22

Il cuore mi batteva all’impazzata, mentre Hawke mi sollevava il mento con le dita e mi piegava la testa all’indietro. Mi sembrava quasi di precipitare. Avvicinò la bocca al mio orecchio e il calore del suo respiro infuse brividi bollenti in tutto il mio corpo.

«Poppy» mormorò con un timbro allo stesso tempo ruvido e denso.

«Sì?» Riconobbi a stento la mia stessa voce.

Le sue dita mi scivolarono lungo la gola. «Come hai fatto a uscire dalla tua camera senza che ti vedessi?»

Riaprii gli occhi. «Cosa?»

«Come hai fatto a uscire dalla tua camera?» ripeté.

Mi servì ancora un istante per comprendere che non stava per baciarmi. Voleva solo distrarmi. Sentendomi la peggiore idiota che si fosse mai vista sulla terra, imprecai a fior di labbra e cercai di liberarmi dalla sua presa, e questa volta lui mi lasciò andare. Con il viso in fiamme arretrai di qualche passo, abbassando il diario. Poi feci un profondo respiro. Come avevo fatto a essere così stupida?

Per non fargli capire quanto fossi arrivata vicina a permettergli di baciarmi, o anche solo ad aspettarmi che lo facesse, sporsi in avanti il mento. Ma la sensazione del suo tocco sulla pelle era ancora lì, e il gesto non mi diede alcun sollievo. «Potrei esserti passata davanti e basta.»

«No che non lo hai fatto. E so che non sei uscita da una finestra: sarebbe stato impossibile. Dunque, come ci sei riuscita?»

Avvertendo un gran senso di frustrazione mi voltai verso la finestra: l’aria fredda che entrava era gradevole. Forse ero stata abbastanza sciocca da farmi scoprire, ma non lo ero al punto da pensare di potermela ancora cavare tenendomi i miei segreti per me. «C’è un vecchio passaggio per i servitori che arriva fino alla mia camera.» Strinsi le mani sul diario. «Da lì si può scendere al pianterreno senza essere visti.»

«Interessante. Dove sbuca il pianterreno?»

Storsi il naso e tornai a voltarmi verso di lui. «Se ti interessa tanto, dovrai scoprirlo da solo.»

Lui alzò un sopracciglio. «Va bene.»

Sostenni il suo sguardo, rendendomi conto che il sollievo continuava a non arrivare: dentro di me c’era solo… dei, c’era solo delusione per il bacio mancato. E se potevo imparare qualcosa da quella situazione, era che dovevo controllarmi di più.

«Ed è da lì che sei salita di nascosto sull’Alzata.» Scrollai le spalle. «Immagino che Vikter sappia tutto. Lo sapeva anche Rylan?»

«Che importanza ha?»

Hawke piegò la testa di lato. «Quante persone sanno dell’esistenza di questo passaggio?»

«Perché me lo chiedi?»

Lui avanzò di un passo. «Perché riguarda la tua sicurezza, principessa. Nel caso te ne fossi dimenticata, l’Oscuro ti dà la caccia. È già rimasta uccisa una donna e c’è stato un tentativo di rapimento, o almeno uno di cui ci siamo accorti. Una via per muoversi nel castello e arrivare direttamente alle tue stanze, lontano da sguardi indiscreti, è proprio il genere di informazione che gli servirebbe.»

Un brivido mi fece tremare le spalle. «Qualche servitore tra quelli che vivono al Castello di Teerman da più tempo lo sa, ma la maggior parte ne è all’oscuro. Non devi preoccupartene: la porta si chiude dall’interno. Per entrare da fuori una persona dovrebbe scassinarla, e a quel punto troverebbe me pronta ad aspettarlo.»

«Ci giurerei» fece lui sottovoce.

«E in ogni caso non ho dimenticato che cosa è successo a Malessa, o che hanno tentato di rapirmi.»

«Ah no? Dunque devo concludere che tu abbia semplicemente deciso di non tenere la cosa in considerazione quando stasera sei andata a zonzo per la città e poi sei venuta in biblioteca?»

