«Rylan!» Corsi al suo fianco e lo cinsi con un braccio, mentre le sue gambe cedevano. Pesava troppo, e quando cadde anche io andai giù con lui, sbattendo le ginocchia sul sentiero. Non mi accorsi nemmeno dell’impatto. Premetti le mani intorno alla ferita, cercando di arrestare il flusso di sangue. Aprii le mie percezioni, aspettandomi di avvertire il suo dolore. «Rylan…»
Ma quello che stavo per dire mi morì sulla lingua, acre come cenere.
Non sentii niente, e non era possibile. Avrebbe dovuto soffrire moltissimo, e io avrei potuto aiutarlo, prendendo quel dolore. Ma non sentii nulla, e quando lo guardai in faccia vidi quello che non volevo vedere. Aveva gli occhi aperti, lo sguardo fisso sul cielo, senza riuscire a vederlo. Scossi la testa, ma sotto le mie mani il suo petto non si muoveva.
«No» sussurrai, sentendomi ghiacciare il sangue come se si fosse tramutato in fanghiglia. «Rylan!»
Nessuna risposta, nessuna reazione. Sotto di lui, una pozza di sangue si allargava sul sentiero, colando nei simboli incisi sulla pietra. Un cerchio con una freccia conficcata al centro. Infinito. Potere. Lo Stemma Reale. Premetti sul suo petto le mani, tremanti e intrise di sangue, rifiutandomi di credere…
Dietro di me udii dei passi, che echeggiarono come un tuono.
Mi voltai. A pochi metri c’era un uomo che reggeva un arco. Il viso era nascosto da un mantello con cappuccio.
«Adesso farai quello che ti dico, Vergine» disse con una voce simile allo scricchiolio della ghiaia. «E nessuno si farà male.»
«Nessuno?» dissi a fatica.
«Be’, nessun altro» si corresse.
Fissai l’uomo. Il petto di Rylan era ancora immobile sotto i miei palmi. Dentro di me sapevo che non si sarebbe mai più sollevato. Era morto prima ancora di toccare terra. Non c’era più.
Un dolore, intenso e reale, mi trafisse. Qualcosa di bollente mi fluì nelle vene e si riversò nel mio petto, colmandone lo spazio vuoto. Le mani smisero di tremarmi. La morsa di panico e sbigottimento si allentò e fu sostituita dalla rabbia.
«Alzati» ordinò l’uomo.
Lo feci lentamente, conscia che il vestito, reso appiccicoso dal sangue di Rylan, aderiva alle ginocchia coperte dalla sottile calzamaglia. Il mio cuore rallentò mentre infilavo la mano nello spacco sul fianco della gonna. Era lo stesso assassino di Malessa? Se era così, allora era un Atlantiano e io avrei dovuto essere veloce se volevo avere una speranza.
«Adesso ce ne andiamo da qui» disse. «E tu non emetterai un suono, né mi darai problemi, chiaro, Vergine?»
Chiusi le dita intorno all’impugnatura liscia e fredda del pugnale. Feci di no con la testa.
«Bene.» Si avvicinò di un passo. «Non voglio farti del male, ma se me ne darai motivo non esiterò a farlo.»
Rimasi immobile, con una furia rovente che cresceva dentro di me fino a traboccare. Rylan era morto a causa mia. Era suo dovere, essendo la mia guardia personale, ma era morto perché quell’uomo pensava di potermi rapire. Forse aveva aggredito e poi ucciso Malessa, e per cosa?
Se era un Atlantiano o un Caduto, non mi avrebbe usata per ottenere un riscatto. Sarei servita a inviare un messaggio, proprio come i tre Ascesi rapiti da Tre Fiumi. Erano stati restituiti a pezzi.
In quel momento, non mi interessavano gli scopi dell’uomo. Mi importava solo una cosa: aveva ucciso Rylan, che come me trovava belle le rose notturne. E forse aveva ucciso Malessa, lasciando il suo corpo esposto senza riguardi, né rispetto.
