6

Rylan mi riaccompagnò prontamente in camera, mentre Lord Mazeen rimase sulla soglia, con diverse altre persone accanto, gli occhi puntati sulla ragazza morta. Avrei voluto spingerlo da parte e chiudere la porta. Anche senza contare che era così discinta da lasciare in gran parte esposta la sua nudità, trovavo che quella curiosità morbosa nei suoi confronti fosse una mancanza di rispetto.

Si trattava di una persona e, anche se ciò che ne rimaneva era solo un guscio vuoto, era stata la figlia, la sorella e l’amica di qualcuno. Più di ogni altra cosa, la gente avrebbe parlato di come era stata trovata, con la gonna alzata e il corsetto slacciato. Nessun altro doveva vedere.

A me non era stato concesso di scegliere, però.

E adesso il Castello di Teerman era isolato; ogni angolo delle sue cento e più stanze veniva frugato in cerca del colpevole o di nuove vittime.

Camminando avanti e indietro di fronte al camino, Tawny tormentava i bottoncini di perla del proprio corsetto. «È stato un Craven» disse, con l’abito di un viola intenso che le frusciava intorno alle gambe. «Dev’essere stato per forza uno di loro.»

Scoccai un’occhiata a Rylan, appoggiato al muro a braccia conserte. Di solito non rimaneva nella mia stanza, ma quella notte era diverso. Vikter stava aiutando nelle ricerche, anche se immaginavo che sarebbe tornato presto.

Non portavo il velo e gli occhi di Rylan incrociarono i miei. Anche lui aveva visto la ragazza. «Tu credi che sia stato un Craven?»

Non mi rispose.

«Chi altro può essere stato?» Tawny si voltò verso la sedia su cui ero seduta. «Hai detto tu che è stata morsa…»

«Ho detto che sembrava un morso, ma… non sembrava un morso di Craven» le risposi.

«Lo so che hai visto di che cosa sono capaci i Craven.» Tawny sedette di fronte a me, tormentando continuamente i bottoncini di perla, come Agnes aveva fatto con quello della sua veste. «Ma come puoi esserne sicura?»

«I Craven hanno quattro canini allungati» spiegai. Lei annuì: lo sapevano tutti. «Ma la ragazza mostrava solo due segni, come se…»

«Come se due zanne affilate le avessero penetrato la gola» concluse Rylan. Tawny si voltò di scatto verso di lui.

«E se fosse stato un maledetto? Una persona che non si è ancora trasformata del tutto?» gli domandò.

«Allora avrebbe avuto l’aspetto di un morso umano. O così, oppure del morso di un Craven.» Rylan scosse la testa, fissando l’Alzata attraverso la finestra. «Non ho mai visto niente di simile.»

Mi ritrovai costretta a concordare con lui. «Era… era pallida, e non solo perché era morta. Pareva dissanguata… Se anche fosse stato un Craven con due zanne…» Arricciai il naso. «Sarebbe stato… più disordinato, non così preciso. Sembrava…»

«Sembrava cosa?»

Abbassai lo sguardo sulle mani, ripensando all’immagine della donna. Aveva avuto un rapporto con qualcuno, volente o nolente, e per quanto ne sapevo ai Craven non interessava altro che il sangue. «Sembrava che ci fosse stato qualcuno nella stanza con lei.»

Tawny si appoggiò allo schienale. «Se non è stato un Craven, chi altri farebbe una cosa simile?»

Molte persone andavano e venivano dal castello: servitori, guardie, visitatori… gli Ascesi. Ma neanche quello aveva senso. «La ferita era proprio sulla giugulare. Avrebbe dovuto esserci sangue ovunque, invece non ne ho visto nemmeno una goccia.»

«Questo è… parecchio strano.»

Annuii. «E aveva evidentemente il collo spezzato. I Craven non agiscono così.»

Tawny si cinse il corpo con le braccia. «Non voglio credere che esistano persone in grado di compiere simili efferatezze.»

