12

Nel primo pomeriggio del giorno seguente, mi ritrovai seduta nel vestibolo arioso e soleggiato insieme a Tawny e non una, ma ben due Lady in Attesa, chiedendomi come fossi finita in quella situazione.

I momenti fuori dalle mie camere erano sempre ben programmati e, soprattutto se mi recavo nel vestibolo, cercavo di arrivare quando nessuno tranne me sarebbe stato nella stanza. Così anche quel giorno, quando ero arrivata, circa trenta minuti prima, l’atrio era vuoto come al solito.

Ma pochi istanti dopo esserci sedute e avere iniziato a mangiare i panini che Tawny aveva sottratto da un’altra stanza, le cose erano cambiate. Erano arrivate Loren e Dafina, e anche se sedevo come mi era stato insegnato – con le mani giunte con delicatezza in grembo, le caviglie incrociate e i piedi nascosti dall’orlo eburneo del vestito – non avrei dovuto essere lì.

Non con le Lady in Attesa presenti, dato che si erano accomodate al tavolo a cui sedevamo anche noi. La situazione poteva far pensare che stessi parlando con loro e quello era uno dei molti divieti imposti dai Sacerdoti e dalle Sacerdotesse. Interagire era, secondo le loro parole, segno di familiarità eccessiva.

Tuttavia, io non stavo affatto familiarizzando. Tentai di immaginarmi come il ritratto della serenità e della nobile educazione, o di poter essere scambiata per una delle statue delle Vergini velate. Potevo sembrare calma dall’esterno, ma nell’intimo non ero altro che un esausto, spossato fascio di nervi. In parte poteva essere a causa della mancanza di sonno e di riposo della notte precedente… anzi, a essere sincera, di parecchie notti. In parte, però, era anche perché ero certa che sarei stata incolpata per la presenza di Dafina e Loren. Non sapevo nemmeno se mi fosse permesso sostare nel vestibolo. In passato non era mai stato un problema, e nessuno vi aveva mai accennato. Non era mai capitato, però, che qualcuno apparisse all’improvviso in quell’ambiente, eccezion fatta per i domestici o le guardie di passaggio. Ma quelle non erano le uniche ragioni che mi rendevano un groviglio d’energia ansiosa e senza pace.

La causa principale si trovava in diagonale rispetto a dov’ero seduta, con una mano pronta sull’elsa della spada e gli occhi color ambra costantemente all’erta.

Hawke.

Era strano vederlo lì. E non solo perché di solito era Rylan a tenermi d’occhio durante quegli spuntini pomeridiani nel vestibolo, ma perché il modo in cui Hawke mi sorvegliava era completamente diverso. Di solito, Rylan guardava verso il giardino o passava la maggior parte del tempo a parlare con una delle guardie reali nelle vicinanze, mentre attendeva appena oltre la soglia. Hawke invece aveva trovato l’unico angolo della stanza da cui poteva vedere sia l’intero ambiente ben illuminato sia i giardini all’esterno.

Per fortuna, le finestre non affacciavano sul roseto.

Sfortunatamente, però, mi ritrovavo spesso a fissare la fontana della Vergine velata.

Era bastato un giorno per accorgermi dolorosamente di quanto Rylan fosse diventato negligente in termini di sicurezza. Certo, non c’erano mai stati attentati in precedenza, ma lui si era davvero ammorbidito. Detestavo anche solo riconoscerlo, mi sembrava un tradimento; ma non era l’unico elemento a farmi apparire quello spuntino così diverso dai precedenti.

Un’altra enorme differenza era l’arrivo delle due Lady in Attesa. Sospettavo che fosse la prima volta che si recavano nel vestibolo da quando erano arrivate al Castello di Teerman dopo i loro Riti.

Dafina, seconda figlia di un ricco mercante, agitava un ventaglio pieghevole di seta dalle sfumature lilla come se stesse cercando di porre fine alla vita di un insetto che solo lei riusciva a vedere. Anche se il sole si riversava all’interno dalle finestre, il vestibolo era ancora fresco, e dubitavo che Dafina si fosse scaldata troppo tra un boccone del suo panino ai cetriolini e un sorso di tè.

Accanto a lei, Loren, la seconda figlia di un commerciante di successo, aveva smesso di cucire i minuscoli cristalli sulla maschera che avrebbe dovuto indossare durante l’imminente Rito, per dedicarsi a osservare ogni mossa della guardia reale dai capelli scuri. Ero certa che sapesse perfino quanti respiri al minuto faceva Hawke.

Nel profondo, sapevo bene perché non mi ero alzata per lasciare la stanza come avrei dovuto, e come ero certa che Tawny si aspettava che facessi. Sapevo bene perché ero così disposta a rischiare un rimprovero per essere rimasta seduta a farmi i fatti miei.

Ero incantata dalle manovre delle due Lady in Attesa.

