Quando lasciai la suite del duca, scoprii che gli dei mi avevano fatto una piccola concessione: Hawke non era rimasto ad aspettarmi, ed era stata una fortuna. Non sapevo proprio come avrei potuto nascondere quanto era successo.
Accanto alle due guardie reali c’era invece Vikter, in silenzio. Nessuno mi guardò quando uscii in corridoio, pallida e lucida di sudore freddo.
Sapevano quello che era successo nella camera del duca? Non avevo emesso un suono, nemmeno quando Lord Mazeen si era piazzato accanto alla scrivania e mi aveva tirato via il braccio dal petto per spostarlo accanto all’altro. Nemmeno quando il sesto e il settimo colpo erano sembrati fulmini sulla mia schiena, e Mazeen aveva osservato ogni frustata subita dal mio corpo con occhi avidi.
Se le guardie lo sapevano, non potevo farci nulla, né avevo modo di placare l’amaro morso della vergogna che bruciava anche più della mia schiena.
Ma Vikter sapeva. Le linee profonde intorno alla sua bocca lo rivelavano, mentre andavamo verso le scale e ogni passo mi tendeva la pelle in fiamme. Vikter attese finché la porta che dava sulle scale si chiuse alle nostre spalle e si fermò sul pianerottolo, osservandomi con gli occhi azzurri carichi di preoccupazione.
«Quanto è grave?»
Premetti le mani tremanti contro il vestito. «Sto bene. Ho solo bisogno di riposo.»
«Bene?» Chiazze di colore apparvero sulle sue guance baciate dal sole. «Hai il fiato corto e cammini come se ogni passo fosse un’impresa. Non hai motivo di fingere con me.»
Era vero, ma ammettere quant’era stato brutto sarebbe stato come dare a Teerman quello che voleva. «Poteva andare peggio.»
Le narici di Vikter si dilatarono. «Non dovrebbe succedere.»
Su questo non potevo dissentire.
«Ti ha lacerato la pelle?»
«No. Ho solo lividi.»
«Solo lividi.» Vikter fece una risata aspra e senza allegria. «Ne parli come se fossero graffietti. Perché ti ha punita, questa volta?»
«Gli serve forse un motivo?» Feci un sorriso stanco, che mi parve fragile, come se potesse spaccarmi l’intera faccia. «Era contrariato dalla mia mancanza di impegno quando sono con la Sacerdotessa. E oggi, nel vestibolo, sono arrivate due Lady in Attesa. Non ne è stato contento.»
«E perché dovrebbe essere colpa tua?»
«C’è bisogno che sia colpa mia?»
Vikter mi fissò, per un istante ridotto al silenzio. «Allora è per questo che ha usato la verga?»
Annuii, spostando lo sguardo sulla finestra ovale più vicina. Il sole era scivolato via mentre mi trovavo nella suite, il pozzo delle scale non era neanche lontanamente luminoso e arioso come prima. «E non gli è piaciuto il mio atteggiamento durante l’incontro di ieri. Non è neanche la trasgressione più piccola per cui mi abbia punito.»
«Ecco perché ho detto che devi stare attenta, Poppy. Se ti frusta perché ti trovi in una stanza quando altre persone entrano, che cosa credi che farebbe se venisse a conoscenza delle tue piccole avventure?»
«O se venisse a sapere che sono anni che mi addestro come una guardia?» Irrigidii le spalle, e il movimento mi tirò la pelle. «Sarei frustata, certo. Probabilmente più che con sette colpi.»
La pelle dorata di Vikter impallidì.
«Potrebbe chiedere alla regina di dichiararmi indegna. E magari per gli dei lo sono già» proseguii. «Come hai detto tu in passato, però, la mia Ascensione si terrà, indipendentemente da come mi comporterò. Ma tu? Che cosa accadrebbe a te, Vikter, se si scoprisse che mi hai addestrato a combattere?»
