29

Nel giro di poche ore, mentre attraversavamo le Pianure Spoglie, non dovetti più affidarmi all’immaginazione per capire che cosa intendesse Hawke quando aveva detto che avremmo cavalcato insieme.

C’era poco spazio tra i nostri corpi, ma all’inizio, non appena le pesanti porte dell’Alzata si erano aperte e avevamo superato le torce, non era stato così. Consapevole che gli uomini che viaggiavano con noi conoscevano la mia identità, da principio mi ero seduta con la schiena dritta, cercando disperatamente di ignorare la sensazione del braccio di Hawke intorno alla mia vita; ma il ritmo che tenevamo era alto. Non procedevamo a rotta di collo, tuttavia, non essendo abituata ai movimenti del cavallo, quella posizione rigida era divenuta rapidamente scomoda e dolorosa. A ogni ora che passava finivo sempre più vicina a Hawke, finché non mi trovai con la schiena premuta contro il suo petto e le sue cosce a cingermi i fianchi. A un certo punto il cappuccio del mio mantello era ricaduto indietro, e io lo avevo lasciato dov’era, in parte perché volevo sentire il vento sul viso, e in parte perché potevo percepire il fiato caldo di Hawke contro la guancia, ogni volta che si chinava a parlarmi.

Avevo avuto ragione. Per una Vergine, era una situazione totalmente inappropriata. O, quantomeno, lo era il modo in cui mi sentivo quando lui mi teneva così.

Ci misi un po’, ma finii per rilassarmi e apprezzai la sensazione di trovarmi fra le braccia di Hawke, consapevole del fatto che quando avessimo raggiunto la nostra destinazione tutto sarebbe finito. Non contava quanto lui credesse di essere abile: nella capitale, le cose sarebbero state differenti.

Osservai la terra desolata. Un tempo, in quel luogo, c’erano state fattorie e locande in cui le persone si fermavano a riposare. Ma adesso non c’era altro che erba a perdita d’occhio, alberi piegati e contorti, e giunchi che crescevano sulle rovine.

Tutte le persone che incontravamo mi sembravano spettri.

I Craven avevano distrutto le Pianure, macchiando il terreno, un tempo fertile, di sangue e massacrando chiunque avesse osato stabilirsi al di fuori dell’Alzata.

E così vicino alla Foresta di Sangue.

Tenni gli occhi aperti per cogliere il primo scorcio di foresta, facendo di tutto per non pensare alla posizione del sole e a dove saremmo finiti al calare della notte.

Hawke si spostò, e in qualche modo metà del suo braccio finì per scivolare tra le pieghe del mio mantello. Il cavallo rallentò, e io mi ritrovai con la bocca completamente asciutta. Avevo il palmo di Hawke contro il fianco, e anche se il maglione di lana e i pantaloni che indossavo erano una barriera fra la sua pelle e la mia, il peso della sua mano era come un marchio.

«Stai bene?» chiese lui, e il suo respiro mi danzò sulla guancia.

«Non riesco più a sentire le gambe» ammisi.

Lui ridacchiò. «Ti abituerai in un paio di giorni.»

«Fantastico.» Sentii il suo pollice accarezzarmi il fianco e inspirai a fondo, stringendo la presa sul pomo della sella.

«Sei sicura di avere mangiato abbastanza?»

Avevamo fatto uno spuntino con formaggio e noci mentre cavalcavamo, e di solito i miei pranzi erano più abbondanti, ma non ero sicura che sarei mai stata in grado di mangiare veramente mentre ero sballottata su un cavallo. Annuii, notando che Kieran e Phillips, di fronte a noi, avevano a loro volta rallentato. Ogni tanto si parlavano, ma erano troppo lontani perché potessi sentire che cosa si dicevano.

«Ci stiamo fermando?» domandai.

«No.»

Aggrottai la fronte. «Allora perché stiamo rallentando?»

«È il sentiero…» Airrick, che cavalcava alla nostra sinistra, si interruppe e io sogghignai. Sapevo che era stato sul punto di chiamarmi Vergine. Lo aveva fatto così tante volte nell’ultimo paio d’ore, che Hawke aveva minacciato di buttarlo giù da cavallo se fosse successo ancora. Per fortuna, questa volta si era fermato in tempo. «Qui il sentiero si fa irregolare, e c’è un ruscello, ma è difficile da scorgere tra la vegetazione.»

«Non è tutto» aggiunse Hawke, che mi stava ancora accarezzando con il pollice, compiendo lenti cerchi regolari sulla lana.

«No?»

«Vedi Luddie?» Hawke stava parlando di uno dei Cacciatori che cavalcavano alla nostra destra, e che non aveva parlato granché da quando eravamo partiti. «Sta tenendo gli occhi aperti per i granratti.»

