Hawke fece rientrare rapidamente me e Tawny nel castello mentre Vikter andava a parlare con il comandante.
«Dove diamine ha trovato una mano di Craven quell’uomo?» Gli angoli della bocca di Tawny erano irrigiditi, mentre passavamo sotto gli stendardi del salone.
«Direi che è uscito dalle mura e l’ha tagliata a uno dei cadaveri rimasti sul campo ieri notte» rispose Hawke.
«Ma questo è…» Tawny si portò una mano al petto. «No, non trovo le parole giuste per un simile atto.»
Nemmeno io le trovavo, ma pensai che la mano poteva venire anche da una persona maledetta trovata dal nostro lato dell’Alzata. Me lo tenni per me, mentre proseguivamo oltrepassando un gruppo di servitori. «Io non riesco a credere che abbia detto quelle cose sui bambini… sui terzi e quarti figli.»
«Neppure io» disse Tawny.
Era veramente un’accusa tremenda. Quei bambini, molti dei quali ormai adulti, servivano gli dei nei Templi: per quanto potessi non essere d’accordo sul non fare mai eccezioni, insinuare che venissero rapiti per scopi orribili era assolutamente oltraggioso. E ci voleva poco perché voci come quelle dilagassero, simili a un’infezione capace di avvelenare le menti delle persone: non riuscivo nemmeno a immaginare cosa potessero pensare, a quel punto, i genitori di quei piccoli.
«Non mi meraviglierei se quelle cose le pensasse un bel po’ di altra gente» commentò Hawke. Sia io che Tawny ci voltammo nella sua direzione e lui, che camminava al mio fianco un passo più indietro, alzò le sopracciglia. «Nessuno ha mai più visto quei bambini.»
«Li vedono i Sacerdoti, le Sacerdotesse e gli Ascesi» lo corresse Tawny.
«Ma non le loro famiglie.» Gli occhi di Hawke corsero alle statue mentre ci avvicinavamo alle scale. «Magari, se le persone comuni potessero vedere i loro figli una volta ogni tanto, chiacchiererebbero di meno. Le loro paure si quieterebbero.»
Non avrei saputo dargli torto. Eppure…
«Nessuno dovrebbe lanciare accuse come quelle senza uno straccio di prova» risposi. «Così si ottiene solo di diffondere panico inutile… Sono stati i Caduti a crearlo, e intendono sicuramente sfruttarlo a loro vantaggio.»
«Concordo.» Hawke abbassò gli occhi. «Guarda dove metti i piedi. Non vorrai continuare con la tua nuova abitudine, principessa.»
«Inciampare una volta non è un’abitudine» ribattei. «E se concordi, come mai dici che non saresti sorpreso se molta gente pensasse quelle cose?»
«Perché anche se sono d’accordo con te non significa che non capisca come ragionano le persone» rispose, e io chiusi la bocca. «Se gli Ascesi temessero davvero che la gente prenda sul serio quelle dicerie, non dovrebbero fare altro che mostrare i bambini in pubblico. Non riesco proprio a immaginare come questo potrebbe interferire con il loro lavoro al servizio degli dei.»
No, in effetti non lo capivo nemmeno io.
Lanciai un’occhiata a Tawny mentre salivamo al secondo piano, diretti verso la parte più vecchia del castello: stava fissando Hawke.
«Tu cosa ne pensi?» le chiesi.
Lei mi guardò sbattendo le palpebre. «Penso che state dicendo entrambi la stessa cosa.»
Hawke fece un mezzo sorriso. Io non dissi nulla.
Arrivammo in cima alle scale e Hawke si fermò davanti alla porta di Tawny. «Se non è un problema, vorrei parlare un minuto in privato con Penellaphe.»
Alzai le sopracciglia sotto il velo. Tawny spostò un malcelato sguardo da me a lui, abbozzando un sorrisetto, ma aspettò che fossi io a esprimermi.
«Per me va bene» dissi.
Tawny annuì, aprì la sua porta e si fermò un attimo sulla soglia. «Se hai bisogno di me, bussa.» Tacque un istante. «Principessa.»
Le rivolsi un gemito.
Hawke ridacchiò. «Lei mi piace davvero molto.»
«Sono certa che sarebbe felicissima di saperlo.»
