Braccia gentili mi sollevarono dal pavimento sporco. Kieran. Il suo volto si offuscò e io mi sentii ronzare le orecchie. Intorno a me tutto svanì nel nulla, e non provai più dolore. Rimasi così finché lo udii chiamarmi. Hawke.
«Apri gli occhi, Poppy. Coraggio» insisté. Sentii qualcuno togliermi il pugnale di mano. Cadde con un tintinnio sul pavimento. La mano di Hawke si posò sulla mia guancia. «Ho bisogno che tu apra gli occhi. Ti prego.»
Ti prego.
Non lo avevo mai sentito pronunciare parole del genere in quel modo. Il mio cuore rallentato riprese velocità a mano a mano che riprendevo coscienza, e insieme a lui si ripresentò un dolore enorme e bruciante. Mi costrinsi ad aprire gli occhi.
«Eccoti qui.» Sul volto di Hawke comparve un sorriso, ma era sbagliato, forzato. Non c’erano profonde fossette, né calore o risa a illuminargli gli occhi d’oro.
Per mancanza di forza di volontà, oppure per stupidità, feci quello che non avevo più fatto da quando avevo scoperto la verità su di lui. Protesi i miei sensi indeboliti e percepii l’angoscia che emanava. Era più profonda di prima, non ricordava più schegge di ghiaccio sulla mia pelle, bensì pugnali.
Artigli.
Inspirai, e sentii un sapore metallico. «Fa male.»
«Lo so.» Aveva frainteso quello che avevo detto. Mi guardò negli occhi. «Farò passare tutto. Scaccerò il dolore. Scaccerò ogni sofferenza. Non dovrai sopportare un’altra cicatrice.»
Mi sentii invadere dalla confusione. Non sapevo come potesse riuscirci. C’erano troppe ferite. Avevo perso troppo sangue. Lo percepivo dal freddo che mi strisciava su per le gambe.
Sto morendo.
«No, non morirai» ribatté lui, e mi resi conto di avere detto le ultime parole ad alta voce. «Non puoi morire. Non lo permetterò.»
Poi portò il braccio alla bocca, e io vidi i denti affilati che avevo avvertito in passato. Incredula, lo guardai mordersi il polso e lacerarsi la pelle. Con un grido, tentai di sollevare la mano per coprirgli la ferita. Mi aveva rapita. Aveva ucciso per arrivare a me, mi aveva tradita ed era il nemico. E mi aveva lasciata indifesa ancora una volta. Stavo morendo. Non avrebbe dovuto importarmi che lui sanguinasse.
Ma mi importava.
Perché ero un’imbecille.
«Morirò da imbecille» mormorai.
Lui aggrottò la fronte. «Non morirai» ripeté, con la bocca rigida per la tensione. «E io sto bene. Devi solo bere.»
Bere. Il mio sguardo cadde sul suo polso. Non poteva intendere che…
«Casteel, sei…» ci interruppe la voce di Kieran.
Casteel?
«So perfettamente che cosa sto facendo, e non mi interessano la tua opinione o i tuoi consigli.» Sangue rosso intenso gli gocciolò lungo il braccio. «Né li ho richiesti.»
Kieran non rispose. Fissai la scena, affascinata e insieme inorridita. Hawke abbassò il polso lacerato, sporgendolo verso di me… verso la mia bocca.
«No.» Mi scostai, ma non andai lontano. Il suo braccio dietro la mia schiena era come una sbarra di metallo. «No.»
«Devi. Se non bevi, morirai.»
«Preferisco… morire che diventare un mostro» giurai.
«Un mostro?» Hawke fece una risatina, ma fu un suono roco. «Poppy, ti ho già detto la verità sui Craven. Questo ti farà solo guarire.»
Non gli credevo. Non potevo. Perché se l’avessi fatto avrebbe voluto dire… avrebbe voluto dire che tutto quello che aveva raccontato era vero, e gli Ascesi erano malvagi. E che Ian era…
«Lo farai» ripeté Hawke. «Berrai. Vivrai. Scegli di farlo, principessa. Non costringermi a scegliere per te.»