Non lo desideravo nemmeno io, ma sapevamo tutti che le persone erano capaci di ogni sorta di atrocità, e lo stesso valeva per gli Ascesi. Dopotutto, anche loro erano stati mortali, un tempo, e la crudeltà sembrava essere uno dei pochi tratti che alcuni conservavano.

I miei pensieri si spostarono su Lord Mazeen. Era crudele, un bullo, e stando all’ultima volta in cui avevamo interagito, sospettavo che potesse essere anche peggio di così. Ma era capace di fare ciò che aveva subito quella ragazza? Rabbrividii. Anche se ne fosse stato in grado, perché mai avrebbe dovuto farlo, e come? Non riuscivo a darmi una risposta.

Riuscivo a pensare a una sola cosa che avrebbe potuto agire così, ma sembrava troppo incredibile.

«L’hai… l’hai riconosciuta?» mormorò Tawny.

«No, ma in base al vestito credo fosse una Lady in Attesa, o forse un’ospite.»

Tawny annuì in silenzio, tornando a tormentare la perla sul suo corpetto. Il silenzio si insinuò tra noi. Vikter giunse poco dopo, entrò nella stanza per parlare a bassa voce con Rylan. Mi spostai sul bordo della sedia mentre lui si allontanava e si sedeva sull’estremità del baule posizionato ai piedi del letto.

«Abbiamo perquisito ogni centimetro del castello, senza trovare né altre vittime, né Craven» disse, sporgendosi in avanti. «Il Comandante Jansen ritiene che la proprietà sia al sicuro.» Fece una pausa, sollevando lo sguardo e socchiudendo gli occhi. «Relativamente, si intende.»

«L’hai… l’hai vista?» chiesi, e lui annuì. «Pensi sia stata l’aggressione di un Craven?»

«Non ho mai visto niente del genere» replicò, ripetendo le parole di Rylan.

«Che significa?»

Si strofinò la fronte con una mano. «Non lo so.»

Spostai l’attenzione su di lui, notando il modo in cui si toccava le tempie e strizzava gli occhi. A volte, Vikter aveva mal di testa. Non come quelli di cui soffrivo io dopo avere aperto le mie percezioni o aver usato i miei doni troppo a lungo, ma assai più gravi: la luce e i suoni gli davano la nausea e gli pulsava il capo.

Attivai le mie percezioni e subito avvertii un dolore martellante dietro gli occhi. Recisi in fretta la connessione, e fu come visualizzare una corda che mi collegava a lui che veniva spezzata in due. L’ultima cosa che volevo era rimanere sveglia tutta la notte, devastata ancora una volta dal mal di testa.

«Se non è stato un Craven, ci sono altri sospetti?» chiese Tawny.

«Il duca ritiene che sia stata opera di un Caduto.»

«Come?» domandai, alzandomi.

«Qui? Al castello?» gridò Tawny.

«È ciò che crede il duca.» Mentre lo raggiungevo, Vikter alzò la testa con uno sguardo circospetto.

«E che cosa credi tu?» chiese Rylan dal punto in cui era rimasto, in piedi accanto alla porta. «Perché io non so in che modo un Caduto avrebbe potuto infliggere ferite come quelle senza lasciare tracce di sangue.»

«Concordo» mormorò Vikter, osservandomi. «Non sarebbe stato possibile ripulire una scena come quella, soprattutto considerando il fatto che la vittima è stata vista viva meno di un’ora prima.»

«Allora perché il duca dovrebbe insistere nel sostenere che sia stato un Caduto?» domandò Tawny. «Non è uno stupido. Anche lui dovrebbe essersene reso conto.»

Con un gesto casuale sfiorai con la mano la nuca di Vikter, mentre allungavo il braccio per prendere una piccola coperta di pelliccia. Aveva la pelle calda e asciutta, e io ripensai alle spiagge e alla risata di mia madre. Seppi che il suo dolore si era alleviato nel momento in cui fece un respiro profondo e tremante.

