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«Non credo che l’uomo in giardino fosse l’Oscuro» dissi a Vikter mentre lasciavamo il salotto insieme a Tawny, passando sotto i grandi stendardi bianchi con lo Stemma Reale ricamato in oro, diretti verso la mia camera. «Quando ha espresso l’intenzione di mangiarsi i miei organi, ha fatto riferimento a un’altra persona, dicendo che non gli importavano i suoi piani. Se dietro a tutto questo ci fosse l’Oscuro, i piani in questione sarebbero chiaramente i suoi.»

«Sospetto anch’io che quello che hai incontrato fosse un Caduto» ammise Vikter. Squadrò il salone da un capo all’altro con la mano appoggiata all’elsa della spada corta, quasi temesse di vedere spuntare qualche altro Caduto da dietro una statua o un vaso di gigli. Un gruppetto di Lady in Attesa abbassò la voce quando passammo. Alcune si portarono la mano alla bocca: se anche non sapevano ancora dell’accaduto, il sangue sulla mia gonna bastava ad annunciare che era successo qualcosa di anomalo.

«Avremmo dovuto prendere la solita strada» borbottai. Non capitava spesso che le altre ragazze riuscissero a vedermi, e le mie condizioni in quel momento sarebbero di certo diventate l’argomento della settimana.

«Ignorale.» Tawny si spostò in modo da coprirmi quasi interamente, mentre attraversavamo il salone. Aveva ancora con sé la fiala bianca che – lo sapeva anche lei – non avevo alcuna intenzione di usare.

«Invece è meglio che vedano» fece Vikter dopo un attimo. «Ciò che è accaduto ieri notte, e poco fa, dovrebbe servire da promemoria, perché nessuno dimentichi che viviamo in tempi inquieti. Dobbiamo stare sempre in guardia, tutti. Nessuno qui è al sicuro.»

Un brivido leggero mi corse giù per la spina dorsale. La sensazione di intorpidimento era ancora lì e tutto continuò a sembrarmi surreale finché non ripensai a Rylan. Avvertii un dolore al cuore più acuto di quello delle ferite che avevo sul viso. «Quando… quando seppelliranno Rylan?»

«Probabilmente domattina.» Vikter mi lanciò un’occhiata. «Sai che non potrai partecipare.»

Non era consuetudine per gli Ascesi, presenti o futuri, presentarsi al funerale di una semplice guardia. Anzi, non era proprio mai accaduto. «Era la mia guardia del corpo e… ed era un amico. Non mi importa che cosa si usa o non si usa fare: ho già rinunciato al funerale di Hannes a causa del protocollo. Stavolta voglio esserci.» Il senso di colpa per quell’assenza mi divorava ancora, di solito alle tre del mattino, quando non riuscivo a dormire.

«Per Rylan ci sarò.»

Tawny sembrò sul punto di replicare, ma non lo fece. Vikter si limitò a sospirare. «Sua Grazia non approverà, e lo sai.»

«Non approva quasi mai nulla. Può aggiungere anche questa alla lista sempre più lunga delle cose che ho fatto e che a lui non sono piaciute.»

«Poppy.» La mascella di Vikter si irrigidì, proprio com’era successo durante il nostro litigio la notte precedente. «Puoi continuare a comportarti come se irritare il duca fosse una cosa senza importanza, ma sai benissimo che questo non alleggerirà il peso della sua rabbia.»

Era vero, ma quella consapevolezza non cambiava nulla: ero più che disposta ad affrontare qualunque conseguenza, esattamente come quando avevo deciso di aiutare le persone infettate dai Craven. «Non ha importanza. Rylan è morto davanti ai miei occhi, senza che potessi fare nulla. Ho pulito…» Mi si spezzò la voce. «Ho pulito il pugnale sui suoi abiti.»

Vikter si fermò sulla soglia degli alloggi e mi posò una mano sulla spalla. «Hai fatto quello che potevi.» La strinse con gentilezza. «Hai fatto quello che era necessario. Ciò che è successo non è colpa tua. Rylan stava svolgendo il proprio dovere. Sarebbe stato lo stesso se fossi morto io per proteggerti.»

