Hawke era talmente immobile a contatto con il mio corpo che non ero certa stesse respirando. La mia richiesta lo aveva sconvolto, e aveva sconvolto anche me.
Probabilmente ero stata io stessa a smettere di respirare.
«Dei» sussurrò, e riportò una mano sulla mia guancia. «Non me lo devi chiedere due volte, principessa, e non devi mai supplicare.»
Prima che avessi la possibilità di replicare, le sue labbra sfiorarono le mie. Il morbido contatto mi fece trasalire, e avrei giurato di sentirle curvarsi in un sorriso. Avrei desiderato vederlo, perché sembrava un sorriso completo, di quelli che facevano apparire entrambe le fossette, ma poi Hawke mosse la bocca sulla mia, così lento da far male, come se stesse mappando la linea delle mie labbra con le sue. Rimasi completamente immobile, con il cuore che si dibatteva come una farfalla intrappolata, mentre Hawke ripercorreva il tragitto appena compiuto. Minuscoli brividi mi scivolarono lungo tutto il corpo. Tremando, strinsi tra le dita la sua tunica, senza dubbio stropicciandone il raffinato tessuto.
Quel tocco era a malapena un bacio, ma numi, la delicatezza, la dolcezza di cui era infuso mi sconvolsero, scuotendomi nel profondo.
Poi Hawke piegò la testa, aumentando la pressione, baciandomi più a fondo. Di colpo, tutto cambiò. Il bacio – la sua crudezza – mi lasciò senza fiato. Il risultato fu che quando ci separammo, entrambi eravamo ansimanti, con il respiro che ci sollevava rapido il petto. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, nel buio, ma potevo percepire il suo sguardo penetrante.
In quell’istante non pensai a ciò che ero. Non pensai a ciò che era proibito e a ciò che era giusto. Non pensai affatto, a dire il vero, e non sapevo chi avesse agito per primo. Hawke? Io? Entrambi nello stesso momento? Le nostre labbra si toccarono ancora, e questa volta senza esitazioni. C’erano solo desiderio, così tanto, e centinaia di altre sensazioni potenti e proibite, che mi scuotevano. Le sue labbra bruciarono le mie, riscaldate dal mio sangue, e mi incendiarono i sensi. Le sue mani si spostarono sulle mie spalle, scesero lungo le braccia. Hawke rabbrividì, e dal fondo della sua gola salì un suono, a metà tra un ringhio e un gemito, un suono che mi suscitò piccoli tremiti di piacere e panico mentre dischiudeva le mie labbra. La fame dietro al nostro bacio avrebbe dovuto spaventarmi, e forse un po’ lo fece, perché parve troppo e allo stesso tempo neanche lontanamente abbastanza. Le sue mani scivolarono sui miei fianchi e io gemetti. Mi parve che il mio corpo emanasse scintille, che stesse prendendo fuoco…
Hawke mi afferrò per la vita, mi sollevò e mi riadagiò in modo che le mie ginocchia restassero ai lati del suo corpo e fossi io a premere contro di lui. I suoi calzoni e il mio vestito non erano una reale barriera. Riuscivo a percepire il suo corpo, e con un tremito mi sentii attraversare da un intenso dolore pulsante. Il suo gemito in risposta, un altro suono profondo e roco, mandò in frantumi qualsiasi esitazione mi fosse rimasta. Gli posai le mani sul petto, meravigliandomi del modo in cui il suo corpo sobbalzò quando le lasciai scivolare sulle sue spalle e poi intorno al suo collo. Allora feci quello che avrei voluto fare alla Perla Rossa. Gli affondai le dita tra i capelli, ciocche morbide come mi ero immaginata. Nessun’altra parte di lui era così morbida. Contro di me Hawke era solo duro calore.
Mi avvolse con le braccia stringendomi così forte a sé che tra noi rimase a malapena dello spazio. Mi baciò ancora, e continuò a farlo, e io ebbi la certezza che quello non era solo un bacio. Era molto di più, era qualcosa che andava oltre le sensazioni che provava lui e ciò che risvegliava in me.