Loren aveva già tentato in tutti i modi di catturare l’attenzione di Hawke. Aveva fatto cadere la borsetta con i cristalli – che Hawke l’aveva galantemente aiutata a raccogliere – mentre fingeva di essere assorta nella contemplazione di un uccello dalle ali blu che saltellava sui rami di un albero vicino alla finestra. Ciò aveva spinto Dafina a fingere uno svenimento, causato da cosa non mi era chiaro. Chissà come, la scollatura del suo vestito azzurro si era scostata così tanto che mi chiedevo come facesse la ragazza a non sgusciarne fuori.

Io non sarei riuscita a scivolare fuori dal mio abito nemmeno se fosse stato in fiamme.

Aveva le maniche larghe, era coperto di minuscole perline, e il corpetto mi arrivava al collo. Il materiale era troppo sottile e delicato persino per consentirmi di tenere il pugnale sulla coscia, ma non appena avessi potuto indossare qualcos’altro, la lama sarebbe tornata dove doveva stare.

Gentiluomo come sempre, Hawke aveva accompagnato Dafina fino al divanetto e le aveva portato un bicchiere di acqua e menta. Per non farsi battere, Loren aveva perso i sensi per un improvviso, inspiegabile mal di testa, da cui si era rapidamente ripresa una volta che Hawke aveva accennato un sorriso, quello che gli faceva spuntare la fossetta sulla guancia destra.

Non c’era stato alcun mal di testa, così come non c’era stato alcuno svenimento. Avevo aperto le mie percezioni per curiosità e non avevo avvertito nessun dolore o angoscia da parte loro, eccetto un filo di tristezza. Pensai che potesse essere dovuto alla morte di Malessa, anche se nessuna delle due parlava di lei.

«Sai che cosa ho sentito?» Dafina fece scattare il ventaglio, mordicchiandosi il labbro inferiore con un’occhiata a Hawke. «Qualcuno…» Allungò il finale della parola, poi abbassò la voce. «Qualcuno ha frequentato piuttosto assiduamente uno di quei…» Il suo sguardo guizzò su di me. «Uno di quei ricettacoli di vizio in città.»

«Ricettacoli di vizio?» chiese Tawny, smettendo di fingere che le due non esistessero. Non che potessi biasimarla. Era una loro amica, e anche se le Lady in Attesa erano ben consapevoli che probabilmente non avrebbero dovuto sedersi vicino alla Vergine, Tawny sembrava divertita quanto me dal loro comportamento.

Dafina le rivolse uno sguardo carico di significati. «Hai presente, quei posti dove uomini e donne spesso vanno a giocare a carte, e ad altri giochi.»

Tawny inarcò le sopracciglia. «Ti riferisci alla Perla Rossa?»

«Stavo cercando di essere discreta.» Dafina sospirò, puntando apertamente lo sguardo verso di me. «Ma sì.»

Quasi risi del tentativo di Dafina di proteggermi dal venire a sapere dell’esistenza di un luogo del genere. Mi chiesi che cosa avrebbe fatto se avesse saputo che c’ero stata.

«E che cosa hai sentito che fa, lì, questo qualcuno?» Tawny mi diede un colpetto con il piede sotto il tavolo. «Immagino che ci vada a giocare a carte, giusto? Oppure…» Premendosi una mano sul petto, si afflosciò sulla sedia e sospirò. Un ricciolo le ricadde dall’elaborata acconciatura con cui stava tentando – senza riuscirvi – di contenere i suoi capelli. «O credi che si dedichi ad altri giochi… più illeciti?»

Tawny sapeva esattamente che cosa facesse Hawke alla Perla Rossa.

Volevo darle un calcio… come si addiceva a una Vergine, ovviamente.

«Sono sicura che si limiti a giocare a carte.» Loren inarcò un sopracciglio, premendosi il ventaglio giallo e rosso contro l’abito blu scuro. Il contrasto tra ventaglio e veste era tremendo, ma anche interessante. Abbassai lo sguardo sulla sua maschera. Aveva già cucito sulla stoffa cristalli di ogni colore. Ero sicura che, quando avesse finito, avrebbe dato l’idea che un arcobaleno le avesse vomitato in faccia. «Se facesse solo quello, allora sarebbe una… delusione.»

«Immagino che faccia ciò che fanno tutti, là» disse Tawny, il divertimento che colava dalle sue parole come sciroppo. «Trovare qualcuno con cui passare… bei momenti.» Incrociò i miei occhi con uno sguardo malizioso.

Decisi di sostituire lo zucchero che adorava versare nel caffè con del sale grosso.

Sapeva che non sarei intervenuta, che non potevo farlo. Non mi era permesso parlare alle lady, e non avevo ancora parlato a Hawke o comunque in sua presenza. Lui mi aveva chiesto se volevo fare qualcosa dopo cena, la sera precedente, e io avevo risposto scuotendo la testa, ma a parte che in quella occasione neanche lui mi aveva parlato.

