32

Il gruppo cavalcò veloce e a ritmo serrato, con tre guardie in meno rispetto a quando avevamo lasciato Masadonia. Poche ore più tardi trovammo il cavallo di Noah che brucava l’erba e, dopo averlo legato a quello di Luddie, ci rimettemmo di nuovo in viaggio.

Ci fermammo appena fuori Tre Fiumi per qualche ora, per far riposare i cavalli, poi viaggiammo tutta la notte. Avevo il cuore pesante, le gambe insensibili e indolenzite, ed ero preoccupata.

Quando gli altri si unirono di nuovo a noi, Phillips non disse nulla su quello che avevo fatto, ma continuò a lanciarmi occhiate furtive. Ogni volta, mi guardava come se non fosse sicuro che fossi reale, ricordandomi gli sguardi che mi riservavano i domestici quando mi vedevano velata.

Mi metteva a disagio, ma non assomigliava lontanamente alla reazione avuta da Hawke di fronte al mio dono.

Mi aveva fissato al di sopra del corpo di Airrick come se fossi stata un puzzle a cui mancavano tutti i pezzi del bordo. Ovviamente era sorpreso e non potevo biasimarlo. Immaginavo che avrebbe fatto domande. Quando ci fermammo fuori da Tre Fiumi, cercai di parlargli di quello che era capitato, ma lui si limitò a scuotere la testa. «Più tardi» disse, aggiungendo di andare a riposare. Naturalmente mi ero opposta, ma alla fine lui si era messo a dormire accanto a me, forse per davvero o forse solo per finta.

Non sapevo se fosse arrabbiato, scosso o… sconvolto, per il fatto che non gliel’avessi detto, ma non mi pentivo di avere usato il dono per rendere più semplice il trapasso di Airrick. Hawke e io avremmo parlato, e più tardi forse sarebbe arrivato prima di quanto desiderasse lui. Riuscii tuttavia a trattenermi dall’usare le mie percezioni per capire che cosa provasse. Preferivo che me lo dicesse lui, piuttosto che barare.

Perché in quel momento leggere le sue emozioni mi sarebbe sembrato un tradimento.

Quando raggiungemmo Nuovo Nido, il crepuscolo stava calando velocemente. Varcammo senza problemi la piccola Alzata. Hawke smontò e andò avanti a parlare con una delle guardie, prima di salire di nuovo sul cavallo dietro di me; poi fece strada sul selciato.

Kieran aveva preso il posto di Airrick accanto a noi mentre attraversavamo la sonnolenta cittadina circondata da fitti boschi. Superammo negozi con le serrande calate per la sera, poi entrammo nell’area residenziale. Le case erano piccole quanto quelle nel Distretto Inferiore, ma non così ammassate l’una sull’altra, ed erano anche in condizioni migliori. Era evidente che quella piccola cittadina commerciale era fiorente, e che i reali che la governavano erano migliori dei Teerman nella sua gestione.

Avevamo superato circa un isolato quando la porta della prima casa si aprì e un uomo anziano dalla pelle scura ne uscì. Non disse nulla, limitandosi a un cenno del capo rivolto a Kieran e Hawke, mentre passavamo. Dietro di lui, un ragazzo corse fuori e raggiunse la casa accanto. Bussò alla porta, e le persiane si aprirono. Davanti a noi, Phillips spostò la mano sulla spada mentre un altro ragazzo sporgeva la testa. «Papà è…» Si interruppe, e vedendo la nostra piccola carovana sgranò gli occhi. Lanciò un grido emozionato e, con un ampio sorriso, scomparve di nuovo all’interno, chiamando il padre.

Il ragazzino uscito dalla prima casa corse due porte più in là e chiamò un altro bambino, una femmina questa volta, con i capelli più rossi dei miei. Quando ci vide, i suoi occhi si fecero grandi come piattini.

Sul lato opposto della strada, si aprì un’altra porta, questa volta rivelando una donna di mezza età che teneva in braccio un bambino piccolo. La donna fece un gran sorriso, e il figlio salutò con la mano. Sollevando la mia, restituii il gesto con un po’ di imbarazzo, poi notai che il primo ragazzino aveva radunato una piccola folla. Ormai un intero gruppo di bambini seguiva dal marciapiede la nostra avanzata, e sempre più porte si aprivano mentre la gente di Nuovo Nido usciva a guardare. Nessuno ci chiamava. Alcuni salutavano con la mano. Altri sorridevano. Solo alcuni ci osservavano sarcastici dal gradino d’ingresso.