Le sue parole mi avevano toccata nel profondo, ed era elettrizzante. Mi sentivo viva, come se finalmente mi stessi svegliando.
E non volevo che finisse, mai.
Non con quel fiotto di sensazioni che mi inondava. Dentro di me sapevo che avevo perso il controllo su ciò che sarebbe accaduto in seguito. Le mie difese erano spalancate, e non avevo modo di capire se ciò che sentivo appartenesse a lui, a me o a entrambi.
L’istinto prese il sopravvento, inducendo il mio corpo – i miei fianchi – a spingere e ondeggiare, e lui rabbrividì di nuovo, mentre mordeva il mio labbro inferiore. Strinse nel pugno la gonna, sollevandola finché le sue mani mi toccarono i polpacci. Un tremito mi attraversò come un fulmine.
«Ricordati» mi disse contro la bocca, mentre risaliva con i palmi fino alla curva delle mie ginocchia. «Qualsiasi cosa non ti piaccia, ti basterà dirlo e mi fermerò.»
Annuii, cercando la sua bocca nell’oscurità. Quando la trovai, mi chiesi come ero riuscita a resistere così a lungo senza baciarlo di nuovo.
Mi chiesi come avrei potuto andare avanti senza farlo ancora e ancora.
Quel pensiero minacciò di stemperare il calore, ma le sue mani si stavano muovendo di nuovo, sfiorandomi la pelle e indirizzando un flusso di sangue bollente in ogni parte del mio corpo. Mi spinsi in avanti finché i nostri fianchi non si fusero insieme. Mi mossi. Ci muovemmo. E credo di avere sussurrato il suo nome prima di baciarlo di nuovo, insinuando la lingua tra le sue labbra, contro i suoi denti…
Hawke spostò indietro la testa di scatto, ansimante, e appoggiò la fronte contro la mia. «Poppy» disse, in un modo che fece sembrare il mio nome sia una preghiera sia un’imprecazione.
«Sì?» Aprii e richiusi le dita sui suoi capelli morbidi come seta.
«Questa è stata la quinta volta che ho detto il tuo nome, in caso tu stia ancora tenendo il conto.»
Sogghignai. «Sì che lo faccio.»
«Bene.» Sfilò le mani da sotto il mio vestito, e una trovò la mia guancia. Percorse il bordo della mia maschera, sorprendendomi ancora una volta con la sua vista al buio. «Credo di non essere stato sincero, poco fa.»
«Su che cosa?» Allentai la presa sui capelli e abbassai le mani sulle spalle.
«Sul fatto di fermarmi» ammise sommessamente, accarezzandomi con le dita lungo la guancia e la mandibola. «Mi fermerei, ma non credo che tu mi fermeresti.»
«Non capisco bene che cosa intendi.» Lasciai che i miei occhi si chiudessero. Nonostante la confusione provocata dalle sue parole e il fatto che non ci stavamo baciando, mi piaceva l’intimità data dalla nostra vicinanza, dal modo in cui la sua testa era appoggiata alla mia.
Lui spostò la punta delle dita lungo il mio collo, di lato. «Vuoi che sia schietto?»
«Voglio sempre che tu sia sincero.»
Avevo ancora le percezioni aperte. Lo sapevo perché attraverso la nostra connessione avvertii una sensazione estranea, ma troppo fugace perché potessi capire di cosa si trattasse.
E poi Hawke mi baciò sulla tempia, e io pensai alla strana sensazione come di cenere che mi aveva foderato la gola. «Ero a pochi istanti dal gettarti per terra e diventare una guardia molto, molto cattiva.»
L’aria mi si bloccò in gola, mentre un calore pulsante si diffondeva dentro di me. Non sapevo molto, ma abbastanza da capire che cosa intendeva. «Davvero?»
«Davvero» rispose serio.
