15

Si riversarono sulle guardie dell’Alzata, in un’ondata che non aveva il minimo timore della morte. Urla di dolore e terrore squarciarono la notte, mozzandomi il fiato. In una manciata di secondi persi di vista Vikter.

«No» sussurrai, con le dita che tremavano sulla corda dell’arco. Dov’era finito? Non poteva essere già caduto, non così in fretta. Non lui…

Lo trovai che teneva la propria posizione e mulinava la spada nell’aria. Decapitò un Craven mentre un altro già gli si lanciava addosso. Lo vidi schivare per un soffio un colpo che avrebbe di certo trapassato la sua corazza.

Ma non c’era tempo per provare sollievo. Alzai lo sguardo mentre la freccia di diaspro di un arciere si conficcava nella testa di un Craven, facendolo cadere all’indietro. Dal retro del suo cranio sgorgò sangue nero come inchiostro. Mi concentrai su un’altra di quelle creature, cercando di calmare il mio respiro finché non fu lento e profondo, proprio come mi aveva insegnato Vikter. Gli anni di allenamento mi avevano abituata a mantenere la mano ferma, ma era merito anche dell’esperienza: non era la prima volta che aiutavo le guardie sull’Alzata.

«Quando le tue dita afferrano la corda, il mondo intorno a te deve smettere di esistere.» Le istruzioni di Vikter echeggiarono nella mia mente. «Ci siete solo tu, la corda che stai tendendo e il tuo obiettivo. Non conta nient’altro.»

E così fu.

Mi affidai alla mia mira e scoccai. La freccia sibilò nell’aria e si piantò nel cuore di un Craven. Ne incoccai un’altra prima che la mia vittima, un tempo figlio o genitore di qualcuno, toccasse il terreno. Individuai un altro nemico, che aveva sulla schiena una guardia intenta a squarciargli l’armatura. Scoccai di nuovo e sorrisi quando la freccia gli trapassò la testa. Mentre incoccavo la terza, avvistai Vikter. Aveva appena piantato la spada nel ventre di un Craven e urlava mentre la sollevava verso l’alto, lorda di sangue nero…

Un altro Craven gli si lanciò addosso di lato e lui strattonò la spada per liberarla. Tesi, scoccai e la freccia colse la creatura sul retro del cranio, tra le ciocche sparse di capelli. Il Craven crollò, morto ancora prima di toccare terra.

Vikter si voltò: avrei potuto giurare che guardasse nella mia direzione, che sapesse che ero stata io a scoccare quella freccia. E, anche se non potevo vederlo bene, sapevo che il suo volto si era contratto in quell’espressione che aveva sempre quando era fiero di me, ma allo stesso tempo irritato.

Con un ghigno incoccai di nuovo e, per quella che mi sembrò una piccola eternità, mi persi nel vortice delle uccisioni, abbattendo un Craven dietro l’altro. Avevo già esaurito due faretre, quando una delle creature riuscì a spezzare la linea delle guardie, raggiungere il muro e scavare nella pietra con gli artigli, ricavandosi un appoggio.

Per il tempo di un battito, rimasi a fissarlo attonita mentre piantava la mano artigliata un po’ più in alto, guadagnando terreno.

«Dei» mormorai.

Poi il Craven emise un ululato stridulo, che mi riscosse dal mio stupore. Presi la mira e lo colpii alla testa. L’impatto lo staccò dal muro…

E, in quel momento, un grido alla mia destra mi fece voltare. Un arciere barcollò in avanti e lasciò cadere l’arco, mentre un Craven lo afferrava per la spalla e affondava i denti nel suo collo.

Santi numi: avevano raggiunto la sommità del muro.

Mi voltai, incoccai e scoccai: non fu un colpo mortale, ma bastò a staccare il Craven dalla guardia e a farlo precipitare. Tuttavia, non cadde da solo: il soldato barcollò all’indietro e scomparve nel vuoto insieme alla creatura. Trattenni un grido e mi convinsi che quel pover’uomo fosse già morto, prima che il tonfo umido della carne sul terreno mi costringesse a chiudere gli occhi per un istante.

I Craven avevano menti ridotte e in putrefazione, ma erano comunque abbastanza furbi da sapere che dovevano puntare agli arcieri. Una volta avevo sentito Vikter dire che la sola cosa paragonabile alla loro sete di sangue era il loro istinto di sopravvivenza.

Uno strillo acuto mi fece riscuotere di nuovo: sulla destra, un’altra creatura aveva raggiunto la sommità e afferrato un arciere, che lasciò andare l’arco e abbracciò l’avversario gettandosi in avanti.