Mi sporsi indietro e sussurrai: «Tutto questo è un po’ strano».

«Non credo che abbiano molti visitatori» rispose Hawke, stringendomi la vita, e in risposta il mio stupido cuore sobbalzò.

«È una giornata emozionante per loro» commentò Kieran divertito.

«Davvero?» mormorò Hawke.

«Si comportano come se stessero ricevendo una visita dalla Famiglia Reale.»

Hawke sbuffò. «Allora dev’essere proprio vero che non vedono molti visitatori.»

Kieran gli lanciò un lungo sguardo di sbieco, ma dietro di me Hawke sembrava essersi rilassato, e io lo presi per un buon segno.

«Sei già stato qui?» gli domandai.

«Solo per poco.»

Scoccai un’occhiata a Kieran. «E tu?»

«Ci sono passato una volta o due.»

Incarcai un sopracciglio, ma poi scorgemmo la Fortezza di Nuovo Nido. Situata vicino ai boschi, non aveva una seconda cinta muraria come il Castello di Teerman, ma del resto non si avvicinava nemmeno alle sue dimensioni. Alta solo due piani, la struttura di pietra grigio-verdastra sembrava il residuo di un’era differente giunto fino a noi.

A stento.

Proseguimmo proprio mentre qualcosa di freddo mi toccava la punta del naso. Alzai lo sguardo. Mentre attraversavamo il cortile diretti alle stalle, aveva cominciato a nevicare. Diverse guardie in nero ci attendevano, e quando entrammo nello spazio aperto che odorava di cavalli e fieno ci rivolsero un cenno del capo.

Emisi un sospiro tremante, chiudendo per un attimo gli occhi e allentando la presa sulla sella. La nostra traversata del regno non era minimamente vicina alla conclusione, ma almeno per quella notte avevamo un letto, quattro mura e un tetto.

Cose che non avrei più dato per scontate.

Alle mie spalle, Hawke smontò e si voltò, poi alzò le braccia e agitò le dita nella mia direzione. Io inarcai un sopracciglio, poi scivolai giù dall’altro lato del cavallo.

Hawke sospirò.

Sogghignando, accarezzai il collo di Setti, sperando che si riempisse la pancia del miglior fieno e riposasse un po’. Se lo meritava.

Con la sacca da sella gettata sulla spalla, Hawke si spostò al mio fianco. «Rimani vicina a me.»

«Naturalmente.»

Mi scoccò un’occhiata che diceva che non si fidava del mio pronto consenso. Quando gli altri ci raggiunsero, uscimmo. La neve scendeva un po’ più fitta di prima e il terreno era spolverato di bianco. Mi strinsi il mantello intorno al corpo mentre l’ingresso principale si apriva, rivelando un’altra guardia, un uomo biondo con occhi di un pallido azzurro invernale.

Kieran salutò la guardia con una stretta di mano. «È un piacere vederti» disse la guardia, spostando lo sguardo su Hawke e poi su di me. La sua attenzione indugiò per qualche istante sul lato sinistro del mio volto prima di tornare su Kieran. «È un piacere vedervi tutti.»

«Lo stesso per me, Delano» rispose Kieran, mentre Hawke mi posava la mano sulla parte bassa della schiena. «È passato troppo tempo.»

«Non abbastanza» tuonò una voce dall’interno della fortezza.

Mi voltai e vidi un’ampia sala illuminata da lampade a olio. Un uomo alto, con barba e capelli scuri e le spalle larghe, marciò fuori da grandi porte di legno. Indossava calzoni neri e una tunica pesante. Anche se non vestiva l’uniforme delle guardie, portava una spada corta in vita.

Kieran sorrise, e io sbattei le palpebre. Era la prima volta che lo vedevo sorridere, e quando lo fece il suo aspetto passò da algidamente bello a straordinariamente attraente. «Elijah, ti sono mancato più di chiunque altro, ammettilo.»