Avrei dovuto sentirmi sollevata che si fosse fermato, ed era così. Tuttavia, allo stesso tempo, non lo ero. Quello che provavo era un confuso groviglio di emozioni. Ma una cosa era certa.
«Non credo che ti avrei fermato» sussurrai. Gli avrei permesso di farmi sdraiare a terra, e avrei accolto con entusiasmo quello che avrebbe fatto: al diavolo le conseguenze.
Hawke gemette con un tremito. «Non sei d’aiuto.»
«Sono una cattiva Vergine.»
«No.» Mi baciò l’altra tempia. «Sei una ragazza perfettamente normale. È ciò che si aspettano da te a non andare bene.» Fece una pausa. «E sì, sei anche una Vergine molto cattiva.»
Anziché offendermi – perché non potevo in alcun modo negare quello che aveva detto, nemmeno escludendo quella notte – risi, e fui premiata quando lui mi circondò con un braccio. Hawke mi attirò di nuovo a sé, facendomi scivolare una mano sulla nuca. Gli appoggiai la guancia sulla spalla mentre la sua presa si faceva più stretta, poi lui mosse le dita, massaggiandomi i muscoli del collo. Non so bene per quanto tempo rimanemmo là così, in silenzio e nascosti dal salice, ma so che il mio sangue si raffreddò e il mio cuore rallentò la sua corsa. Tuttavia non mi mossi, né lo fece Hawke. Pensai che forse… forse essere abbracciata in quel modo, così vicina e con fermezza, era bello quanto baciarsi e toccarsi.
Forse anche meglio, in un modo del tutto diverso.
Ma si stava facendo tardi, e non fu una sorpresa che fosse proprio Hawke a comportarsi in maniera responsabile. Mi baciò sulla testa, e il cuore mi si strinse di una dolcezza quasi dolorosa.
«Devi rientrare, principessa.»
«Lo so.» Però, rimasi ancora aggrappata a lui.
Hawke ridacchiò, e io sogghignai contro la sua spalla. «Devi lasciarmi andare, però.»
«Lo so.» Sospirai, ma rimasi dov’ero, pensando che non appena avessimo lasciato la protezione del salice, saremmo tornati nel mondo reale e non saremmo più stati nel nostro rifugio, dove io ero Poppy e contava solo chi ero. «Non voglio.»
Lui rimase in silenzio così a lungo che temetti di avere detto la cosa sbagliata, ma poi il braccio che mi cingeva mi diede un’altra stretta. Quando Hawke parlò, la sua voce era stranamente roca. «Nemmeno io.»
Quasi gli chiesi perché dovevamo farlo, ma riuscii a trattenermi. Allora Hawke si alzò, portandomi con sé, e io abbassai riluttante le gambe. Rimanemmo lì per un altro momento troppo fugace, lui che mi cingeva, io con le braccia sollevate, i nostri corpi ancora a contatto.
Poi tirai un profondo respiro, aprii gli occhi e feci un passo indietro. Non riuscivo a vederlo, ma non fui sorpresa quando la sua mano trovò la mia e mi condusse verso i rami del salice.
Si fermò. «Pronta?»
Niente affatto, eppure risposi di sì, e lasciammo il riparo del salice. Il mio petto minacciava di farsi pesante, ma mi rifiutai di permettere che accadesse. Almeno non in quel momento. Avrei avuto tutta la notte per trasformare in ricordi tutto ciò che sentivo.
Avevo molte lune davanti a me, per quello.
Tornammo sul sentiero illuminato dalle lampade a gas. Il giardino era silenzioso, salvo che per il suono del vento e dei nostri passi. Osservai i sentierini in ombra, chiedendomi che ne fosse stato delle conversazioni sussurrate e dei flebili gemiti. Girammo l’angolo, avvicinandoci alla fontana…
E ci trovammo faccia a faccia con Vikter, senza maschera.