«Brava» mi lusingò. «Ti stai comportando bene. Una mossa intelligente. Continua così e non soffrirai.» Allungò la mano verso di me…
Sfoderai il pugnale e balzai in avanti, tuffandomi sotto il suo braccio.
«Ma che…?»
Mi rialzai alle sue spalle e gli afferrai il mantello, poi gli conficcai il pugnale nella schiena, mirando al cuore, dove Vikter mi aveva insegnato.
Colto di sorpresa, l’uomo fu svelto a lanciarsi di lato, ma non abbastanza da schivare del tutto la lama, che affondò in profondità nel suo fianco, facendo sgorgare un fiotto di sangue caldo. Mancai il cuore di pochi centimetri.
L’uomo guaì di dolore, alla maniera dei cani. Quando estrassi il pugnale, un suono assai diverso gli sfuggì dalla gola: un ringhio cupo che mi fece rizzare i peli sul corpo e scosse tutti i miei sensi.
Era un suono inumano.
Strinsi la presa sul pugnale e mi mossi, intenzionata a piantarglielo ancora una volta in profondità nella schiena. Lui ruotò su se stesso e io non mi accorsi del suo pugno finché un dolore terribile mi esplose sulla mascella e sull’angolo della bocca, impedendomi di mirare bene. Sentii un sapore metallico di sangue. Il pugnale lo aveva ferito a fondo, ma non abbastanza.
«Puttana» grugnì lui, colpendomi questa volta con un pugno alla testa.
Il colpo fu improvviso e mi stordì. Barcollai indietro e vidi luci danzarmi davanti agli occhi, la vista mi si oscurò. Quasi crollai, e riuscii a rimanere in piedi per pura forza di volontà. Sapevo che, se fossi caduta, non sarei più riuscita ad alzarmi. Vikter mi aveva insegnato anche quello.
Sbattendo rapidamente le palpebre, cercai di schiarirmi la vista mentre l’uomo si voltava verso di me. Il cappuccio gli era ricaduto sulle spalle: era giovane, probabilmente aveva solo una manciata d’anni più di me, e i suoi capelli erano scuri e arruffati. Si premeva una mano sul fianco. Il sangue gli colava tra le dita. Sgorgava veloce. Dovevo aver colpito un organo vitale.
Bene.
Mi guardò e schiuse le labbra in un ringhio feroce. Perfino alla luce della luna potevo scorgere i suoi occhi. Erano del colore dell’acqua ghiacciata. Un azzurro pallido e luminoso.
«Pagherai per questo» ringhiò, con la voce perfino più graffiante, come se la gola gli si stesse riempiendo di ciottoli.
Mi preparai, sapendo per istinto che se fossi fuggita mi avrebbe dato la caccia come un predatore. Ma, se mi fossi avvicinata ancora, sarebbe stato meglio non sbagliare mira. «Fai un altro passo verso di me e io non mancherò il tuo cuore una terza volta.»
Rise. Un brivido mi percorse il corpo. Era un suono diverso, mutato. «Mi divertirò a strapparti la pelle da quelle deboli, fragili ossa. Non mi importa quali sono i suoi piani per te. Mi farò il bagno nel tuo sangue e ti divorerò le budella.»
La paura minacciò di prendere il sopravvento, ma non potevo cedere. «Ma che bel programma.»
«Oh, vedrai.» L’uomo sorrise, con i denti macchiati di sangue, e avanzò di un passo. «Le tue grida…»
Dal folto degli alberi giunse un fischio forte e acuto, che lo zittì, facendolo fermare, con le narici che si allargavano. Il suono si ripeté, e l’uomo parve tremare di rabbia. La pelle intorno alla sua bocca si fece bianca mentre indietreggiava di un passo.
