36

Come se non lo sapesse già.

«Non chiamarmi in quel modo.» Mi alzai in piedi. Le catene tintinnarono sul pavimento, ma io ignorai la pelle che tirava intorno alla ferita: stare dritta era doloroso, ma non lo avrei mai dato a vedere di fronte a lui.

«Pensavo che ti piacesse quando lo facevo.»

«Ti sbagli» risposi, e lui sorrise. «Che cosa vuoi?»

Hawke piegò la testa di lato, e rimase in silenzio per un istante. «Più di quanto tu potresti mai immaginare.»

Non avevo idea di cosa intendesse dire, e nemmeno mi importava. Proprio per nulla.

«Sei venuto a uccidermi?»

«Perché dovrei voler fare una cosa del genere?»

Alzai le mani facendo tintinnare le catene. «Mi hai incatenata.»

«Vero.»

Il suo tono disincantato mi fece avvampare il sangue. «Tutti là fuori mi vogliono morta.»

«Vero anche questo.»

«E sei un Atlantiano» ringhiai. «È quello che fate. Uccidere. Distruggere. Maledire.»

Lui storse la bocca. «Ironico sentirlo dire da una che ha vissuto circondata da Ascesi per tutta la vita.»

«Gli Ascesi non uccidono gli innocenti e non trasformano le persone in mostri…»

«No» mi interruppe. «Loro costringono solo giovani donne che li fanno sentire inferiori a spogliarsi per essere prese a frustate e solo gli dei sanno cos’altro. Hai ragione, principessa: gli Ascesi sono davvero fulgidi esempi di tutto ciò che c’è di buono e di giusto in questo mondo.»

Presi un brusco respiro. No. Fui scossa da un tremito. Assolutamente no.

«Pensavi sul serio che non avrei scoperto in cosa consistevano le lezioni del duca? Ti avevo detto che lo avrei fatto.»

Arretrai di un passo. L’umiliazione di sapere che Hawke conosceva la verità bruciava non meno delle scudisciate del duca.

«Ha usato un bastone di legno preso dalla Foresta di Sangue e ti ha costretta a spogliarti per metà.» Hawke strinse le mani sulle sbarre e il mio cuore cominciò a tuonare contro le costole. «E ti ha detto che te lo meritavi. Che era per il tuo bene. Ma in realtà era solo per soddisfare il suo perverso desiderio di infliggere dolore.»

«Come hai fatto?» mormorai.

Un angolo della sua bocca si sollevò. «So essere molto persuasivo.»

Distolsi lo sguardo e d’improvviso l’immagine del cadavere del duca apparve nella mia memoria, le braccia aperte e la verga piantata nel petto. Tremai e riportai gli occhi su Hawke. «Sei stato tu a ucciderlo.»

E a quel punto Hawke sorrise, un ghigno che non avevo mai visto prima sul suo volto. Un sorriso a labbra aperte. Nonostante la distanza tra noi, vidi bene la punta delle zanne. Tremai di nuovo.

«Sì. E non sono mai stato così soddisfatto di vedere la vita abbandonare gli occhi di qualcuno.»

Lo fissai.

«Non si meritava altro, e credimi se ti dico che la sua lentissima e dolorosissima morte non ha avuto nulla a che fare con il fatto che era un Asceso. Con un po’ più di tempo sarei arrivato anche al lord, ma di quel bastardo ti sei occupata da sola.»

Non sapevo… non sapevo più che cosa pensare. Hawke aveva ucciso il duca e avrebbe ucciso anche il lord perché…

Scossi la testa per scacciare quei pensieri. Se consideravo dove mi trovavo in quel momento, non riuscivo assolutamente a capire perché avesse fatto quello che aveva fatto. Ma non serviva capire, mi ripetei. Non aveva importanza. Come non ne aveva la parte profonda, ben nascosta di me, che si sentiva eccitata all’idea che quello che lui mi aveva fatto avesse giocato un ruolo nella caduta del duca.

«Il fatto che il duca e il lord fossero persone orribili e perverse non rende migliore te, né rende colpevoli tutti gli Ascesi.»

«Tu non sai proprio niente, Poppy.»

Mi venne voglia di urlare. Invece strinsi i pugni. Poi Hawke aprì la porta della cella, e ogni singolo muscolo del mio corpo si tese. Entrò sotto il mio sguardo infuocato. Avrei voluto avere un’arma qualsiasi a portata di mano, ma sapevo che anche se fossi stata armata fino ai denti sarei riuscita a fare ben poco: Hawke era talmente più forte e più veloce di me che avrebbe potuto abbattermi con una mano sola.

Ma sarei caduta combattendo.

Lui si chiuse la porta alle spalle. «Dobbiamo parlare.»

«No.»

«Non è che tu abbia veramente scelta, non ti sembra?» Posò lo sguardo sulle catene ai miei polsi, avanzò di un altro passo, ma poi si fermò e dilatò le narici e le pupille.

«Sei ferita.»

Il sangue. Riusciva ad annusare l’odore del mio sangue. Feci un passo indietro, con la bocca secca.

«Sto benissimo.»

«Non è vero.» I suoi occhi mi squadrarono da capo a piedi e si fermarono all’altezza della vita. «Sanguini.»

«Poco.»

In un battito di ciglia me lo ritrovai di fronte. Ansimai e arretrai contro il muro. Come aveva fatto a nascondere fino a quel momento quella straordinaria velocità? Allungò una mano verso l’orlo della mia tunica e io andai nel panico.

«Non toccarmi!» Mi scansai e il dolore mi esplose nel fianco. Hawke si irrigidì e mi fissò. Il cuore mi martellava dentro sempre più forte. «Non farlo.»

Lui alzò un sopracciglio. «Non mi sembrava avessi alcun problema a farti toccare l’altra notte.»

