo fisso per tutto il tempo sulle braccia lucide di sudore di Hawke.

E lo avevo fatto anch’io.

Fin dal suo arrivo, mi ero ritrovata più volte a nascondermi in alcove buie per osservarlo mentre si addestrava con le altre guardie. A parte le sessioni settimanali del Consiglio Cittadino, che si tenevano nella Sala Grande, quelle erano le uniche volte in cui lo vedevo.

Il mio interesse poteva essere dovuto semplicemente al fatto che Hawke era… be’, era bellissimo.

Non capitava spesso di poterlo dire di un maschio, ma non riuscivo a trovare un aggettivo migliore per descriverlo. Aveva folti capelli bruni che si arricciavano sulla nuca e spesso ricadevano in avanti, sfiorando sopracciglia altrettanto scure. Le linee e gli angoli del suo volto mi facevano desiderare di saper disegnare o dipingere. Aveva zigomi alti e ampi, e il naso era sorprendentemente dritto per una guardia, considerando che molte di loro se l’erano rotto almeno una volta. Hawke aveva la mascella squadrata e decisa, e la bocca ben cesellata. Le poche volte che lo avevo visto sorridere, aveva sollevato l’angolo destro delle labbra e gli era apparsa una fossetta profonda sulla guancia. Non sapevo se ne avesse una simile anche a sinistra. Ma gli occhi erano di gran lunga la sua caratteristica più attraente.

Mi ricordavano il miele freddo, erano di un colore straordinario che non avevo mai visto prima, e ti guardavano in un modo che ti faceva sentire nuda. Lo sapevo perché durante i Consigli avevo percepito il suo sguardo, anche se lui non aveva mai visto né il mio volto, né i miei occhi. Ero sicura che la sua considerazione fosse dovuta al fatto che ero la prima Vergine da secoli. La gente mi fissava sempre quando mi trovavo in pubblico, che si trattasse di guardie, Lord e Lady in Attesa o cittadini comuni.

Ma le attenzioni di Hawke potevano anche essere il frutto delle mie fantasie, nate dal piccolo desiderio segreto che fosse incuriosito da me quanto io lo ero da lui.

Forse era per tutti questi motivi che aveva risvegliato il mio interesse, ma ce n’era un altro che non riuscivo a riconoscere senza sentirmi profondamente imbarazzata.

Quando lo avevo visto, mi ero volontariamente protesa verso di lui con tutti i miei sensi. Sapevo che era sbagliato farlo senza un buon motivo, nulla giustificava quell’invasione intima e non avevo scuse. Ma il dubbio mi spingeva a interrogarmi su che cosa lo facesse camminare continuamente avanti e indietro, come un felino in gabbia.

Hawke soffriva sempre.

Non nel fisico. Era un dolore più profondo, che mi trasmetteva la sensazione di affilate schegge di ghiaccio conficcate nella pelle. Era acuto e sembrava senza fine. Ma quell’angoscia, che lo seguiva come un’ombra, non lo travolgeva mai. Se non avessi indagato, non l’avrei mai percepita. In qualche modo, Hawke riusciva a tenere quel tipo di sofferenza sotto controllo, e io non conoscevo nessun altro che fosse in grado di fare una cosa del genere.

Nemmeno gli Ascesi.

Nonostante il mio dono, non avevo mai percepito nulla che emanasse da loro. Tuttavia, sapevo che erano capaci di provare dolore fisico. Non dovermi preoccupare di cogliere residui di sofferenza avrebbe dovuto spronarmi a cercare la loro compagnia, ma quella loro mancanza non faceva altro che darmi i brividi.

«Non ti aspettavo, stanotte» disse Hawke. Mi rivolse quel suo mezzo sorriso, che non mostrava i denti e faceva comparire la fossetta sulla guancia destra, senza raggiungere mai del tutto gli occhi. «Sono passati solo pochi giorni, zuccherino.»

Zuccherino?

Aprii la bocca e la richiusi non appena capii. Sbattei le palpebre. Mi aveva scambiata per un’altra! Qualcuno che ovviamente aveva già incontrato in quel luogo. Abbassai lo sguardo sul mantello preso in prestito. Era piuttosto peculiare, di un azzurro pallido con i bordi di pelliccia bianca.

