33

Hawke non rispose, non sentivo nemmeno il suo respiro. Mi ricordò la notte del Rito, quand’eravamo stati sotto il salice. Quel ricordo non portò con sé la pugnalata tagliente del dolore.

Poi lui parlò: «Non c’è niente che vorrei di più, ma non credo che tu ti renda conto di quello che accadrebbe se restassi».

Sentii una lieve vertigine. «Che cosa accadrebbe?»

Allora si voltò, con uno sguardo penetrante. «È impossibile che entri in quel letto con te e non ti salti addosso nel giro di dieci secondi. Non ci arriveremmo nemmeno, al letto, prima che succeda. Conosco i miei limiti. So di non essere abbastanza buono da ricordarmi il mio dovere o il tuo, o che sono terribilmente indegno di te, al punto che quello che faremmo sarebbe un peccato. Perfino sapendo tutto questo, non riuscirei a non strapparti di dosso quella veste e a fare ciò che ti ho detto che avrei fatto quando eravamo nella foresta.»

Mentre lo fissavo, il calore mi inondò. «Lo so.»

Lui risucchiò un breve respiro. «Davvero?»

Annuii.

Hawke si allontanò di un passo dalla porta. «Non mi limiterò ad abbracciarti. E non mi fermerò ai baci. Le mie dita non saranno l’unica cosa dentro di te. Il mio bisogno di te è di gran lunga troppo grande, Poppy. Se rimango, quando varcherai quella porta non sarai più la Vergine.»

Le sue parole così dirette mi fecero rabbrividire. Non erano una sorpresa, ma il suo bisogno lo era. Non credevo di poter essere oggetto di emozioni tanto intense. Non mi era mai stato permesso di vedermi così.

«Lo so» ripetei.

Lui fece un altro passo verso di me. «Lo sai davvero, Poppy?»

Sì, lo sapevo.

Ed era strano conoscere me stessa e sentirmi così sicura quando avevo passato così tanto tempo a non sapere nulla di me… a non avere mai davvero il permesso di scoprire chi fossi, cosa potesse piacermi, quello che desideravo o di cui avevo bisogno. Ma adesso lo sapevo.

Lo avevo capito nel momento in cui gli avevo chiesto di restare. Ero consapevole delle conseguenze. Sapevo che cos’ero e che cosa ci si aspettava da me, e anche che non potevo più esserlo. Non era ciò che volevo. Non era mai stata la mia scelta.

Ma quello… quello sì.

Hawke era la persona che volevo.

Ciò che avevo scelto.

Stavo rivendicando la mia vita ed era un processo cominciato molto prima che lo incontrassi, quando avevo chiesto che mi insegnassero a combattere, e quando avevo costretto Vikter a portarmi con sé per aiutare i maledetti. Quelli erano stati passi significativi. Ma lungo la strada ce n’erano stati altri, più piccoli, e in un certo senso anche più importanti. Ero cambiata, evolvendomi proprio come il dono che mi era proibito usare, ma a cui continuavo a ricorrere. In ogni avventura e in ogni rischio che correvo. Nel mio desiderio di vivere ciò che mi avevano detto che non faceva per me.

Per questo ero rimasta nella camera della Perla Rossa insieme a Hawke.

Per questo avevo incrociato lo sguardo del duca e gli avevo sorriso quando mi era stato tolto il velo.

Per questo avevo parlato a Loren per la prima volta, ed ero uscita sull’Alzata. Quella stessa evoluzione mi aveva fatta tacere mentre il duca impartiva le sue lezioni, ma quando avevo mozzato il braccio, la mano e la testa di Lord Mazeen avevo anche reciso le catene che non avevo scelto di portare. Solo che allora non me ne ero resa conto. C’erano stati così tanti piccoli passi nel corso degli anni, e specialmente nelle ultime settimane. Non sapevo quando fosse finalmente successo, ma una cosa era certa: Hawke non era stato il catalizzatore di questo processo. Lui era la ricompensa.