«Non so perché il duca creda una cosa simile, ma deve avere le sue ragioni.» Ritirai la mano e tornai alla mia sedia, posandomi la coperta sulle ginocchia, sotto lo sguardo riconoscente di Vikter.

Tawny mi lanciò un’occhiata, poi inspirò a fondo prima di tornare a concentrarsi su di lui. «Sai chi era la vittima?»

Vikter raddrizzò la schiena, il suo sguardo era nettamente più lucido quando tornò a parlare. «È stata identificata da una delle domestiche. Il nome della vittima era Malessa Axton.»

Il nome non mi era familiare, ma Tawny sussurrò: «Oh».

Mi voltai verso di lei. «La conoscevi?»

«Non bene. Cioè, so chi è.» Scosse un poco la testa, e diversi riccioli le sfuggirono dallo chignon. «Credo sia giunta a Corte più o meno nello stesso periodo in cui sono arrivata io, ma stava spesso con una delle lady che vive a Perledoro. Credo si tratti di Lady Isherwood» aggiunse.

Perledoro era il soprannome della fila di abitazioni vicine al castello e al parco del Boschetto dei Desideri. Molte di quelle case opulente appartenevano agli Ascesi.

«Era così giovane.» Tawny abbassò la mano sul grembo. «E aveva davanti un futuro così bello.»

Indirizzai le mie percezioni su di lei e scoprii che la sua tristezza riecheggiava la mia. Non era il dolore profondo di una perdita personale, ma quello che accompagnava ogni morte, soprattutto una così insensata.

Rylan chiese a Vikter di uscire. Dopo pochi istanti, Tawny si scusò e tornò nella sua stanza. Riuscii a trattenermi dal toccarla. Sapevo che se l’avessi fatto avrei preso il suo dolore, prima ancora di accorgermene. Mi affacciai alla finestra, per fissare il bagliore sicuro delle torce oltre l’Alzata; poi Vikter rientrò.

«Grazie» disse, raggiungendomi. «Il dolore alla testa stava per avere la meglio su di me.»

«Sono felice di essere stata d’aiuto.»

«Non eri tenuta. Ho la polvere che il Guaritore mi ha preparato.»

«Lo so, ma sono sicura che il mio dono ti ha regalato un sollievo più rapido, privo di vertigini o sonnolenza.» E quelli erano solo due dei molti effetti collaterali che quella polvere bianca e marrone causava.

«Questo è vero.» Vikter tacque per diversi istanti, e io sapevo che i suoi pensieri erano tormentati quanto i miei.

Facevo fatica a credere che il colpevole fosse un Caduto, anche se immaginavo che qualcosa di simile a un punteruolo da ghiaccio avrebbe potuto infliggere ferite come quelle. Tuttavia, le possibilità di pugnalare qualcuno alla giugulare senza sporcare ogni cosa di sangue sembravano alquanto scarse. Ancora più incomprensibile era il movente. In che modo infliggere ferite come quelle avrebbe portato benefici alla causa dei Caduti? L’unica cosa che sapevo potesse produrre ferite di quel tipo andava contro tutto ciò che i Caduti credevano.

«Rylan mi ha parlato.»

Guardai Vikter inarcando le sopracciglia. «Sì?»

I suoi occhi color del mare mi percorsero il viso. «Mi ha detto di Lord Mazeen.»

Distolsi lo sguardo, con lo stomaco stretto in una morsa. Non avevo affatto dimenticato l’incontro con il lord, però non era di certo la cosa più preoccupante o traumatica accaduta nell’ultimo paio d’ore. «Ha fatto qualcosa, Poppy?»

Avvertii in viso un calore pungente, soffocante, e premetti una guancia contro il vetro della finestra. Non volevo pensarci. Non l’avevo mai voluto. La nausea mi assalì, e anche un… imbarazzo strano, che mi faceva sentire la pelle appiccicosa e sporca. Non capivo perché provassi quelle sensazioni. Sapevo di non aver fatto nulla per attirare l’attenzione di Mazeen, e anche se lo avessi fatto, il torto sarebbe stato comunque dalla sua parte. Ma quando ripensavo a come si fosse sentito in diritto di toccarmi avrei voluto grattarmi via la pelle.