Avevo la pelle madida di sudore. Aprii le labbra in un ringhio. «È stato un errore.»

«Davvero?»

«Sì. E vorrei che non fosse mai successo.»

E, per gli dei, era la verità. Avrei dato qualunque cosa per dimenticare quanto era stato bello e profondo quello che avevamo fatto, quanto era sembrato perfettamente giusto.

Ero stata una sciocca.

La mascella di Hawke si indurì e passò un lungo istante. «In ogni caso sei ferita e mi lascerai controllare.»

Con il respiro pesante, alzai il mento. «Oppure?»

Lui rise, come tante volte in passato, ma questa volta con una nota di gelido divertimento. «Non puoi impedirmelo» disse con voce morbida, e la verità di quelle parole mi si piantò dentro il cuore. «Puoi solo permettermi di aiutarti o…»

Strinsi i pugni così forte che mi formicolarono le dita. «O mi costringerai?»

Hawke non rispose.

Lo fissai sentendo il petto che bruciava sempre più intensamente. Lo odiavo, e odiavo me stessa perché stavo provando qualcosa che avevo giurato di non provare mai più.

Il senso di impotenza.

Potevo lottare e rendergli le cose più difficili, ma a che cosa sarebbe servito? Era più forte di me: sarei riuscita solo a farmi ancora più male. Se avessi assecondato la mia rabbia lo avrei fatto, ma non ero così stupida.

Distolsi gli occhi e mi costrinsi a respirare. «Che ti importa se muoio dissanguata?»

«Perché sei convinta che io ti voglia morta? Se lo volessi, non sarebbe bastato lasciare che quelli là fuori facessero quel che desideravano?» Riportai lo sguardo su di lui. «Da morta non mi servi a nulla.»

«Quindi sono tua prigioniera in attesa che arrivi l’Oscuro? È questo il tuo piano, usarmi contro il re e la regina?»

«Ragazza intelligente. Sei la Vergine prediletta della regina.»

Non sapevo perché, né volevo saperlo, ma la consapevolezza che Hawke volesse curare la mia ferita solo perché gli servivo mi fece male nel profondo.

«Adesso mi lascerai controllare?»

Non risposi: la sua non era una vera domanda. Non avevo alcuna scelta, e lui sembrò comprendere che lo avevo capito, perché si avvicinò. Questa volta mi irrigidii istintivamente, ma non mi mossi. Hawke prese il bordo della tunica scura, lo sollevò e quando le sue nocche mi sfiorarono lo stomaco e il fianco mi morsi l’interno della guancia. Lo aveva fatto di proposito? Fissai la sua chioma scura mentre continuava a sollevare la stoffa: si fermò appena sotto il seno, esponendo una ferita che si sarebbe certamente lasciata dietro una nuova cicatrice.

Se fossi vissuta abbastanza per vederla.

Perché, una volta che fossi servita a qualunque scopo avesse in mente, dubitavo che mi avrebbe lasciata andare. Non avrebbe avuto il minimo senso.

Hawke fissò la ferita sanguinante per un tempo troppo lungo. Il cuore ricominciò ad accelerare, e mi venne in mente con troppa facilità l’effetto che i suoi denti – no, le sue zanne – avevano avuto sulla mia pelle. Tremai, ma non avrei saputo dire perché. Disgusto? Paura? O il residuo non voluto di quella sensazione rimasta nella mia memoria? Forse tutte quelle cose insieme.

«Dei!» fece con voce profonda. Alzò lo sguardo a incontrare il mio. Le ombre sul suo volto facevano sembrare gli zigomi ancora più pronunciati del solito. «Avresti potuto finire sbudellata.»

«Acuto osservatore, come sempre.»

Lui ignorò le mie parole e mi fissò come se non avesse davanti nulla di diverso da una sciocca ragazzina. «Perché non hai detto nulla? Potrebbe infettarsi.»

Mi servirono tutte le mie forze per tenere le braccia ferme lungo i fianchi. «Be’, non abbiamo avuto molto tempo a disposizione, tu eri troppo impegnato a tradirmi.»

Hawke socchiuse gli occhi. «Questa non è una buona ragione.»

Sputai fuori una risata tanto roca che mi domandai se non mi stesse già venendo la febbre. «Certo che no. Che sciocca sono stata a non pensare che colui che ha avuto un ruolo nella morte di diverse persone che amavo, che mi ha tradita e che sta congiurando con il mandante dell’assassinio dei miei genitori per usarmi per qualche scopo orribile, potesse preoccuparsi del fatto che sono ferita.»

Gli occhi d’ambra di Hawke si accesero di un fuoco dorato e il suo volto si irrigidì. Mi venne la pelle d’oca e mi sentii ghiacciare il sangue ricordando che lui non era quello che avevo creduto che fosse. Non era un comune mortale. Avvertii l’impulso di arretrare, ma non lo feci.

«Sempre così coraggiosa.» Lasciò andare la mia tunica, si voltò e chiamò Delano, che non doveva essersi allontanato di molto, perché apparve davanti alla porta dopo pochi secondi.

Mi appoggiai al muro e rimasi in silenzio, mentre Hawke aspettava che l’altro portasse quello che gli aveva chiesto. Il fatto che mi avesse dato le spalle per tutto quel tempo confermò, al di là di ogni dubbio, quanto poco mi considerasse una minaccia.

Delano tornò con una cesta e io mi domandai per quale motivo oggetti del genere fossero tenuti a portata di mano. Guardai la cella intorno a me: non mi sembrava si preoccupassero molto di tenere i prigionieri in buona salute. Era lì che erano finiti tutti gli Ascesi e il lord della fortezza?