Come al solito non sapevo bene se essere sollevata o delusa.

«Non dovresti insinuare cose del genere, considerando la nostra attuale compagnia» consigliò Dafina.

Tawny si strozzò con il tè, e dietro il velo io roteai gli occhi.

«Immagino che se la signorina Willa fosse ancora viva, l’avrebbe attirato nella sua rete» commentò Loren, risvegliando il mio interesse. Stava parlando di Willa Colyns? «E poi avrebbe scritto di lui nel suo diario.»

Sì, era proprio lei.

La signorina Willa Colyns era vissuta a Masadonia circa duecento anni prima e pareva che avesse avuto una vita sentimentale molto attiva. La donna aveva raccontato con dovizia di dettagli espliciti le scandalosissime tresche nel suo diario, che era stato archiviato nell’Ateneo cittadino come una specie di resoconto storico. Mi appuntai mentalmente di chiedere a Tawny di portarmelo.

«Ho sentito che scriveva solo dei più dotati tra i suoi… partner» sospirò Dafina con un risolino. «Perciò, se fosse stato inserito in quelle pagine, avremmo saputo che cosa voleva dire.»

Anche io lo sapevo.

E lo sapevo a causa sua.

Spostai lo sguardo su Hawke. Le brache nere e la tunica scura gli modellavano il corpo come una seconda pelle, e non potevo di certo biasimare Dafina o Loren per il modo in cui i loro sguardi sembravano tornare su di lui ogni due minuti. Era alto e con una muscolatura asciutta. La spada nel fodero legato alla vita, insieme a quella che portava al fianco, suggeriva che era pronto ad affrontare ben più che un paio di signore in preda agli svenimenti. Il mantello bianco della guardia reale drappeggiato sulla schiena era una novità.

Ma Hawke aveva anche pervaso l’aria di una sorta di impalpabile tensione, come se la stanza fosse elettrificata. Chiunque fosse in sua presenza doveva esserne consapevole.

Il mio sguardo gli scivolò sul petto, e il ricordo di quanto era parso sodo, perfino senza l’armatura, mi fece arrossire. Una nuova, familiare pesantezza mi gravò all’altezza del cuore, facendomi sembrare la seta del vestito ruvida contro la pelle, di colpo arrossata e sensibile.

Magari uno di quegli stupidi ventagli sarebbe stato utile.

Soffocai un gemito, avevo voglia di prendermi a schiaffi da sola. Ma poiché era fuori discussione, bevvi un sorso di tè, cercando di alleviare l’inspiegabile secchezza della mia gola, e mi concentrai di nuovo su Dafina e Loren. Stavano parlando del Rito, e la loro emozione era un brusio inebriante. Alla celebrazione, che si sarebbe tenuta la notte della Luna del Raccolto, mancava solo una settimana.

La loro eccitazione era contagiosa. Essendo il mio primo Rito, avrei dovuto presenziare, con la maschera e non in bianco. La maggior parte dei presenti non avrebbe saputo che ero la Vergine, anche se le due guardie che di sicuro sarebbero rimaste con me tutto il tempo avrebbero probabilmente rivelato la mia presenza a chi avesse prestato attenzione. Tuttavia, un brivido di incertezza venata di eccitazione si insinuò in me mentre il mio sguardo si spostava di nuovo su Hawke.

Mi sprofondò lo stomaco.

Se mi avesse vista con la maschera, avrebbe capito che ero io la ragazza entrata nella sua camera? E avrebbe avuto importanza, poi? Al momento del Rito, si sarebbe già reso conto che ero io? O se n’era già accorto?

Era fermo in piedi, con le gambe leggermente divaricate, e osservava il nostro gruppetto. Sembrava quasi attirare la luce del sole, che gli accarezzava gli zigomi e la fronte come un’amante. Aveva un profilo perfetto, la mandibola cesellata come le statue che adornavano il giardino e l’ingresso del castello.

«Sai che significa. Che dev’essere vicino» stava dicendo Loren. «Il Principe Casteel.»

Sorpresa, girai di scatto la testa verso di lei. Non avevo idea di che cosa stesse dicendo, né di come fosse venuto fuori l’argomento, ma non riuscivo a credere che avesse davvero pronunciato quel nome ad alta voce. Dischiusi le labbra. Nessuno, a parte i Caduti, avrebbe osato proferire il suo vero nome, e dubitavo che chiunque di loro lo avrebbe pronunciato nel castello. Chiamarlo principe era tradimento. Lui era l’Oscuro.

Dafina si accigliò. «Per via del…» Mi scoccò un’occhiata, con le sopracciglia corrugate. «Per via dell’aggressione?»