Precipitò giù dall’Alzata, trascinando il Craven con sé.

Una nuova cascata di frecce infuocate riempì il cielo sopra il muro e piombò a terra, abbattendo mostri e uomini, senza distinzioni. Al di sopra delle urla e degli ululati, gli zoccoli tuonavano sul selciato e il terreno, ma io non riuscivo a staccare gli occhi dal corpo inerme dell’arciere appena precipitato, ora ricoperto di Craven brulicanti.

Si era sacrificato. Quel soldato senza nome e senza volto aveva scelto la morte pur di impedire a un nemico di raggiungere l’altro lato dell’Alzata.

Ricacciando indietro le lacrime, scossi la testa senza emettere un suono e mi costrinsi a tornare in azione, mentre urla di battaglia esplodevano poco lontano. Mi sporsi a guardare appena oltre il parapetto e vidi nuove guardie a cavallo riversarsi fuori dal cancello, brandendo lame ricurve. Si divisero in due direzioni, con l’obiettivo di sbarrare l’accesso all’Alzata, e, non appena furono fuori, il cancello si richiuse alle loro spalle.

Un Craven attaccò una guardia, balzandole addosso come avrebbe fatto un felino della giungla e disarcionandola. Rotolarono insieme sul terreno.

«Dannazione» sibilai, e mirai al Craven che aveva scalato già metà dell’Alzata.

Lo colpii alla sommità del cranio e lo feci precipitare. Incoccai di nuovo, più veloce che potevo, e cercai un bersaglio in cima al muro: erano i più facili.

Cominciavo a rendermi conto che questi Craven erano diversi: sembravano meno… mostruosi. Come gli altri, parevano usciti da un orrendo incubo, eppure i loro volti erano meno scavati, i loro corpi meno avvizziti. Forse erano stati trasformati da poco? Possibile.

La battaglia ai piedi del muro si stava quietando, e i corpi si ammassavano gli uni sugli altri. Adocchiai Vikter che infilzava la testa di un Craven caduto. Mi inginocchiai per guardare al di sopra del muro e il mantello si scostò esponendo per intero all’aria fredda la mia gamba, dalla coscia alla caviglia. Restava solo una manciata di Craven, la metà dei quali era impegnata a masticare la carne delle guardie ferite, ormai dimentica di quel che li circondava: non riuscivo più a vederne vicino all’Alzata. Appoggiai la freccia contro l’arco e presi di mira una creatura che aveva squarciato l’armatura di una guardia e stava scavando nelle sue interiora esposte. Il povero soldato era già morto, ma non potevo sopportare che il Craven ne profanasse il corpo in quel modo.

Fissai la bocca grondante di sangue e pezzi di carne, e lanciai la freccia in modo che vi si piantasse proprio nel mezzo. Il mostro fu scaraventato all’indietro, ma alla mia soddisfazione si mescolò immediatamente il dolore: la nebbia si stava ormai diradando, e piano piano disvelava la vastità del massacro. In tanti avevano perso la vita quella notte. Troppi.

Assestai meglio la posizione del ginocchio sulla pietra fredda, presi un’altra freccia e…

«Tu devi essere una dea, Bele oppure Lailah, discesa tra noi in forma umana» disse una voce profonda alle mie spalle.

Con il fiato mozzo, mi girai facendo perno sul ginocchio, con la gonna che si alzava in un’onda attorno a me, e puntai la freccia dritta contro…

Hawke.

Oh, dei…

Nello stomaco mi si rimescolarono sollievo e disappunto. Lo fissai dall’alto: era in piedi, illuminato da un raggio lunare, come se i numi stessi lo avessero benedetto con il dono della luce eterna. I suoi zigomi pronunciati e la linea netta della mascella erano chiazzati di sangue nero. Le sue labbra piene erano semiaperte, come per accogliere un lievissimo respiro, e quegli occhi strani e bellissimi parevano quasi rifulgere nel pallore della luna.

Teneva al fianco la spada lorda di sangue. Sul suo corpetto di cuoio c’erano squarci di artigli, segno che arrivava dal cuore del combattimento.

Era stato al di là dell’Alzata, come Vikter: una cosa non richiesta a una guardia reale, ma lui non vi aveva badato. Fui pervasa da una calda ondata di rispetto e, prima ancora di rendermene conto, proiettai i miei sensi su di lui per accertarmi che non fosse ferito. Avvertii un soffio dell’angoscia che non lo abbandonava mai. La battaglia l’aveva alleviata un poco, le aveva dato una direzione in cui sfogarsi, come avrebbe potuto fare il mio tocco: un sollievo temporaneo, ma comunque reale. E non era ferito.

