Per quanto ne sapevo, solo una persona in passato era stata giudicata indegna dopo l’Ascensione. Il suo nome era stato cancellato dalle nostre cronache storiche, così come ogni informazione su chi fosse e che cosa avesse fatto per meritare l’esilio. A lui o lei era stato proibito di vivere tra i mortali e – senza famiglia, sostegno o protezione – quella persona era andata incontro a morte certa. Perfino i villaggi e i contadini, con le loro piccole Alzate e le loro guardie, subivano un impressionante tasso di mortalità.
Anche se la mia Ascensione sarebbe stata diversa dalle altre, avrei comunque potuto essere giudicata indegna, e immaginavo che la mia punizione sarebbe stata altrettanto severa, ma non avevo la capacità mentale per affrontarla.
No.
Quella era una bugia.
Non volevo affrontarla. Avrei dovuto, eppure non stavo lasciando la stanza e non stavo fermando Hawke. Avevo già deciso, anche se non capivo perché lui fosse ancora lì con me.
Mi inumidii il labbro inferiore con la lingua, sentendomi stordita e perfino quasi sul punto di svenire, una cosa che non mi capitava mai. Hawke abbassò le ciglia incredibilmente folte. Il suo sguardo sulla mia bocca era così determinato da assomigliare a una carezza. Rabbrividii.
I suoi occhi sembravano perfino più luminosi di prima, mentre con il dito percorreva il bordo della mia maschera, su e ancora su, fino al punto in cui il nastro di raso scompariva nella cascata dei miei capelli. «Posso toglierla?»
Incapace di parlare, scossi la testa.
Hawke si fermò per un istante, poi comparve il suo mezzo sorriso, ma questa volta nessuna fossetta. Allontanò il dito dalla maschera, lo passò lungo la mia mandibola, giù fino alla gola, dove il mantello era allacciato. «E questo?»
Annuii.
Aveva dita abili. Scostò il mantello e le fece scorrere lungo la scollatura, seguendo il rapido alzarsi e abbassarsi del mio seno. Un tumulto di sensazioni seguì quel gesto; erano così tante che non riuscivo a comprenderle tutte.
«Che cosa vuoi da me?» chiese, giocando con il fiocco tra i miei seni. «Dimmelo, e lo farò.»
«Perché?» Non riuscii a trattenermi. «Perché dovresti… farlo? Non mi conosci e credevi che fossi un’altra.»
Un guizzo di divertimento attraversò i suoi splendidi lineamenti. «Non devo andare da nessuna parte al momento e sono intrigato.»
Inarcai le sopracciglia. «Perché non devi andare da nessuna parte?»
«Preferiresti che mi dilungassi in frasi poetiche su come la tua bellezza mi abbia affascinato, anche se posso vedere solo metà del tuo volto? Che, comunque, per quel che vedo è bello. O preferiresti che ti dicessi che i tuoi occhi mi hanno rapito? Perché da quel che riesco a distinguere, brillano di una graziosa tonalità di verde.»
Iniziai ad accigliarmi. «Be’, no. Non voglio che tu menta.»
«Niente di quello che ho detto è una bugia.» Tirando il fiocco, abbassò la testa e sfiorò le mie labbra con le sue. A quel morbido contatto, tornai pienamente consapevole. «Ti ho detto la verità, principessa. Mi intrighi ed è raro che qualcuno riesca a farlo.»
«E allora?»
«E allora» ripeté lui con una risatina, mentre le sue labbra scivolavano lungo la mia guancia, «hai cambiato la mia serata. Progettavo di tornare nei miei alloggi. Magari di farmi una buona, seppur noiosa, dormita. Ma ho il sospetto che stanotte sarà tutto meno che noiosa, se la passerò con te.»
Trassi un breve respiro, stranamente lusingata, eppure ancora confusa dalle sue motivazioni. Avrei voluto avere qualcuno a cui chiedere consiglio, ma probabilmente sarebbe stato strano… e imbarazzante.
Mi tornarono in mente i due bicchieri vicino al divano. «Eri… eri in compagnia, prima che arrivassi io?»
Hawke alzò la testa e mi fissò. «Strana domanda la tua.»
«Ci sono due bicchieri accanto al divano» gli feci notare.
«Strana domanda, e anche personale, oltre a essere posta da qualcuno di cui non conosco nemmeno il nome.»
Le mie guance avvamparono. Aveva ragione.