«Non mi importa cosa potrebbero fare.» Non ebbe un istante di esitazione nel dirlo. «Sapere che sei in grado di proteggerti vale il rischio. Accetterei volentieri qualsiasi punizione, e non rimpiangerei quello che ho fatto.»
Alzai il mento e sostenni il suo sguardo. «Ed essere in grado di difendere la mia casa, i miei cari, e la mia vita vale qualsiasi rischio.»
Lui rimase in silenzio per un momento, poi i suoi occhi azzurri come l’inverno si chiusero. Forse stava pregando di trovare la pazienza, come so che aveva già fatto molte volte in passato.
Il pensiero mi strappò un altro piccolo sorriso. «Sto attenta, Vikter.»
«Che tu lo faccia non sembra importante.» Riaprì gli occhi. «Sarei contento se la regina ti convocasse nella capitale in anticipo.»
Iniziai a scendere le scale con un brivido. «Perché così sfuggirei al duca e alle sue lezioni?»
«Esattamente.»
Anch’io non vedevo l’ora, soprattutto perché avevo deciso di dire tutto alla regina.
«Era solo? Ho chiesto alle guardie, ma sembrava non sapessero chi c’era con lui» disse Vikter.
Sapevano sempre con chi era il duca. Solo che non volevano che Vikter lo sapesse e… e nemmeno io lo volevo. «Era solo.»
Lui non rispose. Ignoravo se volesse dire che mi credeva o meno. Stabilii che era ora di cambiare argomento. «Come hai fatto a sapere dov’ero?»
Vikter era un passo dietro di me. «Hawke ha mandato uno degli intendenti del duca a chiamarmi. Era… preoccupato per te.»
Il mio cuore perse un battito. «Per quale motivo?»
«Ha detto che sembrava che la convocazione del duca avesse angosciato sia te sia Tawny» spiegò Vikter. «Pensava che potessi spiegargli perché.»
«E lo hai fatto?»
«Gli ho detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che ti avrei fatto io da scorta per il resto della giornata.» Vikter aggrottò la fronte e mi prese il braccio con noncuranza, offrendomi sostegno. «Non è stato esattamente d’accordo, perciò ho dovuto ricordargli che sono più alto in grado.»
A quelle parole, piegai le labbra in una smorfia. «Di sicuro una volta detto è andato tutto liscio.»
«Liscio come una valanga.»
Costeggiammo il piano successivo. A spingermi ad andare avanti, mentre meditavo sulle azioni di Hawke, era la consapevolezza che mi stavo avvicinando al mio letto. «Ha… parecchio spirito di osservazione, vero? E intuito.»
«Sì.» Vikter sospirò, ed era ovvio che non la riteneva una buona cosa. «È vero.»
Tre dozzine di torce splendevano oltre l’Alzata, fornendo con le loro fiamme una fonte di luce nella vasta oscurità, una promessa di sicurezza alla città addormentata.
Lanciai uno sguardo bramoso verso il letto ed emisi un sospiro stanco, mentre attorcigliavo le estremità della mia treccia. Incubi di una notte diversa mi avevano impedito di dormire, lasciandomi con la pelle viscida di sudore freddo e il cuore palpitante come un coniglio in trappola.
Fortunatamente, le mie urla non avevano svegliato Tawny, giacché le ultime due notti era rimasta sveglia fino a tardi. Aveva passato buona parte della prima notte a fare tutto ciò che poteva per assicurarsi che i miei lividi guarissero, e quella successiva era stata convocata dalle Madame per aiutare con i preparativi per il Rito.
Tawny aveva strofinato sulla pelle infiammata della mia schiena una mistura di arnica e miele al profumo di pino e salvia, garantita dai Guaritori e usata spesso anche dalle guardie per le loro numerose ferite. Anche il Guaritore che mi aveva curata la notte del rapimento l’aveva utilizzata. L’unguento mi aveva rinfrescato la pelle e alleviato il dolore quasi immediatamente. Tuttavia, le esperienze precedenti ci insegnavano che occorreva applicarlo quasi ogni due ore per ottenere l’effetto desiderato.
