17

Si era ripulito il sangue dal viso e i suoi capelli scuri formavano riccioli umidi sulle tempie e sulla fronte. Non aveva più la spada grande con sé, ma le due più corte gli pendevano ancora dalla cintura. Così, in piedi nelle mie stanze, con i piedi fasciati dagli stivali leggermente divaricati e la linea della mascella dura, Hawke mi ricordò Theon, il Dio degli Accordi e della Guerra.

Sembrava non meno pericoloso di quanto lo fosse stato sull’Alzata e, dal fuoco che incendiava i suoi occhi d’ambra, era chiaro che non veniva in pace.

Lanciò un’occhiata a Tawny, immobile e muta esattamente come me. «I tuoi servigi non sono più richiesti per questa sera.»

Tawny rimase a bocca aperta.

Io invece mi riscossi dal mio stupore. «Non hai alcuna autorità per mandarla via!»

«Ah no?» Hawke alzò un sopracciglio. «In quanto guardia reale incaricata della tua protezione, ho l’autorità per allontanare qualunque minaccia.»

«Minaccia?» Tawny aggrottò le ciglia. «Io non sono una minaccia.»

«Sei una minaccia perché menti o inventi scuse a beneficio di Penellaphe. Come hai fatto ora quando mi hai detto che stava dormendo, mentre so benissimo che fino a poco fa si trovava sull’Alzata.»

Tawny chiuse la bocca, poi si voltò verso di me. «Ho la sensazione che mi manchi qualche informazione rilevante.»

«Non ho avuto il tempo di dirtelo» risposi. «E non era così importante.»

Tawny alzò le sopracciglia.

Hawke invece arricciò il naso. «Sono abbastanza sicuro che sia la cosa più importante che ti è successa da parecchio tempo.»

Strinsi gli occhi. «Se davvero pensi questo, sopravvaluti il tuo peso nella mia vita.»

«L’idea che ho del ruolo che ricopro nella tua vita è aderente alla realtà.»

«Ne dubito» replicai, ripetendo le sue parole di poco prima.

«A volte mi chiedo se credi davvero alla metà delle menzogne che racconti.»

Lo sguardo di Tawny non faceva che spostarsi da lui a me.

«Per tua informazione, non sto affatto mentendo.»

Hawke sorrise, e la fossetta sulla sua guancia ricomparve. «Se è ciò che hai bisogno di dire a te stessa, principessa…»

Picchiai un piede per terra. «Smettila di chiamarmi in quel modo!»

Lui alzò un sopracciglio. «Ti fa stare meglio tirare calci al pavimento?»

«Sì, perché l’unica alternativa che ho è tirarli a te.»

Lui ridacchiò. «Violenta come al solito.»

Oh, dei.

Strinsi i pugni. «Non dovresti essere qui.»

«Sono la tua guardia del corpo. Posso essere ovunque mi sembri necessario essere per tutelare la tua sicurezza.»

«E che cosa potrebbe mai minacciarmi nelle mie stanze?» Mi guardai attorno. «Sbattere un dito del piede contro una malvagia colonnina del letto? No, aspetta: forse hai paura che possa perdere i sensi? So che sei specializzato nella gestione di questo genere di emergenze.»

«In effetti mi sembri un po’ pallida» fu la sua risposta. «La mia abilità nell’afferrare al volo fanciulle fragili e delicate potrebbe tornare utile.»

Inspirai bruscamente.

«Ma a quanto posso constatare, a parte l’occasionale tentativo di rapimento, sei tu, principessa, la più grande minaccia per te stessa.»

«Effettivamente…» Tawny pronunciò la parola inspirando, e quando le lanciai un’occhiata che avrebbe dovuto farla fuggire dalla stanza a gambe levate, si limitò a scrollare le spalle. «Su questo punto non ha tutti i torti.»

«Non sei per niente d’aiuto.»

