24

«La tua logica è fallace» risposi.

Hawke ridacchiò e si avviò verso l’ingresso del giardino. «La mia logica non sbaglia mai.»

Un sorrisetto affiorò anche sulle mie labbra. «Mi sembra esattamente il genere di cose di cui non si può essere consapevoli.»

Nel giardino ci accolse l’aria fredda della notte, e non appena sentii l’odore dolce e familiare dei fiori e della terra scura e umida il mio cuore accelerò.

Vagai con lo sguardo tutt’intorno, alla ricerca di qualche dettaglio che potesse essere diverso dall’ultima volta che ero stata lì. Doveva essercene almeno uno. Lungo i bordi dei sentieri principali erano posizionate molte lanterne, ma i sentieri secondari che si dipartivano dai primi erano immersi in un’oscurità in cui nemmeno la luce della luna riusciva a penetrare. Una brezza leggera fece frusciare i cespugli e mi scompigliò i capelli. Rallentai il passo.

«Il luogo in cui vidi per l’ultima volta mio fratello» fece Hawke a bassa voce «era uno dei luoghi che più amavo.»

Le sue parole catturarono la mia attenzione, e smisi di frugare con lo sguardo le aiuole alla ricerca di chissà che cosa. Mi aspettavo forse di vedere un fiore che grondava sangue dalla corolla? O che il duca saltasse fuori all’improvviso, mostrandosi per la prima volta quella sera? In ogni caso ero sorpresa: avevo avuto la netta impressione che il fratello fosse un argomento di cui Hawke non parlava volentieri.

«Nella zona da cui vengo io» continuò, con le dita ancora strettamente intrecciate alle mie, «ci sono delle caverne nascoste, di cui pochissime persone conoscono l’esistenza. E c’è una galleria particolarmente stretta e buia, al cui fondo si arriva solo con una camminata tutt’altro che breve. Non molta gente sarebbe disposta a farla.»

«Ma tu e tuo fratello sì?»

«Io, mio fratello e un nostro amico lo facemmo quando eravamo molto giovani, all’età in cui il coraggio supera il buonsenso. Eppure alla fine fummo contenti della nostra decisione, perché in fondo alla galleria si apriva una grotta enorme, piena dell’acqua più azzurra, calda e ribollente che avessimo mai visto.»

«Una sorgente termale?» Dai punti più bui del giardino arrivavano frammenti di conversazioni sussurrate, che si quietavano al nostro passaggio.

«Sì e no… Non c’è nulla a cui la si possa paragonare.»

«Ma qual è di preciso il luogo da cui…» Da più avanti lungo il sentiero che stavamo percorrendo giunsero alcuni rumori soffocati che mi fecero deglutire e spostare lo sguardo altrove. La sensazione della sua pelle contro la mia, della sua mano ruvida e della sua stretta decisa si fece più acuta. Mi tornò in mente quell’emozione densa, bruciante e fumosa che avevo provato poco prima. «… Il luogo da cui vieni?»

«Un villaggetto che probabilmente non hai mai sentito nominare.» La sua stretta si intensificò. «Scendevamo di nascosto in quella grotta ogni volta che ne avevamo l’occasione, tutti e tre. Era il nostro piccolo mondo segreto. E in quel periodo accadevano un sacco di cose, del genere che non eravamo abbastanza adulti per comprendere.» La sua voce si era fatta remota, come se venisse da un punto molto lontano nel tempo e nello spazio. «Ci serviva quel rifugio. Lì potevamo smettere per un po’ di preoccuparci per le cose che angosciavano i nostri genitori e i frammenti di conversazione sottovoce che ci capitava di sentire. Per quanto poco capissimo, eravamo consapevoli che si trattava del preludio di qualcosa di brutto. La grotta era il nostro nascondiglio sicuro.» Si fermò e si voltò a guardarmi. «Un po’ come questo giardino era il tuo.»