Britta.

Hawke credeva che fossi Britta?

Eravamo più o meno della stessa altezza, di poco sotto la media, e il mantello celava la forma del mio corpo, neanche lontanamente sottile quanto il suo. Per quanto fossi atletica, non riuscivo a raggiungere le forme snelle della Duchessa Teerman o di altre lady.

Inspiegabilmente, una piccola parte di me, la stessa che tenevo nascosta, si sentì… delusa, e forse perfino un po’ invidiosa della graziosa domestica.

Esaminai Hawke. Indossava la tunica nera e i calzoni che tutte le guardie portavano sotto l’armatura. Era venuto subito dopo il turno? Lanciai una rapida occhiata alla stanza. Accanto al divano c’era un tavolino su cui erano posati due bicchieri. Prima che arrivassi, Hawke non era solo. Forse si era intrattenuto in compagnia di un’altra? Dietro di lui, il letto era rifatto e non sembrava che qualcuno ci avesse… dormito.

Che cosa dovevo fare? Girarmi e fuggire? Sarebbe sembrato bizzarro. Hawke avrebbe sicuramente chiesto spiegazioni a Britta in un secondo momento. Ma, se avessi restituito mantello e maschera senza che lei se ne accorgesse, ne sarei uscita pulita.

Malauguratamente, era molto probabile che Vikter si trovasse ancora al piano di sotto, così come la donna…

Dei, doveva trattarsi di una Veggente. L’istinto mi suggeriva che era a conoscenza che la camera fosse occupata. Mi aveva mandata lì di proposito. Sapeva che vi avrei trovato Hawke e che probabilmente mi avrebbe scambiato per Britta?

Era troppo inverosimile per crederci.

«Ti ha detto Pence che ero qui?» domandò lui.

Trattenni il fiato, e il cuore iniziò a battermi contro le costole come un martello. Ero abbastanza sicura che Pence fosse una guardia dell’Alzata, un giovane più o meno dell’età di Hawke. Biondo, se ricordavo bene, ma al piano di sotto non lo avevo visto. Scossi la testa.

«Mi stavi spiando, allora? Mi seguivi?» Fece schioccare piano la lingua contro i denti. «Ci toccherà parlarne, vero?»

La sua voce suonò stranamente minacciosa. Ebbi l’impressione che non fosse affatto contento che Britta lo seguisse.

«Ma non stanotte, a quanto pare. Sei inspiegabilmente silenziosa» osservò. Per quanto ne sapevo, Britta non era per niente riservata.

Se avessi parlato, avrebbe capito che non ero la domestica e io… non ero pronta a essere smascherata. In effetti, non sapevo bene per che cosa fossi pronta. La mia mano si era allontanata dal pugnale e non capivo che cosa potesse significare. Sentivo solo il mio cuore battere all’impazzata.

«Non è necessario parlare.» Portò le mani sull’orlo della tunica e, prima che potessi fare un altro respiro, la sollevò sopra la testa, gettandola da una parte.

Dischiusi le labbra e sgranai gli occhi. Avevo già visto il petto di un uomo in passato, ma non avevo mai visto il suo. I muscoli, che guizzavano e si flettevano sotto le tuniche sottili indossate dalle guardie durante l’addestramento, adesso erano in mostra. Aveva spalle larghe e un torace ampio, definito da anni di intensi allenamenti. Sotto l’ombelico c’era una lieve striscia di peli che scompariva oltre i calzoni. Abbassai ulteriormente lo sguardo e tornai a provare calore, di un tipo, però, che non mi faceva solo arrossire, ma mi pervadeva il sangue.

Anche alla luce delle candele, vedevo quant’erano aderenti le sue brache, come gli fasciavano il corpo, lasciando pochissimo all’immaginazione.

E di immaginazione io ne avevo parecchia, grazie alla ricorrente tendenza delle lady a raccontare troppo, e alla mia inclinazione a origliare le conversazioni.

Una strana sensazione, simile a un contorcimento, mi colpì al basso ventre. Non era affatto spiacevole. Mi solleticava, calda, ricordandomi il primo sorso di champagne.