«A te farebbe piacere sentirmi dire che mi piaci?»
Il mio cuore perse un battito, ma lo ignorai. «E a te dispiacerebbe se dicessi di no?»
«Ne sarei devastato.»
Arricciai il naso. «Ah, ne sono sicura.» Arrivammo alla mia porta. «Di che cosa mi devi parlare?»
Lui fece per entrare. Immaginando che non volesse essere sentito da altri, aprii la porta…
«Dovrei entrare io per primo, principessa.» E mi passò avanti con facilità.
«Perché?» Corrugai la fronte. «Pensi che ci sia qualcuno in agguato?»
«Se l’Oscuro è venuto a cercarti una volta, lo farà ancora.»
Un brivido mi scese lungo la spina dorsale, mentre lui entrava nella stanza. C’erano due lampade accese accanto alla porta e al letto, e nel camino era stata aggiunta legna: la camera era immersa in una luce calda e morbida. Anziché guardare il letto, mi ritrovai a fissare la schiena muscolosa di Hawke che perquisiva la stanza. I capelli gli sfioravano il collo della tunica e sembravano così… morbidi. Quella sera alla Perla Rossa non li avevo toccati. Ora rimpiangevo di non averlo fatto.
Avevo bisogno di aiuto.
«Posso entrare adesso?» chiesi battendo le mani. «O devo aspettare che tu stani tutti i gomitoli di polvere da sotto il letto?»
Hawke lanciò un’occhiata al di sopra della mia spalla. «Non è della polvere che mi preoccupo. Semmai di tutto ciò su cui potresti inciampare...»
«Oh, dei…»
«L’Oscuro non smetterà di venire qui finché non avrà ottenuto quello che vuole.» Hawke distolse lo sguardo e io rabbrividii. «La tua stanza dovrà sempre essere controllata prima che tu entri.»
Incrociai le braccia sul petto. Nonostante il fuoco, avevo freddo. Osservai Hawke che tornava alla porta e la chiudeva silenziosamente.
Poi si voltò verso di me con una mano sul pomo della spada, e i miei battiti accelerarono di nuovo. I tratti del suo volto erano incredibilmente armoniosi, dalle labbra grandi alle sopracciglia arcuate, fino alle ombre sotto gli zigomi pronunciati. Avrebbe potuto benissimo fare da modello per uno dei ritratti appesi nell’Ateneo della città.
Mi fissò. «È tutto a posto?»
«Sì. Perché me lo chiedi?»
«Mi è sembrato che ti succedesse qualcosa mentre parlava il duca.»
Mi feci l’appunto mentale di non dimenticare quanto era acuta la sua capacità di osservazione. «Era…» Stavo per dire che era tutto a posto, ma mi resi conto che non mi avrebbe creduta. «Ho avuto un capogiro. Probabilmente non ho mangiato a sufficienza oggi.»
Lui scrutò la parte visibile del mio volto, e nonostante il velo mi sentii terribilmente esposta. «È una cosa che detesto.»
«Che cosa?»
Hawke tacque un attimo prima di rispondere. «Dover parlare a un velo.»
«Oh.» Lo capivo. Sfiorai il velo con le dita nel punto in cui mi copriva i capelli. «Non penso piaccia a molte persone.»
«Io penso che non piaccia nemmeno a te.»
«No» ammisi, e mi guardai attorno come se mi aspettassi di scorgere la Sacerdotessa Analia nascosta da qualche parte. «Preferirei che la gente potesse guardarmi in faccia.»
Hawke piegò la testa di lato. «Che sensazione si prova?»
L’aria mi pizzicò in gola. Nessuno… nessuno me lo aveva mai chiesto prima. Nella mia mente avevo un bel po’ di opinioni su quel velo, ma per quanto mi fidassi di Hawke non ero sicura di saperle mettere in parole.
Certe cose, una volta dette ad alta voce, acquistano una vita propria.
Sedetti sul bordo di una sedia, riflettendo, e di botto mi uscì dalla bocca la sola cosa che riuscii a pensare in quel momento: «La sensazione di soffocare».
Hawke si avvicinò. «Allora perché non lo togli?»
Levai lo sguardo su di lui. «Non ho mai pensato di avere scelta.»