Eravamo arrivati vicini alla fontana con la Vergine velata, il gorgoglio dell’acqua ci circondava. «Li persi entrambi.» Gli occhi di Hawke si riempirono di ombre, ma il suo sguardo rimase intenso. «Mio fratello quando eravamo giovani, il mio migliore amico qualche anno dopo. Quel luogo che prima era pieno di spensieratezza e di avventure si era trasformato in un cimitero di ricordi. Non sopportavo nemmeno l’idea di scendere di nuovo là sotto senza di loro. Era come se ormai quel posto fosse infestato.»

Non avevo bisogno di aprire i miei sensi per avvertire il dolore che provava, e in ogni caso non mi sembrava una buona idea usare il mio dono su di lui una seconda volta, soprattutto adesso che le mie percezioni stavano evolvendo. Tuttavia scavai tra i miei pensieri più felici – per nulla numerosi – e lasciai per qualche istante che fluissero in lui attraverso il contatto delle nostre mani.

La sua tremò leggermente, per cui tentai di distrarlo: «Comprendo bene. Da quando siamo arrivati, continuo a guardarmi attorno, come se mi aspettassi che il giardino fosse diverso. Forse sto cercando un mutamento visibile che rappresenti ciò che è cambiato dentro di me, il modo in cui ora lo vedo».

Hawke si schiarì la voce. «Eppure non è cambiato nulla, non è vero?»

Annuii.

«Ci misi molto tempo a trovare il coraggio di tornare nella grotta. Mi sentivo proprio come te adesso… Come se in mia assenza l’acqua potesse essersi trasformata in una pozza di fango gelido. E invece no. Era calma, azzurra e calda come era sempre stata.»

«E sei riuscito a sostituire i ricordi tristi con nuovi ricordi felici?»

Sul suo viso immerso nella luce lunare si aprì un mezzo sorriso, che assomigliava a sua volta alla falce della luna. Scosse la testa e la sua espressione si rilassò. «Non ne ho ancora avuto occasione. Ma progetto di trovarla.»

«Te lo auguro» gli dissi, sapendo che come guardia reale probabilmente non avrebbe avuto modo di tornare a casa ancora per molti anni. La brezza mi portò una ciocca di capelli sulle spalle e sul petto. «Mi dispiace davvero per tuo fratello e il tuo amico.»

«Grazie.» Hawke alzò lo sguardo al cielo gremito di stelle. «Lo so che non è come quello che è successo qui. Quello che è successo a Rylan. Ma capisco come ti senti.»

Abbassai gli occhi sulle nostre mani unite. La mia presa era debole e rigida allo stesso tempo: le mie dita non stringevano veramente le sue, eppure avrei voluto farlo. «A volte penso… penso che sia stato un bene che fossi così giovane quando io e mio fratello abbiamo perso i nostri genitori: non li ricordo in modo preciso, e grazie a questo provo una sorta di… non so, un senso di distacco, forse? So che può suonare orribile, ma credo che sia una fortuna: posso quasi pensare alla loro scomparsa come a un avvenimento irreale. Così è più facile accettarlo. Ma per Ian è diverso: lui ricorda molto meglio di me.»

«Non c’è nulla di sbagliato in questo, principessa. Dal mio punto di vista, è così che la nostra mente e il nostro cuore funzionano. Hai più visto tuo fratello dopo che è stato trasferito nella capitale?»

Scossi la testa. «Mi scrive ogni volta che può, cioè di solito una volta al mese, ma non l’ho più visto dalla mattina in cui è partito. Serrai le labbra e chiusi le dita sulle sue. Lo stomaco mi si strinse un poco. Hawke non mi teneva più la mano: ora lo facevamo entrambi. Per tanta gente non avrebbe significato nulla, anzi a molti di certo sarebbe sembrata una cosa sciocca, ma per me era importante e mi piaceva. «Mi manca.» Rialzai gli occhi e incontrai i suoi. «Sono sicura che anche a te manca tuo fratello, e spero… spero che tu possa rivederlo, un giorno.»

Lui piegò leggermente la testa e aprì le labbra come se stesse per dire qualcosa, ma non lo fece. Poi alzò la mano libera e mi scostò una ciocca di capelli dal petto. Quando le sue nocche mi sfiorarono la pelle, fui travolta da un’ondata di brividi e mi sentii mozzare il fiato. E i tremiti non si fermarono al petto: scesero molto più in basso.