La mia presa sul pugnale era salda, ma mentre lo guardavo, rifiutandomi di sbattere le palpebre, le gambe iniziarono a tremarmi. Lui raccolse l’arco che era caduto e si raddrizzò con una smorfia. Ancora una volta mi fissò negli occhi. «Ci rivedremo molto presto.»
«Non vedo l’ora» dissi tra i denti.
Sorrise. «Farò in modo che la tua insolenza trovi il giusto premio, è una promessa.»
Dubitavo che sarei stata felice di ricevere un premio del genere.
L’uomo indietreggiò fino a superare le rose, poi si voltò e se ne andò, sparendo in fretta tra le fosche ombre che si addensavano sotto gli alberi. Rimasi dov’ero, respirando a brevi scatti, pronta a reagire nel caso si fosse trattato di un trucco e lui stesse aspettando che gli voltassi le spalle. Non so quanto rimasi lì, ma quando mi resi conto che non sarebbe tornato, ormai mi tremavano anche le mani.
Lentamente abbassai il pugnale, fissando le macchie di sangue rimaste a terra, dove l’aggressore era sparito. Con un altro breve respiro, alzai lo sguardo sulle rose. Sui petali color dell’onice brillavano gocce di sangue.
Un tremito mi scosse dalla testa ai piedi.
Mi costrinsi a voltarmi.
Rylan giaceva con le braccia abbandonate ai lati del corpo e gli occhi vuoti. Aprii la bocca per parlare, ma non trovai le parole, né sapevo che cosa avrei potuto dire.
Abbassai lo sguardo sul pugnale e sentii un grido graffiante montarmi in gola.
Riprenditi. Riprenditi.
Dovevo trovare qualcuno per Rylan. Non doveva rimanere lì in quel modo, e io non potevo farmi trovare con un pugnale insanguinato. Nessuno doveva scoprire che avevo lottato contro il mio aggressore. Strinsi le labbra tremanti.
Riprenditi.
Poi, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, smisi di tremare, e i miei pensieri rallentarono. Ancora non riuscivo a fare respiri abbastanza profondi, ma avanzai, mi chinai e ripulii la lama sulle brache di Rylan. «Scusa» sussurrai, con la pelle d’oca per il senso di colpa di quel gesto necessario. Con il volto e la testa che mi pulsavano, rinfoderai il pugnale. «Vado a chiamare qualcuno che si occupi di te.»
Rylan non rispose. Non l’avrebbe più fatto.
Iniziai a percorrere il sentiero senza rendermi conto di quello che stavo facendo. Lo stordimento mi aveva invasa e si era insediato nei miei muscoli. Le luci provenienti dalle finestre del castello mi guidarono mentre superavo la fontana, poi mi fermai di colpo. Davanti a me risuonarono dei passi. Riportai la mano al pugnale, serrando le dita intorno a esso…
«Vergine? Abbiamo sentito delle grida» chiamò una voce. Apparteneva a una guardia reale che spesso aveva sorvegliato i Lord e le Lady in Attesa. Quando mi vide sgranò gli occhi. «Ma quello è…? Santi numi, che cosa ti è accaduto?»
Feci per rispondere, ma non riuscii a costringere la mia lingua a formare le parole. Un’altra guardia imprecò, poi un uomo più alto con i capelli dorati superò i due militari con un’espressione stoica sul volto segnato dalle intemperie. Vikter. Mi squadrò da capo a piedi, soffermandosi su ginocchia e mani, e poi sulla parte del mio viso che il velo lasciava scoperta.
«Sei ferita?» Mi afferrò per le spalle con una stretta gentile e la voce ancora più delicata. «Poppy, sei ferita?»
«Si tratta di Rylan. È…» Alzai gli occhi su Vikter, interrompendomi di colpo quando senza preavviso mi tornò in mente quello che Hawke aveva detto sulla morte. Ne ero già consapevole, ma riuscì comunque a turbarmi. La morte è come una vecchia amica che viene a fare visita, a volte non la si aspetta, altre invece è attesa.