E non volevo ripensare a come mi fossi sentita grata per le urla della domestica, quando ancora non avevo idea di che cosa le avesse provocate.

Accantonai quei pensieri, sarebbero riemersi in seguito, molto probabilmente quando avessi cercato di dormire. «È stata solo una seccatura.»

«È la verità?»

Annuii, anche se mi parve di essermi spinta un po’ troppo lontano dalla verità, ma era meglio mentire. Che cosa se ne sarebbe fatto Vikter della verità? Niente. Era abbastanza intelligente da saperlo.

Un muscolo gli pulsò all’altezza della mascella. «Deve lasciarti in pace.»

«Concordo, ma sono capace di gestirlo.»

Più o meno.

Proprio non volevo pensare a quanto fossi andata vicina a compiere un atto assolutamente imperdonabile. Se avessi sfoderato il pugnale e l’avessi usato, non ci sarebbe più stata speranza per me. Ma, dei, non avrei provato nemmeno un briciolo di senso di colpa.

«Non dovresti essere costretta a farlo» replicò Vikter. «E lui dovrebbe sapere come comportarsi.»

«Dovrebbe, e credo che lo sappia, ma non penso che gli importi» ammisi, voltandomi per appoggiarmi al davanzale della finestra. «Sai che l’ho vista, in quella stanza. Ho visto come è stata… lasciata. Mi ha fatto pensare che sia stata con qualcuno, volontariamente o meno.»

Lui annuì. «Il Guaritore che ha esaminato il corpo ritiene che ci sia stato un rapporto fisico di qualche tipo prima della morte, ma non ha trovato segni di lotta. Niente sangue secco o pelle sotto le unghie. Ma non si può avere la certezza.»

Strinsi le labbra. «Stavo pensando che per un Caduto non avrebbe senso lasciare ferite come quelle, anche se fosse in grado di farlo senza sporcare. Che tipo di messaggio trasmette? Perché l’unica cosa capace di infliggere quel tipo di ferite è…»

Lo sguardo di Vikter incrociò il mio. «Un Atlantiano.»

Sollevata che l’avesse detto lui e non io, annuii. «Il duca deve saperlo. Chiunque abbia visto quelle ferite non può fare a meno di pensarlo e chiedersi perché qualcuno dovrebbe imitare una cosa del genere.»

«Ecco perché non credo che il colpevole sia un Caduto» disse lui, e io mi sentii stringere il petto. «Credo che sia stato un Atlantiano.»

Un Caduto che si aggirava liberamente nel Castello di Teerman era preoccupante, ma la possibilità che un Atlantiano fosse in grado di entrarvi senza che nessuno se ne rendesse conto era davvero spaventosa.

Desideravo con tutta me stessa trovare delle prove che confermassero che io e Vikter ci stavamo comportando da paranoici, perciò allo spuntare dell’alba, mentre il castello era ancora immerso nel silenzio e Rylan controllava la stanza dall’esterno, scesi di soppiatto fino al pianterreno e attraversai la cucina, dove tutto era immobile in modo inquietante.

Con il sole che brillava nel cielo, non dovevo più preoccuparmi di imbattermi in Lord Mazeen o in altri Ascesi.

Una volta giunta nella sala dei banchetti, mi diressi a sinistra verso la seconda porta, oltre la quale mi incontravo spesso con la Sacerdotessa Analia per le mie lezioni settimanali. Entrando, osservai attraverso la sala fiocamente illuminata la stanza dove Malessa era stata trovata.

Era chiusa.

Distolsi gli occhi, serrai la porta dietro di me senza fare rumore e mi affrettai a raggiungere la spoglia sedia in legno, per sbirciare un libro che non avrei mai pensato di mettermi a leggere di mia spontanea volontà.