Elijah gli andò incontro e strinse la giovane guardia in un abbraccio da orso, sollevandolo da terra. Occhi nocciola, più dorati che marroni, si posarono sul punto in cui ci trovavamo io e Hawke.

L’uomo lasciò andare Kieran – o, meglio, lo lasciò cadere – sollevando un angolo della bocca. Kieran incespicò indietro di un passo e ritrovò l’equilibrio, scuotendo la testa. «E che cosa abbiamo qui?» domandò Elijah.

«Ci serve un riparo per la notte» rispose Hawke.

Per qualche motivo, quell’Elijah trovò divertente la risposta: rovesciò indietro la testa e rise forte. «Abbiamo riparo in abbondanza.»

«Bene.» Hawke non spostò la mano, mentre io osservavo l’ingresso, confusa.

Dalle porte erano uscite diverse persone, uomini e donne. Come gli abitanti della cittadina, ci guardavano con espressioni diverse. La maggior parte sorrideva, ma alcuni ci fissavano in un modo che mi ricordava il Caduto biondo che aveva lanciato la mano del Craven.

Dov’erano il lord o la lady che governavano la città? Il sole era ancora alto, ma la sala era senza finestre e, di conseguenza, non sarebbe stato un affronto agli dei se fossero stati altrove. Tra la folla che si era radunata non vedevo alcun Asceso. Forse quest’uomo era uno degli intendenti del lord, che era occupato in altre faccende? Notai che Kieran si guardava intorno con gli occhi socchiusi, pensando probabilmente la stessa cosa.

«Abbiamo un sacco di… cose da raccontarci» disse Elijah, calando sulla spalla di Kieran una vigorosa pacca, che mi fece inarcare le sopracciglia.

Si fece avanti una donna dai capelli neri, con indosso una tunica al ginocchio di un intenso verde foresta, pantaloni in tinta e un pesante scialle color crema drappeggiato sulle spalle. Subito, il mio sguardo fu attirato dalle sue calzature.

Erano stivali.

Si avvicinò, e notai che aveva gli occhi di un colore molto simile a quelli di Elijah, se non identico. Erano parenti? Lei sembrava avere una decina di anni in meno, più vicina dunque all’età di Hawke e alla mia. Forse era una nipote? Ci rivolse un sorriso tirato, percorrendo con lo sguardo le mie cicatrici visibili, come aveva fatto Delano. Sul suo volto non c’era pietà, bensì solo… curiosità, il che era assai meglio.

«Devo parlare con alcune persone, ma Magda ti mostrerà la tua stanza.» Prima che potessi rispondere, Hawke si voltò verso la donna bruna. «Assicurati che possa fare un bagno in camera e che le mandino del cibo caldo.»

«Sì…» La donna si chinò, come se stesse per fare una sorta di riverenza, ma si fermò a metà del gesto. Le sue guance si colorarono graziosamente di rosso mentre mi scoccava un’occhiata. «Scusatemi. Certi giorni perdo un po’ l’equilibrio.» Si diede un colpetto al ventre lievemente arrotondato. «La colpa è del bambino numero due.»

«Congratulazioni» dissi, sperando che fosse la risposta appropriata e voltandomi verso di lui. «Hawke…»

«Più tardi» disse, poi girò sui tacchi e si allontanò a grandi passi per raggiungere Kieran ed Elijah, ai quali nel frattempo si era unito Phillips, che stava osservando attentamente la fortezza.

«Venite.» Magda mi toccò lievemente il braccio. «Al secondo piano abbiamo una stanza che ha un vero e proprio bagno. Farò mandare su l’acqua calda, e mentre il cuoco prepara la cena potrete lavarvi.»

Non sapevo che altro fare, dunque la seguii dall’ingresso fino a una porta laterale che dava su una scala. Ero sorpresa che Hawke mi avesse lasciata da sola, immaginai che fosse perché sapeva che ero più che equipaggiata per difendermi, ma mi parve comunque bizzarro. A meno che non fosse certo che in quel luogo non c’erano Caduti.

Ma anche in quel caso, se Hawke era stato in città solo per poco, non mi spiegavo come facesse a conoscere il nome della donna, dato che non ci era stata presentata.