Portai le mani sorprendentemente ferme alla cintura. La sciolsi guardandolo negli occhi. La vestaglia si aprì e mi scivolò dalle spalle. Lasciai che si ammucchiasse ai miei piedi.

Hawke non distolse lo sguardo nemmeno per un secondo. Mi fissò senza sbattere le palpebre, con gli occhi inchiodati ai miei. Lentamente, il suo sguardo mi percorse il corpo. Sapevo che c’era abbastanza luce da consentirgli di vedere tutto. Ogni curva e incavo, le aree nascoste in ombra e tutte le cicatrici. Gli squarci irregolari sulle braccia e sullo stomaco, e quelli sulle gambe, che assomigliavano a ferite inferte con artigli affilati, ma che erano la prova che ero stata scelta dagli dei.

Perché quei marchi sulle gambe non erano d’artiglio, ma di zanne che mi avevano scavato nella carne. Ero stata morsa, quella notte.

Ma non ero stata maledetta.

Hawke non poteva vedere la verità che si nascondeva in quelle cicatrici. Due tra coloro che conoscevano il mio segreto erano ormai morti, e solo la regina e il re, la duchessa e mio fratello sapevano. Per la prima volta nella vita, volevo raccontare tutto questo a qualcuno. Volevo raccontare tutto a Hawke.

Ma non era quello il momento.

Non ora che il suo sguardo stava lentamente risalendo verso i miei occhi. Non ora che mi guardava come se stesse assorbendo ogni centimetro di me. Quando incrociò finalmente il mio sguardo, non potei fare a meno di rabbrividire.

«Sei maledettamente bella» sussurrò con voce roca. «E maledettamente inaspettata.»

Poi si mosse in quella maniera che rendeva sempre difficile credere che non fosse un Asceso. In un istante mi trovai tra le sue braccia e la sua bocca fu sulla mia. Nel modo in cui mi baciò non vi fu nulla di lento e dolce. Era come essere divorata, ed era quello che volevo. Risposi al suo bacio, aggrappandomi stretta a lui, e proprio quando sentii il tocco della sua lingua sulla mia, lui si scostò.

Allora tutto finì avvolto dalla nebbia. Lo aiutai a togliere la tunica, poi gli stivali e i calzoni. Al vederlo per la prima volta, tremai.

Era… stupendo.

Pelle baciata dal sole e lunghi muscoli asciutti. Il petto e lo stomaco erano definiti da anni di addestramento, e non era possibile non vedere la forza e la potenza del suo corpo. Non era possibile non vedere come la sua vita avesse lasciato il segno nella forma di deboli graffi e cicatrici più lunghe sulla sua carne. Era un combattente come lo ero io, e adesso vedevo veramente quello che ero stata troppo nervosa per notare prima. Il suo corpo era anche una testimonianza di tutto ciò a cui era sopravvissuto, e la cicatrice più profonda e più rossa appena sotto il fianco, sulla parte superiore della coscia, suggeriva che probabilmente soffriva anche lui di incubi. Sembrava un marchio di qualche tipo, come se qualcosa di caldo e doloroso gli avesse premuto contro la pelle.

«La cicatrice sulla tua coscia» domandai, «quando te la sei fatta?»

«Molti anni fa, quand’ero abbastanza sciocco da farmi beccare» rispose.

Era stranissimo il modo in cui parlava, come se avesse vissuto decine di anni in più dell’età che ero sicura avesse. Sapevo che per alcuni un anno poteva sembrare una vita intera. Il mio sguardo prese a vagare, e sgranai gli occhi.

Oh, cielo.

Mi morsi il labbro, consapevole che probabilmente non avrei dovuto fissarlo. Sembrava una cosa indecente, ma volevo farlo.

«Se continui a guardarmi così, questa storia finirà prima di cominciare.»

Con le guance in fiamme, distolsi gli occhi. «Io… Sei perfetto.»

La sua espressione s’indurì. «No, non è vero. Meriti qualcuno che lo sia, ma io sono un bastardo troppo grande per permetterlo.»

Scossi la testa, senza sapere come facesse a non vedere di essere meritevole. «Non sono d’accordo con niente di quello che hai appena detto.»