Mi voltai, inspirando bruscamente. E colsi uno strano profumo. Era un odore… un odore del tutto diverso da quello del sangue o da quello dei Craven. Mi ricordava agrumi nella neve, era fresco e aspro. Come… come faceva del sangue ad avere un odore del genere?
«Penellaphe» disse Hawke, e questa volta nella sua voce c’era qualcosa di diverso. Era più morbida e profonda, come se avesse un’eco. «Guardami.»
Come se non avessi controllo sul mio corpo, alzai lo sguardo a incontrare il suo. I suoi occhi… la loro sfumatura color miele vorticava, mulinava di schegge più accese, dorate. Dischiusi le labbra. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Che… che cosa stava facendo?
«Bevi» sussurrò, oppure gridò, non ne ero certa, ma la sua voce era ovunque, tutto intorno e dentro di me. E i suoi occhi… ancora non riuscivo a smettere di guardarli. Le sue pupille parvero espandersi. «Bevi da me.»
Una goccia di sangue cadde dal suo braccio sulle mie labbra, e scivolò tra esse, aspro eppure dolce sulla lingua. La mia bocca formicolò. Hawke mi premette il polso contro le labbra e il suo sangue mi scorse in bocca, lungo la gola, denso e caldo. In una parte lontana del mio cervello pensai che non avrei dovuto permetterlo. Che era sbagliato. Sarei diventata un mostro, ma il sapore… non assomigliava a niente che avessi mai assaggiato prima. Fu come risvegliarsi. Deglutii, succhiandone ancora.
«Ecco fatto.» La voce di Hawke adesso era più profonda, più intensa. «Bevi.»
E così feci.
Bevvi sotto il suo sguardo, che rimaneva puntato su di me e sembrava non perdersi nulla. Bevvi, e la mia pelle iniziò a vibrare. Bevvi, aggrappandomi al suo braccio insanguinato e trattenendolo contro la bocca ancora prima di rendermi conto di quello che stavo facendo. Il sapore del suo sangue… era peccato puro, decadenza e seduzione. A ogni sorso, i dolori e le fitte diminuivano, e il ritmo del mio cuore rallentava, diventando regolare. Bevvi finché mi si chiusero gli occhi. Finché mi ritrovai circondata da un caleidoscopio di azzurri vividi e vivaci, il colore che mi ricordava il Mare di Stroud. Quell’azzurro era sorprendentemente cristallino, come una pozza d’acqua mai toccata dall’uomo.
Ma quello non era l’oceano. C’era fredda, dura roccia sotto i miei piedi, e ombre che mi premevano sulla pelle. Una lieve risata mi fece spostare lo sguardo dalla polla d’acqua ai capelli scuri di…
«Basta» intervenne Hawke. «Basta così.»
Non poteva essere abbastanza. Non ancora. Aggrappata al suo polso, bevvi avidamente. Mi nutrii come se stessi morendo di fame, ed era proprio così che mi sentivo. Come se quel nutrimento fosse ciò che mi era mancato per tutta la vita.
«Poppy» gemette Hawke, liberandosi della mia presa e scostando il polso lacerato.
Feci per avvicinarmi di nuovo, perché ne volevo di più, ma i miei muscoli si erano fatti liquidi e le ossa molli. Sprofondai nel suo abbraccio e mi parve di galleggiare, un po’ smarrita nel formicolare continuo della mia pelle. Un intenso calore mi si riversò nel petto. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Potevano essere trascorsi minuti, oppure ore, prima che Hawke mi avesse chiamato.
Sollevai le palpebre e lo trovai a fissarmi. I suoi lineamenti erano un po’ sfocati. Era appoggiato con la schiena e la testa alla parete e in quel momento aveva un’aria del tutto rilassata, come se fosse stato lui ad avere assaporato la magia, non io.