Hawke fece un passo verso di me e i miei muscoli si tesero, pronti a correre, ma la forza di volontà mi mantenne ferma. Sapevo che mi sarei dovuta allontanare. Che avrei dovuto parlare e rivelare di non essere Britta. E poi, che sarei dovuta andar via immediatamente. Il modo in cui si avvicinava lento, con le lunghe gambe a colmare la distanza tra noi, mi avrebbe rivelato le sue intenzioni anche se non si fosse sfilato la tunica. E anche se avevo poca… E va bene, nessuna esperienza, sapevo che se mi avesse raggiunta, mi avrebbe toccata. Forse si sarebbe spinto anche oltre. Avrebbe potuto baciarmi.

E questo era proibito.

Ero la Vergine, la Prescelta. Per non parlare del fatto che lui mi credeva un’altra e che era evidentemente stato in compagnia prima che entrassi. Certo, ciò non significava che fosse stato con qualcuno, ma era una possibilità.

Continuai a non muovermi, e a non parlare.

Attesi, con il cuore che batteva così velocemente da farmi pensare che sarei svenuta. Lievi tremori mi percorrevano mani e gambe.

E io non tremavo mai.

Che cosa stai facendo?, sussurrò la voce ragionevole e sensata nella mia testa.

Vivo, bisbigliai di rimando.

E ti comporti in maniera incredibilmente stupida, ribatté la voce.

Era vero, eppure rimasi lì.

Con i sensi in allerta, osservai Hawke fermarsi di fronte a me, alzare le mani e usarne una per afferrare la parte posteriore del mio cappuccio. Per un attimo credetti che l’avrebbe abbassato e che quella farsa sarebbe terminata, ma non lo fece. Il cappuccio scivolò solo di qualche centimetro.

«Non so a che gioco stai giocando stanotte» disse con voce profonda e roca. «Ma sono disposto a scoprirlo.»

Mi cinse la vita con l’altro braccio e mi trascinò contro il suo petto, lasciandomi senza fiato. Non assomigliava per nulla ai fugaci abbracci ricevuti da Vikter. Nessun uomo mi aveva mai stretta così. Tra il suo petto e il mio non rimase nemmeno un centimetro di spazio e quel contatto ebbe l’effetto di una scossa sui miei sensi.

Hawke mi tirò su finché non mi trovai in punta di piedi, poi mi sollevò dal pavimento. Aveva una forza sconcertante… non ero esattamente leggera. Sbalordita, gli posai le mani sulle spalle. Il calore della sua pelle parve bruciarmi attraverso i guanti, il mantello e la leggera veste bianca con cui solitamente dormivo.

Inclinò il capo e io percepii il suo fiato sulle mie labbra. Il tremore dell’eccitazione serpeggiò lungo la mia spina dorsale, mentre il mio stomaco sprofondava nell’incertezza: due emozioni contrastanti che non ebbero il tempo di farsi la guerra. Hawke ruotò su se stesso e avanzò con la grazia felina che avevo notato in precedenza. Nel giro di pochi, irregolari palpiti, mi fece scivolare in basso, con una presa salda ma attenta, come se fosse consapevole della propria forza. Si chinò su di me, con la mano ancora dietro la mia nuca, e rimasi scioccata quando con il suo peso mi schiacciò sul letto; poi la sua bocca fu sulla mia.

Hawke mi baciò.

Non fu per nulla dolce o morbido come avevo immaginato. Fu duro e impetuoso, esigente, e quando tirai un breve respiro lui ne approfittò per baciarmi ancora più a fondo. La sua lingua toccò la mia, facendomi sussultare. Il panico mi invase lo stomaco, ma lo stesso fece qualcos’altro, qualcosa di assai più potente, un piacere mai provato prima. Hawke aveva il sapore del liquore dorato che una volta avevo rubato di nascosto, e io sentii la carezza della sua lingua su ogni parte del mio corpo. Era nei brividi che mi scorrevano su tutta la pelle, nell’inspiegabile pesantezza del mio petto, in quella sensazione che si torceva sempre più serrata sotto l’ombelico e perfino più in basso, tra le gambe, dove d’un tratto qualcosa aveva preso a pulsare e palpitare. Tremai, scavando con le dita nella sua carne, e all’improvviso desiderai di non avere indossato i guanti, perché volevo sentire la sua pelle, e dubitavo che sarei stata in condizione di concentrarmi su quello che percepiva lui. Piegò il capo e io mi sentii sfiorare dai suoi stranamente affilati…

Senza preavviso, Hawke interruppe il bacio e alzò la testa. «Chi sei tu?»