Arricciai le labbra. I granratti non erano i soliti roditori. Si diceva che fossero grossi quanto un cinghiale, dei veri incubi viventi. «Credevo che fossero estinti.»

«Sono le uniche creature che nemmeno i Craven mangiano.»

Era tutto dire. Rabbrividii. «Quanti credi che ce ne siano qui?»

«Non lo so.» Hawke strinse il braccio intorno alla mia vita, e io ebbi la sensazione che sapesse esattamente quanti.

Guardai Airrick.

Lui distolse gli occhi.

«Tu lo sai, Airrick?»

«Oh, be’, so che un tempo erano di più» rispose, scoccando un’occhiata nervosa verso Hawke, prima di tornare a guardare dritto davanti a sé. «Una volta non erano un problema, sapete? O almeno è quello che mi ha detto il nonno quand’ero un ragazzo. Viveva qui. È stato uno degli ultimi.»

«Davvero?»

Airrick annuì, mentre Hawke continuava a muovere il pollice. «Coltivava mais e pomodori, fagioli e patate.» Fece un debole sorriso. «Mi raccontava che un tempo i granratti non erano altro che una seccatura.»

«Non riesco a immaginare come ratti che pesano quasi novanta chili potessero essere solo una seccatura.»

«Be’, si nutrivano unicamente di carogne e avevano più paura loro della gente che il contrario» spiegò Airrick. Ero sicura che io di paura ne avrei avuta comunque, che quelle bestie lasciassero la gente in pace o meno. «Ma quando tutti se ne sono andati, hanno perso la loro…»

«Fonte di cibo?» conclusi per lui.

Airrick annuì, scrutando l’orizzonte. «Adesso, qualsiasi cosa trovino è cibo.»

«Noi compresi.» Speravo davvero che Luddie avesse una vista perfetta e un sesto senso infallibile per i granratti.

«Sei davvero una persona intrigante» commentò Hawke, mentre Setti trottava davanti a Airrick.

«Intrigante è la tua parola preferita.»

«Lo è quando sono con te.»

Mi concessi di sorridere perché nessuno mi stava guardando, e mi andava di farlo. «E adesso perché sarei intrigante?»

«E perché non dovresti esserlo?» disse lui. «Non hai paura né dei Caduti né dei Craven, ma tremi come un micino bagnato solo a sentir nominare i granratti.»

«Craven e Caduti non scorrazzano su quattro zampe e non sono coperti di pelo.»

«Be’, i granratti non scorrazzano» replicò lui. «Corrono, più o meno veloci quanto un cane da caccia che ha puntato la preda.»

Rabbrividii di nuovo. «Questo non aiuta.»

Hawke rise. «Sai che cosa mi piacerebbe fare adesso?»

«Smettere di parlare di giganteschi ratti mangiauomini?»

Hawke mi strinse e sentii un tuffo al petto. «A parte quello.»

Sbuffai.

«Fammi un favore, prendimi una cosa nella borsa vicino alla tua gamba sinistra. Fai attenzione, però. Reggiti al pomolo della sella.»

«Non cado.» Feci come aveva detto, mi sporsi e aprii la borsa.

«M-mh.»

Lo ignorai e infilai la mano nella borsa, sfiorando con le dita un oggetto liscio e di pelle. Con la fronte aggrottata, lo afferrai e lo tirai fuori. Non appena vidi la copertina rossa, trasalii e ricacciai il libro nella borsa.

«Oh, dei.» Raddrizzai la schiena, a occhi sgranati.

Hawke scoppiò a ridere, e davanti a noi Kieran si girò a guardarci. Riusciva a vedere quant’ero rossa in viso?

«Non ci posso credere.» Ruotai il busto, e per un attimo mi smarrii in quella fossetta sulla guancia destra di Hawke. Stava iniziando a fare la sua comparsa anche quella sulla sinistra. Poi ricordai il contenuto della borsa. «Ma come hai fatto a trovare quel libro?»

«Come ho trovato lo scandaloso diario della signorina Willa Colyns? Ho i miei metodi.»

«Come?» L’ultima volta che l’avevo visto, era nascosto sotto il mio cuscino, e dopo tutto quello che era successo non mi era nemmeno venuto in mente che qualcuno avrebbe potuto trovarlo e farsi delle domande. Un sacco di domande.

«Non te lo dirò mai» replicò lui, e io gli schiaffeggiai il braccio. «Sei proprio violenta.»

Alzai gli occhi al cielo.

«Non vuoi leggerlo per me?»

«No. Assolutamente no.»

«Magari lo leggerò io per te, più tardi.»

Sarebbe stato anche peggio. «Non è necessario.»

«Sei sicura?»

«Sicurissima.»

La sua risata fu sommessa e tenera contro il mio collo. «Fino a che punto sei arrivata, principessa?»

Strinsi le labbra, poi sospirai. «L’ho quasi finito.»

«Dovrai raccontarmi tutto.»