La stanza era sorprendentemente grande e ariosa, nonostante l’unica fonte di luce naturale fosse una piccola, stretta finestra che dava sul cortile. Mi piacevano le travi di legno a vista sul soffitto, e il letto sembrava la cosa più invitante su cui avessi mai posato gli occhi.

Non osai avvicinarmici, non con il mantello e i vestiti macchiati di sangue di Craven, polvere e sudore. Gettai il mantello su una massiccia sedia di legno e mi assicurai che il maglione nascondesse il pugnale.

Venne acceso un fuoco, e il cibo – uno stufato di manzo abbondante e saporito – arrivò prima dell’acqua calda. Divorai la carne e ogni briciola dei biscotti che l’accompagnavano, e probabilmente avrei tirato a lucido la ciotola leccandola, se non fosse stato presente un piccolo esercito di servitori comandati da Magda.

Mentre la vasca veniva riempita di acqua fumante, nella stanza da bagno Magda appese a un gancio un leggero abito azzurro. Lo fissai, con la gola all’improvviso serrata dall’emozione.

Non era bianco.

Chiusi gli occhi.

«Poppy» disse la donna, e io spalancai gli occhi di scatto. Poco prima mi aveva chiesto come dovesse chiamarmi, e quello era stato il nome che le avevo dato. «È tutto a posto?»

«Sì.» Sbattei le palpebre. «Ci è voluto… parecchio per arrivare qui.»

«Posso immaginare» replicò lei, anche se dubitavo che potesse riuscirci davvero. «Se lascerai i vestiti qui accanto alla porta, farò in modo che vengano lavati questa notte.»

«Grazie.»

Sorrise. «Accanto alla vasca ci sono sapone e asciugamani. Hai bisogno di altro?»

Avrei voluto chiedere dove fosse Hawke, ma non pensavo lo sapesse. Scossi la testa, e Magda si avviò verso la porta. Poi pensai agli Ascesi. «Magda?» la chiamai. «Chi sono il lord o la lady che vivono qui?»

«Lord Halverston è andato a caccia con una parte degli uomini» rispose lei. «Sarebbe stato qui ad accogliervi, ma mancava poco al crepuscolo e doveva proprio andare.»

«Oh.» Il lord era andato a caccia con i suoi uomini? La gente qui era… strana.

«C’è altro?»

Questa volta scossi la testa e non la fermai. Mi svestii in fretta, lasciando gli abiti accanto alla porta, poi mi affrettai sul pavimento gelido, ancora non riscaldato dal fuoco, con il pugnale in mano.

La grande vasca fu la seconda cosa più bella che avessi mai visto. I miei muscoli indolenziti gioirono immediatamente a contatto con l’acqua calda, nella quale rimasi immersa più del necessario, strofinandomi con il sapone al profumo di lillà e lavandomi i capelli due volte prima di cominciare a preoccuparmi di avvizzire come una prugna se fossi rimasta lì un minuto di più. Mi asciugai e indossai la vestaglia calda, poi a piedi nudi raggiunsi la piccola toeletta, felice di trovarvi un pettine. Tornai in camera da letto e mi pettinai pigramente per togliere nodi e grovigli, sempre con il pugnale accanto a me sul tavolino. Conclusa quell’operazione, non mi restò altro da fare che attendere.

Sedetti sul bordo del letto, chiedendomi che cosa stesse facendo Tawny in quel momento. Stava stringendo amicizia con le altre Lady e gli altri Lord in Attesa? La tristezza mi bussò nel petto, e io la accolsi. Era un sentimento migliore di rabbia e dolore, ma sentivo la mancanza di Tawny.

Sentivo la mancanza di Vikter.

Il grumo di emozioni mi tornò in gola, mentre lisciavo con la mano il morbido tessuto azzurro. Mi bruciavano gli occhi, eppure le lacrime… non volevano sgorgare. Quasi desiderai che lo facessero. Sospirai e guardai la testata del letto. C’erano due cuscini, come se fosse stato preparato per due persone che…

Un colpetto alla porta mi fece trasalire. Balzai in piedi e stavo per raggiungere il tavolino quando la porta si aprì. Afferrai il pugnale e mi voltai di scatto.

«Hawke» sussurrai.

Lui inarcò le sopracciglia. «Credevo di trovarti addormentata.»