«Ce l’hai adesso.» Si inginocchiò di fronte a me. «Qui ci siamo solo io, te, le pareti e del mobilio pietosamente inadeguato.»
Le mie labbra ebbero un guizzo.
«Lo tieni addosso quando sei con Tawny?»
Scossi la testa.
«Dunque perché ora ce l’hai?»
«Perché… perché se sono da sola con lei ho il permesso di toglierlo.»
«A me hanno detto che dovresti tenerlo sempre, anche davanti alle persone autorizzate a vederti in viso.»
E ovviamente era vero.
Hawke alzò un sopracciglio.
Sospirai. «Quando sono in camera non lo porto, e non mi aspetto che qui entri nessun altro a parte Tawny. Non lo porto perché… se sono senza mi sembra di avere maggior controllo. Perché posso scegliere…»
«Di non portarlo?»
Annuii. Il pensiero che mi avesse letto dentro così bene mi stordiva.
«Hai quella possibilità di scelta anche adesso.»
«Lo so.» Ma non era semplice spiegare che il velo era anche una barriera. Che mi ricordava che cosa ero e l’importanza di quel ruolo. Una volta tolto, era così facile desiderare…
Hawke scrutò intensamente il velo, e un lungo istante trascorse. Poi annuì e si rialzò in piedi. «Sarò qua fuori se hai bisogno di qualcosa.»
Mi si formò in gola uno strano groppo che mi impedì di rispondere. Rimasi seduta dov’ero mentre Hawke usciva dalla stanza, e fissai la porta una volta che si fu chiusa dietro di lui. Non mi mossi. Non tolsi il velo. Non per un tempo molto lungo.
Non finché non smisi di desiderare.
La sera successiva ero in attesa fuori dalla sala di ricevimento della duchessa che si trovava al secondo piano, sul lato opposto rispetto all’analoga stanza del duca. Davo le spalle alla porta di quest’ultima. Non avevo voglia né di vederla, né di pensarci.
Due guardie reali sorvegliavano la porta di Jacinda e al mio fianco c’era Vikter. Al mattino gli avevo raccontato che cos’era accaduto durante il discorso del duca, specificando che non ero sicura di aver sentito davvero qualcosa: il suo consiglio era stato di rivolgermi alla duchessa, dato che la Sacerdotessa difficilmente mi avrebbe dato informazioni utili. Come sarebbe andata con lei, però, dipendeva dalla sua disposizione d’animo: chissà se avrebbe deciso di parlare più apertamente.
Speravo solo che quel giorno fosse di buonumore.
Sia io che Vikter restammo in silenzio davanti alle guardie, ma sapevo che le mie rivelazioni – il dubbio se il mio dono stesse veramente evolvendo o se si trattasse solo di uno scherzo della mia mente – lo avevano preoccupato.
«Potrebbe essere stata la tensione per tutto quel che sta accadendo» aveva detto. «Prima di parlarne con chiunque altro, è meglio aspettare di avere la certezza che questo riguardi davvero il tuo dono.»
Sapevo che a spaventarlo era l’eventualità che se tutto fosse stato imputato a un capriccio della mia mente, la cosa alla fine sarebbe stata usata contro di me; ma allo stesso tempo non volevo aspettare che accadesse ancora: per poter reagire al meglio, dovevo sapere.
La porta si aprì e uscì una Guardia. «Sua Grazia vi riceverà adesso.»
Ci eravamo accordati con Vikter: lui sarebbe rimasto fuori, dato che in teoria solo il duca, la duchessa e il clero del Tempio erano a conoscenza del mio dono.
Mentre entrai, pensai che avevo infranto così tante regole in vita mia da non dovermi meravigliare se Hawke si aspettava di vedermi togliere il velo in sua presenza, com’era capitato la sera precedente. Scacciai quei pensieri e mi guardai attorno.
Quella stanza dalle pareti d’avorio e dai mobili grigio chiaro mi era sempre piaciuta: la trovavo calda e tranquillizzante, anche se non aveva finestre. Probabilmente era per via dei molti candelabri. Seduta a un tavolino rotondo, la duchessa beveva da una piccola tazza. La sua gonna, di un giallo chiarissimo, mi fece pensare all’estate della capitale.