Con i pensieri insolitamente lenti e la pelle che vibrava, sbattei le palpebre e aprii gli occhi. I capelli scuri gli ricadevano sulla fronte. La morbida luce tremolava, gettando ombre sui suoi lineamenti… Mi sembrò che avesse le labbra gonfie quanto le mie.

Hawke scattò troppo velocemente perché riuscissi a seguirne il movimento: scostò il cappuccio e scoprì il mio viso mascherato. Inarcò le sopracciglia, mentre la foschia si diradava dai miei pensieri. Il cuore mi balzò nel petto per un motivo del tutto diverso, anche se le labbra mi formicolavano ancora a causa di quel bacio.

Il mio primo bacio.

Gli occhi dorati di Hawke si alzarono su di me e lui tolse la mano dalla mia nuca. Mi prese una ciocca di capelli, esponendola in modo che la luce della candela la facesse brillare di un ramato intenso, e io mi irrigidii. Piegò il capo verso sinistra.

«Senza dubbio non sei chi credevo che fossi» mormorò.

«Come te ne sei accorto?» sbottai.

«Perché l’ultima volta che ho baciato la proprietaria di questo mantello, mi ha quasi risucchiato la lingua.»

«Oh» mormorai. Avrei dovuto farlo anch’io? Non sembrava una cosa piacevole.

Lui mi fissò, soppesandomi con lo sguardo, metà del corpo ancora su di me. Una delle sue gambe si era insinuata tra le mie, e io non sapevo di preciso quando fosse accaduto. «Eri mai stata baciata?»

Il mio volto s’infiammò. Oh, dei, era così ovvio? «Certo!»

Lui sollevò un angolo della bocca. «Racconti sempre bugie?»

«No!» mentii all’istante.

«Bugiarda» mormorò, in tono quasi canzonatorio.

L’imbarazzo mi pervase, soffocando i tremiti di piacere come se mi avessero inzuppata in un gelido nevischio invernale. Gli piazzai le mani sul petto per spingerlo via. «Dovresti alzarti.»

«Era nelle mie intenzioni.»

La maniera in cui lo disse mi fece socchiudere gli occhi.

Hawke rise, e quella fu… fu la prima volta che glielo sentii fare. Quando lo avevo visto nella Sala, era stato silenzioso e stoico come la maggior parte delle guardie, e avevo colto quel suo mezzo sorriso solo durante gli allenamenti. Ma mai una risata. Conscia della sofferenza che aleggiava sotto la superficie, non sapevo se avesse mai riso veramente.

Ma in quel momento lo aveva fatto, un suono vero, profondo e piacevole, che mi riecheggiò in tutto il corpo fino alla punta dei piedi. Mi resi conto, lentamente, che non lo avevo mai sentito parlare così a lungo. Aveva un lieve accento, una cadenza quasi musicale. Non riuscivo a identificarlo, ma ero stata solo nella capitale e a Masadonia, e non accadeva spesso che qualcuno mi rivolgesse la parola o parlasse in mia presenza. Per quanto ne sapevo, poteva trattarsi di un accento piuttosto comune.

«Dovresti davvero spostarti» gli dissi, anche se mi piaceva sentire il suo peso.

«Sono piuttosto comodo dove mi trovo» aggiunse lui.

«Be’, io no.»

«Mi dirai chi sei, Principessa?»

«Principessa?» gli feci eco. In tutto il regno non c’erano principi o principesse, a parte l’Oscuro, che si faceva chiamare a quel modo. Non ce n’erano stati dai tempi del dominio di Atlantia.

«Sei piuttosto esigente.» Hawke sollevò una spalla. «Immagino che una principessa debba esserlo.»