Quando fummo di nuovo soli Hawke tornò a voltarsi verso di me. «Per favore, puoi sdraiarti sul…» Si guardò intorno anche lui e fissò il materasso logoro come se si fosse reso conto solo in quel momento che non c’erano letti. Irrigidì le spalle. «Puoi sdraiarti?»

«Sto bene in piedi, grazie.»

Mi si avvicinò con il cesto in mano, irradiando impazienza celata a stento. «Preferisci che mi metta io in ginocchio?»

Un sorriso affilato come un rasoio mi affiorò sulle labbra e aprii la bocca per rispondere di sì…

«A me non importa.» Abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. «In questo modo arriverò all’altezza perfetta per qualcosa che senza dubbio ti piacerà. Dopotutto mi va sempre un po’ di miele.»

Lo sgomento mi fece espellere tutta l’aria dai polmoni, ma subito dopo arrivò la rabbia. Mi scostai dal muro e andai al materasso, dove mi sedetti più lentamente di come mi ero alzata. Gli lanciai uno sguardo di ghiaccio. «Sei disgustoso.»

Lui ridacchiò e venne a inginocchiarsi di fronte a me. «Se lo dici tu.»

«Non lo dico: lo so.»

Hawke fece un mezzo sorriso mentre appoggiava a terra il cesto. Lanciai un’occhiata all’interno: c’erano bende e alcuni vasetti. Nulla che potesse fungere da arma improvvisata. Lui mi fece cenno di stendermi e, dopo averlo maledetto sottovoce, obbedii.

«Bada a come parli» mormorò lui. Fece per allungare di nuovo la mano verso la mia tunica, ma io la sollevai da sola. «Grazie» fu il suo commento.

Digrignai i denti.

Un sorrisetto gli apparve sulle labbra mentre si inginocchiava e prendeva una bottiglietta dal cesto. Quando la stappò, nell’aria stantia della cella si diffuse un odore forte e aspro.

Osservò accigliato la mia ferita. «Ti racconterò una storia.»

«Non sono proprio dell’umore per sentire sto…» Mi interruppi con un ansito: Hawke mi aveva afferrato la tunica. Gli presi il polso con entrambe le mani, accorgendomi appena del metallo gelato delle catene sul mio stomaco. «Che stai facendo?»

«Quella dannata lama ti ha quasi aperto in due la cassa toracica.» Nei suoi occhi lampeggiò ancora una volta quell’empia luce dorata. «Il taglio arriva quasi alle costole.»

Non mi sembrava una ferita così grave, ma in effetti correva lungo tutto il fianco.

«È successo quando ti hanno strappato la spada, vero?»

Non risposi, né gli lasciai andare il polso. Mi aspettavo che si sarebbe liberato a forza, invece si limitò a sospirare. «Che tu ci creda o no, non sto cercando di spogliarti per approfittarmi di te. Non sono qui per sedurti, principessa.»

Sapevo che avrei dovuto sentirmi sollevata, e invece le sue parole ebbero l’effetto opposto: il bruciore che avevo nel petto mi salì in gola e formò un nodo che mi lasciava a stento respirare. Lo fissai: ovvio che non stava tentando di sedurmi. Non dopo che ci era già riuscito, inducendomi non solo ad abbassare la guardia, ma persino a fidarmi di lui. Mi ero aperta completamente, avevo rivelato il mio sogno segreto di poter diventare qualcosa di diverso da quello che ero, la mia paura di tornare nella capitale e persino – oh, dei – l’esistenza del mio dono. E avevo condiviso ben più che semplici parole. Lo avevo lasciato entrare nella mia camera, nel mio letto, dentro di me. Mi aveva sussurrato che il contatto con me lo aveva consumato, che venerava il mio corpo e le mie cicatrici. Mi aveva detto che proprio quelle mi rendevano ancora più bella, e a me…

A me lui era piaciuto.

Più che piaciuto.

Dei, mi ero legata a lui, anche se era una cosa proibita. Mi ero legata a lui al punto che – dentro di me, in fondo, lo sapevo – aveva avuto una parte nella mia decisione di comunicare alla regina che avrei rifiutato l’Ascensione. Il bruciore in gola salì di nuovo, fino a insinuarmisi dietro agli occhi, e mi tremarono le dita.

«C’era qualcosa di vero?» La domanda mi uscì dalle labbra con una voce così arrochita che stentai a riconoscerla come mia. E nel momento stesso in cui le parole furono libere nell’aria, desiderai ardentemente di potermele rimangiare, perché… perché conoscevo già la risposta.

Hawke rimase immobile come le statue che adornavano l’ingresso del Castello di Teerman. Allontanai di scatto le mani da lui. Un muscolo guizzò lungo la sua mascella, ma le sue labbra rimasero chiuse.

Un singhiozzo tenue, frantumato, mi salì in gola e mi servirono tutte le forze per trattenerlo. Ma non bastò quella piccola vittoria per alleviare la vergogna che mi bruciava dietro le costole come carbone ardente. Non piangerò. Non piangerò.

Non riuscivo più a guardarlo, perciò chiusi gli occhi. Non servì: la memoria mi presentò subito l’immagine di lui che mi fissava con le labbra gonfie. Rabbia, vergogna e un senso di violazione profonda che non avevo mai provato prima in vita mia mi pizzicarono l’interno delle palpebre.

Sentii le sue mani che mi sollevavano con delicatezza la tunica fermandosi appena prima di esporre del tutto il mio petto.

Questa volta non mi sfiorò la pelle con le nocche e come prima seppi che, nonostante la luce fioca della cella, le pallide, quasi traslucide chiazze di tessuto cicatriziale erano perfettamente visibili. Soprattutto agli occhi di un Atlantiano. La notte precedente mi ero spogliata per lui e avevo lasciato che mi guardasse, credendo alle sue parole. Era stato così convincente… Alla sola idea di quello che poteva avere pensato realmente mi si contorceva lo stomaco.