Rimase in silenzio così a lungo da farmi dubitare. Forse non avrebbe dovuto importarmi se aveva visto qualcun’altra quella sera. Tuttavia non riuscivo a non dar peso a quel dettaglio e sapevo che si trattava di un grosso errore. Ero fuori controllo. Non sapevo nulla di lui, e di che cosa…
«Ero in compagnia» rispose, e la delusione mi invase. «Di qualcuno che non c’entra niente con la proprietaria del mantello. E che non vedevo da tempo. Stavamo chiacchierando, in privato.»
Il mio sgomento si alleviò: mi sembrava sincero. Non aveva bisogno di mentirmi per avermi, e certamente conosceva molte donne che sarebbero state ansiose di intrigarlo.
«Allora, principessa, intendi dirmi che cosa vuoi da me?»
Feci un altro respiro incerto. «Tutto?»
«Tutto.» La sua mano si posò su uno dei miei seni, il pollice sfiorò il solco che li divideva.
Era un tocco lievissimo, ma trasalii, pervasa dal piacere. Il mio corpo reagiva ormai da solo, si inarcava sotto il suo tocco.
«Sto aspettando» disse accarezzandomi ancora una volta e disperdendo i miei pensieri già confusi. «Dimmi che cosa ti piace, così potrò fartelo amare.»
«Non…» mi morsi il labbro. «Non lo so.»
Gli occhi di Hawke volarono sui miei e quell’istante fu così lungo, che mi domandai se avessi detto qualcosa di sbagliato. «Ti dirò quello che voglio io.» Il suo pollice si muoveva in lenti, piccoli cerchi su un punto sensibilissimo. «Voglio che tu ti tolga la maschera.»
«Non…» Un brivido acuto e pulsante mi percorse il corpo, seguito rapidamente da un’esaltante meraviglia. Le mie sensazioni… Non avevo mai provato nulla di simile prima. Era un sentire acuto e dolce, un nuovo tipo di tormento. «Perché?»
«Perché voglio vederti.»
«Puoi vedermi comunque.»
«No, principessa.» Abbassò la testa finché con le labbra mi sfiorò la scollatura. «Voglio vederti davvero, quando tra te e la mia bocca non ci saranno più gli abiti.»
Prima di potergli chiedere che cosa intendesse, avvertii la carezza calda e umida della sua lingua attraverso la seta sottile. Ansimai, sconvolta da quel gesto e dal fiotto di calore liquido che produsse, ma poi Hawke sollevò gli occhi sui miei mentre chiudeva la bocca sul mio capezzolo. Succhiò a lungo e in profondità, e l’ansimare divenne un grido per cui di sicuro dopo avrei provato imbarazzo.
«Togliti la maschera.» Si sollevò e mi fece scivolare una mano sul fianco. «Per favore.»
Sapevo che anche se l’avessi fatto, non mi avrebbe riconosciuta. Con o senza maschera, Hawke non avrebbe mai saputo chi ero, ma…
Se l’avessi tolta, avrebbe forse detto quello che sosteneva spesso il duca? Che ero sia un capolavoro sia una tragedia? E quando avesse percepito la superficie irregolare della mia pelle su stomaco e cosce, avrebbe tolto di scatto la mano, inorridito?
Mi sentii raggelare.
Non avevo considerato a fondo la faccenda.
Proprio per niente.
Quel magnifico, esaltante calore si smorzò. Hawke non era un Asceso, ma lo sembrava nell’aspetto quasi privo di pecche. Non mi ero mai vergognata delle mie cicatrici prima. Erano la prova dell’orrore a cui ero sopravvissuta. Ma se lui…
La mano di Hawke scivolò lungo la mia coscia destra, dove il vestito si apriva, e si fermò proprio sull’elsa del pugnale. «Ma che…?»
Senza lasciarmi neanche il tempo di respirare, sfoderò la lama, avvicinando pericolosamente le dita a una delle cicatrici. Mi alzai a sedere, ma lui fu più rapido nel ritrarsi.
La luce della candela illuminò la lama rossa. «Diaspro sanguigno e osso di Wolven.»
«Ridammelo» ordinai, mettendomi in ginocchio.
Lui spostò lo sguardo dal pugnale a me. «È un’arma unica.»
«Lo so.» I capelli mi ricaddero davanti, oltre le spalle.
«E una cosa del genere non costa poco» continuò lui. «Come mai possiedi un’arma simile, principessa?»
«Me l’hanno regalata.» Dicevo il vero. «E non sono così stupida da venire in un posto come questo disarmata.»
Lui mi fissò per un istante, poi si concentrò di nuovo sul pugnale. «Portare un’arma senza avere idea di come usarla non è sintomo di saggezza.»