«Non sono esigente» dichiarai. «Levati di dosso.»

Lui inarcò un sopracciglio. «Ma davvero?»

«Chiederti di spostarti non significa essere esigente.»

«Su questo non siamo d’accordo.» Fece una pausa. «Principessa.»

Le mie labbra si contrassero in un’espressione ironica, ma riuscii a soffocare un sorriso. «Non chiamarmi così.»

«Come dovrei chiamarti, allora? Magari per nome?»

«Io sono… nessuno» dissi.

«Nessuno? Che nome bizzarro. E tutte le ragazzine con un nome del genere hanno l’abitudine di indossare i vestiti di altre persone?»

«Non sono una ragazzina» sbottai.

«Spero proprio di no.» Fece una pausa, gli angoli della bocca si piegarono verso il basso. «Quanti anni hai?»

«Abbastanza da potermi trovare qui, se è questo che ti preoccupa.»

«In altre parole, abbastanza per presentarti nei panni di un’altra, permettere a uno sconosciuto di credere che tu sia quella persona e poi concedergli un bacio…»

«Ho capito cosa intendi» lo interruppi. «Sì, abbastanza per tutte queste cose.»

Lui inarcò un sopracciglio. «Ti dirò chi sono, anche se ho la sensazione che tu lo sappia già. Mi chiamo Hawke Flynn.»

«Salve» dissi, sentendomi stupida per averlo fatto.

La fossetta sulla guancia destra di lui si fece più profonda. «Questa è la parte in cui ti presenti tu.»

Non mossi né labbra, né lingua.

«Allora dovrò continuare a chiamarti principessa.» Il suo sguardo si era fatto più caldo adesso, e io fui tentata di vedere se il dolore si fosse attenuato, ma riuscii a resistere. Forse, pensai, la sua sofferenza era svanita. E se così fosse stato…

«Il minimo che tu possa fare è dirmi perché non mi hai fermato» disse lui, prima che potessi cedere alla curiosità ed espandere le mie percezioni.

Non avevo idea di come rispondere, visto che non lo comprendevo pienamente neanch’io.

Lui piegò un angolo della bocca. «Sono sicuro che il motivo va oltre la mia disarmante avvenenza.»

Arricciai il naso. «Naturalmente.»

Gli sfuggì un’altra breve risata di sorpresa. «Credo che tu mi abbia appena insultato.»

Feci una smorfia, mortificata. «Non era quello che intendevo…»

«Mi hai ferito, principessa.»

«Ne dubito fortemente. Devi essere più che consapevole del tuo aspetto.»

«Lo sono. Ha portato un bel po’ di persone a compiere scelte di vita discutibili.»

«Allora perché hai detto di sentirti insultato?» Mi resi conto che si stava prendendo gioco di me e mi sentii sciocca a non essermene accorta subito. Lo spinsi di nuovo via, premendogli le mani sul petto. «Sei ancora sdraiato su di me.»

«Lo so.»

Inspirai. «È alquanto maleducato da parte tua continuare a farlo, quando ho chiarito che vorrei che ti spostassi.»

«È alquanto maleducato da parte tua irrompere nella mia stanza, vestita come…»

«La tua amante?»

Lui inarcò un sopracciglio. «Non la definirei così.»

«E come la definiresti?»

Hawke parve rifletterci, il corpo che ancora giaceva sul mio. «Una… buona amica.»

Una parte di me fu sollevata che non avesse usato termini dispregiativi, come avevo sentito fare ad altri uomini quando parlavano di donne con cui avevano condiviso l’intimità. Ma… una buona amica?

«Non sapevo che gli amici si comportassero in questo modo.»

«Sono disposto a scommettere che non sai molto di queste cose.»

Era difficile ignorare la verità della sua affermazione. «E scommetteresti basandoti su un solo bacio?»

«Un solo bacio? Principessa, da un bacio si possono capire moltissime cose.»

Tornai a fissarlo e non potei fare a meno di sentirmi inesperta. L’unica cosa che avevo capito dal suo bacio era come mi aveva fatto sentire. Come se stesse cercando di possedermi.