«È per questo che hai fatto irruzione nella mia camera?»

«Visto che ho bussato, non lo chiamerei fare irruzione.» Chiuse la porta dietro di sé e avanzò fin sotto la luce. Si era lavato e cambiato, e i capelli umidi gli si arricciavano attorno alle guance. «Ma sono felice di vedere che eri preparata, nel caso si fosse trattato di qualcuno che non desideravi vedere.»

«E se fossi tu quel qualcuno?»

Il mezzo sorriso fece la sua comparsa. «Entrambi sappiamo che non è così.» Mi squadrò dalla testa ai piedi. «Proprio per niente.»

«Il tuo ego non manca mai di sorprendermi.» Posai il pugnale, poi mi guardai intorno. Dato che l’unico altro posto dove sedersi era una sedia dall’aria assai scomoda, il letto rimaneva l’unica opzione. Sedetti sul bordo.

«Sono io che non manco mai di sorprenderti» replicò lui.

Sorrisi. «Grazie per avere appena dimostrato quello che ho detto.»

Lui ridacchiò e venne avanti. «Hai mangiato?»

Annuii. «Tu?»

«Mentre facevo il bagno.»

«La tua capacità di fare più cose contemporaneamente è straordinaria.»

«Sono abile.» Rimase dove si era fermato, a qualche metro da me. «Perché non stavi dormendo? Devi essere esausta.»

«So che il mattino arriverà presto, e che dovremo tornare là fuori, ma non potevo dormire. Non ancora. Ti stavo aspettando.» Di colpo nervosa, giocherellai con la cintura della vestaglia. «Questo posto è… diverso, vero?»

«Immagino che se fossi abituato solo alla capitale e a Masadonia, lo sarebbe anche per me» rispose lui. «Le cose sono molto più semplici qui, senza tanto sfarzo e cerimonie.»

«L’avevo notato. Non ho visto nemmeno un singolo Stemma Reale.»

Lui inclinò la testa. «Mi hai aspettato per parlare di stendardi?»

«No.» Sospirai, lasciando andare la cinta. «Volevo parlarti di quello che ho fatto ad Airrick.»

Hawke non disse nulla.

Il mio nervosismo lasciò il posto all’irritazione. «È abbastanza tardi per te? È un buon momento?»

Sollevò l’angolo della bocca. «È un buon momento, principessa. E abbastanza privato. Pensavo ci avrebbe fatto comodo.»

Aprii la bocca e la richiusi di scatto. Accidenti. Era per quello che aveva continuato a rimandare? In tal caso, aveva senso.

«Magari puoi spiegarmi perché né tu né Vikter avete mai menzionato che possiedi questo… tocco?»

La mia bocca ricominciò a funzionare. «Non chiamarlo così. È il modo in cui lo chiamano le poche persone che hanno sentito… voci al riguardo. È il motivo per cui alcuni pensano che sia la figlia di un dio. Tu sembri sentire e sapere tutto. Non hai mai udito questa diceria?»

«È vero che so molte cose, ma no, questa non l’avevo mai sentita» replicò lui. «E non ho mai visto nessuno fare quello che hai fatto tu, qualsiasi cosa fosse.»

Lo scrutai negli occhi, e mi parve di vedervi sincerità. «È un dono degli dei. È il motivo per cui sono la Prescelta.» O quantomeno uno dei motivi. «La regina in persona mi ha detto di non parlarne e di non usarlo mai. Almeno finché non verrò giudicata degna. E io ho obbedito, perlopiù.»

«Perlopiù?»

«Sì, perlopiù. Vikter ne era a conoscenza, ma Tawny non sa nulla. Né lo sapevano Rylan o Hannes. La duchessa lo sa, e il duca lo sapeva, ma nessun altro» gli spiegai. «E non lo uso spesso… spessissimo

«Che cos’è questo dono?»

Emisi un lungo respiro. «Riesco a… percepire il dolore altrui, sia fisico sia mentale. Be’, è iniziata così, almeno. Pare che più mi avvicino alla mia Ascensione, più il dono evolva. Immagino che adesso dovrei dire che riesco a percepire tutte le emozioni delle persone» mi corressi, strattonando un po’ la coperta accanto a me. «Non ho bisogno di toccarle. Mi basta guardarle, ed è come… come se mi aprissi a loro. In genere riesco a controllarlo e a tenere per me le mie percezioni, ma a volte è difficile.»