L’irritazione divampò calda quanto il desiderio che Hawke aveva risvegliato in me solo pochi momenti prima. «Che cosa ti fa credere che non sappia usarla? È perché sono una donna?»
«Non puoi sorprenderti del mio stupore. Saper usare un pugnale non è esattamente comune tra le donne di Solis.»
«Hai ragione.» Era vero. Per le donne non era socialmente appropriato sapere come impugnare un’arma o essere in grado di difendersi, fatto che mi aveva sempre infastidita. Se mia madre avesse saputo come proteggersi, forse sarebbe stata ancora viva. «Ma io so usarlo davvero.»
Hawke incurvò l’angolo destro della bocca. «Adesso sono davvero intrigato.»
Si mosse a una velocità incredibile e affondò la lama del pugnale nel letto. Trasalii, chiedendomi che cosa ne avrebbero pensato i proprietari della Perla Rossa, ma poi Hawke mi balzò addosso e io mi ritrovai supina sul materasso, schiacciata ancora una volta sotto il suo peso. Il suo corpo premeva contro il mio facendo aderire tutte le parti interessanti. La sua bocca si avvicinò pericolosamente…
Un pugno colpì la porta, mettendo a tacere qualunque domanda lui stesse per farmi. «Hawke?» chiamò una voce maschile. «Sei lì dentro?»
Lui si irrigidì e chiuse gli occhi. Il suo fiato caldo mi sfiorava ancora le labbra.
«Sono Kieran.» Non riconobbi quel nome.
«Come se non lo sapessi» borbottò sottovoce Hawke, strappandomi una risatina. Aprì gli occhi e di nuovo apparve quel mezzo sogghigno.
«Hawke?» Kieran bussò di nuovo.
«Credo che dovresti rispondergli» sussurrai.
«Maledizione» imprecò. Guardando al di sopra della propria spalla, disse: «Sono decisamente e felicemente impegnato, al momento».
«Mi spiace» replicò Kieran, mentre Hawke riportava l’attenzione su di me. L’altro bussò di nuovo. «Ma l’interruzione è inevitabile.»
«L’unica cosa inevitabile è la tua mano rotta, se busserai a quella porta un’altra volta» lo mise in guardia Hawke, e io sgranai gli occhi. «Che c’è, principessa?» disse in tono più basso. «Te l’ho detto che sono molto intrigato.»
«Vorrà dire che correrò il rischio» rispose Kieran.
Un ringhio di frustrazione rimbombò dal fondo della gola di Hawke. Fu un suono stranamente animalesco, che mi fece venire la pelle d’oca.
«È arrivato… l’inviato» aggiunse Kieran, oltre la porta.
Un’ombra calò sul volto di Hawke. Mosse le labbra come per mormorare qualcosa, ma troppo piano perché riuscissi a sentire.
Un brivido scacciò parte del calore. «Un… inviato?»
Lui annuì. «Le scorte che stavamo aspettando» spiegò. «Devo andare.»
Inclinai il capo in segno di comprensione, portando una mano tra noi e afferrando l’orlo del mantello.
Per un lungo momento, Hawke non si mosse, ma poi si scostò e si rimise in piedi. Si diresse verso Kieran, raccogliendo la tunica dal pavimento. Io strappai il pugnale dimenticato dal materasso e lo rinfoderai in fretta, mentre lui si rivestiva e si infilava la tracolla, assicurandosi la cintura in vita. Ai lati c’erano due foderi, per armi di cui non mi ero accorta fino a quel momento.
Prese due spade corte dal baule accanto alla porta, e io pensai che la prossima volta che avessi fatto irruzione in una stanza avrei dovuto prestare più attenzione all’ambiente.
Le lame erano affilate e letali, pensate per il combattimento ravvicinato, e ciascuno dei due bordi era seghettato, per tagliare carne e muscoli.
Sapevo usare anche quelle, ma non dissi nulla.
«Tornerò il prima possibile.» Hawke infilò le lame nei due foderi appesi ai fianchi. «Lo giuro.»
Annuii un’altra volta.
Lui mi fissò. «Dimmi che mi aspetterai, principessa.»
Il mio cuore fece una piroetta. «Lo farò.»
Si voltò e andò verso la soglia, poi si fermò e mi guardò di nuovo. «Non vedo l’ora di tornare.»
Io non dissi nulla e lui lasciò la stanza, aprendo la porta solo quel tanto che bastava per passare. Quando si richiuse alle sue spalle con uno scatto, rilasciai il fiato che stavo trattenendo e abbassai lo sguardo sul mio vestito. Era ancora umido all’altezza del seno, il tessuto bianco, quasi trasparente. Con le guance in fiamme, mi alzai dal letto e percepii la debolezza delle mie ginocchia.