Alzò lo sguardo su di me e un piccolo sorriso illuminò i suoi tratti senza tempo. «Vieni. Siediti.»
Presi la sedia di fronte a lei, notando che sul tavolo c’era un piatto di pasticcini, in cui però restavano soltanto quelli alle nocciole. Le focaccine al cioccolato probabilmente erano state le prime a sparire: la duchessa aveva la stessa debolezza di Vikter.
«Desideravi parlarmi?» Sua Grazia depositò la delicata tazza floreale sul piattino che la accompagnava.
Annuii. «Sì. So che siete molto occupata, ma speravo che poteste aiutarmi con una questione.»
Lei chinò la testa e morbide onde di capelli color ruggine le piovvero sulla spalla. «Devo confessare che hai suscitato la mia curiosità. Non riesco a ricordare l’ultima volta che sei venuta a chiedermi qualcosa.»
Io, al contrario, la ricordavo bene. Era quando avevo domandato che i miei alloggi fossero spostati nella parte più vecchia del castello, una richiesta di cui certamente la duchessa non aveva ancora compreso i motivi. «Volevo parlarvi… del mio dono.»
I suoi occhi d’ebano si sgranarono leggermente. «Questo non me lo aspettavo. Qualcuno ha scoperto della sua esistenza?»
«No, Vostra Grazia. Non è questo che è successo.»
Si pulì le dita sul tovagliolo che aveva in grembo. «E che cosa, dunque? Non tenermi sulle spine, te ne prego.»
«Temo che qualcosa stia capitando al dono stesso. In alcune occasioni credo… credo di aver percepito sentimenti diversi dal dolore.»
La duchessa appoggiò con calma il tovagliolo sul tavolo. «Hai usato il tuo dono? Lo sai che gli dei te lo hanno proibito. Non potrai dispiegarlo finché non avrai dimostrato di esserne degna.»
«Lo so. Non l’ho fatto volontariamente.» La menzogna mi uscì persino troppo facilmente. «Ma talvolta accade e basta. Quando sono in mezzo a una folla mi è difficile controllarlo.»
«Ne hai parlato con la Sacerdotessa?»
Dei, no di certo. «Non accade spesso, lo giuro, e ha iniziato solo di recente. Raddoppierò i miei sforzi per controllarmi, ma l’ultima volta che è accaduto penso di aver sentito… qualcosa di diverso.»
La duchessa mi fissò senza battere le palpebre per quella che mi parve una piccola eternità, poi si alzò in piedi. Con i nervi a fior di pelle, la osservai andare verso l’armadietto bianco vicino al muro. «E cosa ritieni di aver sentito?»
«Rabbia. Durante il Consiglio Cittadino e di nuovo ieri sera, ho avvertito rabbia.» Non parlai di Loren. Non le avrei mai fatto una cosa del genere. «C’era quell’uomo che…»
«Il Caduto?»
«Sì. O almeno credo» mi corressi. «Penso di aver percepito la rabbia che emanava.»
La duchessa si versò da bere da una caraffa. «Hai avvertito altro che ti è sembrato fuori dal normale?»
«Credo… credo di avere sentito anche paura. Mentre il duca parlava dell’attacco dei Craven. Assomiglia molto al dolore, ma provoca una sensazione diversa. E poi credo di avere sentito anche qualcos’altro… Non lo so. Forse eccitazione? O trepidazione.» Corrugai la fronte. «In effetti sono più o meno la stessa cosa. In un certo senso era come se…»
«Avverti qualcosa adesso?» La duchessa si voltò a guardarmi con in mano quello che pensai fosse sherry.
Battei le palpebre dietro il velo. «Mi state chiedendo di usare il mio dono su di voi?»
Lei annuì.
«Ma credevo che…»
«Quello che credevi non ha importanza» mi interruppe. Mi irrigidii. «Voglio che usi il tuo dono adesso e mi dica se senti qualcosa, e che cosa.»
La sua richiesta mi sembrò stranissima, ma obbedii. Aprii le mie percezioni, avvertii il filo che si tendeva tra di noi e… entrai in contatto con un vuoto nulla. Rabbrividii.
«Senti niente, Penellaphe?»
Chiusi la connessione e scossi la testa. «Nulla, Vostra Grazia.»