«Non sono andata a zonzo. Ho attraversato il Boschetto dei Desideri e sono rimasta in strada per meno di un minuto. Portavo anche il mantello e la maschera: nessuno ha visto un solo centimetro del mio viso. Non temevo che qualcuno cercasse di aggredirmi, ma sono uscita preparata anche a quella evenienza.»

«Con il tuo fidato piccolo pugnale?» La fossetta sulla sua guancia riapparve.

«Sì, con il mio fidato piccolo pugnale.» Che ero a tanto così dal lanciargli in faccia. Di nuovo. «Non mi ha mai tradita.»

«È con quello che sei sfuggita al rapitore la notte in cui è morto Rylan? L’uomo dunque non si è spaventato sentendo arrivare le guardie.»

Respirai rumorosamente. Ormai non aveva più senso mentire. «Sì, è così. L’ho colpito. Più di una volta. Quando se n’è andato era ferito. Spero sia morto.»

«Sei sempre così violenta.» Lo disse quasi come se facesse le fusa.

«Lo ripeti in continuazione, ma non è vero.»

Hawke rise ancora, una risata profonda e sincera. «Non credo che tu conosca così bene te stessa.»

«Se lo dici tu» borbottai. «Come hai capito che non ero più nelle mie stanze?»

«Ho controllato.» Hawke passò una mano sullo schienale del divano. «Mi è venuto in mente che magari avevi voglia di compagnia, e che sarebbe stato davvero stupido per me restarmene da solo in corridoio a morire di noia quando tu magari eri dentro da sola a morire di noia a tua volta. Ma non era così. Perché appunto te n’eri già andata.»

Fui colta di sorpresa da quella risposta. «Lo hai fatto davvero?»

Hawke alzò le sopracciglia.

«Voglio dire, davvero sei entrato per vedere se… se avevo bisogno di compagnia?»

Lui annuì. «Perché dovrei mentire su una cosa del genere?»

«Perché…» Non sapevo come spiegargli che una cosa del genere per me non l’aveva mai fatta nemmeno Vikter. Alle guardie che sorvegliavano le mie stanze non era permesso: il duca l’avrebbe considerato un intollerabile eccesso di familiarità. Ma nell’ala vecchia del castello nessuno controllava queste cose. Eppure quando era Vikter a montare la guardia, lui stava fuori e io dentro. Hawke no. Lui era diverso, e lo aveva dimostrato fin dal primo giorno. Scossi la testa. «Non importa.»

Hawke rimase in silenzio, e quando alzai lo sguardo su di lui mi resi conto che si era avvicinato ancora. Adesso era appoggiato al divano. «E come ci sei finita su quel cornicione?»

«Ecco, questa è una storia divertente…»

«Ah, non ne dubito.» Incrociò le braccia sul petto. «Ti prego, non tralasciare nessun dettaglio.»

Sospirai. «Sono venuta a cercare un libro che volevo leggere e mi sono attardata qui. Non… non volevo tornare a casa subito, e non mi ero resa conto che questa non è una stanza qualsiasi.» Lanciai un’occhiata ai liquori nell’armadietto, che da soli avrebbero dovuto bastare a farmi insospettire. «Poi ho sentito arrivare il duca, e nascondermi sul cornicione mi è sembrata un’opzione migliore che farmi sorprendere da lui.»

«Che cosa sarebbe successo, dunque, se ti avesse scoperta?»

Scrollai di nuovo le spalle. «Non lo ha fatto, ed è la sola cosa che conta.» Cambiai subito discorso. «Ha incontrato una guardia delle prigioni, o almeno credo. Hanno parlato del Caduto che ha lanciato la mano del Craven. La guardia lo ha fatto parlare. Ha riferito al duca che il Caduto non pensa che l’Oscuro sia in città.»

«Questa è una buona notizia.»

Qualcosa nel suo tono catturò la mia attenzione. Lo fissai. «Non gli credi?»

«Non credo che l’Oscuro sia sopravvissuto per tutto questo tempo lasciando che la gente sapesse dov’è o cosa sta facendo, nemmeno i suoi sostenitori.»

Non potevo dargli torto. «Ora però… credo che il duca intenda uccidere quel Caduto con le sue mani.»

Hawke piegò appena la testa. «E la cosa ti disturba?»

«Non lo so.»

«Io penso che tu lo sappia, ma non voglia dirlo ad alta voce.»