Mi sembrò che mi si fermasse il cuore. «Non dirlo nemmeno. Non dire mai una cosa del genere. Tu non morirai.»

«Sì che morirò, un giorno. Se sarò fortunato, il dio Rhain verrà a prendermi nel sonno. Ma potrebbe anche arrivare con una freccia o una spada.» I suoi occhi incontrarono i miei nonostante il velo, e mi si formò un nodo in gola. «Ma, qualunque cosa succeda, non sarà mai colpa tua, Poppy. E non dovrai perdere un solo momento a incolparti per questo.»

Gli occhi mi si riempirono di lacrime e il suo viso si fece sfocato. Non riuscivo nemmeno a concepire l’idea di perdere Vikter. Le morti di Hannes e Rylan, che non mi erano stati nemmeno lontanamente cari quanto lui, erano già state colpi durissimi. Lui e Tawny erano le uniche persone al mondo a sapere che cosa mi teneva sveglia la notte e perché sentivo il bisogno di sapermi difendere da sola. Vikter mi conosceva meglio di quanto mi conoscesse mio fratello. Perdere lui sarebbe stato come perdere di nuovo i miei genitori, anzi peggio, perché i ricordi di mia madre e mio padre, dei loro volti e delle loro voci, sbiadivano con il passare del tempo: ormai appartenevano per sempre al passato, erano le ombre delle persone che erano state. Ma Vikter apparteneva al presente, era reale e vivido in ogni dettaglio.

«Dimmi che hai capito quello che ti ho detto» insisté lui con voce più dolce.

No che non avevo capito. Ma annuii, perché era quello che lui voleva.

«Rylan era un brav’uomo.» La sua voce si fece di nuovo grave e un velo di tristezza gli calò sugli occhi. La morte di Rylan aveva toccato anche lui: era solo più bravo di me a nasconderlo. «So che è sembrato che non lo pensassi mentre parlavamo con la duchessa, e resto convinto di ciò che ho detto: era diventato troppo tranquillo, aveva abbassato la guardia. Ma è una cosa che può accadere anche ai migliori. Era un buon soldato e ci teneva veramente a te. Non avrebbe voluto che tu ti sentissi in colpa.» Mi strinse la spalla ancora una volta. «Adesso hai bisogno di darti una ripulita.»

Appena entrammo in camera, Vikter ispezionò l’area, assicurandosi che l’accesso alla vecchia scala dei servitori fosse chiuso a chiave. Il pensiero che sentisse il bisogno di controllare le mie stanze era di per sé abbastanza inquietante, ma mi dissi che lo faceva solo per essere sicuro al di là di qualunque sensato dubbio.

Appena prima che se ne andasse, mi tornò in mente una cosa che aveva detto la duchessa. «Gli uomini di cui ha parlato la duchessa… Sai di chi si tratta?»

«Nessuno mi ha detto nulla al riguardo.» Vikter lanciò un’occhiata a Tawny, che stava portando in bagno un mucchio di asciugamani puliti. Di solito non si dava pensiero di parlare apertamente davanti a lei, ma questa volta… questa volta anche io avevo l’impressione che fosse diverso. «D’altronde non vengo aggiornato su tutto quello che succede, quindi non è che sia sorpreso.»

«Perciò il duca stava solo cercando di evitare il panico» supposi.

«Di solito la duchessa è meno riservata, ma immagino che il duca abbia detto tutto al comandante.» Vikter indurì la mascella. «Avrebbero dovuto avvertirmi subito.»

Era vero, avrebbero dovuto, indipendentemente dal fatto che lui avesse già sospettato la verità.

«Prova a riposare un po’. Sarò qua fuori, se hai bisogno di me.»

Annuii.