«Come ti senti?» chiese.
Non sapevo come rispondergli. Il mio corpo bruciava come se fosse in fiamme? No. Sentivo fitte o dolore pulsante? No.
«Non ho freddo. Il mio petto… non è freddo.»
«Non dovrebbe esserlo.»
Non capiva. «Mi sento… diversa.»
Sul suo volto apparve un piccolo sorriso. «Bene.»
«Mi sento come se il mio corpo… fosse scollegato da me.»
«Passerà nel giro di pochi minuti. Rilassati e goditi la sensazione.»
«Non mi fa più male.» Cercai di riordinare i pensieri, ma continuavano a vorticare. «Non capisco.»
«È il mio sangue.» Hawke sollevò la mano, scostandomi dalla guancia alcune ciocche di capelli. Il suo tocco mi fece rabbrividire di una nuova consapevolezza e quella sensazione mi piacque. Mi piaceva il modo in cui mi faceva sentire. Era sempre stato così, ma adesso non avrebbe dovuto. «Il sangue di un Atlantiano ha proprietà curative. Te l’avevo detto.»
«È… è incredibile» sussurrai.
«Davvero?» Allungò una mano e mi sollevò il braccio. «Non avevi una ferita, qui?»
Seguii il suo sguardo sull’interno del mio avambraccio. Era macchiato di sangue e terra, ma dove gli artigli avevano lacerato i tessuti, sotto la sporcizia, la pelle adesso era liscia.
«E qui?» chiese ancora, muovendo la mano in modo da passarmi il pollice lungo la parte superiore del braccio, appena sotto la spalla. «Gli artigli non ti avevano colpita qui?»
Il mio sguardo fu catturato dalla pallida cicatrice della vecchia aggressione subita da parte dei Craven, nella parte interna del gomito. Mi costrinsi a guardare là dove il suo pollice continuava a descrivere piccoli cerchi. Non c’erano marchi recenti. Nessuna ferita aperta. Fissai con stupore la mia pelle. «Non… non ci sono nuove cicatrici.»
«E non ce ne saranno» disse lui. «Te l’ho promesso.»
Era vero, lo aveva fatto. «Il tuo sangue… è straordinario.»
E lo era sul serio. La mia mente rallentata immaginò tutto quello che si sarebbe potuto ottenere con quel sangue. Le ferite che avrebbero potuto essere guarite e le vite che avrebbero potuto essere salvate. La maggior parte delle persone sarebbe stata contraria a bere sangue, ma…
Un momento.
Spostai gli occhi sui suoi. «Mi hai fatto bere il tuo sangue.»
«Sì.»
«Come?»
«È una di quelle cose che si verificano durante la maturità. Non tutti possiamo… costringere gli altri.»
«Lo avevi già fatto? Con me?»
«Forse vorresti attribuire a questo la colpa delle tue azioni passate, ma non l’ho mai fatto, Poppy. Non ne ho mai avuto bisogno, né l’ho mai desiderato.»
«Ma lo hai fatto adesso.»
«Sì.»
«Non sembri neanche lontanamente vergognarti.»
«Non mi vergogno» replicò lui, con un barlume del suo sogghigno canzonatorio. «Te l’avevo detto che non avrei permesso che morissi. E saresti morta, principessa. Stavi morendo. Ti ho salvato la vita. Alcuni direbbero che la reazione appropriata è un grazie.»
«Non ti ho chiesto di farlo.»
«Ma ne sei felice, vero?»
Chiusi la bocca, perché lo ero.
«Solo a te potrebbe venire in mente di contraddirmi su questo.»
Non volevo morire, ma non volevo nemmeno diventare un Craven. «Non mi trasformerò…»
«No.» Hawke sospirò, posando il mio braccio sul mio stomaco. «Ti ho detto la verità, Poppy. Non sono stati gli Atlantiani a creare i Craven. Lo hanno fatto gli Ascesi.»