Era insopportabilmente irritante quanto avesse ragione sul mio conto… e quanto spesso. «Non mi piace il pensiero di qualcuno che muore in una segreta.»

«Essere giustiziati in pubblico è meglio?»

Lo fissai. «Non era questo che intendevo. Almeno in quel modo si segue un procedimento che trasmette un senso di…»

«Un senso di cosa?»

Presi un lungo respiro. «Almeno non si ha l’impressione che ci sia da nascondere qualcosa.»

Hawke mi fissò con un’espressione che mi parve quasi incuriosita. «Interessante.»

Gli angoli della mia bocca si piegarono verso il basso. «Che cosa?»

«Tu.»

«Io?»

Annuì, poi scattò in avanti con le mani e prima che potessi rendermene conto aveva afferrato il diario.

«No!» Colta di sorpresa, persi la presa sulla copertina di pelle e lui mi strappò il libro di mano. Oh, dei, ora Hawke aveva il diario e questo per me era peggio che cadere morta stecchita. Non appena avesse capito di che cosa parlava…

«Il diario della signorina Willa Colyns?» Si accigliò mentre lo girava tra le mani. «Perché mi suona familiare?»

«Ridammelo.» Feci per riprenderlo, ma Hawke lo allontanò. «Ridammelo subito!»

«Lo farò se leggerai ad alta voce per me. Scommetto che è assai più interessante della storia del regno.» E lo aprì.

Mi venne in mente che forse non sapeva leggere.

Fate che non sappia leggere.

Il sorrisetto svanì dal suo viso.

Certo che sapeva leggere. Perché la vita era così ingiusta?

Le sue sopracciglia scure si inarcarono mentre scorreva le pagine. Ma sapevo bene che cosa c’era sulla prima. La signorina Willa Colyns era stata dolorosamente precisa nel suo resoconto dei baci intimi. «Senza dubbio una lettura interessante.»

Con le guance che bruciavano del fuoco di mille soli, mi domandai quanto si sarebbe arrabbiato Hawke se gli avessi di nuovo scagliato il pugnale in faccia.

Ma poi il ghigno tornò, e insieme a esso la fossetta. «Penellaphe.» Disse il mio nome con una tale costernazione, che avrei alzato gli occhi al cielo se non fossi stata così mortificata. «Questo materiale è… straordinariamente scandaloso per la Vergine.»

«Taci.»

«Davvero spinto» continuò scuotendo la testa.

Il mio fastidio raggiunse vette completamente nuove. Alzai il mento. «Non ci vedo proprio nulla di male a leggere dell’amore.»

«E chi ha detto questo?» Hawke mi guardò. «Solo, non credo che nulla di quanto tu possa trovare in questo libro abbia a che fare con l’amore.»

«Oh, dunque ora sei un esperto in materia?»

«Più di te, immagino.»

Chiusi la bocca. La semplice verità di quelle parole mi colpì come uno schiaffo. Reagii d’istinto. «È vero. La tua frequentazione della Perla Rossa è argomento di conversazione per molte persone, dalle domestiche alle Lady in Attesa. Quindi suppongo che tu abbia una valanga di esperienza in merito.»

«Ora avverto della gelosia.»

«Gelosia?» Risi e roteai gli occhi. «Come ho già avuto occasione di notare, tu tendi a considerare con notevole esagerazione il posto che occupi nella mia vita.»

Per tutta risposta lui arricciò il naso e tornò a sfogliare il diario.

Irritata, mi voltai verso l’armadietto dei liquori: era rimasto fuori un bicchierino. «Solo perché hai più esperienza in… quello che succede alla Perla Rossa, non significa che io non sappia che cos’è l’amore.»

«Ti sei mai innamorata?» chiese. «Qualche intendente del duca ha catturato la tua attenzione? O qualcuno dei lord? O magari qualche guardia coraggiosa?»

Scossi la testa. «Non mi sono mai innamorata.»

«Dunque come fai a sapere che cos’è l’amore?»

«So che i miei genitori si amavano moltissimo.» Giocherellai con il bordo ingioiellato della caraffa. «E tu? Ti sei mai innamorato, Hawke?»