Che cosa aveva provato per davvero quando aveva toccato le mie cicatrici, quando le aveva baciate?

La sua voce ruppe il silenzio, facendomi sobbalzare. «Questo brucerà.»

Il tono era più burbero del normale. Sentii che si chinava su di me, e poi il primo schizzo di liquido tiepido colpì la ferita. Una fitta lancinante mi attraversò lo stomaco e la parte destra delle costole, e io inspirai tra i denti, sibilando. Il liquido sfrigolò sulla ferita emanando un odore amarognolo. Mi concentrai sulla sensazione dolorosa e fui felice di rendermi conto che mi aveva aiutata a distrarmi dall’altro dolore, quello nel petto.

Piegai indietro la testa, senza aprire gli occhi. Hawke versò altro liquido, che produsse altra schiuma e altro bruciore.

«Mi dispiace» mormorò, e per un attimo quasi ci credetti. «Il farmaco dovrà restare sulla ferita per un po’ se vogliamo scongiurare qualunque infezione abbia già cominciato a formarsi.»

Perfetto.

Magari avrebbe continuato a bruciare fino a trapassare quell’organo idiota che era il mio cuore.

Calò un breve silenzio.

«I Craven sono stati un nostro errore» disse Hawke all’improvviso, facendomi sobbalzare di nuovo. «La loro creazione, intendo. Tutto quello che è seguito lo è stato. I mostri nella nebbia. La guerra. Quello che è successo a questa terra. Tu. Noi. Ha avuto tutto inizio con un folle, incredibilmente disperato atto d’amore, molti secoli prima della Guerra dei Due Re.»

«Lo so.» Mi schiarii la gola. «Ho letto i libri di storia.»

«Ma conosci la storia vera?»

«Conosco l’unica storia che c’è.» Riaprii gli occhi, ma distolsi lo sguardo dalle catene e dalle ossa contorte.

«Conosci la storia che gli Ascesi hanno propinato a tutti gli altri. E non è la verità.» Hawke allungò la mano e spostò con cautela la catena adagiata sul mio ventre. Mi irrigidii. «La mia gente ha vissuto accanto ai mortali in armonia per migliaia di anni. Poi il Re O’Meer Malec…»

«Creò i Craven» lo interruppi. «Come dicevo, ho letto…»

«Ti sbagli.» Hawke si sedette con una gamba contro il petto e un braccio appoggiato al ginocchio. «Malec si innamorò perdutamente di una donna mortale di nome Isbeth. Alcuni dicono che fu la Regina Eloana ad avvelenarla. Altri, che fu pugnalata da una ex amante del re, che aveva fama di non essere molto fedele. In ogni caso, Isbeth stava per morire e, come ho già detto, Malec avrebbe fatto qualunque cosa pur di salvarla. Per questo compì un atto proibito: quello che oggi tu conosci come Ascensione.»

Il cuore mi si incastrò in gola, non lontano dal nodo bruciante.

Hawke sollevò lo sguardo per incontrare il mio. «È così. Fu Isbeth la prima mortale ad ascendere, non il vostro falso re e la sua regina. Fu lei la prima Vampry.»

Menzogne. Incredibili, oltraggiose menzogne.

«Malec bevve il sangue di Isbeth finché sentì che il suo cuore stava per fermarsi, e poi condivise il proprio sangue con lei.» Hawke sollevò la testa, i suoi occhi scintillavano. «Forse, se lo svolgimento della vostra Ascensione non fosse tenuto così segreto, i dettagli che ti sto raccontando non ti sorprenderebbero.»

Feci per drizzarmi a sedere, poi ricordai il farmaco sulla ferita. «L’Ascensione è una benedizione venuta dagli dei.»

Lui fece un sorriso sghembo. «Nemmeno lontanamente. È più un atto che può donare l’immortalità, oppure dare vita a un incubo. Gli Atlantiani stessi nascono quasi mortali, e lo rimangono fino alla Transizione.»

«La Transizione?» chiesi prima di riuscire a trattenermi.

«Il momento in cui cambiamo.» Hawke sollevò un labbro e si carezzò un canino con la punta della lingua. Lo sapevo: anche quello era nei libri di storia. «Compaiono le zanne, che si allungano solo quando ci nutriamo. E cambiamo anche in… altri modi.»

«Come?» La mia curiosità si era destata, e mi dissi che qualunque informazione in più fossi riuscita a carpire avrebbe potuto aiutarmi a uscire da quella situazione.

«Non ha importanza.» Hawke raccolse una pezza di stoffa. «Siamo più duri da uccidere degli Ascesi, ma possiamo morire anche noi.» Un’altra cosa che già sapevo: gli Atlantiani potevano essere uccisi, proprio come i Craven. «Invecchiamo più lentamente dei mortali: se facciamo attenzione, possiamo vivere migliaia di anni.»

Ogni dettaglio era importante, soprattutto se riguardava i modi in cui un Atlantiano cambiava, ma la curiosità ebbe la meglio su di me: «Quanti… quanti anni hai?».

«Più di quelli che dimostro.»

«Centinaia?»

«Sono nato dopo la guerra. Ho visto passare due secoli.»

Due secoli.

Dei…

«Re Malec creò la prima Vampry. I Vampry sono… hanno una parte di noi, ma non sono come noi. Noi non siamo vulnerabili alla luce del giorno, loro sì. Dimmi, quanti Ascesi hai mai visto in pieno sole?»

«Gli Ascesi non camminano sotto il sole perché non lo fanno gli dei» risposi. «In questo modo essi li onorano.»