Tawny preparò rapidamente una tinozza per il bagno accanto al focolare e portò via il mio abito lurido. Non volevo vederlo mai più. Mi distesi nell’acqua fumante e mi sfregai le braccia e le mani finché non divennero rosa per il calore e la frizione. Senza preavviso mi rividi davanti l’immagine di Rylan, la sua espressione di orrore quando aveva abbassato lo sguardo sul proprio petto.

Strinsi forte gli occhi e affondai nella vasca, immergendo tutta la testa, e restai così finché sentii bruciare i polmoni e smisi di vedere il volto di Rylan. Solo a quel punto mi concessi di ritornare in superficie e raccolsi le ginocchia escoriate contro il petto. Rimasi di nuovo immobile per molto tempo, finché la mia pelle si raggrinzì e l’acqua cominciò a raffreddarsi.

Mi alzai, indossai una veste pesante che Tawny aveva lasciato per me su un appendiabiti lì accanto e camminai a piedi nudi fino allo specchio, sulle mattonelle scaldate dal calore del caminetto. Strofinai via il vapore dalla superficie e guardai dritto nel verde dei miei occhi. Io e Ian avevamo ereditato quel colore da nostro padre: nostra madre – lo ricordavo bene – li aveva castani. La regina una volta mi aveva detto che, a parte gli occhi, ero identica a lei quando aveva la mia età. Che avevo le sue sopracciglia decise, il suo viso ovale, gli zigomi pronunciati e le labbra piene.

Mi girai di lato: le ferite arrossate sulla tempia e all’angolo della bocca si notavano appena. Qualunque cosa il Guaritore mi avesse sfregato sulla pelle, aveva accelerato la guarigione naturale.

Doveva essere la stessa mistura che applicavo sui lividi che mi ritrovavo così di frequente sulla schiena.

Scacciai quel pensiero e mi osservai la guancia sinistra: anche lì le ferite erano guarite, ma i segni restavano.

Non guardavo spesso le mie cicatrici, ma in quel momento lo feci. Studiai la linea frastagliata di pelle rosa, più chiara di quella tutto intorno, che iniziava sull’attaccatura dei capelli, attraversava la tempia mancando di poco l’occhio sinistro e si fermava vicino al naso. Un secondo segno, più in alto, attraversava la fronte e tagliava in due il sopracciglio.

Toccai con le dita umide la cicatrice più grande. Avevo sempre avuto l’impressione di avere occhi e labbra troppo grandi per il mio viso, ma la regina diceva sempre che mia madre era considerata una bellissima donna.

Ogni volta che la Regina Ileana parlava di lei, lo faceva con un affetto intriso di tristezza. Erano state amiche, e sapevo che la regina rimpiangeva di aver concesso a mia madre l’unica cosa che lei le avesse mai chiesto.

Il permesso di rifiutare l’Ascensione.

Mia madre era stata una Lady in Attesa, consegnata alla Corte durante il Rito, ma mio padre non era un lord. Lei aveva scelto lui al posto della Benedizione degli dei, e di un amore come quello… be’, io potevo solo ammettere di non avere alcuna esperienza. Probabilmente non l’avrei mai avuta. Lo stesso valeva per la maggior parte delle persone, qualunque sorpresa avesse in serbo per loro il futuro. La scelta di mia madre era qualcosa di inaudito: nessuno lo aveva mai fatto prima, e nessuno lo avrebbe più fatto dopo di lei.

Avevo sentito la regina dire in più di un’occasione che, se mia madre fosse ascesa, avrebbe potuto sopravvivere a quella notte, ma era altrettanto vero che in tali circostanze quei tragici eventi non si sarebbero mai verificati. Io non sarei mai nata. E nemmeno Ian. Nostra madre non avrebbe sposato nostro padre e, se fosse ascesa, non avrebbe mai avuto figli.

Dunque quel che pensava la regina non aveva importanza.

Ma se, nella notte in cui la nebbia ci aveva raggiunti, i nostri genitori avessero saputo come difendersi, forse sarebbero sopravvissuti. E per la stessa ragione per cui in quel momento io ero in salvo nella mia camera, anziché prigioniera di un uomo deciso a distruggere gli Ascesi e che non aveva scrupoli a spargere tutto il sangue necessario per raggiungere il proprio scopo. Anche Malessa avrebbe potuto avere una sorte diversa, se avesse saputo difendersi. O forse no, ma almeno avrebbe avuto la possibilità di reagire.