Il mio cuore saltò un battito. Spostai lo sguardo sulle travi di legno a vista del soffitto. Non eravamo nella cella. Voltai il capo e vidi un letto rustico con spesse coltri e un comodino accanto. «Siamo in una camera da letto.»
«Avevamo bisogno di intimità.»
Ricordai di avere sentito la voce di Kieran, ma adesso la stanza era vuota. «Kieran non voleva che tu mi salvassi.»
«Perché è proibito.»
Mi ci volle qualche istante per ricordare che cosa mi aveva detto in precedenza e il mio stomaco sprofondò. «Diventerò una Vampry?»
Hawke rise.
«Che c’è di divertente?»
«Nulla.» Sollevò anche l’altro angolo della bocca. «So che ancora non vuoi credere alla verità, ma nel profondo lo stai già facendo. Ecco perché hai posto questa domanda.»
Non aveva tutti i torti, ma io non avevo la capacità intellettuale o emotiva per affrontare la questione. Non in quel momento.
«Per trasformarti avresti bisogno di molto più sangue di così.» Hawke tornò ad appoggiare la testa contro la parete. «Inoltre, io dovrei avere un ruolo più attivo.»
I muscoli della parte inferiore del mio corpo si tesero, dimostrando che in effetti non erano molli. «In che senso… in che senso un ruolo più attivo?»
Il sorriso di Hawke divenne peccaminoso quanto il suo sangue. «Preferiresti che te lo mostrassi, anziché spiegartelo?»
Mi sentii avvampare. «No.»
«Bugiarda» sussurrò lui, chiudendo gli occhi.
Il calore sulla mia pelle iniziò a diffondersi come se fosse una scintilla, e io mi mossi, sentendomi meno… fluida e più… ancorata. Cercai di ignorarlo. «Naill e Delano… stanno bene?»
«Staranno bene e sono sicuro che saranno lieti di sapere che hai chiesto di loro.»
Ne dubitavo, ma stava succedendo qualcosa, c’era un cambiamento.
Il mio corpo non sembrava più mio, non con quel calore che mi filtrava nei muscoli, mi incendiava la pelle e si accumulava nel profondo. Immaginai che fosse lui… il sangue di Hawke che lentamente si faceva strada in ogni parte del mio corpo.
Hawke era dentro di me.
Sentivo di non avere controllo, proprio come era accaduto la notte trascorsa nella Foresta di Sangue e nella stanza al piano superiore della taverna.
Di colpo sentii un dolore al petto, un peso che vi gravava, ma che non era dovuto a sofferenza, mancanza d’aria o freddo. No. Era come quando Hawke mi aveva toccata, quando mi aveva spogliata e baciata… baciata ovunque. Mi sentivo senza freni. Dentro di me fremevo, proprio come la mia pelle che vibrava. Lussuria tagliente come un rasoio mi pulsava nel profondo, un desiderio oscuro e bruciante.
Hawke inspirò, dilatando le narici, poi il suo petto parve smettere di muoversi. I suoi lineamenti erano ancora offuscati, ma più lo fissavo, più sentivo caldo.
«Poppy.»
«Cosa?» La mia voce sembrava colma di miele.
«Smettila di pensare a quello a cui stai pensando.»
«Come fai a sapere a che cosa sto pensando?»
Hawke abbassò il mento e il suo sguardo fu una carezza. «Lo so.»
Rabbrividii, poi mossi i fianchi e il braccio di Hawke si strinse intorno a me. «Non lo sai.»
Lui non rispose, e io mi chiesi se riuscisse a percepire il fuoco liquido nelle mie vene, e l’umido calore della mia intimità.
Mi morsi il labbro, assaporai il suo sangue e gemetti, chiudendo gli occhi. «Hawke?»
Lui emise un suono, e forse disse qualcosa, ma fu indecifrabile.
Allungai i muscoli, con rapidi, brevi respiri. La camicia ruvida e le brache mi graffiavano la pelle e le punte indurite e sensibili dei seni. «Hawke» sussurrai.