Con le guance in fiamme gli scostai la mano, arretrai e mi voltai in un’altra direzione. Avevo il cuore in tumulto, e intrecciai le dita le une alle altre. Era normale reagire così a un contatto del genere? Non ne ero sicura, ma era difficile immaginarlo. Mossi qualche altro passo cercando qualcosa da dire. Qualunque cosa.

«Il…» Mi schiarii la voce. «Il punto del giardino che preferisco è dove crescono le rose che fioriscono di notte. C’è una panca lì: uscivo quasi tutte le sere per andarci e mi sedevo a guardarle mentre si schiudevano. Erano il mio fiore preferito. Adesso mi angoscia anche solo vederne una.»

«Vorresti andare lì?» chiese lui, ad appena un passo da me.

Ci riflettei. Pensai ai morbidi petali neri e al viola scuro dei boccioli dell’albero di jacaranda… e alla pozza di sangue sul sentiero, che aveva riempito tutte le crepe nelle pietre. Come in un’altra notte nella mia memoria. «No… Preferisco di no.»

«Vuoi vedere il mio, di posto preferito?»

Hawke arrivò al mio fianco e io lo sbirciai da sopra la spalla. «Hai anche tu un posto preferito qui?»

«Sì.» Mi porse di nuovo la mano. «Vuoi vederlo?»

Pur sapendo che non avrei dovuto, non riuscii a fermarmi: gli diedi la mano, e lui mi condusse in silenzio intorno alla fontana e giù lungo il sentiero. Solo quando svoltammo a sinistra e il profumo dolce della lavanda riempì l’aria capii dove mi stava portando.

Il salice.

Sul limitare del lato sud dei Giardini della Regina, c’era un salice piangente enorme e centenario, con rami che quasi toccavano terra e creavano una sorta di cupola. Nei mesi più caldi, tra le foglie facevano capolino fiorellini bianchi.

«Ti piacciono i salici?» chiesi quando scorgemmo l’albero. Diverse lanterne pendevano dai pali piantati intorno a esso, le fiamme baluginavano dietro il vetro.

Lui annuì. «Non ne avevo mai visto uno prima di venire qui.»

Non mi stupii che non ne avesse visti nella capitale: essendo alberi dalle radici poco profonde, crescevano nella nuda terra. Mi sembrò più strano che non ce ne fossero nel villaggio dov’era cresciuto, dove pure c’erano campi coltivati e grotte. «Da piccoli io e Ian giocavamo lì sotto, dove nessuno poteva vederci.»

«Giocavate o vi nascondevate? Perché io in un posto del genere avrei fatto la seconda cosa.»

Ridacchiai. «In effetti hai ragione. Io venivo a nascondermi e Ian, da bravo fratello maggiore, mi teneva d’occhio.» Lo guardai. «Ci sei mai andato? Ci sono delle panche, ma da qua non si vedono.» Mi accigliai. «In effetti potrebbe esserci chiunque lì, in questo momento.»

«No, non c’è nessuno.»

Alzai le sopracciglia sotto la maschera. «Come fai a esserne così sicuro?»

«Lo sono e basta. Andiamo.» Mi tirò per la mano. «Attenta a dove metti i piedi.»

Mi domandai se la sua sicurezza avesse a che fare con le sue eccellenti doti da segugio. Superammo facilmente il basso muretto di pietra e passammo sotto una delle lanterne. Con la mano libera Hawke scostò alcuni rami e mi fece spazio per entrare. In pochi istanti ci trovammo immersi in un’oscurità quasi completa: la luce lunare non riusciva a oltrepassare il denso fogliame, e anche il bagliore delle lampade penetrava solo in tenui raggi.

Mi guardai intorno e distinsi solo il contorno del tronco. «Dei, mi ero scordata quanto fosse buio qui, di notte.»

«Sembra di stare in un altro mondo» commentò Hawke. «Come se avessimo oltrepassato un velo e fossimo entrati in un regno incantato.»