Improbabile che accadesse. Non riuscivo a credere non solo che avesse trovato quel maledetto libro, ma che addirittura lo avesse messo tra i bagagli. Di tutto quello che avrebbe potuto portare con sé, aveva preso proprio il diario. Gli angoli della mia bocca fremettero, e prima che me ne accorgessi mi ritrovai a sorridere, e infine a ridere. Quando il suo braccio mi strinse di nuovo, mi rilassai contro di lui.

Hawke era… intrigante.

A quel punto aumentammo il passo, e quasi parve che stessimo facendo a gara con la luna che sorgeva. Non avevo bisogno di guardare di fronte a me per sapere che stavamo perdendo.

E poi lo vidi.

Al primo bagliore di rosso, mi si gelò la pelle. Un mare cremisi si levava all’orizzonte, esteso a perdita d’occhio.

Avevamo raggiunto la Foresta di Sangue.

I cavalli proseguirono, anche se ogni istinto del mio corpo gridava di stare attenti. Non riuscivo a staccare gli occhi dalla foresta, nonostante sentissi che quello spettacolo mi avrebbe perseguitata nei sogni per molti, molti anni. Non l’avevo mai vista così da vicino, essendo giunta a Masadonia per un tragitto diverso, che tuttavia avrebbe aggiunto giorni al nostro viaggio. Sotto gli zoccoli martellanti, il terreno si fece più roccioso. Qualcosa scricchiolò e si ruppe. Erano ramoscelli? Rami? Feci per abbassare lo sguardo…

«Non farlo» ordinò Hawke. «Non guardare in basso.»

Non riuscii a trattenermi.

Lo stomaco mi si strinse. Il terreno era cosparso di ossa sbiancate dal sole. Teschi di cervi e animali più piccoli, forse conigli. C’erano anche ossa più lunghe, troppo lunghe per appartenere a un animale, e…

Con un respiro brusco, distolsi gli occhi. «Le ossa…» dissi, deglutendo. «Non sono solo ossa di animali, vero?»

«No.»

Spostai la mano sul braccio che mi cingeva la vita. Mi ci aggrappai. «Sono le ossa dei Craven morti?» Se non si nutrivano, si consumavano finché non rimaneva altro che lo scheletro.

«Alcune sì.»

Fui percorsa da un tremito.

«Ti avevo detto di non guardare.»

«Lo so.»

Ma l’avevo fatto.

E adesso non riuscivo a chiudere gli occhi. Un milione di foglie rosse luccicava sotto il sole al tramonto: era come se in esse si fossero raccolte minuscole pozze di sangue. Era una vista tanto orribile quanto di una bellezza inquietante.

I cavalli rallentarono, e quello di Airrick si impennò, scuotendo la testa, ma lui lo costrinse ad andare avanti comunque. Proseguimmo, con il cuore che mi martellava nel petto mentre i rami si estendevano di fronte a noi, con le foglie viscide che frusciavano piano, quasi come se ci stessero invitando ad avanzare.

La temperatura precipitò nell’istante in cui passammo sotto i primi rami, e il poco sole rimasto a stento riusciva a penetrare tra le foglie. Guardando verso l’alto, mi venne la pelle d’oca. Alcune fronde erano così basse che forse avrei potuto allungare la mano e toccarne le foglie, simili a quelle d’acero. Tuttavia non lo feci.

In silenzio, ci disponemmo in fila per due, fianco a fianco, seguendo il sentiero tracciato sul terreno. Tutti erano all’erta. Dato che non si udivano più scricchiolii, sentii di poter guardare in basso.

«Niente foglie» dissi.

«Come?» Hawke si chinò su di me, tenendo bassa la voce.

Percorsi rapidamente con lo sguardo il suolo della foresta, sempre più scuro. «Non ci sono foglie per terra. Solo erba. Com’è possibile?»

«Questo luogo non è naturale» rispose Phillips.

«Per usare un eufemismo» aggiunse Airrick, guardandosi intorno.

Hawke spostò indietro la schiena. «Presto dovremo fermarci. I cavalli hanno bisogno di riposo.»

Mi sentii stringere il petto, e serrai la presa sul braccio di Hawke. Sapevo che stavo iniziando ad affondarvi le unghie, ma non riuscivo a lasciarlo.

Esalai un respiro tremante e vidi il fiato condensarsi in aria.

Cavalcammo per un’altra ora, poi, quando non vi furono altro che argentei raggi di luce lunare, Hawke segnalò al gruppo che era il momento. I cavalli rallentarono al trotto e alla fine si fermarono, con il respiro ansante.

«Sembra un posto migliore di molti altri per accamparci» commentò Hawke.

Avvertii lo stranissimo impulso di ridacchiare, ma non c’era niente di divertente in quello che stavamo per fare.

Avremmo passato la notte là, nella Foresta di Sangue, dove si aggiravano i Craven.