Questa volta la morte era giunta davvero inaspettata.
«Com’è successo?» chiese la duchessa Teerman, camminando avanti e indietro per la stanza solitamente riservata ad accogliere gli ospiti. Il gioiello a forma di fiore che le fermava i capelli castani brillò alla luce del lampadario. «Come ha fatto qualcuno a entrare nel giardino e ad arrivare a un soffio dal rapirla?»
Probabilmente nello stesso modo in cui, il giorno prima, qualcuno era entrato nel castello e aveva ucciso la Lady in Attesa.
«In questo momento gli altri stanno perlustrando le mura interne» disse Vikter. Era in piedi dietro di me, che me ne stavo seduta sul bordo di un divanetto in velluto, un po’ preoccupata di sporcare di sangue i cuscini dorati. «Ma immagino che il colpevole sia passato attraverso la sezione danneggiata dagli alberi di jacaranda.»
Proprio la stessa sezione che Vikter e io usavamo per lasciare i giardini del castello senza essere visti.
Gli occhi scuri della duchessa lampeggiarono di rabbia. «Voglio che siano abbattuti» ordinò.
Sussultai.
«Mi spiace, mia signora» mormorò il Guaritore, picchiettandomi sotto il labbro un panno bagnato e porgendolo subito a Tawny, che gliene passò uno pulito. Era stata convocata non appena mi avevano accompagnata nel salottino.
«Nessun problema» rassicurai il Guaritore dai capelli d’argento. Non erano stati i suoi gesti a provocare la mia reazione. Certo, la sostanza astringente bruciava, ma a farmi trasalire era stata la pretesa della duchessa. «Quegli alberi sono lì da centinaia di anni…»
«E hanno avuto una vita lunga e sana.» La duchessa si voltò verso di me. «Tu no, Penellaphe.» Si avvicinò a passi decisi, con la gonna del vestito cremisi che le si raccoglieva intorno alle caviglie, ricordandomi la pozza di sangue intorno a Rylan. Avrei voluto scostarmi, ma non volevo offenderla. «Se quell’uomo non si fosse spaventato, ti avrebbe rapita, e l’ultima cosa di cui avresti dovuto preoccuparti sarebbero stati quegli alberi.»
Aveva ragione.
Solo Vikter sapeva quello che era successo: che ero riuscita a ferire l’uomo prima che ricevesse il segnale di andarsene. Non potevamo rivelare i dettagli perché avremmo rischiato di farci scoprire, ma Vikter avrebbe fatto avere ai Guaritori della città la descrizione delle ferite dell’uomo.
Eppure, gli alberi…
Potevano avere causato il deterioramento del muro, ma le cose stavano così fin da quando ne avevo memoria. Non avevo dubbi che il duca e la duchessa lo sapessero: semplicemente non ne avevano mai ordinato la riparazione.
«Quanto sono gravi le sue ferite?» chiese la duchessa al Guaritore.
«Superficiali, Vostra Grazia. Avrà qualche livido e un po’ di dolore, ma nulla di duraturo.» Il lungo cappotto scuro dell’anziano Guaritore gli pendeva dalle spalle curve. Si alzò con le giunture rigide e scricchiolanti. «Siete incredibilmente fortunata, giovane Vergine.»
Non ero stata fortunata.
Ero stata addestrata.
Ed ecco perché ero lì seduta con solo una tempia dolorante e un labbro gonfio. Ma annuii. «Grazie per il vostro aiuto.»
«Le puoi dare qualcosa per il dolore?» domandò la duchessa.
«Sì. Certo.» Il Guaritore si diresse verso il piccolo tavolino su cui era posata la sua borsa a tracolla in pelle. «Ho la medicina perfetta.» Frugò un po’, fino a trovare ciò che cercava: una fiala di polvere bianca e rosa. «Allevierà qualsiasi dolore, ma le provocherà anche sonnolenza. Ha un leggero effetto sedativo.»