«Tu sei…» Mi fissò con occhi intensi e immobili quanto la lama al suo fianco. «Tu sei niente di meno che una meraviglia. Sei bellissima.»

Sobbalzai per la sorpresa. Aveva già detto che ero bella, quando mi aveva vista in viso la prima volta, e mi era sembrato sincero. Ma in quel momento? Quelle che gli erano uscite di bocca erano parole che il più delle volte non significavano nulla e troppo di rado significavano tutto. Le aveva pronunciate con un tono che mi aveva trasmesso una sensazione vorticosa sul fondo dello stomaco, anche se lui non sapeva veramente con chi stava parlando, poiché il mio cappuccio si trovava ancora al proprio posto.

Dovevo andarmene da lì.

Lanciai uno sguardo oltre le sue spalle, alla ricerca della via di fuga più semplice, e trattenni il respiro: Hawke poteva non aver capito che ero la ragazza della Perla Rossa, ma non gli avrei mai permesso di comprendere che quella sull’Alzata ero proprio io, la Vergine. Non avevo idea di come avrebbe potuto reagire.

«L’ultima cosa che mi sarei aspettato era di trovare una dama incappucciata a difendere uno dei bastioni con il suo arco.» La fossetta occhieggiò dalla sua guancia destra, e io di nuovo mi sentii strattonare lo stomaco. Perché diavolo quell’uomo doveva avere un sorriso così affascinante? Era uno di quei tratti che, ne ero certa, faceva capitolare le ragazze a centinaia…

E dubitavo che una sola di esse se ne fosse mai pentita.

Io di certo non lo avrei fatto.

Mi tese una mano guantata. «Posso aiutarti?»

Trattenni una smorfia e abbassai l’arco, poi staccai una mano e gli feci cenno di arretrare. Non dissi nulla, per paura che potesse riconoscere la mia voce. Lui inarcò un sopracciglio scuro, fece un passo indietro e si posò la mano sul cuore.

Poi si inchinò.

Fu una vera e propria riverenza, un gesto talmente elaborato che una risata mi esplose in gola. Riuscii a non farla uscire mentre appoggiavo l’arco al parapetto e mi rialzavo. Tenendogli gli occhi addosso, e senza mai dargli le spalle, scesi la scala. I rumori della battaglia in basso erano quasi cessati: dovevo tornare subito nelle mie stanze, ma sotto gli occhi di Hawke non potevo rientrare nel castello dalla via attraverso la quale ero uscita, avrei destato troppi sospetti. Infilai l’arco sotto il mantello e me lo assicurai sulla schiena: sobbalzai quando sfiorò i lividi ancora freschi, e dovetti armeggiare per sistemarlo in una posizione più comoda.

«Sei una…» La voce di Hawke si spense, e sul suo viso apparve un’espressione che non riuscii a decifrare. Sospetto? Divertimento? Qualcosa di completamente diverso? Socchiuse gli occhi.

Sotto di noi, il cancello si aprì con un gemito per lasciare uscire la gente incaricata di recuperare morti e feriti. I corpi dei Craven sarebbero stati cremati lì dove giacevano. Feci per lasciare il bastione…

Ma Hawke con un movimento fluido si spostò per sbarrarmi il cammino. Il cuore perse un battito e le mie mani si serrarono da sole in un pugno, tanto che dovetti costringerle a rilassarsi. La luce divertita era scomparsa dai suoi occhi. «Che cosa ci fai qui?»

Insieme alla curiosità se n’era andata anche la pazienza. Gli passai accanto sapendo che dovevo scendere e mescolarmi alla folla di persone che tornavano a casa per fare il conto delle perdite. Lì in mezzo mi avrebbe persa di vista.

Ma non ci arrivai.

Hawke mi afferrò per un braccio. «Io credo che…»

L’istinto reagì al posto mio. Ruotai intorno al braccio che mi tratteneva, ignorando la staffilata di dolore alla schiena. La sorpresa balenò per un attimo sul suo volto, facendomi affiorare un sorrisetto feroce. Scivolai dietro di lui, mi abbassai e spazzai le sue gambe con un calcio. Lui riuscì a non cadere allargando le braccia, ma per farlo dovette lasciarmi andare.

Schizzai via e lo sentii imprecare dietro di me, mentre passavo dal bastione alla passerella interna dell’Alzata. Ma le scale più vicine erano ancora a vari metri di distanza…

D’improvviso mi sentii strattonare il mantello, con una forza tale che fui trascinata di schiena contro il muro. Cercai di divincolarmi, ma guadagnai appena qualche centimetro. Abbassai lo sguardo: un pugnale sporgeva dalla parete e inchiodava il mio mantello alla pietra. Rimasi a bocca aperta.