Guardai il punto in cui Hawke era sparito e chiusi gli occhi, senza sapere se fossi delusa o sollevata per quell’interruzione. A dire la verità, provavo un misto di entrambe le cose, perché avevo mentito.
Non sarei stata lì al suo ritorno.
«Che cos’hai fatto la notte scorsa?»
La domanda distolse la mia attenzione dal biscotto che stavo masticando, spostandola sulla Lady in Attesa seduta di fronte a me.
Tawny Lyon era la secondogenita di un ricco mercante ed era stata donata alla Corte Reale quando aveva appena tredici anni, tramite il Rito. Alta e flessuosa, con la pelle di un bruno intenso e splendidi occhi marroni, era assolutamente degna d’invidia. Ad alcuni dei Lord e delle Lady in Attesa venivano assegnati compiti che esulavano da quelli relativi alla preparazione per entrare a far parte della Corte dopo l’Ascensione e, dato che io e Tawny eravamo coetanee, era stata scelta come mia dama di compagnia. I suoi doveri andavano dall’intrattenermi all’aiutarmi con il bagno o a vestirmi, ogni volta che lo desiderassi.
Tawny era una delle poche persone in grado di farmi ridere per le cose più sciocche e tra le poche a cui venisse concesso di parlarmi. Era la cosa più simile a un’amica che avessi, e io le volevo molto bene.
Credevo che anche lei me ne volesse, o quantomeno pensavo di piacerle, ma sapevo anche che era obbligata a rimanere con me, a meno che non le concedessi il giorno libero. Se non avesse avuto il compito di tenermi compagnia, probabilmente non ci saremmo mai parlate. Non a causa sua e della persona che era, ma perché le sarebbe stato proibito fare amicizia con me, oppure avrebbe provato diffidenza nei miei riguardi.
Quella consapevolezza spesso mi pesava sul cuore come un pezzo di ghiaccio, però mi fidavo lo stesso di lei, anche se sapevo che le radici della nostra amicizia affondavano nel dovere.
Almeno fino a un certo punto.
Sapeva del mio addestramento, ma ignorava che a volte aiutavo Vikter con certe faccende, e non sospettava affatto dei miei doni. Tenevo per me quelle informazioni, perché condividerle avrebbe messo lei o altri in pericolo.
«Ero qui.» Ripulendomi le dita dalle briciole burrose, indicai con un gesto lo spazio alquanto spartano della mia camera. Eravamo nella piccola anticamera appena fuori dall’ambiente principale, dove c’erano solo due poltrone accanto al camino, un guardaroba e un baule, un letto, un comodino e un pesante tappeto di pelliccia sotto i nostri piedi. Certamente, c’era chi godeva di maggiori comodità. Tawny, per esempio, aveva uno splendido divanetto nella sua stanza, nonché un mucchio di tappeti morbidi; e sapevo per certo che altri Lord e Lady in Attesa possedevano toilette per il trucco, scrivanie, pareti ricoperte di librerie e perfino l’elettricità.
Nel corso degli anni, quegli oggetti erano stati requisiti dalla mia camera per una serie di infrazioni di cui mi ero resa colpevole.
«Non eri nella tua stanza» disse Tawny. Uno chignon alto cercava – senza riuscirvi – di mantenere la massa di riccioli castani e dorati lontano dal suo viso: alcuni erano sfuggiti all’acconciatura e ora le incorniciavano le guance. «Ho controllato poco dopo mezzanotte, e non c’eri.»
Sussultai. Era forse capitato qualcosa e il duca e la duchessa avevano mandato Tawny a chiamarmi? Se fosse stato così, lei non avrebbe potuto mentire, ma immaginavo che a quel punto sarei già stata convocata nell’ufficio privato del duca.
«Perché sei venuta a controllare?» domandai.
«Mi è parso di sentire la tua porta aprirsi e chiudersi, perciò ho deciso di indagare, ma non ho trovato nessuno.» Fece una pausa. «Nemmeno te.»
Pensai che non era possibile che mi avesse sentita rientrare. Avevo usato il vecchio ingresso di servizio e, anche se quella porta scricchiolava quanto un mucchio d’ossa, la camera di Tawny si trovava dal lato opposto rispetto alla mia. Quel passaggio era una delle ragioni per le quali non avevo mai chiesto di essere trasferita nelle parti più recenti e restaurate della fortezza. Da lì godevo dell’accesso alla maggior parte delle zone del castello e potevo andare e venire senza essere vista.