Sorrisi: le sue parole mi ricordarono Ian. «Dovresti vederlo nella bella stagione, con i fiori… O quando nevica al tramonto! Nella luce della sera, i fiocchi coprono i rami e il terreno, ma pochi penetrano fin dentro. In quei momenti sembra davvero un altro mondo.»

«Forse un giorno lo vedremo.»

«Dici sul serio?»

«Perché no?» Sentii il suo corpo che si avvicinava al mio, tanto che quando parlò di nuovo avvertii il suo respiro sulla fronte. «A un certo punto nevicherà, no? Sgattaioleremo fuori appena prima del tramonto e verremo qui.»

A quel punto, consapevole di quanto fossimo vicini, mi inumidii nervosamente le labbra. «Ma saremo ancora qui per allora? La regina potrebbe richiamarmi nella capitale prima.» Mi resi conto che era un pensiero che cercavo di evitare.

«Forse. In quel caso dovremo trovare nuove avventure da vivere, non credi? O dovremmo chiamarle disavventure?»

Scoppiai a ridere. «Non penso sarà tanto facile sgattaiolare da qualche parte una volta nella capitale, non quando… non quando mancherà così poco alla mia Ascensione.»

«Se pensi che non sarei capace di trovare il modo per farci uscire di nascosto, la tua fiducia in me dovrà aumentare un bel po’. Ti posso promettere che qualunque scappatella nella quale dovessimo imbarcarci insieme non finirà con te su un cornicione.» Nel buio credetti di sentire le sue dita che mi carezzavano la guancia sinistra, ma fu un contatto troppo leggero e troppo rapido perché potessi esserne sicura. «Ora siamo qua fuori, la notte del Rito, nascosti sotto un salice piangente.»

«Non mi è sembrato così difficile.»

«Perché ti ho guidata io.»

Risi di nuovo. «Come no.»

«I tuoi dubbi mi feriscono.» Si voltò e mi tirò per la mano. «Hai detto che ci sono delle panche qui? Ah ecco, le vedo.»

Fissai l’ombra indistinta che supponevo fosse la sua nuca. «Come diavolo riesci a vedere qualcosa?»

«Tu non le vedi?»

«Uh.» Battei le palpebre nell’oscurità. «No.»

«Allora ho una vista migliore della tua.»

Alzai gli occhi al cielo. «Io dico piuttosto che te lo stai inventando e che tra un attimo inciamperemo su qualche…»

«Eccole.» Hawke si fermò e, incredibilmente, si sedette come se davvero vedesse senza problemi.

Io rimasi a fissarlo a bocca aperta, poi mi resi conto che se vedeva le panche poteva vedere anche che lo guardavo con quell’espressione da pesce lesso, quindi richiusi immediatamente le labbra. Forse la sua vista era davvero migliore della mia.

O la mia era peggiore di quanto credessi.

«Non ti siedi?» chiese.

«Lo farei se, come te, ci vedessi al buio…» Ansimai quando la sua mano afferrò la mia e mi tirò giù. Prima di rendermene conto, mi ritrovai seduta in braccio a lui. In braccio a lui.

«Comoda?» Intuii il sorriso nella sua voce.

Non riuscii a rispondere. Mi teneva ancora per mano, ero seduta su di lui e tutto quello a cui riuscivo a pensare era un passaggio del diario di Willa Colyns in cui lei riferiva com’era stare seduta sulle ginocchia di un uomo. Anche se in quel racconto c’erano meno vestiti…

«No, non credo tu lo sia.» Mi cinse le spalle con un braccio e attirò il mio fianco contro il suo petto. «Ecco. Così è molto meglio.»

Lo era.

E allo stesso tempo era anche peggio.

«Non voglio che tu prenda freddo.» Il suo respiro tiepido accarezzava la mia tempia. Era talmente più alto di me che, anche sedendo dritta com’ero in quel momento, non arrivavo con la testa al suo mento. «Lo vedo come un importante dovere del mio ruolo di guardia reale assegnata alla tua persona.»

«Quindi è questo che stai facendo? Mi proteggi dal freddo tenendomi in braccio?»

«Esatto.» La sua mano ora era sul mio fianco, rovente come un tizzone acceso.