E aveva funzionato. Rispetto alla sera precedente provavo solo un po’ di malessere, anche se la pelle era più rosa del normale.
Non stavo scherzando quando avevo detto a Vikter, e poi a Tawny, che poteva andare peggio. Al mattino i lividi sarebbero probabilmente scomparsi, e il dolore sarebbe stato poco o addirittura nullo. Avevo la fortuna di guarire sempre in fretta, ed ero ancora più fortunata poiché Teerman non aveva bevuto Rovina Rossa il pomeriggio della convocazione.
Il duca aveva conosciuto mia madre. Ma come? Per quanto ne sapevo, lei non era mai stata a Masadonia, perciò doveva essere successo nella capitale. Era raro che gli Ascesi viaggiassero, specialmente per andare così lontano, ma era evidente che si erano incontrati.
Mentre parlava di lei, Teerman aveva uno sguardo così strano, di nostalgia mista a… che cosa? Rabbia, forse? Delusione. Erano stati i loro rapporti a causare l’atteggiamento che il duca teneva con me?
Oppure stavo solo cercando una ragione per il modo in cui mi trattava, come se dovesse esserci una spiegazione alla sua crudeltà?
Non sapevo molto della vita, ma sapevo che, a volte, non c’erano ragioni. Ogni persona, Ascesa oppure no, era quel che era, senza bisogno di spiegazioni.
Sospirando, spostai il peso da un piede all’altro. Me ne ero rimasta rintanata in camera per due giorni, soprattutto perché il riposo garantiva che l’unguento facesse effetto il prima possibile, e anche perché stavo evitando… Be’, a dire il vero stavo evitando tutti.
Specialmente Hawke.
Non lo vedevo da quando ero entrata nell’ufficio privato del duca, e sapere che aveva intuito che c’era qualcosa di sbagliato mi faceva ribollire di ansia e imbarazzo, anche se le azioni di Teerman non dipendevano da me. Semplicemente, non volevo che Hawke capisse che non stavo bene, e lui era abbastanza acuto da riuscirci.
Certo, anche rimanere nella mia stanza per due giorni lo avrebbe probabilmente insospettito, ma almeno non avrebbe visto con quanta attenzione dovevo muovermi mentre la mia schiena guariva.
Non volevo che Hawke mi considerasse debole, anche se si sarebbe aspettato che la Vergine lo fosse.
E magari aveva a che fare con quel bizzarro miscuglio di sollievo e delusione che provavo ogni volta che mostrava di non riconoscermi dall’incontro alla Perla.
Spostai lo sguardo dal letto e tornai a osservare le torce oltre l’Alzata. I fuochi erano calmi, quella notte, come lo erano stati in diverse altre. Quando invece le fiamme danzavano come spiriti impazziti, guidati dai venti del crepuscolo, significava che la nebbia non era lontana. E a seguire la densa nebbia bianca era l’atroce morte, che non guardava in faccia nessuno.
Infilai distrattamente la mano tra le pieghe sottili della vestaglia e la posai sull’impugnatura d’osso del pugnale fissato alla mia coscia. Chiusi le dita sull’elsa fredda, per ricordarmi che, se e quando l’Alzata fosse caduta, io sarei stata pronta.
Proprio come sarei stata pronta se l’Oscuro avesse cercato di nuovo di rapirmi.
Spostai la mano dall’impugnatura a una chiazza di pelle irregolare pochi centimetri sopra il ginocchio, nella parte interna della coscia. La sfiorai: Hawke era arrivato incredibilmente vicino a toccarmi la cicatrice. Come avrebbe reagito, se l’avesse fatto? Avrebbe scostato la mano di scatto? O avrebbe finto di non sentire nulla?