«Che sorpresa» disse lui, poi mi cinse con il braccio.

In un istante mi ritrovai sul letto e lui fu sopra di me, con i peli ruvidi delle gambe che mi stuzzicavano nel modo più sorprendente e più piacevole. Ma la sensazione di lui contro il mio fianco mi fece deglutire nervosamente, e mi ricordò anche qual era la concretissima conseguenza che poteva derivare da ciò che stavamo per fare.

«Usi…?»

«Protezioni?» Era ovvio che i suoi pensieri avevano seguito il mio stesso filo. «Prendo il farmaco mensile.»

Stava parlando dell’erba che rendeva sia uomini sia donne temporaneamente non fertili. Si poteva bere o masticare, e avevo sentito dire che sapeva di latte inacidito.

«Presumo che tu non lo faccia» aggiunse.

Sbuffai.

Mi accarezzò il braccio. «Sarebbe uno scandalo?»

«Sì.» Sogghignai. «Ma questo…»

I suoi occhi incrociarono i miei. «Questo cambia tutto.»

Era vero.

Cambiava davvero tutto.

E io ero pronta.

Hawke mi baciò, e io non pensai a niente, a parte che le sue labbra avevano l’effetto di un narcotico. Ci baciammo finché il cuore iniziò a martellarmi e la mia pelle vibrò di piacere. Poi, solo quando mi sentii senza fiato, Hawke iniziò a esplorarmi.

Le sue dita percorsero ogni centimetro della mia pelle nuda, e quando mosse la mano tra le mie cosce gemetti, scoprendo in fretta che quello che mi aveva fatto con le dita nella foresta, sopra i calzoni, non era assolutamente niente in confronto alla sensazione della sua pelle a contatto con la mia.

Si fece strada usando la bocca e poi la lingua, seguendo il tragitto che le sue mani avevano fatto divampare. Si soffermò sulle aree particolarmente sensibili, estorcendomi suoni che mi spinsero a chiedermi brevemente quanto fossero spesse le pareti, e indugiò sopra le cicatrici sul mio stomaco, baciandole, adorandole, finché fui certa che non le trovasse in alcun modo disturbanti o brutte.

Ma poi si spostò ancora più in basso, sotto l’ombelico.

Mi si fermò il cuore sentendo il suo fiato là dove pulsavo con così tanta intensità. Aprii gli occhi e lo trovai tra le mie gambe, con gli occhi dorati fissi nei miei.

«Hawke» sussurrai.

Un lato della sua bocca si incurvò in un malizioso mezzo sorriso. «Ricordi la prima pagina del diario della signorina Willa?»

«Sì.» Non me la sarei mai scordata, quella prima pagina.

Continuando a fissarmi, abbassò la bocca.

Al primo tocco delle sue labbra inarcai la schiena, e conficcai le dita nelle coperte quando la sua lingua scivolò su di me. Ebbi paura che il mio cuore potesse fermarsi, pensai che forse era già successo. Il tumulto di sensazioni che Hawke mi stava suscitando mi sarebbe sembrato incomprensibile prima di quel momento. Era quasi troppo, e non riuscivo a stare ferma. Sollevai i fianchi, e il suo brontolio di approvazione fu bello quasi quanto ciò che stava facendo.

Dei…

La mia testa ricadde sul materasso, e sapevo che mi stavo contorcendo, dimenando, e che i miei movimenti non avevano senso, né ritmo. Ma quell’intensa contrazione nel mio profondo si stava torcendo e vorticava, e poi si disciolse, sbalordendomi con la propria intensità. Forse pronunciai il nome di Hawke. Forse, in effetti, gridai qualcosa di incoerente. Non lo sapevo, e mi ci volle quella che mi parve una piccola eternità prima di riuscire anche solo ad aprire gli occhi.

Hawke sollevò la testa, con le labbra gonfie e umide alla luce della candela. L’intensità con cui mi guardò negli occhi mi incendiò la pelle. Non era mai parso più orgoglioso di se stesso. Aprì la bocca e si leccò le labbra con la punta della lingua. «Miele» ringhiò. «Proprio come avevo detto.»