Fissai quella che mi parve la sua gola. «Tutto ciò è incredibilmente inappropriato.»

«Più di te che leggi quel diario zozzo?»

Mi andò a fuoco il volto. «Sì.»

«No.» La risata di Hawke mi attraversò letteralmente il corpo. «Non riesco a mentire stavolta: è vero, tutto ciò è inappropriato.»

«Ma perché?»

«Perché?» Il suo mento mi sfiorò la testa. «Perché lo voglio.»

Sbattei le palpebre una volta. Poi un’altra. «E se io invece non lo volessi?»

Lui rise di nuovo, e io di nuovo tremai. «Principessa, sono piuttosto sicuro che se tu non volessi che io facessi qualcosa, mi ritroverei steso sulla schiena con un pugnale alla gola prima di poter tirare il prossimo respiro. Persino adesso che non riesci a vedere a un palmo dal tuo naso.»

In effetti…

«Hai con te il pugnale, vero?»

Sospirai. «Ce l’ho.»

«Ne ero certo.» Mi lasciò andare la mano, e io la posai in grembo. «Ora non ci vede nessuno. Nessuno sa nemmeno che siamo qui. Per quanto ne sa il mondo intero, tu in questo momento sei nelle tue stanze.»

«La situazione continua a essere imprudente per una moltitudine di ragioni. Se arrivasse qualcuno…»

«Me ne accorgerei con largo anticipo.» E prima che potessi dire che il suo udito magari non era eccezionale come lui voleva spacciarlo, Hawke aggiunse: «In ogni caso chiunque dovesse arrivare qui, non saprebbe chi siamo».

Tirai indietro la testa, aumentando lo spazio tra il mio corpo e il suo. «È per questo che mi hai portata qui?»

«Questo cosa, principessa?»

«Per… comportarti in maniera inappropriata.»

«In che senso?» La sua voce si abbassò, e la sua mano si posò sul mio braccio.

«Mi sembra piuttosto ovvio, Hawke. Sono seduta sulle tue gambe: dubito che in genere sia così che tieni conversazioni innocenti con le persone.»

«Ben poco di quel che faccio in genere è innocente, principessa.»

«Ma sentilo» bofonchiai.

«Insomma, stai insinuando che io ti abbia portata qui, anziché in una camera privata con un letto…» Fece scorrere la punta delle dita lungo il mio braccio. «Per dare corso a qualche genere di comportamento inappropriato?»

«È esattamente quello che sto dicendo, anche se la mia camera sarebbe stata un’opzione migliore.» Il cuore, che già aveva iniziato a galoppare all’impazzata da quando il mio fondoschiena era finito sulle sue gambe, ora sembrava sul punto di esplodermi nel petto.

«E se dicessi che non è vero?»

«Io…» Le sue dita raggiunsero il mio fianco e il mio stomaco ebbe un sussulto. «Non ti crederei.»

«E se invece dicessi che è iniziato tutto in un altro modo…» Spinse il pollice contro il mio fianco. «Ma che poi c’era la luce della luna, e tu con i capelli sciolti e con questo abito, e solo a quel punto mi è venuto in mente che questo sarebbe stato il luogo ideale per qualche comportamento assolutamente inappropriato?»

«In questo caso… ti crederei più facilmente.»

La sua mano si mosse sulla stoffa sottile della mia gonna. «Dunque, eccoti la verità.»

«Almeno sei stato onesto.» Mi morsi le labbra: il mio tremito stava aumentando. Ed era una situazione pericolosa: anche se nessuno ci avesse sorpresi, avevo la sensazione di sfidare il destino davanti agli dei. Qualche bacio rubato non era un vero problema. Qualcosa di più di un bacio, probabilmente, era perdonabile. Ma andare oltre?

In realtà nemmeno i baci rubati erano perdonabili, a dare retta al duca e alla duchessa… e alla regina.

Eppure, se i numi avessero voluto intervenire, non lo avrebbero già fatto? Mi tornò in mente quel che aveva detto Tawny una volta, sul fatto che non era detto che le regole che mi venivano imposte arrivassero davvero dagli dei. E, se avevo interpretato bene il discorso della duchessa sulla prima Vergine, anche quest’ultima aveva fatto non poche cose proibite.