Non avevo alcuna intenzione di assumere il contenuto di quella fiala, di qualunque cosa si trattasse, ma fu consegnata a Tawny, che se la infilò in tasca.
Quando il Guaritore se ne fu andato, la duchessa si voltò verso di me, che ero ancora seduta. «Fammi vedere il viso.»
Con un sospiro stanco, portai la mano alle catenelle, ma Tawny venne al mio fianco. «Lascia fare a me» mormorò.
Feci per fermarla, ma lo sguardo mi cadde sulle mani. Me le ero ripulite appena ero stata portata nel salotto, ma avevo ancora sangue sotto le unghie e qualche macchia sulle dita.
Il corpo di Rylan era ancora nel cortile, vicino alle rose?
Quello di Malessa era rimasto in quella stanza per ore, prima di essere spostato. Mi chiesi se fosse stato restituito alla famiglia o se fosse stato cremato per precauzione.
Tawny mi sganciò il velo, togliendolo con gesti attenti in modo che non si impigliasse alle ciocche di capelli sfuggite al nodo con cui li avevo legati quella mattina.
La Duchessa Teerman si inginocchiò di fronte a me e mi sfiorò la pelle intorno alle labbra e sulla tempia destra con le sue dita fredde. «Che cosa stavi facendo in giardino?»
«Guardavo le rose. Lo faccio quasi tutte le sere.» Alzai lo sguardo. «Rylan viene sempre con me. Non ha…» Mi schiarii la gola. «Non ha nemmeno visto l’aggressore. La freccia lo ha trafitto prima che si accorgesse della presenza di qualcuno.»
I suoi occhi come pozzi senza fondo scrutarono i miei. «Sembra che non fosse all’erta come avrebbe dovuto. Non doveva farsi cogliere di sorpresa.»
«Rylan era molto abile» dissi. «L’uomo era nascosto…»
«La tua guardia era così abile che si è lasciata abbattere da una freccia?» chiese lei in un sussurro. «Quell’uomo era forse in parte uno spettro, che non ha prodotto alcun suono, né ha tradito la sua presenza?»
La mia schiena si irrigidì al pensiero del suono che l’uomo aveva emesso, e che non assomigliava a nulla di umano. «Rylan era all’erta, Vostra Grazia…»
Lei inarcò le sopracciglia dalla curva delicata. «Che cosa ti ho detto?»
Presi un breve respiro, lottando per mantenere la calma. «Rylan era all’erta, Jacinda» mi corressi, usando il suo nome. Di tanto in tanto lo esigeva, e io non sapevo mai quando voleva che lo usassi e quando invece dovevo evitarlo. «L’uomo… si è mosso in silenzio, e Rylan…»
«Non era preparato» concluse Vikter al posto mio.
Sbigottita, voltai la testa così rapidamente da far divampare il dolore alla tempia.
Gli occhi azzurri di Vikter incrociarono i miei. «Gli piacevano le vostre passeggiate serali in giardino. Non ha mai pensato che potessero presentare delle minacce, e sfortunatamente è diventato troppo noncurante. La notte scorsa avrebbe dovuto agire diversamente.»
La notte scorsa aveva agito diversamente. Aveva tenuto costantemente d’occhio i giardini. Curvai le spalle, poi la mia mente si spostò in un’altra direzione. Ian. «Per favore, non raccontate nulla a mio fratello.» Spostai lo sguardo dalla duchessa a Vikter. «Non voglio che si preoccupi, ma so che lo farebbe, anche se sto bene.»
«Dovrò informare la regina di quanto accaduto, Penellaphe. Lo sai» replicò lei. «E non posso controllare a chi lo riferirà. Se riterrà che Ian debba sapere, glielo dirà.»
Sprofondai ancora di più in me stessa.