Mi mancò il fiato, e rabbrividii. Non si mosse, piuttosto risalì lento e furtivo come un predatore lungo il mio corpo, completamente rilassato. Lo guardai, senza riuscire a distogliere gli occhi mentre le sue membra solide accarezzavano le mie, incapaci di smettere di tremare per il tocco dei ruvidi peli delle gambe sulla pelle sensibile.

«Poppy» sussurrò, sfiorandomi le labbra con le sue. Mi baciò, e la mia pelle si scaldò nel sentire il suo sapore, il mio sapore, e quei suoi denti stranamente aguzzi. I miei sensi turbinarono quando lo sentii sistemarsi tra le mie gambe, pungolando, premendo appena un poco. «Apri gli occhi.»

Li avevo chiusi? Sì. Era vero. Li aprii e vidi che lui aveva un angolo della bocca sollevato, ma la consueta piega beffarda era svanita. Non disse nulla, mi fissò e basta, con i fianchi e il corpo immobile. «Che c’è?»

«Voglio che tu tenga gli occhi aperti.»

«Perché?»

Lui ridacchiò, e io risucchiai un ansito per la sensazione che mi dava quel suono, adesso che Hawke era così vicino al mio centro pulsante. «Sempre tutte queste domande.»

«Credo che rimarresti deluso se non ne avessi.»

«Vero» mormorò, passandomi la mano lungo il collo e poi scendendo. Mi chiuse la mano sul seno.

«Allora, perché?» insistetti.

«Perché voglio che mi tocchi» disse lui. «Voglio che tu veda che cosa mi fai quando mi tocchi.»

Un brivido mi danzò sulla pelle. «Come… come vuoi che ti tocchi?»

«In qualsiasi modo desideri, principessa. Non puoi sbagliare» sussurrò roco.

Smisi di stringere la coperta e sollevai una mano, toccandogli la guancia. Il suo sguardo rimase incollato al mio mentre gli passavo le dita lungo la mascella, sopra le labbra morbide e poi lungo la gola. Stavo ancora provando troppe cose per via del mio dono per poter essere anche solo lontanamente funzionale mentre gli sfioravo il petto con i polpastrelli. I suoi respiri lo sospingevano contro la mia mano, e io continuai a esplorare, assorbendo la sensazione dei muscoli tesi sul suo basso ventre, e la striscia di peli sotto il suo ombelico, e più giù ancora. Sfiorai la pelle di seta sopra qualcosa di duro, e tutto il suo corpo ebbe un sussulto. Esitai.

«Ti prego. Non fermarti» rantolò, stringendo la mascella, le dita immobili sul mio seno. «Dei, non fermarti.»

Mentre lo toccavo mi concentrai sul suo volto. Tutto il suo corpo mostrava una miriade di piccole reazioni. La mandibola si mosse, le labbra si dischiusero appena. I lineamenti si fecero più affilati, e i tendini del collo si distesero quando chiusi la mano intorno a quella parte di lui. Rovesciò indietro la testa, e il suo grande, potente corpo fu scosso da un brivido. Notai quanto il suo respiro si fece rapido mentre facevo scivolare la mano là dove i nostri corpi erano quasi uniti. Allora tremò da capo a piedi, e per me fu sconvolgente vedere l’effetto che aveva il mio tocco. Strinsi la presa, divenni più sicura.

«Dei» ringhiò.

«Va bene così?»

«Tutto quello che fai va più che bene.» La sua voce si fece ancora più profonda. «Ma specialmente questo. Assolutamente questo.»

Risi sommessamente e ripetei il gesto, muovendo la mano su e giù. Allora Hawke mosse i fianchi, come avevo fatto io, ruotandoli contro il mio palmo, contro di me. Emise un suono, un brontolio basso e cupo, che mi suscitò una scarica di piacere.

«Vedi che cosa mi fai quando mi tocchi?» chiese, con i fianchi che seguivano i movimenti della mia mano.

«Sì» sussurrai.