Senza essere considerata indegna.

«Sai che ti dico? Facciamo un patto.»

«Un patto?»

«Sì. Se faccio qualcosa che non ti va…» La mano di Hawke scivolò sulla mia coscia, troncandomi il respiro. Poi, attraverso la stoffa del vestito, le sue dita si chiusero sul mio pugnale. «Hai il permesso di pugnalarmi.»

«Sarebbe eccessivo.»

«Spero che in tal caso ti limiteresti a una ferita superficiale. Ma potrebbe valere la pena scoprirlo.»

Ghignai. «Hai una pessima influenza su di me, lo sai?»

«Pensavo avessimo stabilito che solo i cattivi si lasciano influenzare.»

«E io pensavo di averti già detto che la tua logica è fallace.» Chiusi gli occhi mentre le sue dita seguivano il contorno del pugnale infoderato.

Un altro brivido incandescente mi percorse la spina dorsale, e avvertii l’impulso improvviso di stringere forte le cosce. Ma riuscii a non farlo.

Resistetti, pur sapendo bene che la notte prima gli avrei permesso di baciarmi.

«Io sono la Vergine, Hawke» gli ricordai. O forse lo ricordai a me stessa.

«Non me ne importa nulla.»

Spalancai gli occhi, costernata. «Non riesco a credere che tu lo abbia detto davvero.»

«L’ho detto, e lo ripeterei. Non mi importa che cosa sei.» La sua mano si staccò dalla schiena e un attimo dopo, con precisione infallibile, si posò sulla mia guancia. «Mi importa chi sei.»

Oh.

Oh, dei.

Cominciai a respirare così in fretta che mi sembrò un miracolo non volare su fino alla sommità del salice. Quello che aveva appena detto… era la cosa più bella e più perfetta che qualcuno avrebbe mai potuto dirmi.

«Perché?» chiesi, quasi desiderando che lui non avesse detto nulla. «Perché dici questo?»

«Me lo stai chiedendo sul serio?»

«Sì. Quello che hai detto non ha senso.»

«Tu non hai senso.»

Gli sferrai un pugno alla spalla. O al petto. A qualche parte incredibilmente soda del suo corpo.

«Ahia

Decisamente non lo avevo colpito così forte. «Non frignare.»

«Mi hai lasciato un livido.»

«Non dire sciocchezze. E comunque quello che non ha senso sei tu.»

«Io sono quello che sta seduto e parla con sincerità. Tu sei quella che mi prende a pugni. Chi è che non ha senso qui?»

«Tutta questa situazione non ne ha.» La frustrazione mi investì in pieno e feci per alzarmi in piedi, ma la sua mano sul fianco mi trattenne. O forse gli permisi di trattenermi. Non avrei saputo dirlo. E la cosa mi irritò ancora di più. «Hawke, tu potresti passare il tuo tempo con chiunque… Tutte persone insieme alle quali non avresti bisogno di doverti nascondere sotto un albero.»

«Eppure è con te che sono qui. E prima che tu cominci a dire che è il mio dovere, no. Se avessi voluto fare solo il mio dovere mi sarebbe bastato riaccompagnarti nelle tue stanze e montare la guardia fuori dalla porta.»

«Esattamente quel che intendevo: non ha senso. Potresti avere una folla di volontarie per qualunque cosa tu abbia in mente. Sarebbe facile.» Mi tornò in mente la graziosa Britta. Con lei lo era stato di sicuro. «Ma non puoi avere me. Io sono… inavibile

«Non credo che questa parola esista.»

«Non è questo il punto. Non mi è permesso fare queste cose. Nessuna di esse. Non avrei dovuto fare nemmeno quello che ho fatto alla Perla Rossa… Che io lo voglia o no, non importa.»

«Ma tu lo vuoi.» Il suo respiro danzò sulla mia guancia. «Tu vuoi me.»

Mi mancò il respiro. «Non ha importanza.»

«Quello che tu vuoi ne ha sempre.»