«No» disse, irrigidendosi. «Non chiamarmi così.»
«Perché no?»
«Non farlo e basta.»
C’erano un sacco di cose che non avrei dovuto fare o dire, ma ero totalmente concentrata sul modo in cui il mio intero corpo bruciava e pulsava di desiderio. Mossi la mano facendola risalire lungo il mio stomaco, sopra la camicia rovinata dagli artigli, fino al seno. Guidata solo da istinto e bisogno, chiusi le dita sulla mia carne tremante, premendovi il palmo. Un brivido di struggimento mi attraversò.
«Poppy» disse Hawke. «Che stai facendo?»
«Non lo so» sussurrai, inarcando la schiena mentre mi accarezzavo attraverso la stoffa sottile e consumata. «Sono in fiamme.»
«È solo il sangue» disse lui con voce roca, e l’istinto mi disse che mi stava guardando, incendiandomi ancora di più. «Passerà, ma dovresti… devi smetterla di fare così.»
Non mi fermai. Non potevo. Sfregai il pollice sopra i capezzoli induriti, risucchiando aria. Mi ricordava ciò che Hawke aveva fatto, ma lui non aveva usato solo le mani. Volevo che lo facesse di nuovo. Un dolore intenso e pulsante tra le gambe mi fece torcere lo stomaco. Mentre muovevo i fianchi strinsi le cosce, ma non fu d’aiuto. La pressione peggiorò soltanto le cose. «Hawke?»
«Poppy, per amor degli dei.»
Con il cuore che martellava, aprii gli occhi. Avevo ragione: il suo sguardo era fisso su di me… sulla mia mano, quella che aveva una volontà propria e mi stava scivolando lungo lo stomaco.
«Mi baci?»
Intorno alla sua bocca si formarono linee di tensione. «Non è quello che vuoi davvero.»
«Invece sì.» Le mie dita raggiunsero la vita, dove si aprivano i pantaloni. «Ne ho bisogno.»
«Lo credi soltanto in questo momento.» Il volto di Hawke si fece più chiaro, ed era impossibile non notare che i suoi lineamenti si erano fatti più affilati. «È il sangue.»
«Non mi importa.» Con la punta delle dita sfiorai la pelle nuda sotto il mio ombelico. «Mi tocchi? Per favore?»
Hawke emise un basso suono che giungeva dal fondo della gola. «Credi di odiarmi, adesso? Se farò quello che mi chiedi, dopo vorrai uccidermi.» Fece una pausa e le sue labbra si piegarono in su. «Be’, vorrai uccidermi più di quanto tu già non voglia. In questo momento non hai autocontrollo.»
Le sue parole erano sensate, eppure non lo erano. «No.»
«No?» Inarcò le sopracciglia, ma non distolse gli occhi dalla mia mano.
«Non ti odio» gli dissi, e il mio cuore ebbe una torsione dolorosa, che mi fece capire di avere detto la verità. Avrei dovuto esserne sconvolta.
Lui emise di nuovo quel suono, e quando chiuse la mano sul mio polso io quasi piansi di gioia. Stava per toccarmi.
Solo che non fece altro che tenermi ferma la mano.
«Hawke?»
«Ho complottato per strapparti a tutto ciò che conoscevi, e poi l’ho fatto davvero, ma questo non è neanche lontanamente il peggiore dei miei crimini. Ho ucciso, Poppy. Sulle mie mani c’è così tanto sangue che non saranno mai pulite. Rovescerò la regina che si è presa cura di te e molti altri moriranno nel frattempo. Non sono un uomo buono.» Deglutì con forza. «Ma in questo momento sto provando a esserlo.»
Farfalle nervose mi riempirono lo stomaco. Le sue parole… avrebbero dovuto farmi infuriare, ma… ma io lo desideravo, e pensare era… Be’, in vita mia non avevo mai fatto altro che pensare. Non volevo farlo più.