Non mi aspettavo una risposta, quindi quando pochi istanti dopo ne arrivò una mi colse di sorpresa.

«Sì.»

Nel mio petto ci fu uno strano contorcimento che non riuscii a classificare. Guardai da sopra la spalla nella sua direzione, e in quel momento mi resi conto che il gelo tremendo era diminuito. Non avrei saputo dire quale dei suoi atteggiamenti mi avesse fatto quell’effetto… Probabilmente era solo l’irritazione che mi aveva messo addosso. «Una donna del luogo da cui provieni?»

La ami ancora?

Questa fu la seconda domanda che mi si formò dentro, ma per grazia degli dei riuscii a non farla uscire.

«Sì.» I suoi occhi erano ancora sul libro. «Ma è stato molto tempo fa.»

«Molto tempo fa? Quindi che cos’eri, un bambino?» Hawke non poteva avere che una manciata d’anni più di me, anche se le sue parole sembravano implicare che fosse accaduto in un passato lontanissimo.

Lui ridacchiò, poi le sue labbra si incurvarono in un mezzo sorriso e la solita fossetta riapparve, aumentando il tumulto dentro di me. «Quante pagine di questo libro hai letto?»

«Non sono affari tuoi.»

«Probabilmente no, ma ho bisogno di sapere se sei arrivata a questa parte.» Si schiarì la voce.

Un attimo.

Stava per mettersi a leggere?

No.

Vi prego, no.

«Ho letto solo il primo capitolo» dissi rapidamente. «E la pagina che stai guardando tu è a metà, per cui…»

«Bene, allora sarà nuova per te. Dunque vediamo, dove ero rimasto?» Percorse la pagina con il dito e si fermò al centro. «Ecco qui. Fulton aveva promesso che quando avesse finito con me non sarei riuscita a camminare bene per un giorno intero, e aveva detto il vero. Uh, impressionante.»

Sbarrai gli occhi.

«Tutte le cose che quell’uomo fece con la lingua e le dita vennero superate solo dalla sua incredibilmente enorme, tremendamente pulsante e oscenamente palpitante…» Hawke ridacchiò. «A quella donna piacevano un bel po’ gli avverbi, non trovi?»

«Puoi fermarti qui.»

«Mascolinità.»

«Cosa?» ansimai.

«È così che finisce la frase.» Hawke alzò lo sguardo, e capii immediatamente che quel che stava per uscirgli di bocca mi avrebbe incenerita. «Oh, forse non sai che cosa si intende qui per mascolinità. Direi che sta parlando del suo cazzo. Membro. Arnese.»

«Oh, dei…» sussurrai.

«Il suo – a quanto pare – incredibilmente enorme, pulsante e palpitante…»

«Ho capito! Credo di essermi fatta un quadro chiaro.»

«Volevo solo esserne sicuro. Non vorrei che fossi troppo imbarazzata per fare domande. O che pensassi che l’autrice si riferisce al suo amore per lei, o qualcosa del genere.»

«Ti odio.»

«Non credo.»

«E sto per pugnalarti. Con violenza.»

Hawke abbassò il libro, turbato in volto. «A questo credo senz’altro.»

«Ridammi il diario.»

«Ma certo.» Me lo porse, e io glielo tolsi di mano, stringendolo contro il petto. «Bastava chiedere.»

«Che cosa?» Rimasi a bocca aperta. «Te l’ho chiesto eccome.»

«Mi spiace.» Non suonava per niente dispiaciuto. «Soffro di sordità selettiva.»

«Sei… la persona peggiore che io conosca.»

«Credo tu abbia sbagliato parola.» Mi passò accanto e mi batté la mano sulla testa. Tentai di schiaffeggiarlo, ma lo mancai per un soffio. «Intendevi la migliore che tu conosca.»

«Ho usato esattamente la parola che avevo in mente.»

«Ora andiamo. Devo riportarti a casa prima che ci imbattiamo in qualche pericolo diverso dalla tua sconsideratezza.» Si fermò sulla porta. «E non scordare il tuo libro. Mi aspetto un riassunto di ogni singolo capitolo per domani.»

Non avrei parlato con lui di quel diario mai più in vita mia.