Soprattutto perché mi pareva di avere già letto La Storia della Guerra dei Due Re e del Regno di Solis un migliaio di volte. Lo portai vicino all’unica finestra e lo aprii in fretta, reggendolo sotto i deboli raggi del sole nascente. Sfogliai con cura le sottili pagine, sapendo che, se ne avessi strappata una, la Sacerdotessa Analia sarebbe stata alquanto contrariata. Trovai la sezione che cercavo: si trattava solo di una manciata di paragrafi che descrivevano l’aspetto degli Atlantiani, le loro caratteristiche e ciò che erano in grado di fare. Sfortunatamente, non fecero altro che confermare quanto avevo sospettato.

Non avevo mai visto un vero Atlantiano… o almeno non pensavo che mi fosse mai capitato, ed era quello il problema. Gli Atlantiani assomigliavano ai mortali. Perfino gli estinti Wolven, che un tempo vivevano insieme a loro ad Atlantia, si potevano facilmente scambiare per mortali, anche se non lo erano. La capacità degli Atlantiani di mescolarsi con le popolazioni che, com’era noto, soggiogavano e a cui davano la caccia, li rendeva predatori esperti e letali. Se anche me ne fosse passato accanto uno non me ne sarei accorta. Lo stesso valeva per gli Ascesi. Per qualche ragione, quando avevano dato origine alla Benedizione, gli dei non avevano pensato di conferire loro il dono di riconoscere gli Atlantiani.

Scorrendo con lo sguardo i paragrafi, una parola spiccò, facendomi contorcere lo stomaco. Zanne. Anche se sapevo che cosa diceva il testo, lessi comunque.

 

Tra i diciannove e i ventun anni, coloro che possiedono sangue atlantiano abbandonano la vulnerabile immaturità e il loro spirito maligno diviene attivo. In tale periodo, si evidenziano un allarmante aumento della forza e la capacità di guarire dalle ferite mortali. Va anche notato che prima della Guerra dei Due Re e dell’estinzione dei Wolven, si eseguiva un rituale di vincolo tra un Atlantiano di una determinata levatura e un Wolven. Non si sa molto di tale vincolo, ma si ritiene che il Wolven in questione fosse moralmente obbligato a proteggere l’Atlantiano.

Nei veri Atlantiani, i due canini superiori diverranno zanne, allungandosi e facendosi affilati, ma non saranno facilmente visibili a un occhio non allenato.

 

Ripensai alle due punture sul collo di Malessa. Le zanne di un Atlantiano potevano non essere grandi e visibili come quelle di un Craven, ma il duca avrebbe potuto ordinare un esame della bocca di tutti i presenti nel castello.

Certo, bisognava ammettere che sarebbe stato un po’ invasivo.

Continuai a leggere.

 

Con l’emergere delle zanne, comincia la fase successiva della maturità, durante la quale ha inizio la sete. Finché le loro innaturali esigenze vengono soddisfatte, il processo di invecchiamento rallenta drasticamente. Si ritiene che un anno dei mortali equivalga a tre decenni per un Atlantiano. Il più anziano che si conosca tra di essi è Cillian Da’Lahon, che visse per 2702 anni.

 

Ciò significava che un Atlantiano poteva dimostrare meno di trent’anni, ma averne in realtà oltre un centinaio, forse addirittura duecento o più. Tuttavia, non erano esenti dall’invecchiamento, a differenza degli Ascesi, i Benedetti dagli dei, che rimanevano fermi all’età che avevano quando ricevevano la Benedizione. Il più anziano degli Ascesi sembrava superare appena i trent’anni.

Atlantiani e Ascesi vivevano per un’inimmaginabile quantità di tempo e quella era la cosa più vicina all’immortalità che esistesse, quella più vicina agli dei.

Non riuscivo nemmeno a figurarmi una vita tanto lunga. Scossi la testa e proseguii.