Spostai la mano. Non volevo pensarci. Strinsi il pugno, scacciando quelle riflessioni. Non avevo motivo di dar loro corso. Non ne sarebbe venuto niente di buono. Non importava se mi aveva o meno riconosciuto, se ero solo una delle tante ragazze che aveva baciato in stanze fiocamente illuminate. Non importava nemmeno se era tornato alla Perla Rossa come aveva promesso…
Scossi la testa come se potesse servire a disperdere i pensieri, ma non funzionò. Negli ultimi due giorni di isolamento avevo scoperto che continuare a ripetermi che non importava non rendeva quel che era successo meno importante.
Hawke era stato il mio primo bacio, anche se lo ignorava.
La luce argentea della luna s’insinuò nella camera mentre mi avvicinavo silenziosa alle finestre disposte a ovest. Posai le dita sul vetro freddo e contai le torce. Dodici sull’Alzata. Ventiquattro più in basso. Tutte accese.
Bene.
Andava bene.
Premetti la fronte sul sottile pannello, che faceva molto poco per impedire al freddo di penetrare nel castello. A ovest, dove Carsodonia era stretta tra il Mare di Stroud e le Pianure dei Salici, non c’era bisogno di finestre di vetro. Là estate e primavera erano eterne, mentre autunno e inverno regnavano perennemente dove mi trovavo io. Ecco cosa attendevo con più impazienza, quando fossi tornata nella capitale: il calore, il sole, il profumo di sale e mare, e tutte le baie e le insenature scintillanti.
Tawny, che non aveva mai visto una spiaggia, le avrebbe assolutamente adorate. Un sorriso stanco mi tirò le labbra. La mia dama di compagnia era stata convocata da una delle Madame, e l’occhiata che mi aveva scoccato diceva che avrebbe preferito pulire i bagni piuttosto che passare la serata a tentare di compiacere le eterne scontente.
Spesso provavo la stessa sensazione quando era ora di incontrare la Sacerdotessa: avrei preferito passare la serata a strapparmi i peli dalle zone più sensibili del corpo, piuttosto che passare ore con quella strega.
Forse, mi dissi, avrei dovuto nascondere meglio i sentimenti che provavo verso di lei e le altre Sacerdotesse. Ancora non riuscivo a credere che Analia fosse andata dal duca solo perché non avevo passato metà della giornata ad ascoltarla lamentarsi.
Cingendomi il corpo con le braccia, desiderai per la centesima volta che mio fratello si trovasse ancora a Masadonia. Anche Ian soffriva di incubi, e se fosse stato ancora con me mi avrebbe distratta con sciocche storielle inventate.
Faceva ancora brutti sogni, dopo l’Ascensione? E se la risposta era no, allora, non era forse qualcosa che io avrei dovuto aspettare con trepidazione?
Feci scorrere lo sguardo sull’Alzata e notai una guardia di pattuglia sulla cima della muraglia.
Avrei preferito essere là fuori anch’io, anziché nel luogo in cui mi trovavo.
Sapevo che gli Ascesi sarebbero rimasti sconvolti nell’udire una cosa simile, come d’altronde la maggior parte delle persone intorno a me. Anche il solo concepirlo – pensare che io, la Vergine, la Prescelta, destinata a raggiungere i numi, avrei scambiato il mio posto con un plebeo, una guardia – sarebbe stato un affronto non solo nei confronti degli Ascesi, ma anche degli dei stessi. In tutto il regno, le persone avrebbero fatto qualunque cosa per trovarsi al cospetto delle divinità. Ero…
Ero una privilegiata, nonostante ciò che pativo; ma almeno, mi dicevo, se fossi stata là fuori, sull’Alzata, avrei potuto fare qualcosa di utile. Avrei protetto la città e tutti coloro che mi consentivano di vivere un’esistenza piena di agi. Invece ero lì a crogiolarmi in nuove vette di autocommiserazione, quando in realtà la mia Ascensione avrebbe fatto ben più che proteggere una città.
Avrebbe assicurato l’intero futuro del regno.
E non era già quello un risultato?