Quella comodità compensava abbondantemente la mancanza di elettricità e i costanti spifferi che penetravano dalle mie finestre, perfino nei giorni di sole.
Con i palmi umidi, scoccai un’occhiata alla porta chiusa che dava sul corridoio. Qualcuno era venuto a cercarmi? Come detto, se così fosse stato, a quel punto avrei già dovuto esserne informata: ero certa che Tawny avesse solo creduto di sentire dei rumori.
La conoscevo abbastanza bene da sapere che non avrebbe lasciato perdere la questione se non le avessi offerto una qualche spiegazione. «Ieri notte non riuscivo a dormire.»
«Incubi?»
Annuii, sentendomi un po’ in colpa per la compassione che trasparì dal suo sguardo.
«Ne hai fatti molti ultimamente.» Tawny si appoggiò allo schienale della sedia. «Sei sicura di non voler provare uno dei sonniferi che il Guaritore ti ha preparato?»
«Sono sicura. Non mi piace l’idea di…»
«Finire fuori combattimento in quel modo?» concluse lei per me. «Non è poi così male, Poppy. Si riposa profondamente e, a essere sincera, visto quanto poco dormi, credo che ti farebbe bene provare.»
L’idea di bere qualcosa capace di addormentarmi così profondamente da richiedere l’intervento di un esercito per risvegliarmi mi faceva sudare. Sarei rimasta totalmente indifesa, e non avrei mai permesso che accadesse.
«Allora, che cosa hai fatto?» Fece una pausa. «O forse dovrei chiedere dove sei andata?» Socchiuse gli occhi, e il mio sguardo si perse sul sottile orlo del tovagliolo. «Te la sei svignata, vero?»
Tawny stava dimostrando di conoscermi tanto bene quanto io conoscevo lei. «Non capisco perché dovresti pensare una cosa del genere.»
«Perché? Non lo hai forse già fatto in passato?» Alzai lo sguardo su di lei appena in tempo per vederla ridere. «Su, raccontami. Di sicuro è più emozionante di quel che ho fatto io, ovvero ascoltare Madama Cambria blaterare sull’inadeguatezza di questo lord o di quella lady. Ho finto un terribile mal di stomaco solo per potermi congedare.»
Ridacchiai, sapendo che era proprio un comportamento da lei. «Le Madame sono difficili da gestire.»
«Sei troppo gentile» sottolineò lei.
Sogghignando, sollevai la tazzina di caffè con la panna. Le Madame erano le servitrici della duchessa e la aiutavano a gestire la tenuta, ma controllavano anche i progressi delle Lady in Attesa. Madama Cambria era una strega in grado di spaventare perfino me.
«Me la sono svignata, è vero» ammisi.
«E dove te ne sei andata, senza di me?»
«Potresti restare sconvolta.»
«Molto probabile.»
Le lanciai un’occhiata in tralice. «Alla Perla Rossa.»
Gli occhi di Tawny si fecero grandi come i piattini sparsi sul carrello portavivande sistemato tra noi. «Dici sul serio?»
Annuii.
«Non riesco a…» Parve tirare un respiro profondo. «Come hai fatto?»
«Ho preso in prestito uno dei mantelli della domestica e ho usato la maschera che avevo trovato.»
«Piccola, subdola ladruncola.»
«Ho restituito il mantello questa mattina, perciò non credo di poter essere definita una ladra.»
«Che importa se l’hai restituito?» Tawny si sporse in avanti. «Com’era la Perla?»
«Interessante.» E quando lei mi pregò di dire di più, le raccontai quello che avevo visto. Era incantata, si beveva ogni mia parola come se le stessi confidando i passaggi del rituale che completava l’Ascensione.
«Non riesco a credere che tu non mi abbia portata con te.» Tawny ricadde contro lo schienale, imbronciata, ma poi si sporse di nuovo. «Hai visto qualcuno che conoscevi? Loren sostiene di andarci quasi una sera sì e una no.»
Loren era un’altra Lady in Attesa, che millantava sempre un sacco di cose. «Non l’ho vista, ma…» La mia voce si spense. Non sapevo se raccontarle di Hawke.
La sera prima, me n’ero andata non più di dieci minuti dopo che era uscito, e con mio grande sollievo avevo notato che anche Vikter non c’era più.
Uscendo, non avevo nemmeno rivisto la strana donna che sapeva di più di quello che avrebbe dovuto. Avevo fatto tutto quello che potevo per non pensare a ciò che era successo in quella camera.