 

In quella fase, gli Atlantiani sono in grado di trasmettere la malvagità del loro spirito ai mortali, creando una creatura violenta e distruttiva nota come Craven, che condivide alcuni tratti fisici con i suoi creatori. La maledizione si trasmette attraverso un bacio velenoso…

 

Il bacio velenoso non aveva niente a che fare con un contatto di labbra. Gli Atlantiani facevano esattamente ciò che facevano anche i Craven, anche se in maniera meno disordinata. Mordevano i mortali e ne bevevano il sangue, poiché serviva alla loro sopravvivenza.

L’enorme durata della vita, la forza e la capacità di guarire derivavano tutte dalla loro principale fonte di cibo, il sangue dei mortali. Rabbrividii.

Doveva essere stato un Atlantiano a mordere Malessa e nutrirsene, il che spiegava l’apparente mancanza di sangue versato, e perché fosse apparsa così incredibilmente pallida.

Ciò che non spiegava era perché l’Atlantiano le avesse poi spezzato il collo, uccidendola prima che la maledizione si diffondesse. Perché non avrebbe dovuto permetterle di trasformarsi? D’altronde, il morso non era in un punto facile da nascondere. Avrebbe di per sé messo in guardia tutti coloro che l’avessero visto.

Un Atlantiano si celava tra noi.

Richiusi il libro e lo riposizionai attentamente sul leggio, riflettendo sul fatto che la mia Ascensione si sarebbe verificata il giorno del mio diciannovesimo compleanno, e che gli Atlantiani raggiungevano una certa maturità più o meno a quell’età. Non era esattamente una sorpresa. Dopotutto, prima che smettessero di proteggerli, un tempo i nostri dei erano stati anche i loro.

Uscii dalla stanza e mi avviai verso le cucine, quando il mio sguardo cadde di nuovo sul luogo in cui era stata rinvenuta Malessa. Dovevo rientrare nelle mie stanze prima che il personale si mettesse all’opera, ma non lo feci.

Attraversai lo spazio che mi separava dalla porta di quella camera e, abbassando la maniglia, scoprii che era aperta. Prima di riflettere davvero sulle mie azioni e su dove mi trovassi, entrai, grata che le candele fissate alle pareti gettassero una morbida luce sull’ambiente.

Il divanetto era sparito, lasciando uno spazio vuoto. Le sedie erano rimaste, così come il tavolino da caffè rotondo con i fiori ordinatamente posti al centro. Avanzai piano, senza sapere bene che cosa stessi cercando e chiedendomi se mi sarei accorta di averlo trovato.

A parte il mobilio mancante, non sembrava esserci niente fuori posto, però la stanza era stranamente fredda, come per uno spiffero; tuttavia, non c’erano finestre su quel lato della sala dei banchetti.

Che cosa stava facendo Malessa qui? Leggeva un libro o aspettava una delle altre Lady in Attesa? Lady Isherwood, magari? Si era forse nascosta per incontrare qualcuno di cui si fidava? O era stata presa alla sprovvista dall’aggressore?

Un brivido mi danzò lungo la schiena. Non sapevo che cosa fosse peggio… essere tradita o colta di sorpresa.

Anzi, lo sapevo. Sarebbe stato peggio il tradimento.

Avanzai, fermandomi di colpo a guardare in basso. Dietro la gamba di una delle sedie c’era qualcosa. Chinandomi, allungai la mano e lo raccolsi. Passai il pollice sopra una superficie liscia, delicata e bianca.

Era un petalo.

Aggrottai la fronte, avvertendone il profumo. Gelsomino. Per qualche motivo mi si rimescolò lo stomaco, il che era strano: di solito quell’odore mi piaceva.

Quando mi alzai vidi un vaso. La disposizione floreale conteneva diversi gigli bianchi, ma nessun gelsomino. Osservai ancora una volta il petalo con la fronte aggrottata. Da dove veniva? Scossi la testa avvicinandomi al bouquet e posai il petalo tra gli altri fiori, osservando per un’ultima volta la stanza. Il tappeto color crema si sarebbe senza dubbio macchiato se fosse stato versato del sangue, ma non ne trovai traccia.