«Io e Penellaphe dobbiamo parlare» disse Hawke senza staccarmi gli occhi di dosso. «Ti posso assicurare che in mia compagnia è al sicuro, e sono piuttosto certo che più tardi ti riferirà ogni singola parola che ci saremo detti.»

Tawny incrociò le braccia sul petto. «Vero, ma non sarebbe nemmeno lontanamente interessante quanto assistere di persona.»

Sospirai. «È tutto a posto, Tawny. Ci vediamo domattina.»

Lei mi fissò. «Sei seria?»

«Lo sono. Ho paura che se non ci lasci soli, lui se ne starà lì a consumare la preziosa aria della mia stanza…»

«E ad abbellirla con la mia eccezionale avvenenza» aggiunse Hawke. «Hai dimenticato questo dettaglio.»

Tawny ridacchiò.

Io lo ignorai. «Il punto è che vorrei riuscire a dormire almeno un po’ prima dell’alba.»

Tawny esalò un respiro sonoro. «Va bene.» Lanciò un’occhiata a Hawke. «Principessa

«Oh, dei…» bofonchiai. La testa aveva cominciato a farmi male, appena dietro gli occhi.

Hawke la seguì con lo sguardo e, solo dopo che fu scomparsa dietro la porta della stanza adiacente, disse: «Lei mi piace».

«Buono a sapersi. Dunque, di cosa devi parlarmi di così importante che non poteva aspettare domani mattina?»

Il suo sguardo tornò su di me. «Hai dei bellissimi capelli.»

Sbattei le palpebre. In quel momento avevo i capelli sciolti e, anche senza vederli, sapevo che dovevano essere un ammasso di onde caotiche. Resistetti all’impulso di toccarli. «È di questo che volevi parlare?»

«Non proprio.» Il suo sguardo percorse senza fretta tutto il mio corpo, dalle spalle in giù fino alla punta dei piedi. Me lo sentii addosso come se mi stesse davvero toccando, e ovunque passasse lasciava dietro una sensazione di calore.

In quel preciso istante, non solo mi sovvenne che avevo il viso scoperto, ma anche che non indossavo altro che una leggerissima veste da notte, la quale, alla luce del camino e delle lampade a olio alle mie spalle, nascondeva ben poco della forma del mio corpo agli occhi di Hawke. Il calore si intensificò, e dilagò ovunque. Lanciai un’occhiata al mantello che giaceva ai piedi del letto.

Le labbra di Hawke si torsero in un sorrisetto consapevole, che mi fece avvampare di irritazione.

Lo fissai negli occhi e sostenni il suo sguardo. Hawke poteva non avere ancora visto completamente ciò che era nascosto a stento dalla sottile stoffa bianca, ma aveva comunque già sentito tutto con le mani. Una parte di me avrebbe voluto spostare i capelli per nascondere le cicatrici, ma lui le aveva già viste, e in ogni caso io non me ne vergognavo. Non avrei mai e poi mai permesso a quello che aveva detto il duca – quando Hawke aveva detto che ero bella – di avere un impatto su di me: nascondere il viso non aveva alcun senso, e cosa ancora più importante, avrei giurato che nei suoi occhi ci fosse uno sguardo di sfida. Come se si fosse aspettato che mi coprissi.

Ebbene, non lo avrei fatto. Passò un lungo istante. «Avevi addosso solo quella sotto il mantello?»

Tenni le mani immobili lungo i fianchi. «Non sono affari tuoi.»

Per un momento qualcosa passò sul suo volto. Mi ricordò l’espressione che mi rivolgeva Vikter quando capitava che lo battessi, ma fu troppo breve perché potessi esserne certa.

«Invece lo sono eccome» disse.

Il tono basso e roco della sua voce mi fece venire la pelle d’oca. «Direi che è un problema tuo, allora, non mio.»

Mi fissò di nuovo con quella sua strana espressione a metà tra il divertimento e la curiosità. «Sei… completamente diversa da qualunque cosa mi fossi aspettato.»