Non ne ero sicura, e non desideravo altro che riuscire a chiudere gli occhi e dormire, ma sapevo che non sarebbe successo. Per diverse ore ancora.
In nottate come quella, quando sapevo che il sonno non sarebbe giunto, cedevo all’impulso di svignarmela ed esplorare la città buia e silenziosa, finché trovavo luoghi dove non si dormiva, posti come la Perla Rossa. Sfortunatamente, dopo un tentato rapimento sarebbe stato il colmo della stupidità. Nemmeno io ero avventata a tal punto e…
Oltre l’Alzata, una fiamma iniziò a danzare, e io mi sporsi in avanti. Premetti i palmi sulla finestra, fissando il fuoco e rifiutandomi di sbattere le palpebre. «Non è nulla» dissi alla stanza vuota. «È solo brezza…»
Un altro bagliore si mosse, e poi un altro e un altro, e l’intera fila di torce oltre la muraglia s’increspò selvaggiamente in una nube di scintille sotto il vento che si alzava. Inspirai, ma l’aria parve non raggiungermi.
La torcia al centro fu la prima a spegnersi, facendomi schizzare il cuore contro le costole. Le altre seguirono rapide, immergendo il territorio oltre l’Alzata in un’improvvisa oscurità.
Indietreggiai di un passo dalla finestra.
Dozzine di frecce infuocate fendettero l’aria, compiendo un arco ben al di sopra dell’Alzata, e poi precipitarono rapide fino a schiantarsi contro i fossati pieni di micce. Eruppe un muro di fuoco che percorse l’intera lunghezza dell’Alzata. Le fiamme non erano una difesa valida contro la nebbia o ciò che con essa giungeva.
Il fuoco rendeva solamente visibile ciò che nella nebbia si celava.
Tornai alla finestra e la spalancai. Aria fredda e un silenzio soprannaturale si riversarono nella camera mentre mi aggrappavo al davanzale di pietra e mi sporgevo, socchiudendo gli occhi.
Tra le fiamme serpeggiava un fumo che si innalzava riversandosi nell’aria e sul terreno.
Ma non era così che si muoveva il fumo.
Il fumo non strisciava sotto le micce, nella forma di un biancore spesso e torbido che si stagliava contro il nero della notte. Il fumo non ricopriva le fiamme come una coltre, soffocandole fino a estinguerle e lasciando solo una nebbia greve e innaturale.
E la nebbia non era vuota.
Era piena di forme contorte che un tempo erano state mortali.
Da tutti e quattro gli angoli dell’Alzata risuonarono i corni, che infransero il silenzio teso. Nel giro di qualche istante, le poche luci che risplendevano alle finestre si spensero. Si udì un secondo richiamo d’allarme, e l’intero castello parve tremare.
Scattai in azione: mi avventai sulla finestra e la richiusi con il chiavistello, poi mi voltai. Avevo circa tre minuti, forse meno, prima che tutte le uscite venissero chiuse. Avanzai…
Un attimo dopo la porta di comunicazione si spalancò e Tawny piombò nella stanza con la camicia da notte bianca che svolazzava e la massa di riccioli castano-dorati che le ricadevano sulle spalle.
«No.» Tawny si fermò incespicando, il bianco degli occhi sgranati a contrastare nettamente con la pelle bruna. «No, Poppy.»
Ignorandola, corsi verso il baule, spalancai il pesante coperchio e frugai fino a trovare l’arco, che gettai sul letto mentre mi rialzavo.
«Non puoi pensare di andare là fuori» esclamò lei.
«Invece sì.»
«Poppy!»
«Andrà tutto bene.» Mi sistemai la faretra sulla schiena.
«Bene?»
Mi voltai verso di lei e la trovai a fissarmi a bocca aperta. «Non riesco a credere di dover sottolineare l’ovvio, ma mi tocca. Sei la Vergine. La Prescelta. Non puoi andare là. Se non ti uccidono loro, lo farà Sua Grazia se ti scopre.»