Il cuore mi si torse nel petto mentre incespicavo indietro di un passo. Hawke si voltò come per afferrarmi, ma ritrovai l’equilibrio. «Oh, miei dei» sussurrai, alzando lo sguardo su Vikter. «Mi hai quasi fatto venire un infarto.»
Lui mi fissò per un lungo istante, poi si voltò verso Hawke. Quando posò lo sguardo sulle nostre mani che si stringevano, un muscolo nella sua guancia guizzò.
Oh, merda.
Lentamente, Vikter alzò lo sguardo mentre io tentavo di liberare la mano. Hawke la tenne per un attimo, poi la lasciò andare. Giunsi le mani, con gli occhi sgranati dietro la maschera.
«È ora di tornare nella tua stanza, Vergine» ringhiò Vikter a bassa voce.
Il suo tono mi strappò una smorfia.
«Stavo giusto per accompagnare Penellaphe nella sua stanza» replicò Hawke.
Vikter si voltò di scatto verso di lui. «So esattamente che cosa stavi per fare.»
Rimasi a bocca aperta.
«Ne dubito» mormorò Hawke.
Non avrebbe potuto dire niente di più sbagliato. «Credi che non lo sappia?» Vikter era ormai vicinissimo a Hawke, e anche se lui era più alto di tre o quattro centimetri, si fissarono negli occhi. «Basta guardarvi un istante per capirlo.»
Guardarci? Sbattendo le palpebre, portai le dita alle labbra, che ancora sentivo gonfie e mi pareva formicolassero. I miei occhi volarono sulla bocca di Hawke. La sua era davvero un po’ gonfia.
Hawke mantenne la posizione e resse lo sguardo di Vikter, e io proprio non sapevo che cosa avrebbe potuto dire. «Non è successo nulla, Vikter.»
Be’…
«Nulla?» ringhiò Vikter. «Ragazzo, sarò anche nato di notte, ma non era la notte scorsa.»
Sbattei le palpebre.
«Grazie per avere sottolineato l’ovvio» ribatté Hawke. «Ma stai di gran lunga passando il segno.»
«Io?» Vikter rise, ma non era divertito. «Lo capisci che cosa è lei?» domandò, a voce così bassa da essere a malapena udibile. «Lo capisci che cosa sarebbe successo se vi avesse visti una persona diversa da me?»
Avanzai di un passo. «Vikter…»
«So perfettamente chi è» replicò Hawke. «Non che cosa è. Forse ti sei dimenticato che non è solo un maledetto oggetto inanimato il cui unico scopo è servire il regno. Ma io no.»
Mi voltai verso di lui. «Hawke.»
«Oh sì, questa è bella, detta da te. Come la vedi, tu, Hawke?» Vikter avanzò ancora di più. Di colpo erano vicini quanto lo eravamo stati io e Hawke sotto il salice. «Un’altra tacca da segnare sul letto?»
Trasalii, tornando a voltarmi. «Vikter!»
«È perché lei è l’ultima sfida?» continuò imperterrito lui, e io lo fissai sbalordita.
Hawke abbassò il mento. «Capisco che tu sia protettivo nei suoi confronti. Lo capisco davvero. Ma te lo ripeto ancora una volta, stai di gran lunga passando il segno.»
«E io ti prometto questo… prima di trascorrere un altro secondo da solo con lei dovrai passare sul mio cadavere.»
Allora Hawke sorrise, sollevando un angolo della bocca. Nessuna fossetta. Alla luce della luna i suoi lineamenti parvero farsi più affilati, gettando ombre sotto i suoi occhi e sui suoi zigomi. «Ti considera un padre» disse, con voce così sommessa da farmi correre un brivido lungo la schiena. «Soffrirebbe moltissimo se ti capitasse qualcosa di spiacevole.»
Vikter inarcò le sopracciglia. «Mi stai minacciando?»