La sua voce suonava così sincera che un po’ della mia irritazione si dissipò. «Perché hai visto che so usare l’arco e la spada, o perché ti ho messo al tappeto?»

«Quasi messo al tappeto.» Abbassò il mento e le ciglia, che coprirono in parte i suoi strani occhi. «Tutte queste cose insieme, ma hai dimenticato di aggiungere la Perla Rossa. Un posto dove non mi sarei mai aspettato di incontrare la Vergine.»

Storsi il naso. «No, suppongo di no.»

Rialzò le ciglia, e nei suoi occhi lessi una montagna di domande. Questa volta non sarei riuscita a evitarle.

D’improvviso mi sentii troppo stanca per continuare a discutere o anche solo per restare in piedi. Mi diressi verso una delle due sedie accanto al camino, ben consapevole di quanto la veste si aprisse sui fianchi mostrando le gambe quasi per intero.

E altrettanto consapevole che Hawke stava seguendo ogni mio passo.

«Era la prima volta che mettevo piede alla Perla Rossa.» Mi sedetti con le mani in grembo. «E sono salita al secondo piano solo perché era entrato Vikter.» Arricciai il naso e scrollai le spalle. «Mi avrebbe riconosciuta, anche con la maschera. Sono salita perché una donna mi ha detto che la stanza di sopra era vuota.» Avevo ancora l’impressione che mi avesse mentito di proposito, ma non era quello il momento per pensarci. «Non ti sto raccontando tutto questo perché sento il bisogno di giustificarmi: sto solo… dicendo la verità. Non sapevo che ci fossi tu in quella stanza.»

Lui non si mosse. «Ma sapevi chi ero.» Non era una domanda.

«Ovviamente.» Spostai lo sguardo sul fuoco. «Il tuo arrivo qui aveva già suscitato… parecchie chiacchiere.»

«Ne sono lusingato.»

Arricciai le labbra, fissando le fiamme che danzavano e ondeggiavano sopra i ciocchi. «Perché ho deciso di restare nella stanza, invece, non è argomento di discussione.»

«So perché hai deciso di restare nella stanza.»

«Ah sì?»

«Sì. Ora ne vedo il senso.»

Tornai con il pensiero a quella sera e a quello che Hawke aveva detto. Sembrava avere capito che mi trovavo lì per fare delle esperienze, per vivere. In effetti, ora che sapeva chi ero realmente, la cosa doveva sembrargli sensata.

Ma rimaneva un discorso che non avevo alcuna intenzione di intraprendere. «Che intendi fare, per quanto riguarda la mia presenza sull’Alzata, stanotte?»

Hawke rimase a lungo in silenzio, poi mi raggiunse a passi che emanavano una grazia felina e indicò la sedia vuota. «Posso?»

Annuii.

Sedette di fronte a me e si chinò in avanti appoggiando i gomiti alle ginocchia. «È Vikter che ti ha addestrata, non è vero?»

Il mio cuore palpitò, ma non cambiai espressione.

«Non può che essere stato lui. Voi due siete legati, ed è qui con te da quando sei arrivata a Masadonia.»

«Hai fatto domande in giro, vedo.»

«Sarebbe stato sciocco da parte mia non scoprire tutto il possibile sulla persona che ho giurato di proteggere con la mia vita.»

Su quello non potevo dargli torto.

«Non risponderò alla tua domanda.»

«Hai paura che lo riferisca al duca, anche se non l’ho fatto finora?»

«Sull’Alzata hai detto che lo avresti fatto» gli ricordai. «Che avrebbe semplificato il tuo lavoro. Ma io non ho intenzione di trascinare nessun altro giù con me.»

Lui piegò la testa di lato. «Ho detto che dovrei farlo. Non che lo farò.»

«Qual è la differenza?»