Fissai di nuovo il mio riflesso. L’Oscuro non avrebbe mai messo le sue mani su di me. Quella era una promessa, ed ero più che disposta sia a uccidere, sia a morire per mantenerla.

Abbassai la mano e lentamente mi allontanai dallo specchio. Indossai una veste da notte, accesi una lampada da lasciare accanto alla porta e mi coricai. Non potevano essere passati più di venti minuti quando sentii bussare piano alla porta della stanza comunicante e Tawny che mi chiamava a bassa voce.

Mi girai verso la porta. «Sono sveglia.»

Tawny entrò e si chiuse la porta alle spalle. «Non riesco… non riesco a dormire.»

«Io non ci ho nemmeno provato» ammisi.

«Posso tornare in camera mia se sei troppo stanca.»

«Tranquilla, non penso proprio che mi addormenterò a breve.» Battei la mano sul letto accanto a me.

Tawny attraversò di corsa lo spazio che ci separava, sollevò la coperta e vi scivolò sotto, sdraiandosi sul fianco per guardarmi. «Continuo a pensare a tutto quello che è successo, e io non ero nemmeno lì. Neanche riesco a immaginare che cosa ci sia nella tua testa in questo momento.» Tacque un istante. «In effetti, direi pensieri di sanguinosa vendetta.»

Nonostante la situazione, mi venne da sorridere. «Non sei così lontana dalla verità.»

«Uhm, sono proprio stupita» replicò lei ironica, ma poi il suo sorriso si dissolse. «Il fatto è che mi sembra tutto così irreale… Prima Malessa, ora Rylan. Lo avevo visto subito dopo cena. Era vivo, stava bene. Avevo incrociato Malessa ieri mattina: sorrideva, aveva in mano un bouquet di fiori, sembrava felice. È come se… Non so, non riesco a elaborare l’idea che non ci siano più. Che un momento prima erano qui e quello dopo siano scomparsi, così, senza preavviso.» Tawny era una di quelle persone che non erano mai state toccate intimamente dalla morte: i genitori, la sorella e il fratello maggiore erano vivi, e a parte Hannes nessuno che lei conoscesse bene o avesse visto di frequente era mai mancato prima.

Eppure la morte era qualcosa di sconvolgente anche per me, sebbene avessi fin troppa familiarità con essa. Come aveva detto anche Hawke: non era meno dura o meno spietata.

Deglutii. «Non ho idea di come sia stato per Malessa.» L’unica cosa di cui ero certa è che doveva essere stato terrificante, ma dirlo ad alta voce non avrebbe aiutato. «Per Rylan è stato rapido. Venti o trenta secondi. Non ha sofferto a lungo. Qualunque cosa abbia provato in quei momenti, è durata poco.»

Tawny chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. «Mi piaceva, Rylan. Non era rigido come Vikter o scostante come Hannes e gli altri. Con lui si poteva parlare.»

«Lo so» sussurrai. Mi bruciava la gola.

«L’Oscuro» disse Tawny dopo un lungo silenzio, riaprendo gli occhi, «mi è sempre sembrato più che altro una specie di…»

«Di mito?»

Lei annuì. «Non che non credessi che fosse reale. È solo che di lui si parla come se fosse uno spauracchio.» Si tirò su la coperta fino al mento. «E se fosse stato davvero lui, l’Oscuro, quello in giardino, e tu fossi riuscita a ferirlo?»

«Sarebbe… be’, decisamente straordinario. E ti assicuro che me ne vanterei fino alla fine dei tempi con te e con Vikter. Ma, come ho già detto, non penso fosse lui.»