Ma lo portai davvero con me mentre seguivo Hawke. Solo quando lui tese la mano verso la maniglia mi balenò in mente un pensiero. «Come sapevi dov’ero?»

Hawke mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla, e un sorriso gli aleggiò sulle labbra. «Ho eccellenti doti da segugio, principessa.»

«Ho eccellenti doti da segugio» borbottai sottovoce il pomeriggio seguente.

«Cosa?» Tawny si voltò verso di me accigliata.

«Nulla. Pensavo ad alta voce.» Feci un profondo respiro per cercare di scacciare Hawke dai miei pensieri. «Sei bellissima oggi.»

Ed era vero. Tawny si era legata i capelli in alto e solo qualche ricciolo ricadeva a incorniciarle il viso. Il rosso vibrante delle sue labbra si abbinava al colore della gonna e della maschera, e il vestito leggero e senza maniche sottolineava la sua figura snella mentre veniva verso di me, che ero in piedi accanto al camino. Non era soltanto bella: era sicura e a suo agio con il proprio corpo. La ammiravo moltissimo.

«Grazie.» Lisciò per un attimo la stoffa sulle spalle, poi abbassò la mano. «Tu invece non sei bella, Poppy: sei strabiliante.»

Una sensazione simile a uno sfarfallio mi si diffuse dal petto allo stomaco. «Dici sul serio?»

«Dei, certo che sì. Non ti sei ancora guardata allo specchio?»

Scossi la testa.

Tawny mi fissò. «Mi stai dicendo che ti sei messa questo vestito incredibilmente elegante, fatto su misura per te, e non ti sei nemmeno guardata allo specchio? E che ti sei fatta pettinare da me e non hai nemmeno controllato che non ti avessi messo un nido d’uccello in testa?»

Risi nervosamente. «Spero bene che tu non lo abbia fatto.»

Fu il suo turno di scuotere la testa. «Oltre che bella sei… strana, certe volte.»

Non potevo negarlo. Ma non era facile spiegare perché non mi ero ancora guardata allo specchio. Era talmente raro che indossassi un colore diverso dal bianco… Anche quando ero uscita di nascosto non mi ero mai veramente guardata. In più, questa volta era diverso: vestirmi in quel modo mi era stato concesso. Le persone che mi conoscevano mi avrebbero vista con quegli abiti. E con loro, anche Hawke.

Le farfalle nel mio stomaco si trasformarono in uno stormo di rapaci che si mise a banchettare con le mie viscere. Ero talmente nervosa…

«Andiamo.» Tawny mi prese per mano, mi portò nella stanza da bagno, dove c’era l’unico specchio a figura intera dei miei alloggi, e mi ci piazzò davanti. «Ecco.»

Stupidamente fui sul punto di chiudere gli occhi. Ma non lo feci. Fissai il mio riflesso e non fui sicura di riconoscere me stessa. E non perché al posto del velo avevo la maschera rossa che era stata consegnata insieme all’abito.

Il riflesso di Tawny apparve dietro di me. «Che cosa ne pensi?»

Che cosa ne pensavo? Che mi sentivo… nuda. Non c’era dubbio che l’abito fosse meraviglioso. Le sottilissime maniche color cremisi, che coprivano alla perfezione le cicatrici sulle mie braccia, erano lunghe e vaporose, e ai polsi c’erano sbuffi di pizzo delicato. La stoffa leggera diventava più opaca sul seno e giù fino alle cosce, dove l’ampia gonna nascondeva le mie curve. Strisce di stoffa più spessa creavano l’illusione di pieghe ogni pochi centimetri, ma ogni altra parte era trasparente come una camicia da notte.

Avrei davvero dovuto provarlo prima, quel vestito. Era rimasto appeso nel mio guardaroba troppo a lungo. A ripensarci, non avrei saputo dire perché non lo avessi fatto.

Bugiarda.

Sapevo bene che, se lo avessi provato, subito dopo lo avrei probabilmente rimandato indietro.

Tawny mi aveva convinta a lasciare sciolta la maggior parte dei capelli. Solo i lati erano tenuti indietro con qualche forcina per lasciarmi scoperto il viso: il resto mi scendeva sulle spalle in morbide onde.

Hawke mi avrebbe vista vestita in quel modo.