«Ti sto solo facendo sapere che questo è l’unico motivo per cui non sto facendo avverare la tua promessa in questo stesso istante» lo avvertì Hawke. «Ma devi fare un passo indietro. Altrimenti, qualcuno si farà male, e quel qualcuno non sarò io. Allora Poppy soffrirà.» Si voltò verso di me e aggiunse: «E questa è la sesta volta che dico il tuo nome». Non potei fare altro che fissarlo. «Ma io non voglio che soffra, perciò fai un cazzo di passo indietro.»
«Smettetela, tutti e due» sussurrai, afferrando Vikter per il braccio, ma lui non si mosse. «Sul serio. State facendo una tragedia sul nulla. Vi prego.»
Non smisero di fissarsi, e fu come se non fossi nemmeno lì. Alla fine, Vikter arretrò. Non sapevo se avesse visto qualcosa sul volto di Hawke, oppure se fosse stato perché lo tiravo per il braccio, ma fece un altro passo indietro, insolitamente pallido alla luce della luna.
«La proteggerò io per il resto della serata» affermò Vikter. «Sei congedato.»
Hawke fece un sorrisetto, e io gli scoccai un’occhiataccia che lui parve non notare nemmeno. Non disse nulla quando Vikter mi prese per il braccio e si voltò. Andai con lui, e dopo solo un paio di passi mi guardai indietro al di sopra della spalla.
Il punto dove prima c’era Hawke era vuoto.
Mi voltai rapida, senza vederlo. Dov’era…?
«Non so nemmeno che cosa dirti in questo momento» affermò Vikter. «Dei… dopo avere parlato con il comandante non sono riuscito a trovarti, ma ho incontrato Tawny. Ha detto che eri tornata in camera tua. Sono andato a vedere come stavi, e quando non ti ho trovata ho capito che potevi essere qui. Ma non mi aspettavo questo.»
Sembrava che sapesse perfettamente che cosa voleva dire.
«Dannazione, Poppy, hai più buonsenso di così. Sai qual è la posta in gioco, e non mi riferisco al fottuto regno.»
Sentirlo imprecare destò la mia attenzione. Alzai lo sguardo, mentre lui continuava a grandi passi, portandomi con sé.
«Se qualcuno ti avesse vista con lui, perdere qualche giorno di addestramento sarebbe stato l’ultimo dei miei timori» proseguì, e il mio stomaco sprofondò. «E anche Hawke ha più buonsenso di così. Maledizione, non avrebbe mai dovuto posare una mano…»
«Non è successo nulla, Vikter.»
«Stronzate, Poppy. Hai l’aria di essere stata baciata per bene. Spero che sia stato solo questo.»
«Oh, dei» esclamai, con il volto in fiamme.
«Non mentirmi.»
«Stavamo tornando indietro per andare nella mia stanza…»
Vikter si fermò e posò su di me uno sguardo a occhi sgranati e sopracciglia sollevate.
«Non è quello che pensi» insistei, ed era la verità. «Per favore. Lascia solo che ti spieghi quello che è successo» dissi, cercando disperatamente di capire come sistemare la situazione.
«Non credo di voler sapere.»
Lo ignorai. «Dopo che te ne sei andato per parlare con il comandante, mi sono sentita in colpa perché Tawny rimaneva incollata al mio fianco. Sapevo che finché fossi rimasta al Rito, lei avrebbe pensato di dover stare con me. Perciò, le ho detto che sarei tornata in camera così avrebbe potuto divertirsi.»
«Questo non spiega come sei finita qui con lui.»
«Ci stavo arrivando» dissi, sforzandomi di essere paziente. «Hawke sapeva che non avevo voglia di tornare nella mia stanza, e sapeva quanto un tempo amassi i giardini. Allora mi ha accompagnato fuori perché potessi… perché potessi superare ciò che è successo qui con Rylan. Ecco perché eravamo qui fuori.»
«Ho la sensazione che tu stia omettendo parecchio.»
A quel punto sapevo di non poter continuare a mentire, non su tutto almeno. «Abbiamo passeggiato, e Hawke mi ha mostrato un angolo del giardino che gli piace. E io… gli ho chiesto di baciarmi.»