«Mi uccidi.» La sua testa ricadde, e quegli occhi… sembravano quasi luminosi mentre mi fissava, poi abbassò le palpebre, nascondendoli alla vista. «Mi uccidi in un modo che credo non riuscirai mai a capire.»

Lo scrutai in viso. «In… in modo bello?»

I lineamenti di Hawke si addolcirono. Mi posò la mano sulla guancia. «Come non ho mai provato prima.»

«Oh.»

Abbassò la testa, baciandomi mentre si spostava sul braccio sinistro. Dalla guancia spostò la mano giù lungo il mio corpo, finché fu tra di noi. «Sei pronta?»

Senza fiato, annuii.

«Voglio sentirtelo dire.»

Sollevai gli angoli della bocca. «Sì.»

«Bene, perché altrimenti forse sarei morto.»

Ridacchiai, sorpresa da quel suono leggero in un momento così importante e carico di tensione.

«Credi che stia scherzando. Ne sai proprio poco» scherzò, baciandomi di nuovo prima di spingersi dentro di me, solo di un poco. Si fermò, emettendo di nuovo quel suono. «Oh, sì, sei prontissima.»

Tutto il mio corpo arrossì e tremò.

Hawke mi scrutò ancora una volta negli occhi. «Mi sbalordisci.»

«In che senso?» sussurrai, confusa. Non avevo fatto quasi nulla mentre lui… lui mi aveva devastata con baci come quelli di cui avevo soltanto letto nei libri.

«Ti opponi ai Craven senza paura.» Portò le labbra sulle mie. «Ma arrossisci e tremi quando dico che ti sento umida e meravigliosa.»

Adesso stavo senza dubbio arrossendo ancora di più. «Sei davvero inappropriato.»

«Sto per diventare inappropriato sul serio» promise. «Ma all’inizio potresti sentire dolore.»

Del sesso sapevo almeno quello. «Lo so.»

«Lo hai letto in altri libri sconci?»

Uno sciame di farfalle si levò in volo nel mio stomaco e poi dappertutto. «Forse.»

Lui fece una risatina che divenne un gemito quando iniziò a muoversi.

Vi fu pressione, un istante in cui non capii cosa sarebbe potuto succedere, e poi una fitta improvvisa, intensa, che mi tolse il fiato. Strinsi gli occhi, tesa, scavandogli con le unghie sulle spalle. Sapevo che avrei provato dolore, ma tutto quel languido calore si era trasformato in schegge di ghiaccio.

Sopra di me, Hawke si immobilizzò. «Mi spiace.» Mi sfiorò con le labbra il naso, le palpebre, le guance. «Mi spiace.»

«Va tutto bene.»

Mi baciò di nuovo, dolcemente, poi posò la fronte contro la mia. Un breve sospiro mi sfuggì dal petto. Ecco fatto. Avevo varcato quell’ultimo confine proibito. Non provai senso di colpa o panico. In verità, avevo attraversato quel confine quando Hawke mi aveva baciata prima di conoscere la mia identità, e tutto quello che aveva portato a questo preciso istante aveva lentamente eroso quella barriera, fino a farla scomparire. Dopo la notte alla Perla Rossa non era più stato possibile tornare indietro, e tutto quello che era successo… sembrava troppo giusto per non essere davvero, in qualche modo, destino. Sentivo di dover essere lì, in quel preciso momento, con Hawke, a cui importava chi ero e non che cosa ero. Non mi interessava se gli dei mi avrebbero giudicata indegna, perché ero degna di questo: di risate ed eccitazione, di felicità e trepidazione, di sicurezza e accettazione, di piacere ed esperienze, di tutto quello che Hawke mi faceva provare. E lui valeva qualsiasi conseguenza avessi dovuto affrontare, perché non si trattava solo di lui. Lo sapevo fin da quando gli avevo chiesto di restare.

Si trattava di me.

Di quello che volevo.

Era la mia scelta.