«Davvero un’ottima scusa.» Il ghigno di Hawke si fece compiaciuto. «Come noi, i Vampry sono benedetti con ciò che più si avvicina alla vera immortalità, ma non possono stare alla luce senza che la loro pelle cominci a dissolversi. Vuoi uccidere un Asceso senza sporcarti le mani? Lascialo fuori, all’aperto, senza un posto dove ripararsi. Sarà morto prima di mezzogiorno.»

Non poteva esserci nulla di vero nelle sue parole.

Gli Ascesi non uscivano sotto il sole perché sceglievano di non farlo.

«Hanno anche bisogno di nutrirsi, e ovviamente sto parlando di sangue. Devono berlo spesso, se vogliono sopravvivere e impedire che le ferite e le malattie a cui erano soggetti prima di ascendere ricompaiano di colpo. Inoltre non possono più procreare, e quando assaggiano il sangue possono cadere preda di una sete incontrollata. Non è raro che finiscano per uccidere le loro vittime mortali.» Hawke asciugò il sangue intorno alla mia ferita con la pezza. «Gli Atlantiani non si nutrono di esseri umani…»

«Sul serio ti aspetti che io ci creda?»

Lui alzò gli occhi su di me. «Il sangue mortale non ci serve a nulla: non può sostentarci perché noi stessi non siamo mai stati mortali, principessa. I Wolven non hanno bisogno di nutrirsi, noi invece sì. E quando ne sentiamo l’impulso, ci nutriamo di altri Atlantiani…»

Scossi la testa. Seriamente Hawke pensava che avrei creduto a quei discorsi? Il fatto che trattavano gli esseri umani come bestiame era proprio la ragione per la quale gli dei li avevano abbandonati e la popolazione mortale della loro terra si era rivoltata contro di loro.

«Anche noi possiamo usare il nostro sangue per curare un mortale, ma senza indurre in lui alcun cambiamento. I Vampry non possono. La differenza più importante, tuttavia, è la creazione dei Craven: non è opera degli Atlantiani, ma dei Vampry. E, nel caso ti fossero rimasti dubbi in merito, i Vampry sono quelli che voi chiamate Ascesi.»

«Sono tutte menzogne.» Strinsi le mani in due inutili pugni.

«È la verità.» Hawke tornò a fissare la ferita, le sopracciglia aggrottate per la concentrazione. Riprese a guardarmi solo dopo avere deposto la pezza. «Un Vampry non può creare altri Vampry, non può portare un’altra persona a una completa Ascensione. Se un Vampry prosciuga un mortale, lo rende un Craven.»

«Il tuo discorso non ha alcun senso.»

«E perché no?»

«Hai appena detto che gli Ascesi sono Vampry, e che i Vampry non possono portare a termine l’Ascensione.» La rabbia mi divampò nel petto, più bruciante del liquido sulla mia ferita. «Se così fosse, come farebbero a esserci sempre nuovi Ascesi, per esempio mio fratello?»

La sua mascella si indurì e i suoi occhi si fecero di ghiaccio. «Perché il dono della vita non viene dagli Ascesi. Lo prendono da un Atlantiano.»

Risi, un suono feroce. «Nessun Asceso collaborerebbe mai con un Atlantiano.»

«Mi sono espresso male? Non mi pare proprio. Non ho parlato affatto di collaborazione: ho detto che gli Ascesi lo prendono.» Hawke prese un vasetto e lo stappò. «Quando quello che Malec aveva fatto divenne di dominio pubblico, il re abolì la legge che proibiva l’Ascensione. Vennero creati nuovi Vampry, e molti cominciarono a perdere il controllo della propria sete: le loro vittime cominciarono a morire in gran numero e nacque l’epidemia dei Craven, che si diffuse in tutto il regno come un vero contagio. Per tentare di arginarla, la regina di Atlantia, Eloana, finì per proibire di nuovo l’Ascensione e ordinare la distruzione di tutti i Vampry, dichiarandolo un atto necessario alla salvaguardia della razza umana.»

Lo osservai immergere le dita nel vaso, che poi mise da parte. Adesso erano coperte da una sostanza densa e lattiginosa, di cui riconobbi l’odore: era il balsamo che era già stato usato su di me. «Achillea?»

Hawke annuì. «Tra le altre cose che aiuteranno ad accelerare la tua guarigione.»

«Posso fare da…» Sobbalzai quando l’unguento freddo mi toccò la pelle. Hawke me lo spalmò su tutto lo stomaco, e piano piano sia l’unguento sia la mia pelle si scaldarono.

E anche io.

Presero a dolermi le nocche mentre un brivido di involontaria consapevolezza si diffondeva sulla mia pelle. Lui ti ha tradita, ricordai a me stessa. Ti ha usata. Lo odiavo. Lo odiavo davvero. Nonostante il brivido sempre più forte, il calore che avevo in gola si espanse.

Per fortuna Hawke sembrava del tutto assorto in quello che stava facendo. Non volevo che si accorgesse dell’effetto che il suo tocco aveva su di me.

«I Vampry si ribellarono» continuò, mentre prendeva altro unguento. «E così scoppiò la Guerra dei Due Re. Non fu la giusta lotta degli esseri umani contro i malvagi Atlantiani: fu la ritorsione dei Vampry.»

Spostai lo sguardo dalla sua mano al suo viso: la storia che mi stava raccontando mi era in parte familiare, una sorta di versione distorta e oscura della verità che già conoscevo.

«Il terrificante numero di morti di quella guerra non è esagerato, anzi molti pensano che le cifre ufficiali siano troppo basse. Ma noi non fummo sconfitti, principessa. Re Malec fu rovesciato, abbandonato dalla sua sposa e costretto all’esilio. La Regina Eloana si risposò e il nuovo Re, Da’Neer, richiamò gli eserciti, fece tornare la gente a casa e pose fine a un conflitto che stava distruggendo il mondo intero.»

«Cosa accadde a Malec e Isbeth?» chiesi, anche se continuavo a non credere a quasi nulla di quel racconto.