Solo allora mi resi conto che dovevano essersi messe a parlare del tentato rapimento mentre io…

Be’, mentre io stavo facendo esattamente quello che avevano fatto loro prima: fissare Hawke e pensare a lui.

«Non si tratta solo di quello.» Loren tornò a cucire un cristallo rosso sangue sulla sua maschera. «Ho sentito Britta che lo diceva, questa mattina.»

«La domestica?» Dafina sbuffò.

«Sì, la domestica.» La Lady in Attesa bruna sollevò il mento. «Sanno tutto, loro.»

Dafina rise. «Tutto?»

L’altra annuì, abbassando la voce. «La gente parla di qualsiasi cosa, davanti a loro. Intima o privata che sia. È quasi come se fossero dei fantasmi. Non c’è nulla che non sentano.»

Loren aveva ragione. Me ne ero accorta io stessa con la duchessa e il duca.

Tawny posò la tazza sul tavolo. «E che cos’ha detto Britta?»

Gli occhi scuri di Loren guizzarono su di me per poi tornare su Tawny. «Ha detto che il Principe Casteel è stato visto a Tre Fiumi. E che ha appiccato lui l’incendio in cui è morto il Duca Everton.»

«Chi potrebbe sostenere una cosa simile?» domandò Tawny. «Nessuno che abbia visto l’Oscuro racconta che aspetto abbia o è vissuto abbastanza a lungo da descriverlo.»

«Non ne sono certa» ribatté Dafina. «Ho sentito dire da Ramsey che è pelato e con le orecchie a punta, ed è pallido come… insomma, lo sapete.»

Trattenni l’impulso di sbuffare. Gli Atlantiani sono uguali a noi.

«Ramsey? Uno degli intendenti di Sua Grazia?» Tawny inarcò un sopracciglio. «Avrei dovuto specificare: quale persona credibile potrebbe sostenere una cosa simile?»

«Secondo Britta, i pochi che hanno visto il Principe Casteel dicono che in realtà sia parecchio affascinante» aggiunse Loren.

«Oh, davvero?» ponderò Dafina.

Loren annuì, fissando il cristallo alla maschera con un nodo. «Ha detto che è così che è riuscito a entrare alla Rocca di Crestadoro.» Abbassò la voce. «La Duchessa Everton aveva iniziato una relazione di natura fisica con lui, senza rendersi conto di chi fosse. Ecco come faceva il principe a muoversi liberamente nel maniero.»

Britta chiacchierava davvero parecchio, eh?

«Quasi tutto quello che dice si rivela vero.» Loren scrollò le spalle, sistemando un cristallo verde smeraldo accanto a quello rosso. «Perciò, potrebbe avere ragione sul Principe Casteel.»

«Dovresti proprio piantarla di dire quel nome» le consigliò Tawny. «Se qualcuno ti sentisse, ti spedirebbero ai Templi prima che tu possa dire: “Lo sapevo”.»

Loren fece una risatina leggera. «Non mi preoccupo. Non sono così sciocca da dire cose del genere dove possono sentirmi, e dubito che i presenti diranno nulla.» Scoccò un’occhiata verso di me, rapida, ma scaltra. Sapeva che non potevo dire una parola perché poi avrei dovuto spiegare come mai avessi partecipato alla conversazione.

Cosa che, per la precisione, non stavo facendo.

Ero solo seduta lì.

«E se… e se fosse davvero qui?» Loren ebbe un lieve fremito. «In città, adesso? E se fosse riuscito a entrare al Castello di Teerman in quel modo?» Le si illuminarono gli occhi. «Facendo amicizia con qualcuno degli abitanti, o magari perfino con la povera Malessa.»

«Non mi sembri tanto preoccupata dalla prospettiva.» Tawny sollevò la tazzina. «Per dirlo senza peli sulla lingua, sembri eccitata.»

«Eccitata? No. Intrigata? Forse.» Sospirando, abbassò la maschera in grembo. «Certe giornate sono di una noia mortale.»

A quella frase rimasi così sbalordita che dimenticai chi ero e dove mi trovavo. Il massimo che riuscii a fare fu tenere la voce bassa quando parlai. «Ah, quindi una buona vecchia ribellione potrebbe vivacizzare le cose? Uomini, donne e bambini morti ti divertono?»

Sia Loren sia Dafina mi guardarono sorprese. Probabilmente non mi avevano mai sentita parlare, prima.

Loren deglutì. «Immagino di… di essermi espressa male, Vergine. Vi porgo le mie scuse.»

Non dissi nulla.

«Vi prego, ignorate Loren» supplicò Dafina. «A volte parla senza pensare, ma non vuole dire nulla di male.»

Loren annuì con enfasi, ma non dubitai che avesse voluto dire esattamente ciò che aveva detto. Una ribellione avrebbe interrotto la monotonia dei suoi giorni, ma non aveva pensato alle vite che sarebbero state stravolte o andate perdute a causa di essa: semplicemente non se ne era preoccupata.