«Non voglio che tu sia buono.» Senza nemmeno rendermene conto, avevo sollevato l’altra mano e stringevo nel pugno la sua camicia. «Voglio te.»
Hawke scosse la testa, ma quando strattonai la mano che lui tratteneva, si chinò su di me. Strinsi la presa sulla sua camicia nel momento in cui si fermò con la bocca a un soffio dalla mia. «Nel giro di qualche minuto, quando questa tempesta passerà, tornerai a disprezzare la mia stessa esistenza, e con ottimi motivi. Odierai di avermi implorato di baciarti e di fare altro ancora. Ma anche senza il mio sangue dentro di te, so che non hai mai smesso di desiderarmi. Quando affonderò di nuovo dentro di te, però – e lo farò – non potrai dare la colpa all’influenza del mio sangue né ad altro.»
Lo fissai, e parte della nebbia dovuta alla lussuria si dissipò nella mia mente quando Hawke sollevò la mia mano e se la portò alla bocca. Mi baciò al centro del palmo, sorprendendomi. Era un gesto talmente… tenero, un gesto che immaginavo fosse tipico degli amanti.
Ritirai la mano e lui la lasciò andare. Me la posai sul petto. Il formicolio della mia pelle stava svanendo, ma provavo ancora la brama del desiderio insoddisfatto. Non era neanche lontanamente divorante come pochi istanti prima, ma la parte di me che pareva stesse iniziando a risvegliarsi sapeva che Hawke diceva il vero. Quello che provavo per lui non aveva niente a che fare con il sangue.
Quello che provavo era… era confuso e primitivo. Lo odiavo, eppure… non lo odiavo. Tenevo a lui, per quanto fosse una cosa stupida. E lo desideravo… desideravo i suoi baci, il suo tocco. Ma volevo anche fargli del male.
Non eravamo amanti.
Eravamo nemici, e non avremmo mai potuto essere altro. Ero circondata da persone che mi odiavano.
«Non dovevo andarmene» disse Hawke. «Avrei dovuto sapere che poteva succedere qualcosa, ma ho sottovalutato il loro desiderio di vendetta.»
«Mi… mi volevano morta.»
«Pagheranno per quello che hanno fatto.»
Mi spostai sul letto e mi toccai una gamba, ancora sorpresa di non sentire dolore. «Che cosa farai? Li ucciderai?»
«Sì» rispose, e io sgranai gli occhi. «E ucciderò chiunque pensi di seguirne le orme.»
Lo fissai e non dubitai che dicesse sul serio. Ma Hawke non poteva mettere in discussione ogni suo sostenitore o membro della sua razza. Non ero al sicuro lì. «E che… che cosa farai di me?»
Lui distolse lo sguardo dal mio. Un muscolo si tese sulla sua guancia. «Te l’ho già detto. Ti userò come merce di scambio con la regina per liberare il Principe Malik. Ti giuro che non ti verrà fatto altro male.»
Feci per parlare, ma poi ricordai il nome con cui Kieran lo aveva chiamato. Rimasi impietrita, mentre fissavo quei suoi occhi splendidi. «Casteel?»
Lo sentii irrigidirsi.
«Kieran… Kieran ha pronunciato il nome Casteel.» Percorsi con lo sguardo il suo volto stupendo, mentre mi tornavano in mente le parole di Loren. Diceva di aver sentito dire che l’Oscuro era bellissimo e che grazie al suo aspetto si era guadagnato l’accesso alla Rocca di Crestadoro, seducendo Lady Everton…
Le stesse parole di Hawke riemersero dalla mia memoria, quelle che mi aveva detto alla Perla Rossa sul suo aspetto. Ha portato un bel po’ di persone a compiere scelte di vita discutibili.