«Non mi scoprirà.» Afferrai un mantello nero con il cappuccio e lo indossai, fissandolo al collo e al petto. «Il duca rimarrà nascosto nella sua stanza dietro a una dozzina di guardie reali, se non di più, insieme alla duchessa.»
«Le guardie reali verranno a cercarti.»
Raccolsi l’arco per l’impugnatura. «Sono sicura che Vikter sia corso all’Alzata non appena ha sentito i corni.»
«E Hawke? Il loro dovere è proteggere te.»
«Vikter sa che sono in grado di difendermi da sola, e Hawke non saprà nemmeno che ho lasciato la stanza.» Feci una pausa. «Non conosce l’ingresso di servizio.»
«Sei ferita, Poppy. La tua schiena…»
«La mia schiena è quasi del tutto guarita. Lo sai.»
«E l’Oscuro? E se fosse uno stratagemma…?»
«Non è uno stratagemma, Tawny. Li ho visti nella nebbia» le dissi, e il suo volto si fece grigio. «E se l’Oscuro tenterà di rapirmi, sarò pronta ad affrontare anche lui.»
Attraversai la stanza con lei alle calcagna. «Penellaphe Balfour, fermati!»
Sorpresa, mi voltai e la trovai dietro di me. «Ho meno di due minuti, Tawny. Rimarrò intrappolata qui…»
«Al sicuro» argomentò lei.
Le afferrai la spalla con la mano libera. «Se fanno breccia nelle mura, prenderanno la città e troveranno il modo di entrare nel castello. E allora non sarà più possibile fermarli. Di questo sono sicura. Sono arrivati alla mia famiglia. Sono arrivati a me. Non rimarrò seduta ad aspettare che succeda di nuovo.»
Lei mi scrutò freneticamente gli occhi. «Ma all’epoca non avevi l’Alzata a proteggerti.»
Era vero, ma… «Niente è infallibile, Tawny. Nemmeno l’Alzata.»
«E nemmeno tu» sussurrò lei, con il labbro inferiore tremante.
«Lo so.»
Prese un lungo respiro, abbassando le spalle sotto la mia mano. «E va bene. Se qualcuno verrà a cercarti, dirò che sei terrorizzata e ti sei chiusa in bagno.»
Alzai gli occhi al cielo. «Naturalmente.» Le lasciai la spalla. «Nel baule ci sono diversi pugnali con la lama di diaspro sanguigno, e sotto i cuscini c’è una spada…»
«Ti prego, dimmi che non dormi tutte le notti con la testa su una spada.» disse Tawny in tono incredulo. «Non mi stupisce che tu soffra di incubi. Solo gli dei sanno quanto porti sfortuna utilizzare una spada come cuscino…»
«Tawny» la interruppi prima che partisse alla carica. «Se il castello verrà invaso, usa quelle armi. Ne sei capace.»
«Lo so.» E lo era solo perché le avevo insegnato di nascosto, proprio come Vikter aveva fatto con me. «Alla testa o al cuore.»
Annuì.
«Sii prudente, Poppy. Ti prego. Non voglio che mi affibbino il compito di servire la duchessa. O, peggio ancora, che mi consegnino al Tempio per servire gli dei. Non sto dicendo che non sia un onore farlo» Tawny corresse il tiro, posandosi una mano sul petto. «Ma la storia del celibato…»
Risi. «Tornerò.»
«Sarà meglio, Poppy.»
«Te lo prometto.» Le diedi un rapido bacio sulla guancia, mi voltai e mi diressi verso il vecchio ingresso di servizio accanto alla stanza da bagno. Era questa la ragione per cui avevo implorato e supplicato di essere trasferita in questa stanza, nella parte più vecchia e di gran lunga più brutta del castello. C’erano diversi passaggi e accessi che non venivano più usati, ma si collegavano a quasi ogni stanza della vecchia parte della fortezza, compreso il ponte di pietra che dava direttamente sul lato meridionale dell’Alzata.