«I vostri libri dicono che Malec fu sconfitto in battaglia, ma la verità è che nessuno lo sa con certezza: lui e la sua compagna semplicemente scomparvero.» Hawke tappò il vasetto. «I Vampry presero il controllo delle terre che rimanevano, incoronarono un proprio re e una propria regina, Jalara e Ileana, e le ribattezzarono Regno di Solis. Si diedero il nome di Ascesi e usarono i nostri dei, che erano da lungo tempo sprofondati nel sonno, come spiegazione pubblica della loro trasformazione da mortali a immortali. Nelle centinaia di anni che sono passati da allora, si sono impegnati per cancellare dalla storia ogni traccia di verità, ovvero che gran parte della razza umana si schierò a fianco degli Atlantiani contro la sola minaccia comune: i Vampry.»

Per un minuto buono non riuscii a dire nemmeno una parola. «Nulla di tutto ciò che hai detto sembra reale.»

«Sì, immagino non sia facile per te credere che vieni da una società di mostri assassini che porta via i terzi figli di ogni famiglia per nutrirsene. E quelli che non vengono prosciugati diventano…»

«Cosa?» La mia incredulità si trasformò in rabbia. «Da quando hai aperto bocca non hai fatto altro che raccontarmi menzogne, e adesso ti sei spinto troppo in là.»

Hawke applicò una benda pulita alla ferita e appiattì bene i bordi per farli aderire alla mia pelle. «Non ho detto nient’altro che la verità, proprio come ha fatto l’uomo che ha lanciato la mano del Craven.»

Mi drizzai a sedere e mi abbassai in fretta e furia la tunica. «Stai insinuando che i figli e le figlie in servizio presso gli dei sono stati trasformati in Craven?»

«Perché pensi che nessuno possa entrare nei Templi a parte gli Ascesi e chi è controllato da loro, come i Sacerdoti e le Sacerdotesse?»

«Perché sono luoghi sacri, in cui nemmeno gli Ascesi possono andare e venire come se niente fosse.»

«Hai mai visto con i tuoi occhi un bimbo dopo che è stato consegnato a un tempio, principessa? Anche uno soltanto. Conosci qualcuno che non sia un Sacerdote o un Asceso e che possa raccontare di averne visto uno? Non sei una sciocca: sai bene che non li ha mai visti nessuno. Perché sono morti tutti ancora prima di imparare a parlare.»

Spalancai la bocca.

«Ai Vampry serviva una fonte di sostentamento, principessa. Una che non destasse sospetti. Quale pensata migliore che convincere un regno intero a consegnare spontaneamente i propri figli con il pretesto di onorare gli dei? I Vampry ci hanno costruito intorno un’intera religione, in modo che i fratelli si rivoltassero contro i fratelli, se qualcuno avesse rifiutato di consegnare un figlio. Hanno ingannato tutti quanti e usato la paura di quello che loro stessi avevano creato. E non è tutto: hai mai fatto caso a quanti bambini muoiono all’improvviso per un misterioso morbo del sangue? Pensa alla famiglia Tulis, che ha perso il primogenito e il secondogenito. Nemmeno gli Ascesi riescono ad attenersi rigorosamente a una dieta stretta: nei Vampry la sete di sangue è un problema concreto, reale, che li riguarda tutti. E li trasforma in ladri che nella notte rubano mariti, mogli e figli.»

«Vorresti che ci credessi? Che mi convincessi che gli Atlantiani sono innocenti e tutto quel che mi è stato insegnato è soltanto un cumulo di menzogne?»

«In effetti no, ma valeva la pena provarci. Nemmeno noi siamo innocenti…»

«Cioè anche voi siete rapitori e assassini?»

«Tra le altre cose. Comunque, tu non vuoi credermi non perché le mie parole siano troppo assurde, ma perché adesso ti stai facendo delle domande. Per esempio, ti stai chiedendo se anche il tuo prezioso fratello ora si nutre di sangue innocente…»

«No.»

«E trasforma le sue vittime in Craven.»

«Taci» ringhiai scattando in piedi. Fu un movimento brusco, eppure sentii appena un’eco di dolore.

Anche Hawke si rialzò con un gesto fluido e torreggiò sopra di me. «Non vuoi accettare ciò che ti ho rivelato, per quanto logico, perché significherebbe che anche tuo fratello è uno di loro, e la regina, che si è presa tanta cura di te, è responsabile di migliaia di omicidi…»

Non ci fu alcun pensiero dietro ciò che feci a quel punto. Ero soltanto furiosa e terrorizzata, perché Hawke aveva ragione: le sue parole avevano piantato nuove domande nella mia mente. Mi chiedevo perché nessuno vedesse mai gli Ascesi di giorno, o perché nessun altro a parte loro potesse accedere ai Templi. Ma la domanda peggiore di tutte era un’altra: perché Hawke avrebbe dovuto inventarsi tutte quelle storie? A quale scopo tessere una menzogna così elaborata pur sapendo che convincermi che era la verità sarebbe stata un’impresa quasi impossibile?

Ma non pensai a nulla di tutto ciò.

Agii e basta.

La catena tintinnò al suolo mentre mi lanciavo su di lui con il pugno proteso. Hawke scattò e afferrò la mia mano a mezz’aria prima che potesse raggiungere il suo volto. La sua velocità era assurda: mi fece roteare su me stessa, mi torse il braccio dietro la schiena e mi strinse contro la solida muraglia del suo petto, mentre con la mano libera mi afferrava l’altro braccio. Urlai di frustrazione e tentai di alzare una gamba…

«Non farlo.» La sua voce morbida mi entrò nell’orecchio e mi mandò un brivido giù per la spina dorsale.