«Perché non mi hai fermato?» Il suo sguardo scivolò sulla mia maschera e scese più in basso, dove il mantello si era aperto, esponendo l’abito troppo sottile e una scollatura alquanto audace. Onestamente, non ero in grado di dire a cosa stessi pensando quando avevo deciso di indossare quell’indumento. Era quasi come se inconsciamente mi fossi preparata per… qualcosa. Lo stomaco mi si contorse. Più probabilmente, quell’abito era frutto di una finta spavalderia.

Lo sguardo di Hawke incrociò il mio. «Credo di cominciare a capire.»

«Significa che ti alzerai, così potrò muovermi?»

Perché non lo hai costretto ad alzarsi?, sussurrò quella stupida voce, così razionale e così logica. Bella domanda. Sapevo come sfruttare il peso di un avversario. Cosa ancora più importante, avevo il pugnale a portata di mano. Ma non ci avevo provato, né avevo tentato di frapporre dello spazio tra noi. Che cosa significava? Suppongo che mi sentissi al sicuro. Quantomeno, per il momento. Era vero che non sapevo molto sul conto di Hawke, ma non era nemmeno un estraneo, o almeno non lo era per me, e non avevo paura di lui.

Hawke scosse la testa. «Ho una teoria.»

«Attendo di sentirla con il fiato sospeso.»

Di nuovo comparve quella fossetta sulla guancia destra. «Credo che tu sia entrata in questa stanza con uno scopo in mente.»

Su quello aveva ragione, ma dubitavo che avrebbe intuito le mie vere intenzioni.

«Ecco perché non hai parlato, né hai tentato di correggermi quando pensavo di sapere chi fossi. Forse persino il mantello che hai preso in prestito è frutto di una decisione calcolata» proseguì. «Sei venuta qui perché volevi qualcosa da me.»

Feci per negare, ma non mi vennero le parole. Restare in silenzio non equivaleva né a una smentita, né a un’ammissione: il mio stomaco si strinse di nuovo.

Lui si mosse un poco, posandomi la mano sulla guancia destra, a dita aperte. «Ho ragione, vero, principessa?»

Con il cuore che mi sussultava nel petto, cercai di deglutire, ma avevo la gola secca. «Magari… magari sono venuta qui per… fare conversazione.»

«Per parlare?» Inarcò le sopracciglia. «Di che cosa?»

«Di un sacco di cose.»

La sua espressione si distese. «Tipo?»

La mia mente rimase vuota per diversi secondi, poi buttai fuori la prima cosa che mi passò per la testa. «Perché hai scelto di lavorare sull’Alzata?»

«Sei venuta qui stanotte per chiedermi questo?»

Niente nel suo tono o nella sua espressione indicava che mi credesse, ma io annuii, confermando che quello era solo un esempio di quanto fossi pessima nell’arte della conversazione.

Lui rimase in silenzio, poi disse: «Sono entrato nelle guardie dell’Alzata per lo stesso motivo per cui lo fa la maggior parte delle persone».

«Ovvero?» chiesi, anche se conoscevo molte di quelle ragioni.

«Mio padre era un contadino e quella non era una vita adatta a me. Non c’erano molte altre possibilità oltre a entrare nell’Esercito Reale e proteggere l’Alzata, principessa.»

«Hai ragione.»

Socchiuse gli occhi e un’espressione sorpresa gli balenò sul volto. «Con questo che cosa vorresti dire?»

«Insomma, che i figli non hanno molte opportunità di diventare qualcosa di diverso dai genitori.»

«Intendi dire che non hanno molte opportunità di migliorare la loro posizione nella vita e fare meglio di coloro che li hanno preceduti?»

Annuii meglio che potevo. «Nel… Nell’ordine naturale delle cose non è precisamente permesso. Il figlio di un contadino è un contadino oppure…»

«Oppure sceglie di diventare una guardia, rischia la vita per una paga stabile e molto probabilmente non vive abbastanza a lungo da godersela?» concluse. «Non sembra una vera scelta, non trovi?»