Fu allora che accadde, ancora una volta senza preavviso. Il mio corpo scattò in avanti, la schiena si irrigidì. Il dono si protese da solo, e prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo, tra Loren e me si formò un invisibile collegamento. Attraverso quella connessione giunse una sensazione che mi ricordò un misto di aria fresca in una giornata calda e qualcosa di acre, come un melone amaro. Mentre il cuore mi martellava contro le costole, mi concentrai su quelle sensazioni, tra l’eccitazione e la paura. Loren mi fissava come se avesse voluto aggiungere qualcosa.

Ma ciò che percepivo non poteva provenire da lei. Non aveva senso. Quelle emozioni dovevano essere mie, e in qualche modo riuscivano a influenzare il mio dono.

Dafina afferrò il braccio della rivale. «Vieni, dobbiamo andare.»

Senza molta scelta, Loren fu trascinata via dalla sedia e accompagnata velocemente fuori dalla stanza, con Dafina che le sussurrava all’orecchio.

«Mi sa che le hai spaventate» disse Tawny.

Sollevando la mano tremante, bevvi un rapido sorso di limonata dolce. Non avevo la minima idea di che cosa fosse successo.

«Poppy.» Tawny mi toccò lievemente il braccio. «Stai bene?»

Annuii e posai con attenzione la tazza. «Sì, sono solo…» Come spiegarlo? Tawny non sapeva del dono, ma anche se l’avesse saputo non credevo che sarei riuscita a spiegarmi, né ero certa che fosse effettivamente successo qualcosa.

La guardai e aprii le mie percezioni. Come era successo inizialmente con Dafina e Loren, non sentii altro che una fitta di dispiacere. Non un dolore profondo, né niente che non dovessi avvertire.

Il mio cuore rallentò e rilassai il corpo. Mi appoggiai allo schienale, chiedendomi se fosse solo lo stress a rendere così erratico il mio dono.

Tawny mi fissava preoccupata.

«Sto bene» le dissi, tenendo ancora la voce bassa. «Solo non riesco a credere a quello che ha detto Loren.»

«Nemmeno io, ma lei è sempre stata… divertita dalle cose più macabre. Come ha detto Dafina, non intendeva dire nulla di male.»

Annuii, pensando che non era importante che cosa intendesse o meno. Bevvi un altro sorso, sollevata nello scoprire che non mi tremava la mano. Sentendomi decisamente più normale, attribuii quella strana sensazione a stress e mancanza di sonno. Ripensai all’Oscuro. Poteva esserci lui dietro le aggressioni e poteva volermi rapire, ma questo non significava che fosse davvero in città. Tuttavia, se c’era…

Il pensiero della Rocca di Crestadoro mi fece sentire a disagio. Non era impossibile che qualcosa del genere accadesse da noi, soprattutto considerando che un Atlantiano e un Caduto si erano già infiltrati nei terreni del castello.

«Che cosa farai?» sussurrò Tawny.

«Rispetto al fatto che l’Oscuro potrebbe trovarsi in città?» risposi, confusa.

«Che? No.» Mi diede una stretta al braccio. «Mi riferisco a lui.»

«Lui?» Lanciai un’occhiata a Hawke.

«Sì. Lui.» Sospirando, Tawny mi lasciò il braccio. «A meno che non ci sia un altro tizio che hai baciato tenendo nascosta la tua identità.»

«Sì. Ce ne sono parecchi. Hanno fondato un loro circolo» replicai ironica. «Non posso farci nulla.»

Tawny osservò Hawke e si picchiettò il mento con un dito. «Gli hai parlato?»

«No.»

Lei inclinò la testa. «Ti rendi conto che prima o poi dovrai parlare di fronte a lui?»

«Sto parlando anche adesso» le feci notare, anche se sapevo che non era ciò che intendeva.

Infatti socchiuse gli occhi. «Stai sussurrando, Poppy. Ti sento a malapena io.»

«Mi senti perfettamente.»

Aveva l’aria di volermi dare un altro calcio sotto il tavolo. «Non so come tu abbia fatto a non affrontarlo. Comprendo i rischi, ma se fossi al posto tuo, io vorrei sapere se mi ha riconosciuta. E se l’ha fatto, perché non ha detto niente.»

«Non è che non voglia saperlo.» Scoccai un’occhiata a Hawke. «Ma c’è…»

Hawke incrociò il mio sguardo e continuò a fissarmi, facendomi irrigidire. Guardava dritto verso di me, e anche se sapevo che non poteva vedere i miei occhi, sembrava comunque che ci riuscisse. Non era possibile che avesse sentito Tawny e me, non dal punto in cui si trovava e con il tono sommesso che stavo usando, ma il suo sguardo era penetrante come se non solo potesse vedere attraverso di me, ma anche dentro.