«Dovresti conoscerla.» Mi lanciò una rapida occhiata. «Che cosa avrebbe fatto Sua Grazia se fossi andato a riferirgli tutto?»

Serrai di nuovo i pugni. «Non ha importanza.»

«Allora perché hai detto che io non avevo idea di che cosa avrebbe potuto fare? Sembravi sul punto di dire altro, ma poi ti sei fermata.»

Distolsi lo sguardo e lo riportai sul fuoco. «Non ero sul punto di dire niente.»

Hawke rimase a lungo in silenzio. «Sia tu che Tawny avete reagito in modo strano quando ti ha fatta chiamare.»

«Semplicemente non ce lo aspettavamo.» La menzogna mi uscì rapida e spontanea.

Un altro lungo istante di silenzio. «Perché dopo avere visto il duca sei rimasta chiusa nelle tue stanze per quasi due giorni?»

Mi piantai le unghie nel palmo della mano e una fitta acuta di dolore mi percorse il braccio. Nel camino le fiamme stavano morendo e mandavano tenui bagliori.

«Che cosa ti ha fatto?» chiese Hawke con voce troppo morbida.

Una vergogna soffocante, dal sapore acre, mi risalì per la gola. «Che cosa ti importa?»

«Secondo te non dovrebbe importarmi?» Di nuovo, la sua voce sembrava incredibilmente sincera.

Mi voltai verso di lui prima di rendermene conto. Era seduto di nuovo dritto, con le mani sui braccioli della sedia. «Tu non mi conosci…»

«Scommetto che ti conosco meglio di un sacco di gente.»

Sentii le guance avvampare. «Quello non significa conoscermi, Hawke. Non abbastanza perché ti importi.»

«Per esempio, so che sei diversa dagli altri membri della Corte.»

«Non sono un membro della Corte» feci notare.

«Sei la Vergine. La gente comune ti considera figlia degli dei e ti colloca più in alto ancora degli Ascesi. Ma io so che sei una persona compassionevole: alla Perla Rossa, quando abbiamo parlato della morte, hai espresso rammarico sincero per tutte le mie perdite. Ho sentito che la tua non era ipocrisia.»

«E come lo avresti sentito?»

«Sono bravo a giudicare la gente e i suoi discorsi. Per esempio, hai avuto paura di parlarmi pensando che ti saresti fatta scoprire, fino a quando non ho fatto riferimento a Tawny come alla tua cameriera. L’hai difesa a rischio di esporre te stessa.» Rimase in silenzio per un po’. «E poi ti ho vista.»

«Cosa?»

Si sporse di nuovo in avanti e abbassò la voce. «Ti ho vista al Consiglio Cittadino. Non eri d’accordo con il duca e la duchessa. Non riuscivo a vederti in viso, ma si capiva che eri a disagio: ti dispiaceva per quella famiglia.»

«Dispiaceva anche a Tawny.»

«Senza offesa per la tua amica, ma è sembrata mezza addormentata per gran parte del Consiglio.»

Non tentai di contraddirlo su quel punto. Quello che aveva visto quel giorno, tuttavia, era solo l’attimo in cui avevo perso il controllo del mio dono, fatto che comunque non cambiava il mio essere in disaccordo con ciò che era capitato alla famiglia Tulis.

«E poi sai combattere. Combattere bene. E sei coraggiosa: molti uomini, anche addestrati, non salirebbero sull’Alzata durante un assalto di Craven se non fossero costretti. Gli Ascesi potrebbero farlo e avrebbero molte più probabilità di sopravvivere, ma non lo fanno. Tu lo hai fatto.»

Scossi la testa. «Quelle che stai elencando sono solo caratteristiche. Saperle notare non significa che ti debba importare di quello che mi succede o non mi succede.»

I suoi occhi tornarono nei miei. «A te importa di cosa succede a me?»

«Be’, sì.» Corrugai la fronte. «Voglio dire…»

«Eppure non mi conosci.»