Ma ovviamente avevo fallito nell’istante stesso in cui ero tornata nel mio letto. Ero rimasta sdraiata finché la stanchezza non mi aveva vinta, ripensando a tutto quello che Hawke mi aveva detto… e a quello che aveva fatto. Mi ero svegliata in preda a una bizzarra frustrazione, che si era trasformata in un dolore al petto e al basso ventre.
«Ma cosa?» chiese Tawny.
Volevo raccontarglielo. Dei! Quanto avrei voluto confidare quello che era successo con Hawke a qualcuno. Avevo centinaia di domande che premevano per uscire, ma la notte precedente era stata diversa. Avevo attraversato un confine importante e, anche se non mi sembrava di avere svilito me stessa, né di aver fatto qualcosa di sbagliato, sapevo che i miei tutori non sarebbero stati d’accordo. Né lo sarebbero stati Sacerdoti e Sacerdotesse. Andare alla Perla Rossa era una cosa. Concedermi a qualcuno era una faccenda completamente diversa. Quell’informazione avrebbe potuto essere un’arma capace di distruggermi.
Mi fidavo di Tawny, ma non completamente.
E anche se il solo pensiero di ciò che era accaduto con Hawke mi faceva contrarre vorticosamente lo stomaco, sapevo che non sarebbe mai più capitato. Se lo avessi visto durante le sedute del Consiglio Cittadino, lui non avrebbe saputo che ero io quella che aveva chiamato principessa. Non avrebbe saputo di avermi dato il mio primo bacio. Quello che avevo fatto… apparteneva solo a me.
E così doveva essere.
Espirai lentamente, ignorando un improvviso, fastidioso groppo alla gola. «Molti dei presenti indossavano maschere. Magari Loren era lì e non me ne sono accorta. Avrebbe potuto esserci chiunque.»
«Se vai di nuovo alla Perla Rossa senza di me ti buco le suole delle scarpe» mi mise in guardia Tawny, giocherellando con le perline bianche che punteggiavano la scollatura del suo abito rosa.
Mi sfuggì un’espressione scandalizzata. «Accidenti.»
Lei ridacchiò.
«A dire la verità sono felice che tu non sia venuta.» Tawny si accigliò e io mi affrettai ad aggiungere: «Non avrei dovuto andarci nemmeno io».
«Sì, andare alla Perla Rossa è proibito e sono sicura che è altrettanto proibito imparare a usare un pugnale o una spada come le guardie dell’Alzata.»
Non ero mai riuscita a nascondere il mio addestramento a Tawny, ma lei non lo aveva rivelato a nessuno, ragion per cui sapevo di potermi fidare nella maggior parte dei casi. «Sì, però…»
«Proprio come quella volta che te la sei svignata per andare a vedere i combattimenti. O come quando mi hai convinta a fare il bagno nel lago…»
«Quella è stata una tua idea» la corressi, e tutte le volte in cui era stata disposta ad aiutarmi a fare cose proibite erano l’altra ragione per cui godeva della mia quasi completa fiducia. «Così come tua è stata l’idea di farlo senza vestiti.»
«Chi fa il bagno vestito?» chiese lei, sgranando gli occhioni innocenti. «E, per la cronaca, quella è stata un’idea di entrambe, grazie tante. Credo che dovremmo rifarlo, e presto, prima che faccia troppo freddo. Potrei passare l’intera mattinata a elencarti tutte le cose che hai fatto e che sono proibite dal duca e dalla duchessa, o più semplicemente proibite alla Vergine. Finora non è successo niente. Gli dei non sono venuti a dichiararti indegna.»
«Vero» riconobbi, lisciandomi una piega della gonna.
«Certo che è vero.» Tawny prese un dolcetto rotondo coperto di zucchero e se lo mise in bocca, riuscendo chissà come a non macchiarsi. Pensai che se io avessi anche solo guardato uno di quei dolci, mi sarei ritrovata ricoperta di polvere bianca nei posti più assurdi. «Allora, quando ci torniamo?»
«Credo… credo che sarebbe meglio non farlo.»
«Non vuoi?»
Feci per aprire la bocca, ma la richiusi all’istante, decisa a non infilarmi di nuovo nella tana del coniglio. Il problema però era che sì, volevo tornarci.
Mentre giacevo a letto, quando non ero impegnata a ripensare ossessivamente al tempo trascorso con Hawke e a rivivere il desiderio tagliente che il suo bacio aveva risvegliato in me, mi ero chiesta se lui fosse tornato indietro come promesso, e se avessi fatto bene ad andarmene così.
Naturalmente, agli occhi dei miei guardiani e degli dei era stata la cosa giusta, ma per me? Non sarebbe stato meglio restare e fare infinite altre esperienze prima di non averne più la possibilità?