«Per esempio tra la folla?»

Sapevo che stava pensando a quando il duca aveva parlato alla popolazione. Annuii. «Sì. Oppure quando qualcuno proietta il proprio dolore senza rendersene conto. Sono episodi rari. Non vedo niente di più di quello che tu o chiunque altro vedreste, ma sento quello che sentono loro.»

«Senti… quello che sentono loro?»

Alzai lo sguardo su di lui.

Mi stava fissando con occhi lievemente sgranati. «Perciò hai provato la sofferenza di Airrick, che aveva ricevuto una ferita molto dolorosa?»

Annuii.

Hawke sbatté le palpebre. «Dev’essere stato…»

«Un’agonia?» conclusi per lui. «Sì, ma non è stata la cosa peggiore che abbia sentito. Il dolore fisico è sempre caldo, ed è acuto, ma quello mentale, emotivo, è come… come un bagno nel ghiaccio in una giornata freddissima. Quel tipo di sofferenza è peggiore.»

Hawke si avvicinò e sedette sul letto accanto a me. «E riesci a percepire altre emozioni? Come la felicità o l’odio? Il sollievo… o il senso di colpa?»

«Sì, ma è una cosa nuova. E non sono sempre certa di quello che sto provando. Devo affidarmi a quello che so e, be’…» Alzai le spalle. «Ma per rispondere alla tua domanda: sì.»

Per la prima volta da quando lo avevo incontrato, Hawke sembrava senza parole.

«Non è tutto qui» aggiunsi.

«Ovviamente.»

Ignorai il suo tono sarcastico. «Posso anche alleviare il dolore degli altri toccandoli. Di solito la persona non se ne accorge, a meno che non stia sperimentando un dolore forte ed evidente.»

«E come fai?»

«Ripenso a… momenti felici e li incanalo nel legame che il mio dono forma con l’altra persona» spiegai.

Hawke mi fissò un altro po’. «Fai pensieri felici ed è tutto?»

«Be’, non la metterei così. Però, sì.»

Qualcosa balenò sul suo volto, e mi fissò negli occhi. «Hai mai percepito le mie emozioni?»

Avrei voluto mentire, ma non lo feci. «Sì.»

Spostò la schiena più indietro.

«All’inizio non l’ho fatto apposta… cioè, d’accordo, sì, ma solo perché sembravi sempre… non lo so, un animale in gabbia, tutte le volte che ti vedevo nel castello, ed ero curiosa di scoprire perché. Mi rendo conto che non avrei dovuto. Non l’ho fatto… spesso. Mi sono imposta di smettere. Più o meno» aggiunsi, e lui inarcò le sopracciglia. «Quasi sempre. A volte non posso farne a meno. Mi sembra di negare in qualche modo la natura se non…»

Se non usavo ciò con cui ero nata.

Ecco perché a volte era così difficile controllarsi. Certo, spesso era la curiosità a spingermi a usare il dono, ma reprimerlo e tenerlo sotto chiave sembrava contro natura. Era soffocante.

Proprio come il velo e tutte le regole e le aspettative e… il futuro che non avevo mai scelto per me stessa.

Perché tutta la mia vita sembrava così sbagliata?

«Che cosa hai percepito da parte mia?»

Mi distolsi dai miei pensieri, lo guardai. «Tristezza.»

La sua espressione era sgomenta.

«Dolore profondo e tristezza.» Abbassai lo sguardo sul suo petto. «C’è sempre, anche quando stai scherzando o sorridendo. Non so come fai a gestirlo. Immagino che molto abbia a che vedere con tuo fratello e il tuo amico.» Quando Hawke non parlò, immaginai di avere detto troppo. «Mi dispiace. Non avrei dovuto usare il mio dono su di te, e probabilmente avrei dovuto mentire…»

«Hai mai alleviato il mio dolore?»

Appiattii le mani sulle gambe. «Sì.»

«Due volte. Vero? Dopo essere stata dalla Sacerdotessa, e la notte del Rito.»

Annuii.