Chiusi la bocca. Dannazione.

«Tu sei una brava persona, principessa.» Tornò ad appoggiare la schiena alla sedia. «Per questo ti importa.»

«E tu? Tu non sei una brava persona?»

Hawke abbassò lo sguardo. «Sono molte cose. Una brava persona lo sono assai di rado.»

A quella ammissione così sincera non seppi che cosa rispondere.

«Non mi dirai che cosa ti ha fatto il duca, vero?» Sospirò e si ingobbì leggermente. «Ma sappi che lo scoprirò da solo, in un modo o in un altro.»

Fui sul punto di scoppiare a ridere. Se c’era una cosa di cui ero sicurissima che nessuno parlava mai, era quella. «Se lo dici tu.»

«Lo dico perché lo so.» Seguì un silenzio breve quanto un palpito. «È strano, non è vero?»

«Che cosa?»

Il suo sguardo incrociò di nuovo il mio, e sentii un nodo al petto. Anche provandoci, non riuscii a smettere di guardarlo: ero incatenata ai suoi occhi. «È come se ti conoscessi da molto tempo. Molto di più. E provi la stessa sensazione anche tu, dico bene?»

Avrei voluto negarlo, ma aveva ragione ed era strano. Fino a quel momento non lo avevo ammesso neanche a me stessa: farlo mi avrebbe dato la sensazione di imboccare una strada che non volevo percorrere. Al solo pensiero mi si torse qualcosa nel petto, e rifiutai di riconoscere anche quello, perché assomigliava troppo alla delusione. E poi, avrebbe significato che avevo già imboccato il cammino che desideravo evitare. Riuscii a interrompere il nostro contatto di sguardi e portai gli occhi sulle mani che avevo in grembo.

«Perché sei andata sull’Alzata?» chiese Hawke, cambiando discorso.

«Non è ovvio?»

«La tua motivazione no. Spiegami almeno quella. Spiegami che cosa ti ha spinta ad andare lassù a combattere i Craven.»

Mi costrinsi ad aprire le dita e ne infilai due nella mia manica destra, percorrendo la pelle fino a incontrare due cicatrici dai bordi irregolari. Ne avevo anche altre, sullo stomaco e sulle cosce. Sarebbe stato facile mentire, inventare una scusa qualsiasi, ma non c’era nulla di male nel dire la verità: avrebbe fatto differenza se al mondo l’avessero saputa in tre, anziché in due? Improbabile.

«Le cicatrici che ho in viso. Sai come me le sono procurate?»

«La tua famiglia fu assalita dai Craven quando eri bambina. Vikter…»

«Te lo ha raccontato?» Un sorrisetto stanco mi affiorò sulle labbra. «Non sono le uniche». Poiché lui non diceva nulla, tirai fuori la mano dalla manica. «Quando avevo sei anni i miei genitori decisero di trasferirsi dalla capitale alla Valle di Niel. Cercavano una vita più tranquilla, o almeno così dicevano. Non ricordo molto del viaggio, se non che furono entrambi incredibilmente tesi per tutto il tempo. Io e Ian eravamo piccoli e non sapevamo granché dei Craven, perciò non avevamo paura di trovarci fuori da una città e non ci preoccupammo nemmeno quando facemmo sosta in un piccolo villaggio… un posto che, lo seppi in seguito, non vedeva un attacco di Craven da decenni. Come spesso accade nei villaggi, intorno c’era solo un basso muretto. Ci fermammo alla locanda per una notte soltanto. Mi ricordo che nell’aria c’era profumo di cannella e chiodi di garofano.»