Mi sfuggì una risata amara. «No che non ne ha. E, di nuovo, non è questo il punto: tu potresti…»

«Lo hai già detto, principessa. E hai ragione: potrei trovare qualcuno di più facile.» Percorse con il dito il contorno della mia maschera dall’orecchio destro fin giù, lungo la guancia. Continuavo a domandarmi come potesse vederci in quell’oscurità. «Una Lady o un Lord in Attesa. Persone che non sono soggette alle regole che limitano te, che non sono Vergini che ho giurato di proteggere. Potrei occupare il mio tempo in un sacco di modi che non includerebbero dover spiegare nel dettaglio perché ho scelto di essere dove mi trovo con la persona con cui mi trovo.» Gli angoli della mia bocca si piegarono verso il basso.

«Ma il punto è…» continuò Hawke. «Nessuno di loro mi intriga. Tu sì.»

Tu mi intrighi.

«Sul serio è così semplice per te?» Volevo disperatamente credergli, e allo stesso tempo non volevo.

Accostò la fronte alla mia, facendomi sussultare. «Niente è mai semplice. O meglio, quando qualcosa lo è, raramente vale la pena di essere vissuta.»

«Ma perché?»

«Comincio a credere che sia la tua domanda preferita.»

«Forse.» Le mie labbra si incurvarono in un minuscolo sorriso. «È solo che… dei, ci sono così tante ragioni per cui non capisco che cosa ti intrighi tanto. Mi hai vista.» Sentii le guance avvampare, e sperai ardentemente che lui non se accorgesse. Detestavo quello che stavo per dire, ma era la verità. «Hai visto che aspetto ho…»

«L’ho visto, e sai già cosa ne penso. L’ho detto davanti a te e al duca, e te l’ho ripetuto fuori dalla Sala Grande…»

«Ricordo. E non lo sto tirando fuori adesso per cercare complimenti. È che…» Dei, desiderai non avere iniziato quel discorso. Scossi la testa. «Non fa niente. Dimentica quello che ho detto.»

«Non posso. E non lo farò.»

«Splendido» borbottai.

«Il problema è che sei abituata ad avere a che fare con gente imbecille come il duca.» La sua voce uscì come un ringhio profondo. «Sarà anche un Asceso, ma come essere umano non vale niente.»

Ebbi un tuffo al cuore. «Hawke, non dovresti dire cose del genere…»

«Non ho paura di dire la verità. Occupa una posizione di potere, ma è un uomo debole che vuole mostrarsi forte tentando di umiliare quelli più potenti di lui. Una persona come te, con la tua forza, lo fa sentire l’incompetente che in effetti è. Quanto alle tue cicatrici, sono la testimonianza della tua resistenza, la prova che sei sopravvissuta. Dimostrano perché sei qui quando persone con il doppio della tua età non ci sarebbero. Non sono orribili, nulla di più falso. Sono bellissime, Poppy.»

Poppy.

«È la terza volta che mi chiami così.»

«La quarta» mi corresse. Sbattei le palpebre. «Siamo amici, no? E solo i tuoi amici e tuo fratello ti chiamano con questo nomignolo. È vero che tu sei la Vergine e io una guardia reale, ma, tutto considerato, mi piace pensare che io e te siamo davvero amici.»

«Lo siamo.» Ed era vero.

Posò di nuovo la mano sulla mia guancia e sospirò. «Ma in questo momento non… non mi sto comportando da buon amico, o da buona guardia del corpo.» Spostò la mano per stringermi le dita sulla nuca, solo per un attimo. Poi si ritirò. «Dovrei riportarti nelle tue stanze adesso. Si sta facendo tardi.»

Esalai un respiro affannato. «È vero.»

E ora mi avrebbe riportata a casa, nel luogo in cui io ero la Vergine, la Prescelta. Dove non ero Poppy, ma solo l’ombra di una persona che non aveva il permesso di sperimentare, vivere o desiderare nulla. Dove avrei smesso di nuovo di essere quel che Hawke aveva visto.

«Hawke» sussurrai, con il cuore che rimbombava più forte di un tuono. «Baciami. Ti prego.»