Cercai di scacciare quella sensazione; tuttavia, più lui sosteneva il mio sguardo, più essa aumentava. Dovevano essere i suoi occhi, quel colore: una sfumatura dorata così strana, sbalorditiva. Fissando quelle iridi ci si poteva immaginare di tutto.

Hawke interruppe il contatto dei nostri sguardi e si voltò verso l’ingresso. Il fiato mi sfuggì tremante, e il cuore mi martellava nel petto come se stessi correndo ancora una volta attraverso l’Alzata.

«È stato… intenso» mormorò Tawny.

Sbattei le palpebre e scrollai la testa, voltandomi verso di lei. «Come?»

«Quello che è successo.» Tawny aveva le sopracciglia inarcate. «Tu e Hawke che vi squadrate. E no, non riesco a vederli i tuoi occhi, ma so che eravate impegnati in un duello piuttosto acceso.»

Percepii il calore invadermi le guance. «Sta solo facendo il suo lavoro, e io… ho solo perso il filo del discorso.»

Tawny aggrottò la fronte. «Ma davvero?»

«Certo.» Con le mani mi lisciai il vestito.

«Allora si stava solo accertando che tu fossi ancora viva e…»

«Vegeta?» suggerì Hawke, facendoci sobbalzare entrambe. Si trovava ad appena una trentina di centimetri da dov’eravamo sedute noi: si era mosso furtivo come una guardia e silenzioso come un fantasma. «Dato che ho la responsabilità di tenerti in vita, sarebbe la mia priorità.»

Irrigidii le spalle: quanto aveva sentito?

Tawny fece un misero tentativo di soffocare una risatina con un tovagliolo. «Mi rassicura sentirlo.»

«Altrimenti sarei negligente nell’eseguire i miei compiti, non è così?»

«Ah, certo, i tuoi compiti.» Tawny abbassò il tovagliolo. «Tra il proteggere Poppy con la tua vita e le tue membra e il raccogliere cristalli caduti per terra, sei impegnatissimo.»

«Non dimenticare aiutare deboli Lady in Attesa a raggiungere la sedia più vicina prima che svengano» suggerì lui. In quei suoi occhi strani e ipnotici c’era un luccichio malizioso, e io ero… paralizzata di fronte a lui, tanto quanto lo ero stata in presenza delle Lady in Attesa. Era questo l’Hawke che avevo incontrato alla Perla Rossa. Un pozzo di dolore nascosto dietro una personalità affascinante e ironica. «Sono un uomo dai molti talenti.»

«Ne sono sicura» ribatté Tawny con un sogghigno, mentre io lottavo contro l’impulso di estendere le mie percezioni.

Hawke spostò gli occhi sui suoi, e la fossetta sulla guancia destra fece la sua comparsa. «La tua fiducia nelle mie abilità mi riscalda il cuore» disse, lanciandomi un’occhiata. «Poppy?»

Dietro il velo sgranai gli occhi e richiusi la bocca.

Tawny sospirò. «È il suo soprannome. Solo gli amici la chiamano così. E suo fratello.»

«Ah, quello che vive nella capitale?» domandò lui, ancora con lo sguardo puntato su di me.

Annuii.

«Poppy» ripeté, e dal modo in cui gli scivolò sulla lingua, il mio nome avrebbe potuto essere avvolto nella cioccolata. «Mi piace.»

Gli rivolsi un sorriso teso quanto i muscoli del mio stomaco.

«Ci sono altri minacciosi cristalli smarriti di cui dobbiamo essere informate, o hai bisogno d’altro, Hawke?» chiese Tawny.

«Ho bisogno di molte cose» replicò lui, riportando lo sguardo su di me. Tawny si sporse come se non vedesse l’ora di sapere quali. «Ma dovremo parlarne più tardi. Sei stata convocata dal duca, Penellaphe. Sono qui per accompagnarti subito da lui.»

Tawny rimase impietrita, al punto che non ero sicura che respirasse ancora. Mi sentii gelare dentro. Una convocazione del duca, così presto dopo ieri? Sapevo che non voleva solo chiacchierare. Forse Lord Mazeen aveva mantenuto la sua promessa di minaccia ed era andato a parlargli? Oppure era perché avevo sostenuto il suo sguardo e avevo sorriso quand’ero senza velo? Aveva scoperto che avevo pugnalato l’uomo che aveva tentato di rapirmi? Molti avrebbero festeggiato il fatto che fossi riuscita a sventare il rapimento, ma il Duca Teerman si sarebbe concentrato solo sulla presenza del pugnale. Forse qualcuno mi aveva vista nel vestibolo e glielo aveva già riferito? Aveva scoperto della Perla Rossa? Alzai lo sguardo su Hawke, mentre il mio stomaco sprofondava. Aveva parlato?

Dei, c’erano davvero infinite possibilità, nessuna delle quali sembrava essere buona.