Aprii la porta, e i vecchi cardini cigolarono. I passaggi segreti mi consentivano di spostarmi senza essere vista. Negli ultimi anni li avevo usati per allenarmi con Vikter, nonché per poter uscire dal castello senza essere scoperta.
Ma, soprattutto, quelle vecchie scale e i corridoi fornivano una rapida via di fuga.
«Poppy» mi chiamò Tawny, facendomi fermare. «Il tuo viso.»
La confusione durò solo un istante, poi mi resi conto che avevo il volto scoperto.
«Giusto.» Tirai su il pesante cappuccio e me lo sistemai, prima di scivolare fuori lungo la stretta scala a chiocciola.
Le spesse porte di ferro iniziarono a calare rumorosamente, pietra contro metallo, mentre sfrecciavo giù per i gradini scheggiati e irregolari. Le pantofole non erano la calzatura più adatta all’occasione, ma non avevo avuto il tempo di ripescare gli unici stivali che possedevo dal loro nascondiglio, sotto la testata del letto. Se le domestiche li avessero trovati, avrebbero di sicuro chiacchierato, e alla fine le loro parole sarebbero giunte all’orecchio di qualcuno.
Avevo meno di un minuto per uscire.
Polvere e piccole pietre piovvero dall’alto mentre il castello continuava a tremare. Alla luce della luna che filtrava dalle finestre impolverate e crepate, scesi di corsa gli ultimi gradini, scivolai sui due più in basso e praticamente slittai nella dispensa vuota. Il movimento non mi provocò altro che una fitta di dolore sordo proprio dove i lividi avevano iniziato a guarire.
Nascosi l’arco tra le pieghe del mantello e sfrecciai in una cucina immersa nel caos, in cui i domestici strepitavano per accedere alle stanze segrete e sicure che servivano anche da magazzini per le provviste. Le guardie si affrettavano verso l’ingresso principale, dove lo scudo più grande sarebbe stato in posizione nel giro di pochi secondi. Nessuno dunque mi prestò attenzione mentre correvo verso la sala posteriore, dove una delle porte di ferro era già abbassata per metà.
Con un’imprecazione che avrebbe fatto arrossire Vikter, e a cui Rylan, se fosse stato ancora in vita, avrebbe reagito con un sorriso, aumentai il passo e mi chinai. Le pantofole di seta e raso mi facilitarono il compito e scivolai sotto la porta. Mentre filavo via all’esterno, nell’aria notturna, quasi persi l’equilibrio. Con un gemito, la pesante porta si assestò. Indietreggiai, poi mi voltai con le labbra incurvate in un ampio sorriso che Tawny avrebbe trovato non solo preoccupante, ma addirittura inquietante.
Ero riuscita a raggiungere il ponte.
Senza perdere tempo, corsi lungo la stretta passerella che torreggiava su case e negozi. Non osavo guardare ai lati, perché non c’era alcuna ringhiera. Se fossi scivolata, be’… quello che c’era nella nebbia non sarebbe più stato motivo di preoccupazione.
Raggiunto il cornicione più ampio dell’Alzata, vi buttai sopra l’arco e mi issai anch’io. La pelle della mia schiena, in via di guarigione, si tese, strappandomi una smorfia di dolore mentre mantello e gonna si aprivano, rivelando quasi per intero la mia gamba. Avrei voluto indossare i calzoni sottili che si portavano sotto un certo tipo di abiti, ma non c’era stato abbastanza tempo.
Afferrai l’arco e mi avviai verso il muro occidentale. Quando arrivai, la nebbia sembrava una massa solida, che portava con sé il profumo di metallo e corruzione. Davanti a me, gli arcieri attendevano nei loro nidi di pietra, come uccelli rapaci, con archi e frecce saldi in mano. Sapevo che non dovevo avvicinarmi troppo, perché senz’altro una guardia dell’Alzata mi avrebbe notata e fatto domande. E anche se Tawny aveva esagerato dicendo che il duca mi avrebbe uccisa, avrei dovuto affrontare comunque un’altra delle sue lezioni.