Vikter distolse lo sguardo, serrando la mascella.
«E ci siamo baciati, d’accordo? È successo, ma non c’è stato altro. Si è fermato prima che si andasse oltre» gli dissi in tutta sincerità. «So che non avrei dovuto chiedergli…»
«Lui non avrebbe dovuto essere tanto ben disposto ad assecondarti.»
«Non è questo il punto.»
«Questo è il punto, Poppy.»
«No, invece.» Liberai il braccio e chiusi le mani a pugno. «Non è affatto questo il maledetto punto!»
Lo sbigottimento balenò sul viso di Vikter.
Mi sforzai di abbassare la voce. «Tutta questa stupida situazione è il punto. Il fatto che non posso fare niente è il punto. Che non posso avere una notte per fare qualcosa di normale e divertente e piacevole. Che non posso fare nessuna esperienza senza essere ammonita e senza che mi venga ricordato che cosa sono. Che ogni privilegio che avete tu, Tawny e chiunque altro io non ce l’ho.» La voce mi si spezzò e sentii il fondo della gola iniziare a bruciare. «Io non ho niente.»
L’espressione sul viso di Vikter si addolcì. «Poppy…»
«No.» Indietreggiai di un passo, le linee del suo volto si stavano offuscando alla mia vista. «Tu non capisci. Non posso festeggiare i compleanni perché è empio. Non mi è permesso partecipare ai picnic al Boschetto o cenare con altre persone perché sono la Vergine. Non mi è permesso difendermi perché sarebbe sconveniente. Non so nemmeno cavalcare. Quasi ogni libro mi è proibito. Non posso socializzare o farmi degli amici perché il mio unico scopo è servire il regno andando dagli dei… una cosa che nessuno mi spiega. Che cosa vuole dire esattamente?»
Con il respiro ansimante, cercai di porre un freno alle mie emozioni, ma non ci riuscii. In me qualcosa si spezzò, irruppe fuori, e io non riuscii a fermarlo. «Non so nemmeno se avrò un futuro dopo l’Ascensione. In meno di un anno, se non addirittura prima, potrei perdere ogni possibilità di fare tutto quello che chiunque altro dà per scontato. Non ho una vita, Vikter. Niente.»
«Poppy» sussurrò lui.
«Mi è stato tolto tutto – il libero arbitrio, la scelta, il futuro – e devo anche sopportare le lezioni del duca» sibilai, tremando. «Devo rimanermene lì e lasciare che mi colpisca. Permettergli di guardarmi e di toccarmi! Di fare qualsiasi cosa lui o il lord vogliano…» Presi un respiro impetuoso e doloroso, sollevai le mani, afferrai ciocche dei miei stessi capelli e le tirai indietro mentre Vikter chiudeva gli occhi. «Devo rimanere lì a sopportare. Non posso nemmeno gridare o piangere. Non posso fare nulla. Perciò mi spiace che scegliere una cosa che voglio per me stessa sia una tale delusione per te e per tutti gli altri, dei compresi. Dove sta l’onore nell’essere la Vergine? Di che cosa esattamente dovrei essere orgogliosa? Esiste qualcuno che vorrebbe tutto questo? Fammi vedere chi sono e sarò felice di scambiarmi di posto con loro. Non dovrebbe stupirti che io desideri essere giudicata indegna.»
Nel momento in cui quelle parole mi sfuggirono di bocca, mi portai le mani alle labbra. Vikter sgranò gli occhi, e per un lungo istante ci fissammo a vicenda. La verità era una spada a doppio taglio tra noi.
«Poppy…» Vikter si guardò intorno, poi mi tese le mani. «Va tutto bene. Andrà tutto bene.»