Nonostante avvertissi un vago senso di nausea, come se avessi bevuto latte scaduto, riuscii a stamparmi sul volto un sorriso e ad alzarmi dalla sedia.

«Ti aspetto nelle tue stanze» disse Tawny, e io annuii.

Hawke attese che lo superassi, poi mi seguì a breve distanza, una posizione che gli permetteva di reagire a minacce provenienti sia da dietro, sia da davanti. Andammo nella sala, dove arazzi bianchi e dorati rilucevano sulle pareti e servitori in abiti e tuniche rosso granata si affrettavano qua e là, eseguendo i vari compiti che mandavano avanti il grande castello.

Hawke non mi guidò verso la sala dei banchetti. Si diresse verso le scale, e lo stomaco mi sprofondò ancora di più.

Attraversammo l’ingresso ed eravamo ormai vicini ai piedi delle scale quando lui chiese: «Stai bene?».

Annuii.

«Sia tu che la tua cameriera sembrate turbate, quando c’è una convocazione.»

«Tawny non è una cameriera» mi sfuggì, e subito imprecai tra me e me. Era sciocco avere tentato di non parlare, ma sarebbe stato meglio farlo quando non fossimo stati nell’ingresso, circondati da un sacco di persone.

E mi sarebbe piaciuto resistere almeno un giorno intero.

Mi preparai alla sua reazione e lo sbirciai.

Mi fissava con un’espressione impossibile da decifrare. Se aveva riconosciuto la mia voce, non lo diede a vedere.

Quello strano miscuglio di sollievo e delusione mi travolse ancora una volta. Puntai lo sguardo di fronte a me. Sul serio non sapeva che ero io a essere entrata nella sua stanza? D’altra parte, era il caso di stupirsi? All’inizio aveva pensato che fossi Britta, e non si era fatto problemi a continuare quando si era reso conto che non ero lei. Chissà con quante donne…

«No?» domandò lui. «Sarà anche una Lady in Attesa, ma mi è stato detto che è obbligata a farti da cameriera personale. Da dama di compagnia.»

«Sì, ma non…» Gli scoccai un’occhiata, mentre la scalinata di pietra curvava. Teneva una mano sull’elsa della spada che portava alla vita. «È…» Era obbligata a farmi da dama di compagnia. «Non importa. Non c’è niente di sbagliato.»

Fu allora che Hawke mi guardò, o meglio abbassò lo sguardo su di me: nonostante fossi un gradino più su, lui era comunque più alto. Non era giusto. Inarcò un sopracciglio, con sguardo interrogativo.

«Che c’è?» chiesi, ma non alzai abbastanza il piede e con un tuffo al cuore inciampai. Hawke reagì rapido e con una mano sul mio gomito mi aiutò a ritrovare l’equilibrio. Imbarazzatissima, borbottai: «Grazie».

«I ringraziamenti insinceri non sono richiesti, né necessari. È mio dovere tenerti al sicuro.» Fece una pausa. «Anche da scalinate traditrici.»

Trassi un lungo respiro regolare. «La mia gratitudine non era insincera.»

«Allora domando scusa.»

Non avevo bisogno di guardarlo per sapere che stava sogghignando, e avrei scommesso che quella stupida fossetta si stesse di nuovo degnando di mostrarsi al mondo. Poi tacque, e raggiungemmo il terzo piano in silenzio. Un corridoio portava all’ala vecchia, dove si trovavano le stanze mie e di molti membri del personale del maniero. A sinistra c’era l’ala più recente. Con lo stomaco pieno di piombo, svoltai in quella direzione. Ero così presa a pensare a ciò che mi aspettava, che per un attimo cessai di concentrarmi sul fatto che apparentemente Hawke non mi aveva riconosciuta, o sulle ragioni che, in caso contrario, l’avevano spinto a non aprire bocca.

La guardia raggiunse le grandi porte di legno in fondo al corridoio, sfiorandomi la spalla con un braccio mentre apriva una delle due ante. Attese finché non mi infilai nella stretta scala a chiocciola. Attraverso numerose finestrelle ovali, la luce del sole si riversava all’interno. «Attenta. Se inciampi e cadi qui, è facile che mi trascini con te fino in fondo.»

Sbuffai. «Non inciamperò.»

«Ma lo hai appena fatto.»

«È stato un evento eccezionale.»

«Be’, allora mi sento onorato di averti assistito.»

In quel momento mi rallegrai che non potesse vedermi in faccia, e non per il timore che mi riconoscesse, ma perché ero certa di avere sgranato gli occhi così tanto che dovevano occupare tutta la metà superiore del viso. Mi parlava come nessuna guardia aveva mai fatto, a parte Vikter. Nemmeno Rylan si era comportato con tanta… familiarità. Era come se ci conoscessimo da anni invece che da ore… o giorni. Era talmente a suo agio da risultare sconcertante.