Mi raccolsi i capelli ai lati e li gettai sulle spalle. «Magari posso usarli come un mantello?»

«Oh, dei.» Tawny scoppiò a ridere, mi scostò le mani e risistemò la chioma. «Non si vedrebbe più niente.»

«Lo so, ma…» Mi portai le mani sulle guance. Le prime erano fredde, le seconde roventi.

«Ma non ti hanno mai permesso di portare abiti del genere prima d’ora» concluse lei al mio posto. «Lo capisco. È normale essere nervosi.» Arretrò e si mise a frugare nella piccola borsa che aveva portato con sé. «Sei bellissima,
Poppy.»

«Grazie» mormorai fissando il mio riflesso. Era vero: mi sentivo bella con quel vestito. Chi non si sarebbe sentito così?

Tawny tornò al mio fianco con in mano un vasetto e un minuscolo pennello. «Tieni le labbra aperte e ferme.»

Obbedii e rimasi immobile mentre mi stendeva sulle labbra la stessa sfumatura di rosso del vestito. Quando ebbe finito si scostò per lasciarmi vedere: le mie labbra erano… luminose.

Non avevo mai portato il rossetto prima di allora: ovviamente non mi era permesso, perché secondo le regole la mia pelle doveva restare pura come il mio cuore o qualcosa del genere. In realtà non avevo idea del motivo: una volta la duchessa me lo aveva spiegato, ma forse avevo smesso di ascoltare a metà del discorso.

«Perfetto.» Tawny ripose il rossetto nella borsa. «Sei pronta?»

No.

Per niente.

Ma dovevo esserlo. Il Rito sarebbe iniziato al tramonto, e il sole stava già calando. Con il cuore in gola, annuii. Tawny mi sorrise e credetti di aver risposto con un ghigno complice, o almeno lo sperai, mentre la seguivo nella stanza principale. Andò verso la porta e la aprì. Provai un senso di vertigine: Hawke doveva essere lì fuori insieme a Vikter, e mi venne una gran voglia di fuggire… Dove, non lo sapevo. Forse nel mio letto: avrei potuto avvolgermi bene nelle lenzuola e…

Vikter sorvegliava la soglia da solo.

Cercai Hawke con lo sguardo, ma il corridoio era vuoto.

«Bellissime entrambe» disse Vikter. Era strano vederlo spogliato della divisa nera e del mantello bianco delle guardie reali: per il Rito indossava una tunica senza maniche di un cremisi scuro e pantaloni dello stesso colore.

«Grazie.» Tawny mi prese sottobraccio. Io bofonchiai un ringraziamento analogo.

Vikter mi fissò e gli angoli della sua bocca si sollevarono. «Sicura di essere pronta, Poppy?»

«Lo è» rispose Tawny al mio posto, dandomi una pacca sul braccio.

«Lo sono» dissi, rendendomi conto che senza una mia risposta Vikter non ci avrebbe lasciate uscire.

Lui annuì e ci avviammo. Hawke non era in servizio quella sera? Avevo dato per scontato che entrambe le mie guardie lo sarebbero state, visto che avrei partecipato al Rito: mi ero sbagliata? Eppure lui aveva detto di essere… curioso di vedermi. Non significava forse che sarebbe stato presente, anche se non in servizio?

Il mio cuore iniziò a battere sempre più forte, mentre scendevamo le scale del secondo piano: che importanza aveva che Hawke fosse presente oppure no? Non era certo per lui che mi ero vestita in quel modo. Eppure non riuscivo a smettere di chiedermi se l’avrei visto.

Sulle prime mi costrinsi a non fare domande, ma alla fine non potei più trattenermi: «Dov’è Hawke?».

«Credo che dovesse incontrare il comandante. Tornerà in tempo per il Rito.»

Provai un gran sollievo, subito seguito da un brivido di eccitazione che mi fece esalare un brusco respiro. Tuttavia, Vikter non diede l’impressione di reputare la mia domanda o la mia reazione strane. Tawny invece mi strinse la mano, e io mi voltai a guardarla: mi fissava con un ghigno e fui certa che avesse le sopracciglia alzate, anche se erano coperte dalla maschera.