«Be’, adesso capisco perché mi sono sentito… più leggero. La prima volta è durato… accidenti, è durato un bel po’. Ho fatto la migliore dormita da anni a questa parte.» Fece una breve risata quasi simile a un colpo di tosse, e io lo sbirciai. «Peccato non si possa imbottigliare e mettere in vendita.»
Non sapevo bene che cosa dire.

«Perché?» domandò lui. «Perché hai assorbito il mio dolore? Sì, è vero, provo… tristezza. Non faccio un respiro senza che mi manchi mio fratello. La sua assenza mi tormenta, ma è gestibile.»

«Lo so. Non permetti che interferisca con la tua vita, ma io… Non mi piaceva sapere che soffrivi» ammisi. «E potevo aiutare, almeno temporaneamente. Volevo solo…»

«Cosa?»

«Volevo aiutare. Volevo usare il mio dono per aiutare la gente.»

«E lo hai fatto? Con altri, oltre che con me e Airrick?»

«Sì. Hai presente i maledetti? Allevio spesso il loro. E Vikter soffriva di mal di testa terribili. A volte lo aiutavo con le sue emicranie. Anche Tawny, ma lei non lo ha mai saputo.»

«Ecco come sono iniziate le voci. Lo fai per aiutare i maledetti.»

«E le loro famiglie, a volte. Spesso provano un tale dolore che devo farlo.»

«Ma non ti è permesso.»

«No, e il fatto che non lo sia mi sembra una tale sciocchezza.» Alzai le mani al cielo. «Non dovrei. Ma il motivo per cui non dovrei non ha senso. Se mi hanno concesso questo dono, non vuol dire che gli dei mi hanno già giudicata degna?» argomentai.

«Lo si potrebbe pensare.» Hawke fece una pausa. «Ce l’ha anche tuo fratello? O altri membri della tua famiglia?»

«No. Solo io e l’ultima Vergine. Entrambe venute alla luce in un sudario» gli dissi. «E mia madre si è resa conto di quello che ero in grado di fare quando avevo tre o quattro anni.»

Lui si accigliò e riprese a fissarmi come se fossi stata un puzzle a cui mancavano dei pezzi.

«Che c’è?»

Scosse la testa, e la sua espressione si rilassò. «In questo momento mi stai leggendo?»

«No. Provo davvero a non farlo, nemmeno quando vorrei tanto. Mi sembra un tradimento, quando si tratta di qualcuno a cui…» La mia voce si spense. Stavo per dire quando si tratta di qualcuno a cui tengo.

Lo stomaco mi si contorse mentre spostavo su di lui gli occhi sgranati. Tenevo a Hawke. Molto. Non come tenevo a Tawny o a Vikter, però. Era una cosa diversa.

Oh, dei.

Probabilmente non era una cosa buona, ma non mi sembrava un male. Sapeva di trepidazione e speranza, eccitazione e un centinaio di altre cose che non erano malvagie.

«Vorrei proprio possedere il tuo dono, muoio dalla voglia di sapere che cosa provi in questo momento.»

Non potevo essere più grata che non lo sapesse. «Non sento nulla provenire dagli Ascesi» aggiunsi in fretta. «Assolutamente nulla, anche se so che provano dolore fisico.»

«È…»

«Strano, vero?»

«Stavo per dire inquietante, ma sì, anche strano.»

«Sai una cosa?» Mi sporsi, abbassando la voce. «Mi ha sempre dato fastidio non riuscire a percepire niente. Dovrebbe essere un sollievo, ma non lo è mai stato. Mi fa solo sentire… fredda.»

«Lo capisco.» Si sporse a sua volta e abbassò anche lui la voce. «Devo ringraziarti.»

«Per cosa?»

«Per avere alleviato il mio dolore.»

«Non è necessario.»

«Lo so, ma voglio farlo» disse lui, la bocca incredibilmente vicina alla mia. «Grazie.»

«Non è nulla.» Abbassai a metà le palpebre. Hawke profumava di pino e sapone, e sulle mie labbra il suo respiro era così caldo.

«Avevo ragione.»

«Su cosa?»

«Sul fatto che sei forte e coraggiosa» spiegò lui. «Quando usi il tuo dono corri un gran rischio.»