Chiusi gli occhi. «Arrivarono di notte, nella nebbia. Non ci fu tempo per fare nulla. Mio padre… uscì in strada e tentò di tenerli lontani mentre mia madre ci nascondeva, ma riuscirono lo stesso a entrare dalla porta e dalle finestre ancora prima che lei potesse uscire.» Il ricordo delle sue urla mi fece riaprire gli occhi. Deglutii. «Una donna che alloggiava alla locanda riuscì ad afferrare Ian e a trascinarlo nella sua stanza, ma io non volli lasciare mia madre e…» Ricordi sbriciolati di quella notte tentarono di ricongiungersi nella mia mente. Sangue sul pavimento. Sangue sulle pareti. Sangue che scorreva dalle braccia di mia madre. Il momento in cui avevo perso la presa della sua mano scivolosa. E mani adunche e denti scoperti. E artigli… E poi un dolore fiammeggiante, incommensurabile, e finalmente il buio. «Mi svegliai giorni dopo. Mi avevano riportata nella capitale. Al mio capezzale c’era la Regina Ileana, che mi raccontò quello che era successo. Fu lei a spiegarmi che i miei genitori non c’erano più.»

«Mi dispiace» fece Hawke. Io annuii. «Dico sul serio. È un miracolo che tu sia sopravvissuta.»

«Gli dei mi hanno protetta. Così mi disse la regina. Disse che ero la Prescelta. Seppi in seguito che quella era una delle ragioni per le quali la regina aveva supplicato i miei genitori di non lasciare la sicurezza della capitale: se… se l’Oscuro avesse avuto sentore che la Vergine era vulnerabile, avrebbe scatenato i Craven contro di me. A quel tempo mi voleva morta. Oggi, a quanto pare, mi preferirebbe viva.» Scoppiai a ridere, e mi fece male.

«Quello che è accaduto alla tua famiglia non è colpa tua. I Craven potrebbero avere attaccato quel villaggio per mille ragioni diverse.» Hawke si passò la mano tra i capelli ormai asciutti, scostandoseli dalla fronte. «Che cos’altro ricordi?»

«Nessuno… Non una sola persona in quella locanda sapeva combattere. Né i miei genitori, né le donne, né gli uomini. Si affidavano tutti a una manciata di guardie.» Mi sfregai le mani. «Se i miei genitori avessero saputo difendersi, forse sarebbero sopravvissuti. Magari avrebbero avuto solo una piccola possibilità, ma ci sarebbe stata.»

Qualcosa balenò sul volto di Hawke: aveva capito. «E tu vuoi quella possibilità per te stessa.»

Annuii. «Mi rifiuto di essere indifesa.»

«Nessuno dovrebbe esserlo.»

Esalai un piccolo sospiro e smisi di sfregarmi le mani. «Hai visto cos’è successo stasera. Hanno raggiunto la cima dell’Alzata. E se ce la fa uno, ce la faranno altri. Nessuna Alzata è impenetrabile, e anche se lo fosse, da fuori arrivano comunque nuovi mortali maledetti. Accade più spesso di quanto la gente pensi: la maledizione può diffondersi dentro una città in qualsiasi momento. Dunque, se devo cadere…»

«Cadrai combattendo.»

Annuii.

«Come ho detto, sei coraggiosa.»

«Io non lo chiamerei coraggio.» Mi fissai di nuovo le mani. «È più… paura.»

«Non è raro che paura e coraggio siano la stessa cosa. Possono trasformarti in un vigliacco o in un guerriero. Ciò che fa la differenza è il tipo di persona in cui quei sentimenti risiedono.»

Lo fissai in un silenzio attonito. Ci misi un po’ per riuscire a formulare una risposta. «Parli come una persona molto più vecchia dei tuoi anni.»

«Solo la metà delle volte» fu il suo commento. «Hai salvato molte vite stasera, principessa.»

Ignorai il nomignolo con cui insisteva a chiamarmi. «Ma molte altre sono andate perdute.»

«Troppe. I Craven sono una piaga che non ha fine.»

Appoggiai la testa allo schienale della sedia e allungai i piedi in direzione del fuoco. «Finché esisteranno gli Atlantiani, esisteranno i Craven.»