Mi pareva che il cuore mi si fosse fermato, ma poi riprese a correre. I pezzi del puzzle cominciavano a incastrarsi. Dettagli irrilevanti come i brevi commenti che aveva fatto di tanto in tanto, cose più importanti come il fatto che mi avesse zittita quando avevo pronunciato il suo nome. Il modo in cui tutti eseguivano i suoi ordini e Jericho gli aveva obbedito nel fienile, come se non volesse contraddirlo, anche se questo non lo aveva fermato. Il modo in cui Kieran e gli altri pronunciavano il suo nome, come se fosse una battuta.
Perché il suo nome non era Hawke.
E non avevamo fatto l’amore. Lui mi aveva scopata.
«Oh, dei.» Con lo stomaco che mi si rivoltava, mi premetti le mani sulla bocca. «Tu sei lui.»
Non disse nulla.
Credetti di vomitare, mentre mi portavo una mano al petto e strattonavo la camicia già lacerata. «Ecco che cos’è successo a tuo fratello. Perché sei così triste per lui. È il principe che speri di riavere usando me. Non ti chiami Hawke Flynn. Sei lui! Sei l’Oscuro.»
«Preferisco il nome Casteel oppure Cas» replicò, in tono duro e distante. «Se non vuoi chiamarmi così, puoi chiamarmi Principe Casteel Da’Neer, secondo figlio di Re Valyn Da’Neer, fratello del Principe Malik Da’Neer.»
Rabbrividii.
«Ma non chiamarmi l’Oscuro. Quello non è il mio nome.»
L’orrore mi travolse. Come avevo fatto a capirlo solo in quel momento? Gli indizi c’erano tutti. Ero stata stupida, così stupida. E non solo una volta. Scoprire che era un Atlantiano non mi aveva resa più saggia. Non avevo visto quello che avevo proprio davanti agli occhi.
Che davvero ogni cosa era stata una bugia.
Reagii senza pensare, sferrandogli un pugno al petto. Lo colpii. Lo schiaffeggiai su una guancia con forza tale da farmi bruciare il palmo, e lui me lo lasciò fare. Sopportò che lo strattonassi per le spalle. Gli urlai addosso, con le lacrime che mi offuscavano la vista. Lo colpii ancora e ancora…
«Basta.» Mi afferrò per le spalle, attirandomi contro il suo petto, e mi cinse tra le braccia, intrappolando le mie contro i miei fianchi. «Basta, Poppy.»
«Lasciami andare» ordinai, con la gola che bruciava.
Il cuore mi si strinse per lo stesso tipo di sofferenza che ero abituata a percepire nelle altre persone. Quasi protesi i miei sensi per capire se quel dolore stesse irradiando da lui o se fosse emerso dal profondo di me stessa, ma mi fermai.
Ti userò.
Quel dolore… quel dolore era il mio. Non mi aveva salvata perché teneva a me. Non mi aveva promesso che non mi sarebbe più stato fatto del male perché era preoccupato per la mia incolumità. Come facevo a dimenticarmene sempre? Hawke…
Hawke.
Quello non era neppure il suo nome. Si chiamava Casteel.
E aveva un suo scopo. Lo aveva sempre avuto, tutte le volte in cui avevamo parlato, in cui mi aveva baciata, toccata e in cui mi aveva detto che ero coraggiosa e forte, che lo intrigavo e che non aveva mai conosciuto qualcuno come me. Lo aveva fatto non solo recitando una parte, ma perfino usando un nome falso, per guadagnarsi la mia fiducia. Per farmi abbassare la guardia quand’ero con lui, così avrei lasciato Masadonia volontariamente e mi sarei lasciata condurre nel covo di vipere dove mi avrebbero usata perché ero la Vergine, la Prescelta – la favorita della regina – oppure mi avrebbero uccisa per le stesse ragioni.
Chiusi gli occhi.
Lui era peggiore di Jericho e degli altri che mi volevano morta. Almeno loro non fingevano. Tutto, in Haw… tutto in Casteel, dal suo nome a quella prima notte alla Perla Rossa, era stata una menzogna pianificata per guadagnarsi la mia fiducia.
E ci era riuscito, ma a quale prezzo?