Non avevo idea di che cosa stessi facendo. Se fossero state rinvenute delle prove sarebbero state rimosse, e anche se così non fosse stato, io non avevo alcuna esperienza in questo genere di cose. Volevo solo rendermi utile o scovare un indizio capace di placare le nostre peggiori paure.

Ma non c’era niente che potessi fare o trovare, non in quel luogo, a parte la verità su quel che era successo. E che cosa sapevo io della verità? Che spesso poteva essere spaventosa, sì, ma conferiva potere.

Per questo non mi ero mai nascosta da essa.

Tornai in camera senza problemi e finii per rimanervi tutto il giorno, il che non era poi molto diverso da ciò che facevo di solito.

Tawny venne a farmi visita brevemente, finché una delle Madame non la convocò. Nessuno era stato isolato, ma credevo che l’aggressione avrebbe almeno rallentato i preparativi per il Rito.

Ovviamente, era un pensiero sciocco. Dubitavo che persino un terremoto avrebbe potuto intralciare il Rito.

Passai un sacco di tempo a riflettere su quello che era accaduto a Malessa. E più pensavo ai motivi per i quali il duca avrebbe potuto mentire sul fatto che l’aggressore fosse un Caduto, più ogni cosa iniziava ad acquisire un senso. Proprio come Phillips, la Guardia dell’Alzata, non aveva voluto parlare della morte di Finley per impedire a panico e paura di affondare radici e diffondersi, così il duca non voleva allarmare nessuno. Ma ciò non spiegava perché non fosse stato sincero con la Guardia Reale. Se c’era un Atlantiano tra noi, le guardie dovevano essere preparate.

Gli Ascesi erano forti e potenti, ma anche gli Atlantiani lo erano, se non di più, e questa era una ragione sufficiente per non farsi cogliere impreparati.

Poco prima del crepuscolo, Rylan bussò alla mia porta. «Vuoi provare ad andare in giardino? Ho pensato di venire a chiedertelo.»

«Non lo so.» Scoccai un’occhiata alle finestre. «Credi che si possa fare?»

Rylan annuì. «Sì.»

Mi avrebbero davvero fatto bene un po’ d’aria fresca e del tempo lontano dai miei pensieri. Ma c’era qualcosa che non riuscivo a spiegarmi. Non erano trascorse nemmeno ventiquattro ore dall’assassinio di Malessa, ma sembrava una sera come un’altra.

«Non sei costretta a restare qui» disse Rylan. Spostai lo sguardo su di lui. «A meno che non sia quello che desideri. Ma non devi precluderti le piccole gioie della vita solo per via di ciò che è successo la notte scorsa, con quella povera ragazza e il lord.»

Sulle mie labbra fiorì un sorrisetto. «E tu ti sei probabilmente stancato di fare la guardia in corridoio.»

Rylan ridacchiò. «Forse.»

Indietreggiai con un sogghigno. «Lasciami prendere il velo.»

Mi ci vollero solo pochi minuti per indossarlo ed essere pronta, e questa volta non fummo interrotti mentre raggiungevamo il giardino. Tuttavia, alcuni servitori si fermarono a fissarci. Mentre proseguivo sul sentiero verso uno dei miei angoli preferiti nei terreni del castello, preoccupazioni e pensieri ossessivi svanirono come sempre. Nel vasto giardino la mia mente riusciva sempre a calmarsi e i tormenti che mi rodevano si placavano.

Non pensavo a Malessa e all’Atlantiano che era riuscito a entrare nel castello. Non venivo perseguitata dall’immagine di Agnes che teneva la mano senza vita del marito o da quello che era accaduto alla Perla Rossa con Hawke. Non pensavo nemmeno all’imminente Ascensione e a quello che aveva detto Vikter. Nei Giardini della Regina, ero semplicemente presente, anziché essere impigliata nel passato o in un futuro ipotetico.