«Ringrazio gli dei che sapessi cosa fare.» Allungò la mano per prendere la mia e la strinse. «Se non fosse stato così…»

«Lo so.» In momenti come quelli era difficile ricordarsi che era stato il dovere a unirci e a creare il legame che c’era tra noi. Strinsi anch’io la sua mano. «L’unica cosa di cui sono davvero contenta è che tu non fossi là con me.»

«Mi piacerebbe poter dire che avrei voluto esserci, così non avresti dovuto affrontare tutto da sola, ma ammetto che sono contenta anche io di essere stata altrove. Sarei riuscita solo a strillare e a distrarti.»

«Non è vero. Ti ho mostrato come si usa un pugnale…»

«Conoscere le basi e usare una vera lama su un essere vivente, che si muove e respira, sono due cose completamente diverse.» Tawny ritirò la mano. «Mi sarei paralizzata e avrei cominciato a gridare. Non mi vergogno di ammetterlo. Anche perché probabilmente le mie urla avrebbero richiamato più in fretta le guardie.»

«Io dico che ti saresti difesa.» E lo pensavo sul serio. «L’ho visto con i miei occhi quanto diventi feroce quando a tavola rimane una sola fetta di torta.»

Tawny rise, e la pelle attorno ai suoi occhi si increspò. «Sì, ma stiamo parlando della torta. Butterei la duchessa giù dal balcone per avere l’ultima fetta.»

Risi anch’io, per qualche istante.

Tawny giocherellò con un filo che sporgeva dalla coperta e sorrise di nuovo, ma la gioia scomparve subito. «Pensi che il re e la regina ti richiameranno nella capitale?»

Irrigidii le spalle. «Non lo so.»

Non era vero.

Anche se mancava ancora quasi un anno alla mia Ascensione, se i reali avessero sospettato che non ero più al sicuro a Masadonia, mi avrebbero di sicuro riportata nella capitale.

Ma non fu quello il pensiero che fece tracimare il gelo che avevo nel petto in tutto il resto del mio corpo. La duchessa aveva già dimostrato in passato di voler evitare qualunque problema che potesse interferire con la cerimonia. E c’era solo un modo per risolvere la questione.

La regina avrebbe potuto chiedere agli dei di anticipare l’Ascensione.

Poco dopo l’alba, sotto un sole più vivido di quanto fossi abituata a vedere nelle mattine prossime all’inverno, mi trovai al fianco di Vikter ai piedi delle Colline Eterne, sotto i Templi di Rhahar il Dio Eterno e Ione la Dea della Rinascita. I Templi incombevano sopra di noi, costruiti nella più nera pietra del Lontano Oriente ed entrambi erano grandi quanto il Castello di Teerman. La loro mole sprofondava nell’ombra metà della valle, ma non il punto in cui ci trovavamo. Era come se gli dei stessi dardeggiassero su di noi la loro luce.

In silenzio, osservavamo il corpo di Rylan avvolto nel lino mentre veniva issato sulla pira. Quando mi ero presentata non vestita per l’allenamento, ma in abiti bianchi e velata, Vikter era apparso rassegnato. Sapendo bene che non sarebbe riuscito ad allontanarmi con le parole, mi aveva accompagnata in silenzio nel luogo in cui si tenevano sempre i funerali di chi viveva a Masadonia. La mia presenza aveva attirato parecchi sguardi costernati, ma nessuno ci aveva fermati per chiederci perché fossi lì. E, anche se qualcuno avesse aperto bocca, la mia risoluzione non avrebbe vacillato: ero lì perché lo dovevo a Rylan.

Circondati da soldati della Guardia Reale e da guardie dell’Alzata, ci fermammo alle spalle della piccola folla. Per rispetto delle altre guardie, non mi avvicinai ulteriormente. Oltre che mia guardia del corpo e amico, Rylan era stato un loro fratello: la sua morte li toccava in un modo diverso.

Quando il Sommo Sacerdote in vesti candide cominciò a parlare della forza e del coraggio di Rylan, della gloria che avrebbe conosciuto al cospetto degli dei e della vita eterna che lo aspettava, il dolore gelido che mi serrava il petto crebbe.