«Così dicono» fu la sua replica e, quando lo guardai, un muscolo guizzò sulla sua mascella. Aveva gli occhi fissi sul fuoco. «Hai detto che le persone che tornano indietro con addosso la maledizione sono più di quante la gente pensi: come fai a saperlo?»

Rimasi a bocca aperta. Maledizione. Come facevo?

«Voci.»

Merda.

Hawke riportò lo sguardo su di me. «Non è una cosa di cui la gente parli spesso, e quando lo fa è solo sottovoce.»

Il mio disagio crebbe. «Spiegati meglio.»

«Ho sentito dire che una figlia degli dei ha aiutato alcune persone colpite dalla maledizione.» Mi irrigidii. «Che le ha aiutate dando loro una morte dignitosa.»

Non sapevo se a quel punto avrei dovuto essere sollevata dal fatto che non avesse sentito altro e che non si parlasse del mio dono. Ma il fatto che a una persona come lui, arrivata in città da poco, fossero già giunte quelle voci non era esattamente rassicurante.

Se Vikter lo avesse saputo, non ne sarebbe stato contento. In ogni caso, dubitavo che mi avrebbe permesso di accompagnarlo ancora, dopo ciò che era accaduto l’ultima volta.

«Chi racconta queste cose in giro?» chiesi.

«Alcune guardie.» Lo stomaco mi si contrasse ancora di più. «A dire la verità, all’inizio non ci ho creduto.»

Mi ricomposi. «Be’, avresti dovuto attenerti alla tua reazione iniziale. Si sbagliano di grosso se pensano che io commetterei un simile atto di tradimento verso la Corona.»

I suoi occhi guizzarono sul mio viso. «Non ti ho detto poco fa che sono bravo a giudicare le persone?»

«E quindi?»

«Quindi so che stai mentendo.» Mi chiesi che cosa gli facesse credere che fossi proprio io la persona di cui chiacchieravano le guardie. «E ne capisco anche la ragione. Quelle persone parlavano di te con un tale stupore reverenziale, che persino prima di incontrarti mi aspettavo di trovarmi davanti a una vera figlia degli dei. Non ti avrebbero mai tradito.»

«Eppure li hai sentiti parlare. E anche altri avranno sentito.»

«Forse mi sono espresso male. Non sono voci che ho sentito per strada: quelle persone stavano parlando con me. Anche io ho aiutato alcune vittime della maledizione a morire dignitosamente, sia nella capitale che qui.»

Socchiusi le labbra mentre il mio stomaco si quietava, ma il cuore continuò a fare su e giù come un pesce gettato fuori dall’acqua.

«Quelli che tornano indietro maledetti hanno già dato la loro vita per il regno» proseguì. «Andrebbero trattati come degli eroi. Trascinarli in piazza e ammazzarli davanti a tutti è l’ultima cosa al mondo che dovrebbe essere inflitta a loro e alle loro famiglie.»

Non sapevo cosa dire e rimasi a fissarlo. Aveva detto esattamente quello che pensavo anch’io, e sapevo che là fuori c’erano altri che pensavano la stessa cosa, ovviamente. Ma sapere che Hawke era disposto a rischiare l’accusa di alto tradimento per fare quello che riteneva giusto…

«Ti ho tenuta sveglia anche troppo.»

Inarcai un sopracciglio. «Ed è tutto quello che hai da dire in merito alla mia presenza sull’Alzata?»

«Ti chiedo solo un’ultima cosa.» Si alzò, e mi preparai a sentirmi dire che non voleva vedermi mai più su quel muro, e a rispondere che avrei obbedito. Ovviamente non lo avrei fatto, e altrettanto ovviamente lui non mi avrebbe creduto. «La prossima volta che esci, porta abiti più pesanti e calzature più adatte. Quelle pantofole finiranno per ammazzarti, e quel vestito… per ammazzare me.»