Arrivammo nell’atrio, dove era stipata una folla di persone comuni, insieme a Lord e Lady, sia Ascesi che in Attesa, che formavano un piccolo oceano color cremisi. Profumi e acqua di colonia si mescolavano alle risate e al brusio della conversazione.

Era uno spettacolo vertiginoso per me, e la mia prima reazione fu di seppellire per bene il mio dono dietro solide mura, mentre passavamo sotto le statue. Ma quando entrammo nella sala degli stendardi, il cuore mi batteva ancora all’impazzata. L’arcata della Sala Grande incombeva su di noi, vivamente illuminata.

Avevo la sensazione che l’aria mi entrasse e mi uscisse dai polmoni in rivoli minuscoli.

Dei…

C’erano così tante persone. Centinaia. Stavano tutte di fronte alla pedana e riempivano lo spazio tra le colonne e nelle nicchie delle finestre. In condizioni normali il mio posto sarebbe stato sul palchetto, lontana dalla gente. Ma non quella sera. Ero ancora sorpresa che il duca e la duchessa non mi avessero voluta con loro, ma sapevo che banalmente non c’era abbastanza spazio: non quando sul palco c’erano una mezza dozzina di rappresentanti del clero, inclusa la Sacerdotessa Analia, e altrettante guardie reali.

Mi guardai attorno, sforzandomi di riprendere il controllo del mio respiro. Gli stendardi bianchi e dorati che di solito erano appesi tra le finestre e dietro la pedana erano stati sostituiti da altri, più appropriati al Rito, ricamati con lo Stemma Reale in campo cremisi. I vasi erano colmi di boccioli rossi, vari tipi di rose e altri fiori dello stesso colore. L’unica nota dissonante sostava accanto al palco, una macchia di bianco in mezzo al rosso, e per una volta non si trattava di me: vestiti con tuniche e abiti candidi, i secondogeniti stavano lì insieme alle loro famiglie. Più indietro si affollavano i genitori dei terzi figli, con i bambini in braccio. Tutti, anche i genitori, portavano sulla testa corone intrecciate di ramoscelli e rose rosse.

«Se non vedrò mai più una rosa, vivrò felice per il resto dei miei giorni» commentò Tawny, seguendo la linea del mio sguardo. «Non hai idea di quante spine abbia dovuto togliermi dalle dita mentre facevo quelle corone.»

«Però sono belle» dissi, mentre Vikter scrutava la folla che andava crescendo.

Passammo perlopiù inosservati. Solo una manciata di persone si voltò a guardarci meglio, con gli occhi che si dilatavano sotto le maschere quando riconoscevano Tawny o Vikter, e quindi supponevano che quella nel mezzo fossi io. Avevo le guance in fiamme, ma in pochi lo notarono: per tutti gli altri ero solo una come tante, che si mescolava alla massa. Non ero nessuno.

La pressione al petto diminuì, il cuore cominciò a rallentare e respirare divenne più facile. Anche le muraglie mentali che tenevano a bada il mio dono smisero di darmi l’impressione di poter crollare da un momento all’altro.

Non ero più la Vergine.

Ero solo Poppy.

Chiusi gli occhi per un istante e rilassai i muscoli tesi come la corda di un arco. Essere solo me stessa era ciò che avevo a lungo desiderato e rendeva quella notte, quel momento davvero magici.

Posai lo sguardo sulla pedana, ignorando il lato sinistro sul quale si trovava la Sacerdotessa. Individuai invece la duchessa, mentre parlava con una guardia reale che riconobbi: un uomo che avevo visto spesso fuori dall’ufficio del duca. Di quest’ultimo, tuttavia, non c’era traccia, e iniziai a domandarmi dove potesse essere, quando alla duchessa e alla Guardia si unì uno dei Sacerdoti. Spostai lo sguardo sulle persone ai piedi del palco e il mio entusiasmo si smorzò di colpo: mi tornò in mente la famiglia Tulis. Dovevano esserci anche loro lì, per dire addio a un altro figlio. Per loro quella non era una serata di festa…

«Vergine.»

Al suono di quella voce mi si drizzarono i capelli sulla nuca. Mi voltai a guardare sopra la spalla, già sapendo chi avrei visto.

Lord Brandole Mazeen.