Mi guardai rapidamente intorno. La città era piombata nel buio e nel silenzio, eccezion fatta per i Templi. Le loro fiamme non venivano mai spente. Distolsi lo sguardo da essi e dalla sensazione inquietante che spesso mi suscitavano, e cercai una merlatura libera, finché non la trovai: se fosse stata destinata al presidio di una guardia, mi dissi, l’avrei trovata occupata.
Tenendomi vicina alle ombre addensate sulle mura, mi infilai nel recinto. Mi tornò il sorriso quando vidi numerose faretre appoggiate vicino alla scala. Perfetto. Frecce di diaspro sanguigno, con l’asta di legno proveniente dalla Foresta di Sangue: non erano facili da trovare quando eri una Vergine che si supponeva non dovesse averne bisogno. Afferrai diverse faretre e mi affrettai su per la scala.
Parzialmente nascosta dal muro di pietra, me le sistemai accanto e sfilai una freccia. In quel momento giunse un rumore che mi fece rizzare i peli su tutto il corpo.
Iniziò come un basso ululato, che mi ricordò il vento dei periodi più freddi dell’inverno, ma il gemito diede il via a stridule grida. Perfino mentre incoccavo una freccia, avevo la pelle d’oca e lo stomaco che si torceva per la nausea. Non avrei mai dimenticato quel suono. Infestava i miei sogni, costringendomi a svegliarmi, notte dopo notte.
Da terra giunse l’ordine di scoccare. Osservai stupita il cielo illuminarsi per i dardi infuocati e feci un profondo respiro. Le frecce trafissero la nebbia mentre i fuochi si riaccendevano tutto intorno all’Alzata, trasformando la notte in un crepuscolo argenteo.
Le guardie attendevano in piedi di fronte all’Alzata, la loro armatura nera le rendeva quasi indistinguibili, eppure io cercavo il familiare mantello bianco di una particolare guardia reale. Infine scovai i capelli biondo cenere e il volto color sabbia, segnato dalle intemperie. Il mio cuore perse un battito. Vikter era al centro del gruppo. Mi aspettavo di trovarlo dove si sarebbe radunata la morte, tuttavia un grumo di paura mi si condensò comunque nel petto. Vikter era l’uomo più coraggioso che conoscessi.
E Hawke? Non sapevo se si trovasse ancora nel castello, di guardia fuori dalla mia porta, convinto che fossi nella mia stanza, oppure sull’Alzata. O forse, come Vikter, era al di là di essa. Il grumo di paura crebbe, ma non potevo permettere che mi dominasse.
Tenendo d’occhio Vikter, chiusi le dita sulla corda e la tesi all’indietro mentre lui indossava l’elmo. Un’altra raffica di frecce si levò, giungendo ancora più lontana. Quando fendettero la nebbia, udii delle urla.
E poi li vidi.
I corpi pallidi di un bianco latteo, privato di ogni colore, i volti infossati e incavati, gli occhi che bruciavano come braci ardenti. Le bocche spalancate a rivelare due file di denti aguzzi e serrati. Le dita allungate in artigli, che insieme alle zanne erano in grado di scorticare la pelle come il burro più morbido.
Avevo cicatrici che lo provavano.
Erano ciò che sarebbero diventati Marlowe e Ridley se non fosse stata posta fine alle loro vite prima che fosse troppo tardi.
Si riversarono fuori dalla nebbia, l’origine dei miei incubi, le creature inviate dall’Oscuro oltre dieci anni prima per privare mio fratello e me dei nostri genitori nel corso di un sanguinoso massacro. Erano i malvagi che mi avevano quasi uccisa prima che compissi sei anni, mordendo e artigliando in un delirio di sete di sangue.
I Craven erano arrivati.