Hawke venne verso di me, il mento abbassato. «Non è stata una mossa molto educata.»

Be’, a dire il vero non lo era stata neanche la sua.

Afferrai il manico del pugnale, liberandomi dal muro, poi lo feci ruotare in aria per afferrare la lama, piegai il braccio per caricare il colpo e…

«Non farlo» fece Hawke, fermandosi.

Lanciai il pugnale verso la sua faccia fastidiosamente bella. Hawke si spostò, come mi aspettavo che facesse… e l’afferrò a mezz’aria, come se niente fosse. Una cosa impressionante.

Provai una fitta di invidia. Io non sarei mai riuscita a fare una cosa del genere e, probabilmente, nemmeno Vikter.

Hawke sbuffò, con gli occhi che scintillavano come pepite d’oro, e abbassò di nuovo lo sguardo su di me.

Mi allontanai dal muro e feci per partire di corsa verso le scale più vicine. Se le avessi raggiunte…

Una forma scura mi si parò davanti. Mi fermai di colpo e persi l’equilibrio: dannate babbucce dalla suola morbida e liscia! Caddi malamente sul fianco, ingoiando il grido di dolore che mi trafisse il bacino. Almeno, mi rincuorai, non ero atterrata sulla schiena illividita.

Hawke si chinò di fronte a me, con il pugnale all’altezza della vita. «Questa è stata una mossa ancora meno educata.»

Come diavolo aveva fatto? Lanciai uno sguardo al muro sopra di noi: aveva corso lì sopra? Era largo appena qualche centimetro… Era pazzo.

«Mi rendo conto che i miei capelli avrebbero bisogno di una sistemata» continuò, «ma hai mirato decisamente troppo in alto. Dovresti lavorarci: ci tengo abbastanza quando si tratta della mia faccia.»

Sciocchezze. La mia mira era perfetta.

Con un ringhio silenzioso aspettai che mi arrivasse a tiro e scalciai forte, centrandolo alla caviglia e strappandogli un grugnito. Ignorando il dolore all’anca, balzai in piedi e mi voltai sulla destra, ma con un salto lui mi sbarrò di nuovo la strada. Questa volta, però, scartai a sinistra e quando lui mi si parò ancora davanti calciai di nuovo…

Hawke mi afferrò la caviglia e io ansimai e annaspai con le braccia, finché non ritrovai l’equilibrio, poi lo fissai con gli occhi sbarrati. Lui rispose alzando un sopracciglio, e il suo sguardo scese sulla mia gamba nuda. «Scandaloso» commentò a bassa voce.

Replicai con un ringhio di fastidio.

Hawke rise. «E pantofole così delicate. Raso e seta? Sono aggraziate quanto la tua gamba. Non proprio il genere di calzatura che ti aspetteresti da una Guardia dell’Alzata.»

Ma che pensiero acuto.

«A meno che non ricevano un equipaggiamento molto diverso dal mio.» Hawke mi lasciò andare la caviglia, ma prima che potessi scappare mi prese per un braccio e tirò. Di colpo mi ritrovai in punta di piedi, contro di lui.

Mi sfuggì tutta l’aria dai polmoni. Avevo il seno premuto contro il cuoio e il ferro del suo stomaco, ma il calore che emanava dal suo corpo sembrava trapassare l’armatura, il mio mantello e l’abito sottile che indossavo sotto. Inspirai a fondo e mi sentii attraversare da una ventata rovente: sotto il lezzo di sangue di Craven, il suo corpo sapeva di spezie e fumo denso. Sentii avvampare anche le guance.

Lui dilatò per un attimo le narici e, per quanto potesse sembrare assurdo, il colore dei suoi occhi parve mutare in una sfumatura di ambra ancora più profonda. Alzò la mano libera. «Sai che cosa sto pensando? Che…»

La lama che toccò la sua gola lo zittì. Serrò le labbra e mi fissò. Ma non si mosse, né mi lasciò andare, per cui premetti la punta del pugnale quanto bastava per spillare una singola goccia di sangue.

«Mi correggo.» Rise, e un sottile rivolo rosso scorse giù per il suo collo. Ma non era una risata crudele o denigratoria: suonava sinceramente divertito. «Sei davvero incredibile, piccola assassina.» Tacque un attimo e guardò in basso. «Bell’arma. Diaspro sanguigno e osso di Wolven. Una combinazione interessante…» Rialzò lo sguardo su di me. «…principessa.»