«No» ammisi, ma ci avevo già pensato. Hawke avrebbe potuto diventare un mercante o un Cacciatore, ma anche quei mestieri erano rischiosi, poiché richiedevano di uscire spesso dall’Alzata. Tuttavia, non erano mestieri pericolosi quanto arruolarsi nell’Esercito Reale. La fonte della sua angoscia risiedeva forse in ciò che aveva visto nella sua esperienza di guardia? «In effetti le scelte sono limitate, nonostante questo credo – anzi, so – che entrare nelle guardie richiede un certo livello di forza e di coraggio innati.»

«Lo pensi di tutte le guardie? Che sono coraggiose?»

«Sì.»

«Non tutte le guardie sono brave persone, principessa.»

Socchiusi gli occhi. «Questo lo so. Coraggio e forza non equivalgono a bontà.»

«Su questo possiamo essere d’accordo.» Il suo sguardo scese sulla mia bocca, e il mio petto parve stringersi inspiegabilmente.

«Hai detto che tuo padre era un contadino. È… Ha raggiunto gli dei?»

Qualcosa si insinuò sul suo volto, ma scomparve troppo rapidamente perché riuscissi a decifrarlo. «No. È vivo e sta bene. E il tuo?»

Scossi un poco la testa. «Mio padre… Entrambi i miei genitori sono morti.»

«Mi spiace» disse, e parve sincero. «La perdita di un genitore o di un membro della famiglia permane a lungo dopo la scomparsa, il dolore si attenua, ma non svanisce mai. Anni dopo, ti ritrovi ancora a pensare che faresti di tutto per riportarli indietro.»

Aveva ragione, e pensai che fosse quella la fonte del dolore che sentiva. «Sembra che tu lo abbia sperimentato di persona.»

«È così.»

Ripensai a Finley. Hawke lo conosceva bene? La maggior parte delle guardie erano amiche e sviluppavano legami più stretti di quelli di sangue. Ma se anche quei due non fossero stati intimi, di sicuro Hawke aveva conosciuto altri compagni che erano andati incontro alla fine. «Mi dispiace» dissi. «Mi dispiace per chiunque tu abbia perso. La morte è…»

La morte era una costante.

E io ne vedevo parecchia. Non avrei dovuto, protetta com’ero, ma la vedevo fin troppo di frequente.

Lui inclinò il capo, e una cascata di riccioli scuri gli scivolò sulla fronte. «La morte è come una vecchia amica che viene a fare visita, a volte non la si aspetta, altre invece è attesa. Non è la prima né l’ultima volta che giungerà, ma questo non la rende meno dura o spietata.»

La tristezza minacciò di annidarmisi nel petto, soppiantando il calore. «Lo è davvero.»

Di colpo Hawke abbassò la testa, avvicinando le labbra alle mie. «Dubito che a condurti in questa stanza sia stato il bisogno di fare conversazione. Non sei venuta qui a parlare di tragedie che non si possono cambiare, principessa.»

Sapevo bene perché mi ero recata là, e Hawke aveva ragione, ancora una volta. Non era per parlare. Ero andata in quel luogo per vivere, per fare esperienze, per scegliere: per essere chiunque tranne che me stessa. E niente di tutto ciò comprendeva fare conversazione.

Ma quella notte avevo anche inaspettatamente ricevuto il mio primo bacio. Potevo fermarmi lì, oppure potevo trasformarla nella notte di molte altre prime volte, tutte scelte da me.

Stavo… stavo davvero prendendo in considerazione quella possibilità, qualunque essa fosse? Dei, lo stavo facendo sul serio. Lievi tremori mi scuotevano. Lui riusciva a sentirli? Si accumulavano nel mio stomaco, formando piccoli grumi di trepidazione e paura.

Ero la Vergine. La Prescelta. Un tempo ero convinta di sapere cosa passasse per la mente degli dei, ma in quel momento la mia sicurezza vacillò. Mi avrebbero considerato indegna? Il panico non mi travolse come avrebbe dovuto. Anzi, in me nacque una scintilla di speranza, e fu quello a turbarmi più di ogni altra cosa. Quel minuscolo barlume mi parve un tradimento estremamente preoccupante, dal momento che essere giudicata indegna avrebbe avuto gravissime conseguenze.

Se mi avessero considerata tale, mi sarei ritrovata di fronte a morte certa.

Sarei stata esiliata dal regno.