Lei esalò un brusco respiro dal naso e mandò giù il suo sherry in un unico impressionante sorso. Sgranai gli occhi, mentre riflettevo rapidamente sulla sua reazione: era quasi come se si fosse aspettata di vedermi percepire qualcosa che non ero riuscita a raggiungere. A dire la verità, dubitavo fortemente che ci sarei potuta riuscire.
«Bene.» Si voltò a riporre il bicchiere nell’armadietto e la gonna le ondeggiò intorno alle caviglie.
«Insomma, mi stavo domandando se ho davvero sentito qualcosa o se…» La duchessa tornò a voltarsi verso di me e la mia voce si spense.
«È mia opinione che il tuo dono stia… maturando.» Mi si avvicinò, e quando posò le mani sullo schienale della sedia la luce alle sue spalle scintillò sull’anello di ossidiana che portava al dito. «Ha senso che stia accadendo ora che la tua Ascensione è sempre più vicina.»
«Dunque è una cosa… normale?»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato e per un attimo credetti che stesse per dire qualcosa, ma poi ci rinunciò. «Penso di sì, ma non… non ne parlerei con Sua Grazia.»
Quell’avvertimento appena velato mi fece pizzicare di tensione le spalle. Continuavo a ignorare se la duchessa sapesse delle attività predilette dal marito. Faticavo a credere che potesse esserne totalmente all’oscuro, ma una parte di me avrebbe voluto continuare a pensarla così. Perché, se lo sapeva e non faceva nulla per fermarlo, allora non era migliore degli altri… O ero io a essere ingiusta nei suoi confronti con quel pensiero? Anche se era un’Ascesa, non era detto che avesse potere sul marito.
«Gli… gli farebbe tornare in mente la prima Vergine» sussurrò.
La fissai sbalordita. Tutto mi sarei aspettata, meno che di sentirla citare la Vergine che mi aveva preceduta… l’unica altra di cui avessi mai avuto notizia. «È successa la stessa cosa alla prima Vergine?»
«Sì.» Le sue nocche cominciarono a sbiancare e io annuii. Nella storia erano esistite solo due Vergini Prescelte dagli dei. «Che cosa sai di lei?»
«Nulla» ammisi. «Nemmeno il suo nome, o dove sia vissuta.»
O che cosa le fosse accaduto dopo l’Ascensione.
O perché fosse importante che i cambiamenti del mio dono la riportassero alla mente del duca.
«C’è una ragione per questo.»
Davvero? La Sacerdotessa Analia non mi aveva mai detto nulla al riguardo. In effetti aveva sempre ignorato qualunque mia domanda sulla prima Vergine o sulla mia Ascensione.
«Non parliamo mai della prima Vergine» continuò la duchessa. «Ma non è una nostra scelta: non possiamo.»
«È… proibito dagli dei?» indovinai.
Lei annuì e mi fissò come se il suo sguardo potesse trapassare il mio velo. «Ora, per la prima volta in vita mia, infrangerò la regola, pregando che i numi mi perdonino. Lo farò perché spero che, dicendoti questo, il tuo destino possa essere diverso dal suo.»
Fui assalita da una pessima sensazione su quel che stavo per sentire.
«Non parliamo di lei. Mai. Il suo nome non è degno delle nostre labbra o dell’aria che respiriamo. Se fosse possibile, faremmo cancellare dalla storia la sua intera esistenza.» La sedia scricchiolò sotto le dita della Duchessa Teerman, e il rumore mi fece sobbalzare.
Mi sentii come se mi si fermasse il cuore. «Gli dei… l’hanno trovata indegna?»
«Per qualche strano miracolo no, questo non è accaduto. Ma ciò non significa che lo fosse.»
Ma, se non era stata trovata indegna, perché nessuno parlava mai di lei? Che cosa mai poteva aver fatto di tanto terribile, se il suo valore agli occhi delle divinità non si era guastato?
«Alla fine la sua dignità non ha più avuto alcun valore.» La duchessa staccò le dita dalla sedia. Lo schienale era contorto e scheggiato. «Le sue azioni le hanno fatto intraprendere un sentiero che è terminato con la sua morte. E fu l’Oscuro a ucciderla.»