Spostai lo sguardo sulle finestre che affacciavano sul tratto occidentale dell’Alzata. L’unico movimento percettibile era quello delle scure sagome delle guardie che ne pattugliavano la cima. C’era anche Hawke là fuori? Perché me lo stavo chiedendo?
Conoscevo la risposta. Non era solo una piccola parte di me a desiderare di essere rimasta, e sapevo che ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che smettessi di domandarmi che cosa sarebbe potuto succedere se solo avessi aspettato. Hawke avrebbe continuato a fare ciò che desiderava?
Non sapevo nemmeno come sarebbe stato esattamente. Certo, avevo delle idee, la mia immaginazione, i racconti di altre persone… Però quelle esperienze non erano mie. Erano solo esili copie incolori della realtà.
E sapevo con tutta me stessa che se fossi tornata alla Perla, lo avrei fatto sperando di incontrarlo di nuovo. Era quella la ragione per cui non dovevo andarci.
Osservando l’armadio aperto, vidi il velo bianco con le delicate catenelle d’oro, e mi sentii schiacciata da un senso d’oppressione. Ne potevo percepire il peso, anche se era fatto della seta più sottile e leggera. Quando mi era stato messo per la prima volta a otto anni avevo avuto paura, ma il buonsenso suggeriva che, dopo una decade, avrei dovuto essermici abituata. Tuttavia, anche se quando lo indossavo non avevo più la sensazione di non riuscire a respirare o vedere, mi sembrava ancora terribilmente pesante.
Accanto al velo era appeso l’unico capo colorato del mio guardaroba, uno spruzzo rosso in un mare di bianco. Era un abito cerimoniale confezionato per l’imminente Rito. Il vestito era arrivato la mattina precedente e ancora non avevo avuto occasione di provarlo. Era la prima volta che ricevevo il permesso di partecipare… e di indossare qualcosa che non fosse né bianco, né corredato di un velo. Naturalmente avrei dovuto portare una maschera, come tutti.
Questa volta mi avrebbero concesso di partecipare solo perché quello era l’ultimo Rito prima della mia Ascensione.
Qualunque eccitazione provassi per la cerimonia era mitigata dal fatto che sarebbe stata l’ultima.
Tawny si alzò e si avvicinò a una delle finestre. «È da un po’ che non si vede la nebbia.»
Saltare da un argomento all’altro era sua abitudine, ma questa volta il balzo mi parve sgradevole. «Come mai ti è venuto in mente?»
«Non lo so.» Scostò un ricciolo. «Anzi, sì. Ho sentito Dafina e Loren parlarne la notte scorsa. Sostenevano di avere sentito uno dei Cacciatori dire che la nebbia si sta raccogliendo oltre la Foresta di Sangue.»
«Io non ne so nulla.» Mi si strinse lo stomaco ricordando Finley, e desiderai di non aver mangiato così tante fettine di pancetta.
«Probabilmente non dovrei parlarne.» Tawny volse le spalle alla finestra. «È solo che… sono decenni che la nebbia non raggiunge la capitale. Di fatto non è mai stata una preoccupazione da quelle parti.»
Non era importante dove uno si trovasse: la nebbia era sempre fonte di preoccupazione. Solo perché non si avvicinava da decenni, non significava che non sarebbe mai più successo. Decisi però di tenere quella considerazione per me.
Tawny si allontanò dalla finestra, tornò al tavolo e si inginocchiò vicino a me. «Posso essere sincera per un momento?»
Inarcai le sopracciglia. «Non lo sei sempre?»
«Be’, sì, ma stavolta… è diverso.»
Curiosa di sapere a che cosa stesse pensando, le feci cenno di continuare.
Tawny inspirò profondamente. «So che le nostre vite sono diverse, così come il nostro passato e il nostro futuro, ma tu tratti l’Ascensione come una sentenza di morte, quando invece è esattamente il contrario. È vita. È un nuovo inizio. È una benedizione…»
«Inizi a parlare come la duchessa» la presi in giro.
«Ma è la verità.» Tawny mi prese la mano. «Tra pochi mesi non morirai, Poppy. Sarai viva e libera da queste regole. Sarai nella capitale.»
«Sarò consegnata agli dei» la corressi.
«E non è fantastico? Vivrai qualcosa di cui pochissimi fanno esperienza. Lo so… so che temi di non tornare, ma sei la Vergine preferita della regina.»
«Sono la sua unica Vergine.»
Lei roteò gli occhi. «Sai che non è quello il motivo.»
Era vero.