Rylan era morto.
Phillips e Airrick e tutte le guardie e i Cacciatori erano morti.
Vikter era morto.
I miei genitori erano morti.
Mi aveva tolto tutte le persone a cui tenevo, per sua mano oppure con i suoi ordini, separandole da me oppure uccidendole. Tutto solo per potersi riunire al fratello, un altro principe. E questo perfino io potevo capirlo, potevo comprendere il suo dolore. Ma mi aveva anche rubato il cuore.
Mi aveva fatta innamorare dell’Oscuro.
Ecco chi era, anche se tutto quello che aveva detto pareva essere la verità. Anche se la storia che mi era stata insegnata era una bugia. Anche se gli Ascesi erano Vampry responsabili di avere creato i Craven, e quindi di quello che era successo ai miei genitori e a me. Anche se mio fratello ormai era uno di loro.
«Poppy?»
Con gli occhi che bruciavano, rotolai su un fianco. Avevo bisogno di spazio. Dovevo andarmene da lì… lontano da lui. Non ero al sicuro, non lo ero con nessuno degli abitanti di quella fortezza, e di sicuro non con lui.
Perché più mi teneva lì con sé, più difficile sarebbe stato per me ricordare la verità. Più avrei desiderato disperatamente credere che ero speciale per lui, solo perché volevo essere speciale per qualcuno. Per chiunque. Essere qualcosa di diverso da una pedina. Più stavo con lui, più era probabile che mi sarei dimenticata di tutto il sangue che gli macchiava le mani.
E che mi aveva già spezzato il cuore due volte, perché stava succedendo tutto da capo. Perfino dopo il suo primo tradimento, tenevo ancora a lui. Anche se volevo odiarlo. Avevo bisogno di odiarlo, ma non potevo. Ormai ne ero consapevole, perché mi sentivo come se stessi morendo di un’altra morte. Come avevo potuto essere così stupida?
Non potevo permettere che lo facesse di nuovo. Non potevo dimenticarmelo.
Il panico si riversò dentro di me, costringendomi ad aprire gli occhi. Il mio sguardo febbrile si mosse a scatti per la stanza. «Lasciami andare.»
«Poppy» ripeté lui, posandomi le dita sul collo. Mi irrigidii, prima di rendermi conto che stava controllando le mie pulsazioni. «Il tuo cuore batte troppo rapido.»
Non mi importava. Non mi importava se il cuore mi sarebbe esploso nel petto. «Lasciami!» urlai.
Allentò la presa quanto bastava per permettermi di scostarmi e mettermi a sedere. Il suo braccio mi cingeva ancora la vita. Posai la mano per mantenermi in equilibrio, ma sfiorai con il palmo il pugnale…
Il pugnale con cui il signor Tulis mi aveva accoltellato. Era fatto di diaspro sanguigno.
Con il cuore che sprofondava, abbassai lo sguardo sulla lama. Il mio dolore crebbe, ostruendomi la gola tanto da non lasciarmi respirare, per la consapevolezza che… che amavo l’uomo che aveva contribuito a così tante morti.
Che mi aveva lasciata lì con quella gente, la sua gente, persone che mi volevano morta.
Che mi aveva mentito su tutto, compresa la sua vera identità.
Il mio cuore si spaccò, riversandomi fanghiglia gelata nel petto. Sarei stata fredda per sempre, da quel momento fino alla fine.
«Poppy…»
Mi contorsi tra le sue braccia e mi mossi per istinto. Non sentii il freddo dell’elsa nella mano, ma percepii la lama affondargli nel petto. Avvertii il suo sangue caldo schizzarmi sul pugno, mentre l’elsa gli toccava la pelle.
Lentamente, sollevai lo sguardo sul suo.
I suoi occhi color ambra si sgranarono per la sorpresa. Sostenne il mio sguardo per un momento, poi lo abbassò.
Sul pugnale che gli sporgeva dal petto.
Dal cuore.