Non lo ascoltai. Quando il mio calcagno colpì la sua gamba lui mandò un grugnito. Poi alzai di scatto il piede e colpii di nuovo all’indietro, ma un istante dopo mi ritrovai schiacciata contro il muro con Hawke che mi premeva addosso. Lottai, ma inutilmente: non c’era un centimetro di spazio libero tra il mio corpo e il suo, o tra me e il muro.

«Ti avevo detto di non farlo.» Il suo respiro caldo mi carezzò la tempia. «E non sto parlando a vuoto, principessa. Non voglio farti male.»

«Ah no? Mi hai già…» Mi interruppi.

«Cosa?» Hawke si spostò in modo da non schiacciarmi più, ma non mi lasciò andare, anzi mi inchiodò al muro anche la seconda mano, accanto alla prima.

Strinsi le labbra e rifiutai di dirgli che mi aveva già fatto male. Avrebbe significato ammettere che c’era qualcosa di vulnerabile in me, qualcosa che poteva sfruttare, e di armi da usare contro di me ne aveva già a sufficienza.

Appoggiò la guancia alla mia. «Lo sai già che non puoi farmi del male seriamente.»

Mi tesi. «Allora perché mi tieni in catene?»

«Perché pugni, calci e graffi non sono comunque piacevoli da ricevere. E, per quanto abbia ordinato agli altri di non toccarti con un dito, le loro reazioni potrebbero essere meno tolleranti delle mie.»

«Tolleranti?» Cercai di staccarmi dal muro, ma non ci riuscii. «Questo tu lo chiami tollerante?»

«Se si considera che ho appena impiegato vari minuti a pulire e bendare la tua ferita, direi proprio di sì. E un grazie non sarebbe sgradito.»

«Non ti ho chiesto io di aiutarmi» sibilai.

«Vero. Perché sei troppo orgogliosa o troppo sciocca. Avresti preferito restare qui a guardare la tua carne che marciva piuttosto che chiedere aiuto. Quindi non riceverò nessun ringraziamento?»

Risposi gettando il capo all’indietro di scatto. Ma lui era pronto e non riuscii a colpirlo. Invece mi ritrovai con la guancia premuta contro il muro. Tentai per l’ennesima volta di liberarmi, ma non servì a nulla.

«La tua vocazione per la disobbedienza è davvero straordinaria» ringhiò Hawke. «Seconda solo al tuo talento per farmi impazzire.»

«Ne hai dimenticato un altro.»

«Ah sì?»

«Sì. Ho un talento per uccidere i Craven. E immagino che uccidere gli Atlantiani non sia molto diverso.»

Lo sentii ridere forte contro la mia schiena. «Noi non siamo consumati dalla fame, quindi non ci distraiamo facilmente come loro.»

«Ma vi si può uccidere lo stesso.»

«È una minaccia?»

«Prendila come vuoi.»

Hawke rimase in silenzio per un istante. «So che ne hai passate tante. E che quello che ti ho raccontato oggi è un bel boccone da mandare giù in un sol colpo. Ma è tutto vero. Ogni singola parola, Poppy.»

Mi contorsi. «Non chiamarmi così!»

«E tu piantala di agitarti.» La sua voce si fece più profonda, più dura. «Oppure continua, se ci tieni: è una forma perfetta di tortura.»

Per un attimo non capii che cosa intendesse dire, ma poi sentii il suo corpo premere contro la base della mia schiena e quando capii mi si mozzò il respiro. «Tu sei malato.»

«E contorto. E perverso. E oscuro.» Il suo mento ruvido e non rasato strusciò contro la mia guancia. La spina dorsale mi mandò una fitta in risposta. Poi allargò le dita sopra le mie e sembrò venirmi ancora più vicino. «Sono tante cose insieme…»

«Un assassino?» Non sapevo se lo stavo ricordando a lui o a me stessa. «Hai ucciso Vikter. E tutti gli altri.»

Hawke si fermò, e con il respiro successivo accostò il petto alla mia schiena. «Ho ucciso. Lo stesso vale per Delano e Kieran. E quello che tu chiami l’Oscuro ha avuto una parte nelle morti di Hannes e Rylan, ma non nell’uccisione di quella povera ragazza: lei è stata vittima di un Asceso, probabilmente uno in preda alla sete di sangue. Se dovessi scommettere, direi il duca o il lord.»

Il lord, che aveva addosso lo stesso profumo di fiori che Malessa portava quel giorno.

«E nessuno di noi è responsabile dell’attacco la sera del Rito, o di quello che è accaduto a Vikter.»

Dei, quanto avrei voluto crederci. Avevo bisogno di crederci. Di credere che non ero andata a letto con un uomo che aveva contribuito alla morte di Vikter. «E chi sarebbero i responsabili?»

«Quelli che voi chiamate Caduti. I nostri fiancheggiatori.» Ora la sua voce era poco più di un sussurro. «Ma nessuno ha dato ordine di attaccare durante il Rito.»

«Mi stai dicendo che la cosa che comanda i Caduti non ha ordinato l’assalto al Rito? E ti aspetti che io ci creda?»

«I Caduti seguono l’Oscuro, ma ciò non significa che sia lui a comandarli direttamente: molti agiscono di testa propria. Sanno la verità e non vogliono più vivere nel terrore di vedere i propri figli trasformati in mostri o dati in pasto agli Ascesi. Con la morte di Vikter io non ho nulla a che fare.»

Rabbrividii. Mi resi conto che gli credevo, ma non avrei saputo dire perché. Tuttavia, che l’Oscuro controllasse attivamente i Caduti o no, rimaneva lui il responsabile della morte di Vikter: i Caduti avevano agito per sostenere la sua causa. «Ma gli altri di cui hai parlato, quelli li hai uccisi tu. Ammetterlo non cambia le cose.»