Non avevo idea del perché quel luogo portasse un nome simile. Per quanto ne sapevo, era passato moltissimo tempo da quando la regina si era recata a Masadonia, ma immaginavo che il duca e la duchessa lo avessero chiamato così in suo onore.

Mai, mentre vivevo con la regina, l’avevo vista mettere piede nei lussureggianti giardini del palazzo.

Osservai Rylan. In condizioni normali, l’unica minaccia che avrebbe potuto trovarsi ad affrontare sarebbe stata una tempesta improvvisa, ma quella notte era più all’erta del solito. Continuava a scrutare i numerosi sentieri intorno a noi. Un tempo pensavo che quelle passeggiate lo annoiassero, ma non si era mai lamentato. Vikter, dal canto suo, avrebbe brontolato elencando una per una tutte le cose che avremmo potuto fare in alternativa.

A pensarci bene, forse Rylan gradiva davvero quelle uscite, e non solo perché così non doveva rimanere in piedi fuori dalla mia stanza.

Un vento freddo spazzò il giardino, agitando le foglie e sollevando l’orlo del mio velo. Avrei voluto potermelo togliere. Era abbastanza trasparente da consentirmi di vedere, ma rendeva più arduo spostarsi al crepuscolo e in luoghi poco illuminati.

Superai una grande fontana con una statua in pietra calcarea che raffigurava una Vergine velata. L’acqua scorreva senza sosta dalla brocca che reggeva e il suo suono mi ricordava le onde che s’infrangevano nelle baie del Mare di Stroud. Diverse monetine scintillavano sott’acqua, un pegno per gli dei nella speranza che esaudissero i desideri di chi le aveva gettate.

Mi avvicinai all’area più esterna, dove c’era un piccolo ma folto boschetto di alberi di jacaranda, a camuffare le mura interne che separavano il Castello di Teerman dal resto della città. Gli alberi erano alti oltre quindici metri, e a Masadonia i loro vivaci fiori color lavanda dalla forma a imbuto fiorivano tutto l’anno. Solo nei mesi più freddi, con la minaccia della neve, le foglie cadevano annegando il terreno in un mare viola. Erano spettacolari, ma, oltre che per la loro bellezza, io li apprezzavo anche per un particolare vantaggio che offrivano.

Gli alberi di jacaranda nascondevano la porzione di mura cadenti che io e Vikter usavamo spesso per lasciare il castello senza essere visti.

Mi fermai di fronte alla massa di rampicanti aggrovigliati che ricopriva alcuni graticci, ampi quanto il tronco degli alberi misurato in altezza. Lanciai un’occhiata al cielo che stava diventando rapidamente sempre più scuro, poi puntai lo sguardo in avanti.

Rylan si posizionò dietro di me. «Abbiamo fatto in tempo.»

Sollevai gli angoli della bocca in un sorriso, che svanì quasi immediatamente. «Ce l’abbiamo fatta questa sera.»

Solo pochi istanti dopo, il sole si dichiarò sconfitto dalla luna e i suoi ultimi raggi lasciarono i rampicanti. Le centinaia di gemme tremolarono, poi si aprirono lentamente, rivelando rigogliosi petali del colore di una mezzanotte senza stelle.

Rose notturne.

Chiudendo gli occhi, inalai il debole, dolce aroma che emanavano. Raggiungevano il massimo della fragranza quando si schiudevano e poi di nuovo poco prima dell’alba.

«Sono davvero belli» commentò Rylan. «Mi ricordano…» Le sue parole si dissolsero in un grugnito strozzato.

Spalancai gli occhi, girandomi, e un grido d’orrore mi si bloccò in gola mentre Rylan barcollava all’indietro, con una freccia che gli usciva dal petto. Alzò il mento con espressione incredula.

«Scappa» annaspò, con il sangue che gli gocciolava dagli angoli della bocca. «Scappa.»