Hawke mi superò e raggiunse l’accesso al quarto piano. «Ti avevo già vista, sai.»

Mi si bloccò il respiro, e solo per grazia degli dei non inciampai ancora.

«Ti ho vista sulle balconate.» Mi tenne aperta la porta e fece cenno di entrare. «Mentre mi guardavi allenarmi.»

Le guance mi andarono in fiamme. Non era quello che mi ero aspettata che dicesse. «Non stavo guardando te. Stavo…»

«Prendendo una boccata d’aria fresca? Aspettavi la tua cameriera, che non è una cameriera?» Mentre lo superavo, Hawke mi fermò e mi prese per un braccio. Abbassò la testa fino a quando le sue labbra furono a pochi centimetri dal mio orecchio nascosto dal velo e sussurrò: «Forse mi sbaglio, e non eri tu».

Il suo profumo, di terra e legno, mi avvolse e mi mozzò il fiato. Non eravamo neanche lontanamente vicini come la notte alla Perla Rossa, ma se avessi inclinato la testa verso sinistra anche solo di poco, la sua bocca avrebbe sfiorato la mia. Di nuovo qualcosa si agitò dentro di me, questa volta ancora più in profondità nello stomaco. «Ti sbagli.»

Mi lasciò andare il braccio, e quando alzai lo sguardo vidi che aveva l’angolo della bocca sollevato. Con il cuore che si comportava in maniera bizzarra nel mio petto e il battito martellante, entrai nell’arioso corridoio.

Due guardie reali stazionavano fuori dai quartieri privati del duca e della duchessa. Su quel piano c’erano diverse stanze che venivano usate per accogliere vari membri della casa e della Corte. Entrambi avevano i propri spazi e appartamenti che si collegavano alle camere da letto, ma dal punto in cui si trovavano le Guardie capii che il duca era nella suite principale.

Il disagio tornò, insinuandosi nelle mie vene. Per un breve istante mi ero dimenticata i motivi per cui avrei potuto essere stata convocata.

«Penellaphe?» disse Hawke, alle mie spalle.

Solo allora mi resi conto di due cose. Uno: mi ero fermata nel corridoio, e di sicuro pareva strano. Due: era la seconda occasione che mi chiamava per nome anziché con l’appellativo ufficiale di Vergine. Lui non era Vikter. Non era Tawny. E loro mi chiamavano per nome solo quando eravamo soli.

Sapevo che avrei dovuto correggerlo, ma non ci riuscii. Non volevo, e questo mi terrorizzava quanto ciò che mi aspettava nell’ufficio del duca.

Con un profondo respiro, giunsi le mani, raddrizzai le spalle e avanzai.

Le guardie reali evitarono di guardarmi negli occhi e si inchinarono. Quella con la pelle scura si scostò, posò una mano sulla porta e fece per aprirla.

Per qualche motivo, mi voltai verso Hawke. Non ho idea del perché. «Ti aspetto qui» mi rassicurò.

Annuii, poi tornai a voltarmi, costringendomi a mettere un piede di fronte all’altro, e ripetendomi che mi stavo agitando per nulla.

Entrando nella suite, la prima cosa che notai furono le tende tirate. Il morbido bagliore di diverse lampade a olio sembrava assorbito dai pannelli di legno scuro e dai mobili di mogano e velluto color cremisi. Lo sguardo mi cadde sulla grande scrivania e sulla credenza dietro di essa, dove diverse bottiglie di cristallo di varie misure erano piene di liquore ambrato.

Poi lo vidi.

Il duca sedeva sul divano, uno stivale appoggiato sul tavolino di fronte a sé e un bicchiere di liquore in mano. Fui scossa dai brividi non appena mi guardò, con gli occhi così scuri che la pupilla era quasi indistinguibile.

Riflettei che, quando avrei rivisto Ian, i suoi occhi non sarebbero più stati verdi come i miei. Sarebbero stati come quelli del duca: nerissimi e senza fondo, ma – mi chiesi – altrettanto agghiaccianti?

All’improvviso mi resi conto che il duca non era solo.

Di fronte a lui c’era Lord Mazeen, seduto in una posizione rilassata e arrogante. Non aveva bicchieri in mano, ma tamburellava pigramente le dita sul ginocchio. Le sue labbra cesellate erano piegate in un ghigno, e l’istinto mi gridò che dovevo fuggire, perché non potevo oppormi a ciò che stava per accadere.

La porta si richiuse alle mie spalle con uno scatto, facendomi sobbalzare. Detestai aver ceduto a quella reazione e sperai che il duca non se ne fosse accorto, ma quando lo vidi sorridere seppi che la mia speranza era vana.

Teerman si alzò dal divano in un unico movimento fluido, come se fosse privo d’ossa. «Penellaphe, mi hai terribilmente deluso.»