«Era necessario.» Il suo mento si staccò dalla mia guancia. «Così come è necessario che tu capisca che non puoi fuggire da qui. Ora appartieni a me.»

Il mio cuore si rovesciò lentamente. «Vuoi dire che appartengo all’Oscuro.»

«Voglio dire quello che ho detto, principessa.»

«Io non appartengo a nessuno.»

«Se ci credi davvero, allora sei un’ingenua.» Premette la testa contro la mia, prima che potessi tentare di nuovo di colpirlo portandola indietro. «Oppure menti a te stessa. Appartenevi agli Ascesi, e lo sai bene. Era una cosa che odiavi. Ti hanno tenuta chiusa in una gabbia.»

Mi pentii di tutto quello che gli avevo raccontato. «Almeno era una gabbia più comoda di questa.»

«Vero.» Hawke tacque per un istante. «Ma libera non lo sei mai stata.»

«Che importa se è vero o no?» E lo era, dolorosamente. «Non smetterò per questo di combattere contro di te. Non mi sottometterai mai.»

«Lo so.» E questa volta qualcosa di strano entrò nella sua voce. Qualcosa che suonava quasi come… ammirazione. Ma che senso aveva?

«E tu non smetti di essere un mostro» aggiunsi.

«Vero anche questo. Ma non sono nato così. Sono stato reso quello che sono ora. Mi hai chiesto della cicatrice che ho sulla coscia: l’hai osservata bene, o eri troppo distratta dal mio…»

«Chiudi quella bocca» strillai.

«Se l’avessi guardata con attenzione, avresti notato che ho lo Stemma Reale marchiato sulla pelle.» Inalai bruscamente. In effetti la cicatrice assomigliava davvero allo stemma. «Vuoi sapere come mai conosco così bene i dettagli di quello che avviene durante la vostra maledetta Ascensione, Poppy? Come faccio a sapere tutto quello che tu non sai? Perché sono rimasto chiuso in uno di quei Templi per cinquant’anni, durante i quali mi hanno tagliato e lacerato e trasformato in cibo. Il mio sangue finiva dentro calici d’oro, da cui i secondi figli e le seconde figlie bevevano dopo che la regina o il re o qualche altro Asceso li aveva dissanguati. Facevo parte del loro dannato bestiame.»

No.

Non potevo crederci.

«E non servivo solo come fonte di sostentamento, ma anche come forma di divertimento. Per questo so perfettamente come ci si sente a non avere alcuna scelta.» A ogni sua parola il mio orrore cresceva. «È stata la tua regina a marchiarmi a fuoco, e se non fosse stato per il folle coraggio di un’altra persona sarei ancora là. Ecco da dove viene la mia cicatrice.»

Senza preavviso staccò le mani dalle mie e arretrò. Io rimasi dov’ero, tremante. Solo dopo lunghi istanti mi voltai. Ma Hawke era già uscito dalla cella.

Se tutto quello che aveva detto era vero…

No. Impossibile. Dei, non poteva essere la verità.

Un freddo tremendo mi investì di colpo. Mi strinsi le braccia intorno al corpo, incrociando le catene.

Hawke mi fissò attraverso le sbarre. «Né io né il principe vogliamo farti del male, te l’ho detto. Ci servi viva.»

«Perché?» chiesi in un sussurro. «Che c’è di così importante in me?»

«Perché gli Ascesi tengono prigioniero il vero erede al trono. Lo hanno catturato quando lui ha liberato me.»

Avevo sempre creduto che il solo erede al trono di Atlantia fosse l’Oscuro. Ma se Hawke stava dicendo la verità, poteva significare solo che… «L’Oscuro ha un fratello?»

Hawke annuì. «Tu sei la favorita della regina. Sei importante per lei e lo sei per il regno, anche se non ne conosco la ragione. Forse ha qualcosa a che fare con il tuo dono. Forse no. In ogni caso ti riconsegneremo a lei solo in cambio del Principe Malik.»

Il senso delle sue parole penetrò a poco a poco nel mio cervello. «Vi servo per uno scambio di ostaggi.»

«Che è meglio che rimandarti a casa a pezzi, non ti pare?»

L’incredulità mi rimbombò di nuovo nelle orecchie, subito seguita da quel dolore pulsante che ancora albergava nel mio petto. «Finora non hai fatto che ripetere che la regina, gli Ascesi e mio fratello sono tutti malvagi Vampry che predano esseri umani, e ora sei pronto a rimandarmi da loro non appena avranno liberato il fratello dell’Oscuro?»

Hawke non rispose.

Una risata roca e troppo umida mi uscì dalla gola. Se aveva detto la verità, questo confermava ciò che stava diventando sempre più evidente.

A Hawke non importava nulla che io rimanessi in vita o che stessi bene: contava solo che respirassi ancora al momento dello scambio di ostaggi.

Mi portai una mano al petto per tentare di alleviare il dolore, mentre mi sfuggiva un’altra risata.

Hawke contrasse la mascella. «Provvederemo a sistemarti in una stanza migliore di questa.»

Non seppi cosa replicare. Di sicuro non avrebbe avuto un ringraziamento come risposta.

Lui sollevò il mento. «Sei libera di non credere a una sola delle mie parole, ma se scegliessi di farlo quello che ti sto per dire non ti sorprenderebbe: a breve partirò per raggiungere Re Da’neer di Atlantia e informarlo che sei nelle nostre mani.»

Rialzai la testa di scatto.

«Sì, il re è vivo. E anche la Regina Eloana. Sono i genitori del Principe Malik e di quello che tu chiami l’Oscuro.»

Lo sgomento mi impedì di muovermi. Lui si voltò e fece per allontanarsi, ma poi si fermò.

Senza voltarsi, disse: «Non tutto era una menzogna, Poppy. Non tutto».