La regina aveva fatto per me più di quanto fosse lecito aspettarsi, ma ciò non cambiava il fatto che la mia Ascensione non sarebbe stata per niente simile alla sua.
«E quando tornerai, Ascesa, sarò al tuo fianco. Pensa solo a quello che potremo combinare.» Tawny mi strinse la mano, e io capii che ci credeva davvero.
Poteva essere.
Ma non era una certezza. Non avevo idea di che cosa significasse essere data agli dei, almeno non in concreto. Anche se ogni piccolo dettaglio della storia del regno sembrava documentato, su alcuni argomenti non esistevano testimonianze scritte. Non ero mai riuscita a trovare informazioni sulle Vergini che mi avevano preceduta, e un centinaio di volte, o anche di più, avevo chiesto alla Sacerdotessa Analia che cosa volesse dire essere consegnata agli dei, ottenendo sempre la stessa risposta.
Una Vergine non mette in dubbio i piani degli dei. Ha fede in loro anche senza conoscerli.
Forse era vero che non ero degna di essere una Vergine, perché mi era difficile avere fede in qualcosa che non conoscevo.
Tawny invece ci riusciva. Così come Vikter e Rylan, e letteralmente chiunque altro facesse parte della mia vita. Perfino Ian. Tuttavia, nessuno di loro era stato destinato ai numi.
Scrutai gli occhi di Tawny, cercando il più lieve barlume di paura. «Non sei per niente spaventata, vero?»
«Dall’Ascensione?» Si alzò, intrecciando le dita davanti a sé. «Nervosa? Sì. Spaventata? No. Sono eccitata di iniziare un nuovo capitolo.»
Iniziare una vita tutta sua, nella quale avrebbe potuto svegliarsi e mangiare quello che le pareva, passare le giornate in qualunque modo volesse e con chiunque desiderasse, anziché essere la mia eterna ombra.
Certo che non era spaventata. E io che non provavo le stesse cose, non avevo mai preso nemmeno una volta in considerazione che cosa significasse per lei.
La maggior parte delle volte, Tawny era sempre più che disposta a partecipare a qualunque avventura mi inventassi, e spesso ne suggeriva anche lei. Ma se gli dei ci stavano guardando, avrebbero potuto considerarla indegna per aver preso parte alle mie iniziative. Non era la prima volta che riflettevo su quella possibilità, ma in passato non mi aveva colpito con altrettanta chiarezza: il mio atteggiamento nei confronti dell’Ascensione poteva guastare il suo entusiasmo.
In fondo alla gola, sentii l’acido sapore del senso di colpa che affiorava. «Sono davvero egoista.»
Tawny sbatté le palpebre, confusa. «Perché dici una cosa simile?»
«Molto probabilmente ho rovinato la tua eccitazione, con il mio umore funereo e il mio pessimismo» le dissi. «Non avevo riflettuto su quanto tu debba essere emozionata.»
«Be’, se la metti così…» disse lei. Poi rise, un suono morbido e caldo. «Sinceramente, Poppy, non hai rovinato un bel niente. I tuoi sentimenti nei confronti dell’Ascensione non influenzano i miei.»
«Mi fa piacere sentirtelo dire, ma credo che dovrei essere più emozionata per te. Gli amici…» feci un esile respiro, «gli amici fanno così.»
«Ti sei sentita eccitata per me? Felice?» domandò lei. «Anche se sei preoccupata per te stessa?»
Annuii. «Naturalmente.»
«Allora ti sei comportata da amica.»
Forse era vero, ma promisi a me stessa che sarei stata una persona migliore e che non avrei più messo a repentaglio l’esito della sua Ascensione coinvolgendola nelle mie bravate. Potevo convivere con le catastrofiche conseguenze dell’essere giudicata indegna: si trattava della mia vita e sarebbero state le mie azioni a condurmi a quel punto. Ma non avrei potuto sopportare di fare una cosa simile a Tawny.
Non sarei sopravvissuta al senso di colpa.
Più tardi, quello stesso giorno, Vikter bussò alla mia porta dopo che avevo finito di cenare. Guardai il suo viso, segnato dalla vita sull’Alzata e dorato dagli anni trascorsi sotto il sole, e non pensai al fatto che sapevo dov’era stato la notte precedente, né all’imbarazzo che ne derivava. Appena vidi la sua espressione, seppi che era accaduto qualcosa.
«Che cosa è successo?» sussurrai.
«Siamo stati convocati» rispose lui, e il cuore tremò nel mio petto. C’erano solo due possibili motivi. Il primo era il duca; l’altro era ugualmente terribile, ma per ragioni assai diverse. «C’è un maledetto.»