La duchessa mi toccò con i gelidi polpastrelli la guancia sinistra. Mi voltai verso di lei. «Comprendi quanto tu sia importante, Penellaphe? Sei la Vergine. Sei stata scelta dagli dei. Le Ascensioni di centinaia di Lady e Lord in Attesa, in tutto il regno, sono legate alla tua. Sarà l’Ascensione più importante fin dai tempi della prima Benedizione. Rylan e tutte le guardie reali sanno cosa rischiamo se dovesse accaderti qualcosa.»
Mi piaceva la duchessa. Era gentile, diversa dal marito, e per un brevissimo momento avevo creduto che si preoccupasse davvero per me come persona. Ma ad angosciarla era ciò che rappresentavo, quel che sarebbe andato perduto se mi fosse successo qualcosa. Non si trattava solo della mia vita, ma del futuro di coloro che stavano per ascendere.
La parte peggiore fu provare una fitta di tristezza, anche se avrei dovuto sapere come stavano le cose.
«Se i Caduti dovessero in qualche modo impedire l’Ascensione, sarebbe il loro più grande trionfo.» La duchessa si alzò, lisciandosi il vestito. «Sarebbe uno spietatissimo colpo diretto alla regina, al re e agli dei.»
«Credete… credete che sia stato un Caduto, allora?» chiese Tawny. «Che non stesse cercando di rapirla per chiedere un riscatto?»
«La freccia usata contro Rylan era segnata» rispose Vikter. «Recava la promessa dell’Oscuro.»
La sua promessa.
L’aria mi si bloccò in gola mentre incrociavo gli occhi di Tawny. Sapevo che cosa significava.
Da sangue e cenere
noi risorgeremo.
Era la promessa dell’Oscuro al suo popolo e ai suoi sostenitori, quelli sparsi nel regno: sarebbero risorti. Una promessa scarabocchiata sulle vetrine vandalizzate dei negozi di ogni città e incisa nel guscio di pietra di ciò che restava della Rocca di Crestadoro.
«Devo essere diretta con te» disse la duchessa, lanciando un’occhiata a Tawny. «E confido che ciò che sto per dire non diverrà un pettegolezzo su labbra altrui.»
«Naturalmente» promise Tawny, mentre io annuivo.
«C’è motivo di credere che l’aggressore della notte scorsa fosse un Atlantiano» disse, e Tawny inspirò bruscamente. Non mi mostrai sorpresa per quell’informazione, dato che Vikter e io avevamo già nutrito lo stesso sospetto. «Non vogliamo che la notizia si diffonda. Il panico che provocherebbe… be’, non farebbe un favore a nessuno di noi.»
Scoccai un’occhiata a Vikter e lo vidi osservare attentamente la duchessa. «Credete che l’uomo venuto a rapirmi sia anche responsabile della morte di Malessa?»
«Non posso sapere se fosse lo stesso uomo, ma crediamo che il responsabile del vergognoso trattamento subito dalla nostra Lady in Attesa facesse parte di un gruppo di visitatori giunti qui ieri» spiegò la duchessa, dirigendosi verso la credenza addossata alla parete in fondo alla stanza. Si versò una bevanda chiara dalla caraffa di vetro. «Dopo che il castello è stato perquisito in cerca di intrusi, abbiamo ritenuto che il colpevole se ne fosse andato, e che avesse voluto dimostrare con quanta facilità era entrato. Credevamo che il pericolo immediato fosse passato.»
Bevve un sorso, arricciando le labbra mentre deglutiva. «Ovviamente ci sbagliavamo. Forse quegli uomini non sono più nel castello, ma sono ancora in città.» Si voltò verso di me, con la pelle già normalmente alabastrina ancora più pallida. «L’Oscuro è venuto a cercarti, Penellaphe.»
Il mio cuore perse un battito e io rabbrividii.
«Ti proteggerò» continuò lei. «Ma quando il re e la regina verranno a sapere dell’accaduto, non mi sorprenderebbe se prendessero misure drastiche per garantire la tua sicurezza. Potrebbero convocarti nella capitale.»