Sgusciai dal suo abbraccio. Non andava tutto bene. Non sarebbe andato tutto bene. L’avevo detta. La verità. Ad alta voce. Con il cuore che martellava e lo stomaco che si torceva, mi voltai e mi avviai verso il castello. Mi sembrava di essere sul punto di vomitare. «Voglio tornare nelle mie stanze» sussurrai, abbassando le mani. Vikter fece per parlare. «Ti prego. Voglio solo tornare nella mia camera.»
Lui non rispose, grazie agli dei, ma mi seguì subito. L’unica cosa su cui riuscivo a concentrarmi era mettere un piede davanti all’altro. Altrimenti la sfera irosa, confusa e violenta delle mie emozioni, che sentivo incastrata in gola, sarebbe esplosa. Io sarei esplosa. Era così che mi sentivo. Ero sul punto di esplodere in una pioggia di fiamme e scintille, e non pensai minimamente al mio aspetto quando entrammo nell’ingresso e ci spostammo alla luce, non mi importava di quello che la gente avrebbe visto se mi avesse guardata e si fosse resa conto che ero la Vergine. Tutto il mio corpo tremava per lo sforzo di trattenere…
Un forte rumore scricchiolante, simile al legno che si spezza, ci fece fermare. Ci voltammo verso la Sala Grande proprio mentre si udiva un grido, seguito da urla. Urla penetranti, che si susseguivano. Il mio cuore sprofondò.
Qualcuno – una Lady in Attesa – uscì indietreggiando dalla Sala Grande, con le mani premute sulla bocca e il vestito rosso che le svolazzava intorno ai piedi.
Vikter si avviò verso l’ingresso, ma poi si fermò. Si voltò verso di me, e io capii che mi avrebbe prima riportata nella mia stanza, ma le urla non cessavano, seguite da grida di panico e orrore. Un’altra Lady in Attesa raggiunse la prima. Poi un’altra persona, un servitore con un vassoio vuoto, si girò e vomitò.
«Che cos’è successo?» domandai, ma nessuno rispose. Nessuno poteva sentirmi tra quelle urla. A occhi sgranati, incrociai lo sguardo di Vikter. «Tawny è là dentro.»
La linea decisa della sua mascella diceva che non poteva importargliene di meno. Fece per afferrarmi, ma io fui rapida, perché mi aveva insegnato lui come esserlo quando ne avevo bisogno. Schivai la sua mano e corsi verso l’ingresso, mentre sentivo risuonare nelle orecchie la sua imprecazione soffocata.
Un fiotto di persone uscì dall’entrata, urtandomi la spalla. Una confusione di volti mascherati giunse da ogni direzione. Fui spinta da una parte, i piedi nelle babbucce scivolarono sui pavimenti lucidi, ma avanzai comunque a forza. Tawny era ancora là.
Non riuscivo a pensare ad altro mentre fendevo la folla in preda al panico.
Mi fermai slittando e il mio sguardo si posò sulla pedana, su ciò che c’era dietro la pedana. «Oh, dei» sussurrai.
Avevo capito che cosa aveva prodotto quel suono scricchiolante. Una delle aste di legno che reggevano i pesanti stendardi si era spezzata. Quello del Rito era crollato, lo stendardo giaceva ammucchiato sul pavimento, ma il colore della parete era rimasto rosso.
Vidi che cosa aveva spezzato l’asta, che cosa pendeva dalla metà rimanente. Braccia tenute spalancate da corde, e tanto, troppo rosso che rigava la pelle pallida. Sapevo chi era. Sapevo perché la duchessa rimaneva al centro della Sala Grande, con le braccia lungo i fianchi, e perché tutti gli altri erano paralizzati dallo sgomento. I capelli erano così biondi da sembrare bianchi.
Era il duca.
Perfino dal punto in cui mi trovavo, distinguevo l’oggetto che gli trapassava il petto, il cuore. Lo avrei riconosciuto ovunque.
Era la verga con cui mi frustava.
E sopra di lui, scritto in rosso, con il sangue, c’era il marchio dell’Oscuro.
Da sangue e cenere…
noi risorgeremo.