«Non credo di avere rischiato abbastanza» ammisi. «Non sono riuscita ad aiutare Vikter. Ero… sopraffatta. Forse se non avessi lottato così tanto per reprimerlo, avrei almeno assorbito il suo dolore.»

«Ma hai assorbito quello di Airrick. Hai aiutato lui.» Chinò la testa, e la sua fronte si posò sulla mia. «Non assomigli per niente a quello che mi aspettavo.»

«Continui a ripeterlo. Che cosa ti aspettavi?»

«Onestamente, non lo so più.»

Chiusi gli occhi, scoprendo che quella vicinanza mi piaceva. Mi piaceva essere… toccata, quando era una mia scelta.

«Poppy?»

E mi piaceva anche il modo in cui pronunciava il mio nome. «Sì?»

Hawke mi sfiorò la guancia con le dita. «Spero che tu ti renda conto che non ha importanza ciò che la gente può averti detto in passato, sei migliore di chiunque abbia mai conosciuto.»

Il mio cuore si strinse, ma nel modo più bello. «Non hai conosciuto abbastanza persone, allora.»

«Ne ho conosciute troppe.» Mi sollevò il mento per baciarmi la fronte. Poi si ritrasse e mi accarezzò la mascella con il pollice. «Meriti molto di più di quello che ti aspetta.»

Era vero.

Aprii gli occhi.

Meritavo di più.

Non ero una persona cattiva. Sotto il velo e dietro il mio titolo e il mio dono, ero come tutti. Ma non ero mai stata trattata come gli altri. Come Hawke aveva fatto notare in passato, tutti i privilegi di cui gli altri godevano erano cose che io non avrei mai potuto ottenere. Ed ero…

Ero così stanca di questo.

Hawke si scostò e disse, serio: «Grazie per esserti fidata di me e avermi confidato la verità».

Incapace di rispondere, ero ormai troppo presa da quello che stava succedendo dentro di me, perché qualcosa si stava trasformando, stava cambiando. Qualcosa di enorme e piccolo allo stesso tempo. Il cuore iniziò a battere come se stessi combattendo per salvarmi la vita, e… Oh, dei, ecco che cosa stavo facendo. Proprio in quel momento, combattevo non per salvarmela, ma per poterla vivere. In quell’istante lo capii.

Vergine o meno, buona o cattiva, Prescelta o abbandonata, meritavo di vivere ed esistere senza essere segregata da regole a cui non avevo acconsentito.

Guardai Hawke, lo guardai davvero, e ciò che vidi andò oltre il piano fisico. Si era sempre comportato diversamente con me, e non aveva mai cercato di fermarmi. Dalla notte sull’Alzata fino alla Foresta di Sangue, quando mi aveva lanciato la spada, non mi aveva solo protetto: credeva in me e rispettava il mio bisogno di difendermi. E come aveva detto in passato, era come se ci conoscessimo da anni. Mi… mi capiva, e io credevo di poterlo capire. Perché era coraggioso e forte, e i suoi pensieri e sentimenti erano profondi. Aveva subito delle perdite ed era sopravvissuto, e continuava a vivere nonostante l’agonia che – lo sapevo – portava con sé. Mi accettava.

E io gli avrei affidato la mia vita.

Gli avrei affidato tutto.

«Non dovresti guardarmi così.» La sua voce si era fatta più roca.

«Così come?»

«Sai perfettamente come mi stai guardando.» Chiuse gli occhi. «Anzi, forse no, ed è per questo che dovrei andarmene.»

«Come ti sto guardando, Hawke?»

Lui aprì gli occhi. «Come non merito di essere guardato. Non da te.»

«Non è vero» gli dissi.

«Vorrei che fosse così. Dei, lo vorrei davvero. Devo andarmene.» Si alzò e indietreggiò, ma il suo sguardo indugiava. Non credevo che volesse andarsene davvero. Fece un respiro profondo. «Buonanotte, Poppy.»

Lo osservai muoversi verso la porta, con il suo nome sulla punta della lingua. Non volevo che se ne andasse. Non volevo passare la notte da sola. Non volevo che credesse di non meritarmi.

Quello che volevo era vivere.

Quello che volevo era lui.

«Hawke?»

Lui si fermò, ma non si voltò.

Il mio cuore batteva rapido. «Resteresti… resteresti con me stanotte?»