Sulla pira il suo corpo sembrava più piccolo, come se si fosse ritirato mentre il Sacerdote vi spargeva sopra olio e sale. Nell’aria si diffuse un profumo dolce.

Il comandante della Guardia Reale, Griffith Jansen, si fece avanti con il lungo mantello bianco che sventolava nella brezza. Levò alta una torcia accesa, si voltò verso di noi e attese. Ci misi un lungo istante a capire perché.

Vikter.

Come compagno più prossimo a Rylan, il compito di dare fuoco alla pira spettava a lui. Fece qualche passo in avanti, poi si fermò e il suo sguardo si spostò su di me. Era chiaro che non gli piaceva l’idea di staccarsi dal mio fianco, anche se in quel momento ero circondata da dozzine di guardie ed era estremamente improbabile che potesse accadermi qualcosa.

Oh, dei. Compresi solo in quel momento che la mia presenza lì interferiva con il suo bisogno o il suo desiderio di tributare i propri rispetti al defunto. Non mi era venuto in mente nemmeno per un istante che potesse essere quello il motivo per cui aveva opposto resistenza alla mia decisione la sera precedente: non avevo pensato all’impatto che la mia scelta avrebbe potuto avere su di lui.

Sentendomi una bambina viziata, aprii la bocca per dirgli che sarei stata al sicuro mentre lui faceva il suo dovere.

«Ci penso io a lei» fece una voce profonda alle mie spalle, che non avrebbe dovuto essermi familiare, ma che invece riconobbi.

Mi si strinse lo stomaco come se mi trovassi sull’orlo di un dirupo, e nello stesso tempo il battito del mio cuore accelerò. Non avevo neanche bisogno di voltarmi per sapere di chi si trattava.

Hawke Flynn.

Oh, dei.

Dopo tutto quello che era successo mi ero quasi dimenticata di lui. Ma quasi era la parola chiave, perché quella stessa mattina mi ero svegliata desiderando di avere aspettato il suo ritorno alla Perla Rossa.

L’idea di aver rischiato di cadere nelle mani dei miei nemici, che avrebbero disposto di me in qualunque modo avessero ritenuto opportuno, o di essere uccisa prima ancora di poter sperimentare tutti i terribili trattamenti di cui la gente parlava solo a sussurri, ormai sembrava una realtà fin troppo spaventosa.

Vikter puntò i gelidi occhi azzurri oltre la mia spalla e calò un lungo silenzio teso, mentre altre guardie alzavano a loro volta lo sguardo. «Ah sì?»

«Con la mia spada e la mia vita» rispose Hawke, fermandosi appena dietro di me.

Pur sapendo che era la promessa che facevano tutte le guardie assegnate all’Alzata o alla protezione degli Ascesi, sentirgli pronunciare quelle parole fece ripartire il mio stomaco in caduta libera.

«Il comandante mi ha detto che sei uno dei migliori sull’Alzata.» Vikter parlò a voce bassa, in modo che lo potessimo sentire solo io e Hawke. La sua mascella si indurì. «Dice che non vedeva da molti anni qualcuno abile quanto te con la spada e con l’arco.»

«Sono bravo nel mio lavoro.»

«Che sarebbe?» lo sfidò Vikter.

«Uccidere.»

Sentire quella semplice, breve risposta uscire dalle sue labbra, tanto quieta quanto sicura, fu sconvolgente. Ma non provai paura, semmai il contrario. E forse proprio questo avrebbe dovuto preoccuparmi. O perlomeno mettermi in allarme.

«Lei è il futuro di questo regno» precisò Vikter, e io provai un misto di imbarazzo e affetto che mi fece tremare. Era quello che sentivo dire da tutti, dalla duchessa alla regina, ma sapevo che lui lo diceva per via di chi ero, e non di ciò che rappresentavo. «Giusto perché tu sappia su chi dovrai vegliare.»

«So su chi devo vegliare» fu la risposta di Hawke.