Inspirai a fondo, e il bruciore si attenuò. Hawke rimase immobile sopra di me, in attesa. Esitante, sollevai i fianchi contro i suoi. Bruciava, ma non tanto quanto prima. Ci riprovai. Hawke rabbrividì, ma non si mosse. Non finché non allentai la presa sulle sue spalle, e il fiato mi mancò per una ragione completamente diversa. Avvertivo una frizione bruciante, ma in modo diverso. I muscoli del mio basso ventre si tesero mentre un rivolo di piacere mi scorreva dentro.

Solo allora Hawke si mosse, e lo fece così attentamente, così dolcemente che sentii le lacrime pungermi gli occhi. Li chiusi, avvolgendogli il collo con le braccia, e mi lasciai andare a quella follia ancora una volta, in un crescendo di sensazioni sempre più forti. Una specie di istinto primordiale si impossessò di me, guidando i miei fianchi in modo che seguissero i suoi. Ci muovevamo insieme, e l’unico suono nella stanza era quello dei miei lievi sospiri e dei suoi cupi gemiti. Quella sensazione vorticante e squisita, quasi dolorosa, tornò. Le mie gambe si sollevarono da sole, cingendogli i fianchi. Dentro di me la pressione stava di nuovo montando, ma più potente.

Hawke infilò il braccio sotto la mia testa e mi strinse la spalla con la mano, mentre l’altra aumentava la stretta sul mio fianco. Iniziò a muoversi più veloce, più in profondità, con spinte più forti, mentre mi teneva ferma sotto di sé. E a lui mi aggrappai, trovando con la bocca la sua, alla cieca, quando infilò la mano tra noi. Il suo pollice scovò il punto sensibile, e quando i suoi fianchi ondeggiarono contro i miei in cerchi decisi, la tensione esplose ancora una volta. Gridai, travolta dalla sensazione che montava in me, più intensa e pungente di prima. La liberazione che Hawke mi aveva già fatto provare parve niente in confronto a questa. Stavo crollando a pezzi nella maniera più piacevole possibile, e solo quando l’ultima onda giunse al culmine mi accorsi di quegli occhi color oro intenso fissi sul mio volto. Tolse la mano da sotto di me e io mi resi conto che mi aveva osservata per tutto il tempo. Mi sfuggì un gemito ansimante.

Gli posai sulla guancia una mano tremante. «Hawke» sussurrai, desiderando di riuscire a esprimere quello che avevo appena provato… che stavo ancora provando.

La sua espressione si fece severa, la sua mandibola si tese, e poi… poi sembrò perdere qualunque controllo gli fosse rimasto. Il suo corpo si mosse con forza contro il mio, scivolando sul letto. Sotto le mie mani, i suoi muscoli guizzarono flettendosi, poi Hawke rovesciò indietro la testa e gridò, scosso da un tremito.

Chinò il capo e lo appoggiò sul punto più sensibile della mia gola. Sentii le sue labbra contro il mio battito martellante, mentre l’ondeggiare dei suoi fianchi rallentava. Avvertii i suoi denti graffiarmi e suscitarmi un brivido, poi la pressione delle sue labbra.

Non so per quanto rimanemmo così, con la pelle umida che si raffreddava e il respiro che si faceva più lento, io che gli passavo le dita tra i capelli. I suoi muscoli si erano rilassati, e lui sorreggeva il proprio peso con i gomiti, ma lentamente mi accorsi della tensione nel suo corpo. Era il dono, che richiamava lentamente la mia attenzione oltre quelle sensazioni inebrianti.

Le labbra di Hawke mi sfiorarono la guancia, poi trovarono la mia bocca. Mi baciò piano, con infinita dolcezza. «Non dimenticarti di tutto questo.»

Gli sfiorai la guancia. «Non credo che potrò mai farlo.»

«Promettimelo» disse alzando la testa, come se non mi avesse sentito. Il suo sguardo catturò il mio. «Promettimi che non te lo dimenticherai, Poppy. Che non importa ciò che succederà domani, dopodomani, la settimana prossima, tu non dimenticherai… non dimenticherai che è stata una cosa vera.»

Non riuscivo a distogliere lo sguardo. «Te lo prometto. Non dimenticherò.»