Una risatina isterica cercò di esplodermi in gola. Decisamente no, non sapeva su chi si apprestasse a vegliare. Riuscii a reprimere il riso, ma solo per grazia degli dei.

«È al sicuro con me» aggiunse.

Sì, lo ero.

E allo stesso tempo non lo ero.

Vikter mi guardò, e io annuii. Non potevo parlare. Hawke avrebbe potuto riconoscere la mia voce, e a quel punto… Oh, dei, non volevo nemmeno cominciare a pensare a quello che sarebbe potuto succedere.

Con un’ultima occhiata di avvertimento indirizzata a Hawke, Vikter girò sui tacchi e si diresse verso il comandante che reggeva la torcia.

Con il cuore che non aveva rallentato nemmeno un po’, azzardai anch’io uno sguardo verso Hawke e desiderai subito non averlo fatto.

Nella luce viva del primo mattino, incorniciati dai capelli neri con i riflessi blu che scendevano ai lati del viso, i suoi lineamenti sembravano più duri, più feroci, e se possibile ancora più belli del solito. Le labbra tracciavano una linea ferma, la pelle non mostrava il minimo difetto. Indossava la stessa uniforme nera che portava alla Perla Rossa, questa volta con sopra la corazza di cuoio e ferro delle guardie dell’Alzata. Al fianco portava la spada, con la lama di diaspro che scintillava cupa come un rubino.

Perché si era fatto avanti lui per assumersi la responsabilità della mia protezione? Erano presenti dozzine di guardie reali. Osservai la folla, e mi resi conto che nessuno dei soldati presenti guardava mai nella mia direzione per più di un istante. Mi domandai se fosse perché era così raro per loro vedermi di persona, o perché temevano qualche punizione da parte del duca o persino degli dei.

Il loro dovere era dare la vita per una persona che non potevano nemmeno fissare troppo a lungo, né avvicinare senza permesso. Quello scherzo del destino mi calò sul cuore come un macigno.

Ma Hawke era diverso.

Era impossibile che mi avesse riconosciuta. Non aveva ancora sentito la mia voce, e la mia bocca e il mio mento non potevano essere così riconoscibili.

La duchessa aveva detto che era arrivato dalla capitale accompagnato da raccomandazioni eccellenti e che verosimilmente sarebbe diventato una delle più giovani tra le guardie reali. In effetti, se era quello il suo obiettivo, farsi avanti per proteggere me era una mossa astuta: tra le Guardie si era appena aperta un’inaspettata posizione vacante.

Era un pensiero troppo cinico?

Un muscolo si contrasse sulla sua mascella, un movimento che mi affascinò. Poi ricordai perché mi trovavo lì, e non era per occhieggiare Hawke da dietro il mio velo. Spostai lo sguardo su Vikter, che si stava avvicinando alla pira.

Avevo il respiro corto, e quando la torcia si accostò al legno avrei voluto distogliere lo sguardo, o chiudere gli occhi. Ma non lo feci. Rimasi a guardare mentre le fiamme lambivano i ciocchi e lo scoppiettio di legno incendiato rompeva il silenzio. Poi il fuoco ruggì alto tutto d’un colpo, e io mi sentii torcere le interiora. Le fiamme avvolsero il corpo di Rylan, e Vikter posò un ginocchio a terra, chinando la testa.

«Gli avete reso un grande onore venendo qui» sussurrò Hawke. La sua voce era bassa, ma mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto: mi stava fissando dall’alto con occhi così luminosi che sembrava che gli dei avessero lucidato due sfere d’ambra e le avessero messe al posto delle sue iridi. «Lo avete reso a tutti noi.»

Aprii la bocca per rispondere che tanto Rylan quanto tutti gli altri meritavano molto più che l’onore della mia presenza, ma mi fermai in tempo. Il rischio era troppo grande.

Lo sguardo di Hawke si spostò sul mio mento e indugiò sull’angolo della bocca, dove la pelle era ancora infiammata. «Siete stata ferita.» Non era una domanda: era un’affermazione pronunciata con voce dura come il granito. «Potete stare certa che non accadrà mai più.»